LA PARTECIPAZIONE DEL CONTRIBUENTE AL PROCEDIMENTO TRIBUTARIO
Introduzione
Nell’ambito del procedimento tributario viene innanzitutto in rilievo
l’esigenza di contemperamento tra il dovere delle Amministrazioni
finanziarie di contrastare il verificarsi di comportamenti elusivi, evasivi e
fiscalmente aggressivi, e l’esigenza di garantire ai contribuenti la tutela dei
propri diritti nei confronti della pretesa impositiva. Tale finalità si ritiene
possa essere realizzata attraverso la ricerca di un difficile equilibrio tra le
predette istanze, mediante il riconoscimento di un “diritto al
contraddittorio” tra Amministrazione finanziaria e contribuente.
L’instaurazione di un contraddittorio con il contribuente nel procedimento
tributario ha assunto, in confronto all’ordinario procedere del processo
amministrativo non tributario, peculiari caratteri a causa della coattività
dell’agire amministrativo in materia finanziaria e dell’esistenza del
principio di cogenza del tributo, il quale tributo è “indisponibile” e cioè
strettamente riferito all’attribuzione personale al contribuente del dovere di
concorrere alla spesa pubblica quale fondamento della stessa
partecipazione del singolo cittadino al procedimento e al processo
tributario. Il contribuente dovrebbe, ad avviso di chi scrive, sempre
partecipare al procedimento tributario, fornendo all’Amministrazione
finanziaria elementi di fatto e di diritto utili per giungere ad una precisa
determinazione della materia imponibile. Al tempo stesso è necessario che,
sempre nella fase del procedimento, il contribuente possa disporre
dell’accessibilità ai documenti che lo riguardano al fine di stabilire un
rapporto equipollente con la Amministrazione finanziaria procedente.
I diritti del contribuente che si sostanziano in quello che ordinariamente è
detto “giusto procedimento”, anche sulla base dell’art. 111 della Costituzione:
nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale.
La legge ne assicura la ragionevole durata. Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di
un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa
elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la
facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo
carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni
dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non
comprende o non parla la lingua impiegata nel processo.
Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La
colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta,
si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore.
La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso
dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita.
Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.
Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi
giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si
può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra. Contro le
decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli
motivi inerenti alla giurisdizione.”
Nella Costituzione, si correlano principi e diritti derivanti da fonti
sovranazionali, tra cui la CEDU, ossia la Convenzione Europea sui Diritti
dell’Uomo. Nell’ottica internazionale ogni Stato è libero di introdurre le
misure coercitive che reputa adeguate a contrastare i fenomeni di elusione
ed evasione fiscale nel proprio territorio. Tuttavia un buon numero di Stati
ha sviluppato un approccio di tipo “cooperativo” all’esazione fiscale, ossia
l’instaurazione tra Amministrazione finanziaria e contribuenti di un
rapporto basato sulla collaborazione e la comunicazione. Tale
collaborazione è efficiente, come detto, anche in ambito sovranazionale, ed
anche ove si verifichino controversie fiscali di carattere transfrontaliero.
La rilevanza del procedimento tributario è stata elaborata solo in tempi
relativamente recenti, in quanto inizialmente esso procedimento era
considerato come un semplice aggregato di tecnicismi e privo di una vera
sostanza. Attualmente, poiché si comincia a riconoscere l’indissolubilità
del legame tra diritto procedimentale e diritto sostanziale, non solo in
ambito civile ma anche in ambito tributario, va da sé che anche questo
settore del diritto sia oggetto di una indagine sui propri elementi costitutivi,
indagine che non può essere adeguatamente svolta senza un riferimento
innanzitutto ai principi costituzionali che ne costituiscono il fondamento. Si
parla dei diritti inviolabili della persona, del principio di uguaglianza, della
legittimità della azione amministrativa. Sulla base di tali principi si dà
luogo alla formazione di un procedimento tributario che non è, nei riguardi
del contribuente, lo strumento di una mera erogazione di politiche fiscali,
ma un aggregato di norme e di attività, e soprattutto di organi che pongono
in essere queste ultime, nei cui confronti dovrebbe a ragione instaurarsi, in
posizione paritetica con il contribuente, un rapporto giuridico collaborativo.
Così la disciplina contenuta nel DecretoLegislativo74/2000 in materia diritto penale tributario.
Si parla in prima battuta degli artt. 2, 3, 97 della Costituzione.
Il contribuente pertanto, parteciperebbe al procedimento tributario, al fine
di fornire, con finalità collaborative e difensive, elementi di fatto e di diritto
utili per pervenire alla esatta delimitazione della materia imponibile,
secondo la propria capacità e in quanto soggetto passivo dell’imposizione.
L’attuazione della partecipazione non sarebbe intesa solo in funzione di
una maggiore produttività dell’attività amministrativa, in quanto
principalmente essa partecipazione garantirebbe maggiormente il
contribuente da accertamenti infondati. E’ evidente che sia la l’attività di
controllo che la partecipazione del privato sono, almeno in linea di
principio, funzionali al medesimo obiettivo: giungere alla determinazione
di una obbligazione tributaria corrispondente alla reale capacità fiscale del
soggetto passivo, ossia del contribuente.
Inizialmente gli strumenti diretti a realizzare la partecipazione del
contribuente al procedimento di controllo e di accertamento erano molto
limitati ed essenzialmente previsti per fornire documenti, dati e notizie a
titolo di collaborazione, ossia per consentire all’Ufficio procedente un più
agevole e completo reperimento di elementi utili al controllo ed
eventualmente all’accertamento. Tuttavia il legislatore nel corso degli anni
ha mostrato un crescente favore verso la partecipazione del contribuente in
funzione di contraddittorio, ossia a titolo difensivo, la quale partecipazione
si concreta nell’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di chiedere
chiarimenti al contribuente e nell’onere per quest’ultimo di fornirli.
Nella dottrina amministrativa viene evidenziato come il procedimento
tributario sia uno strumento di partecipazione, che favorisce proprio
l’emersione di interessi ed elementi da considerare ai fini della adozione
del provvedimento. Esiste quindi un indissolubile collegamento tra
procedimento tributario e partecipazione del privato.
Con la generalizzazione dell’obbligo di presentare la dichiarazione dei
redditi e di tenuta della contabilità, ma soprattutto con l’introduzione
dell’obbligo per il contribuente di liquidazione e versamento dell’imposta,
indipendentemente da un’attività di accertamento dell’Ufficio, si è
verificato un mutamento dell’indirizzo precedentemente descritto, in ordine
alla partecipazione attiva del privato al procedimento tributario, che ha
comportato una caratterizzazione della posizione del contribuente come
vera e propria “parte” interessata ad intervenire come tale in via di
contraddittorio, durante l’attività di controllo ed accertamento per offrire
elementi utili alla conferma del dichiarato. Ciò ovviamente può accadere in
quanto il contraddittorio tra contribuente ed ente accertatore sia effettivo,
sia al livello di concrete modalità di partecipazione che per quanto
concerne la possibilità per il contribuente stesso di sapere che un controllo
si sta svolgendo nei suoi confronti e successivamente quali siano gli effetti
nella propria sfera giuridica del controllo effettuato.
Per quanto detto, nell’attuale assetto dell’ordinamento, l’Amministrazione
ed il privato si confronterebbero all’interno di schemi caratterizzati da una
equiparazione dei soggetti che vi prendono parte, al fine di giungere alla
determinazione del “giusto tributo”, ossia un tributo conforme nella propria
determinazione all’interesse fiscale, quale desumibile dall’art. 53 Cost. 4 , in
forza del cui disposto l’interesse dell’Amministrazione alla percezione dei
tributi non può essere in contrasto con il principio di “capacità
contributiva”. Le “spese pubbliche” non sono infatti una variabile
indipendente da imporre ai contribuenti senza considerare la loro capacità
fiscale. In definitiva nell’ordinamento tributario il rapporto tra
“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità
contributiva. Il sistema
tributario è informato a criteri di progressività.”
Amministrazione finanziaria e contribuente si è evoluto attraverso un
nuovo modello di attuazione del prelievo, volto a ridurre la conflittualità e
stimolare l’adempimento spontaneo degli obblighi tributari da parte del
contribuente stesso.
Cenni alla partecipazione del privato al procedimento tributario
sulla base della Legge n. 241/1990 5 e dello Statuto dei diritti del
NOTA Legge 7agosto1990, n. 241.
Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi
Art. 1. (Principi generali dell'attività amministrativa)
1. L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di
efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge
e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell'ordinamento
comunitario.
1-bis. La pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le
norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente.
1-ter. I soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei principi di
cui al comma 1, con un livello di garanzia non inferiore a quello cui sono tenute le pubbliche
amministrazioni in forza delle disposizioni di cui alla presente legge.
2. La pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate
esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria.
2-bis. I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della
collaborazione e della buona fede.
(comma aggiunto dall'art. 12, comma 1, lettera a), legge n. 120 del 2020)
Art. 2. (Conclusione del procedimento)
1. Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio,
le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento
espresso. Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della
domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso
redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di
fatto o di diritto ritenuto risolutivo.
Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un
termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti
pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni.
Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati ai sensi dell’articolo 17,
comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti e di concerto con i
Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa, sono
individuati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di
competenza delle amministrazioni statali. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri
ordinamenti, i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di
propria competenza.
Nei casi in cui, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione
amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del
procedimento, sono indispensabili termini superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti
di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, i decreti di cui al comma 3
sono adottati su proposta anche dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la
semplificazione normativa e previa deliberazione del Consiglio dei ministri. I termini ivi previsti non
possono comunque superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei procedimenti di acquisto della
cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l’immigrazione.
4-bis. Le pubbliche amministrazioni misurano e pubblicano nel proprio sito internet istituzionale, nella
sezione “Amministrazione trasparente”, i tempi effettivi di conclusione dei procedimenti amministrativi
di maggiore impatto per i cittadini e per le imprese, comparandoli con i termini previsti dalla normativa
vigente. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la pubblica
amministrazione, previa intesa in Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281, sono definiti modalità e criteri di misurazione dei tempi effettivi di conclusione dei
procedimenti, nonché le ulteriori modalità di pubblicazione di cui al primo periodo.
(comma introdotto dall'art. 12, comma 1, lettera a), legge n. 120 del 2020)
Fatto salvo quanto previsto da specifiche disposizioni normative, le autorità di garanzia e di vigilanza
disciplinano, in conformità ai propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di rispettiva
competenza.
I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal
ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte.
Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 17, i termini di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 del presente articolo
possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per
l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti
già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche
amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell’articolo 14, comma 2.
La tutela in materia di silenzio dell'amministrazione è disciplinata dal codice del processo
amministrativo. Le sentenze passate in giudicato che accolgono il ricorso proposto avverso il silenzio
inadempimento dell'amministrazione sono trasmesse, in via telematica, alla Corte dei conti.
8-bis. Le determinazioni relative ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli atti di
assenso comunque denominati, adottate dopo la scadenza dei termini di cui agli articoli 14-bis, comma 2,
lettera c), 17-bis, commi 1 e 3, 20, comma 1, ovvero successivamente all’ultima riunione di cui
all’articolo 14-ter, comma 7, nonché i provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di
rimozione degli eventuali effetti, di cui all’articolo 19, commi 3 e 6-bis, primo periodo, adottati dopo la
scadenza dei termini ivi previsti, sono inefficaci, fermo restando quanto previsto dall’articolo 21-nonies,
ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni.
(comma introdotto dall'art. 12, comma 1, lettera a), legge n. 120 del 2020)
La mancata o tardiva emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione
della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del
dirigente e del funzionario inadempiente.
L' organo di governo individua un soggetto nell'ambito delle figure apicali dell'amministrazione o
una unità organizzativa cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Nell'ipotesi di omessa
individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al
dirigente preposto all'ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente
nell'amministrazione. Per ciascun procedimento, sul sito internet istituzionale dell’amministrazione è
pubblicata, in formato tabellare e con collegamento ben visibile nella homepage, l’indicazione del
soggetto o dell’unità organizzativa a cui è attribuito il potere sostitutivo e a cui l’interessato può rivolgersi
ai sensi e per gli effetti del comma 9-ter. Tale soggetto, in caso di ritardo, comunica senza indugio il
nominativo del responsabile, ai fini della valutazione dell’avvio del procedimento disciplinare, secondo le
disposizioni del proprio ordinamento e dei contratti collettivi nazionali di lavoro, e, in caso di mancata
ottemperanza alle disposizioni del presente comma, assume la sua medesima responsabilità oltre a quella
propria.
(comma introdotto dall'art. 12, comma 1, lettera a), legge n. 120 del 2020, poi così modificato dall'art.
61, comma 1, lettera a), della legge n. 108 del 2021)
Decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento o quello superiore di cui al
comma 7, il responsabile o l’unità organizzativa di cui al comma 9-bis, d’ufficio o su richiesta
dell’interessato, esercita il potere sostitutivo e, entro un termine 28 maggio 2021 61 pari alla metà di
quello originariamente previsto, conclude il procedimento attraverso le strutture competenti o con la
nomina di un commissario.
(comma introdotto dall'art. 12, comma 1, lettera a), legge n. 120 del 2020, poi così sostituito dall'art. 61,
comma 1, lettera b), della legge n. 108 del 2021)
Il responsabile individuato ai sensi del comma 9-bis, entro il 30 gennaio di ogni anno, comunica
all'organo di governo, i procedimenti, suddivisi per tipologia e strutture amministrative competenti, nei
quali non è stato rispettato il termine di conclusione previsti dalla legge o dai regolamenti. Le
Amministrazioni provvedono all'attuazione del presente comma, con le risorse umane, strumentali e
finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica.
Nei provvedimenti rilasciati in ritardo su istanza di parte è espressamente indicato il termine
previsto dalla legge o dai regolamenti di cui all'articolo 2 e quello effettivamente impiegato.
Art. 2-bis. (Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento)
1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento
del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di
conclusione del procedimento.
1-bis. Fatto salvo quanto previsto dal comma 1 e ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei
concorsi pubblici, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte,
per il quale sussiste l'obbligo di pronunziarsi, l'istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero
ritardo alle condizioni e con le modalità stabilite dalla legge o, sulla base della legge, da un regolamento
emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400. In tal caso le somme
corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento.
2. (abrogato)
Art. 3. (Motivazione del provvedimento)
1. Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo
svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste
dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno
determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria.
2. La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale.
3. Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione
stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della
presente legge, anche l’atto cui essa si richiama.
4. In ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l’autorità cui è possibile
ricorrere.
Art. 3-bis. (Uso della telematica)
1. Per conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche agiscono mediante
strumenti informatici e telematici , nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i
privati.
(comma introdotto dall'art. 12, comma 1, lettera b), legge n. 120 del 2020)
Art. 4. (Unità organizzativa responsabile del procedimento)
1. Ove non sia già direttamente stabilito per legge o per regolamento, le pubbliche amministrazioni sono
tenute a determinare per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza l’unità
organizzativa responsabile della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché
dell’adozione del provvedimento finale.
2. Le disposizioni adottate ai sensi del comma 1 sono rese pubbliche secondo quanto previsto dai singoli
ordinamenti.
Art. 5. (Responsabile del procedimento)
1. Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto
all’unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento
nonché, eventualmente, dell’adozione del provvedimento finale.
2. Fino a quando non sia effettuata l’assegnazione di cui al comma 1, è considerato responsabile del
singolo procedimento il funzionario preposto alla unità organizzativa determinata a norma del comma 1
dell’articolo 4.
3. L’unità organizzativa competente, il domicilio digitale e il nominativo del responsabile del
procedimento sono comunicati ai soggetti di cui all’articolo 7 e, a richiesta, a chiunque vi abbia interesse.
(comma così modificato dall'art. 12, comma 1, lettera c), legge n. 120 del 2020)
Art. 6. (Compiti del responsabile del procedimento)
1. Il responsabile del procedimento:
a) valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che
siano rilevanti per l’emanazione di provvedimento;
b) accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, e adotta ogni misura
per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di
dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti
tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali;
c) propone l’indizione o, avendone la competenza, indice le conferenze di servizi di cui all’articolo 14;
d) cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le notificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti;
e) adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all’organo
competente per l’adozione. L'organo competente per l'adozione del provvedimento finale, ove diverso dal
responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria condotta dal
responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale.
Art. 6-bis. (Conflitto di interessi)
1. Il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni
tecniche, gli atti interni al procedimento e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di
interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale.
Art. 7. (Comunicazione di avvio del procedimento)
1. Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del
procedimento, l’avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall’articolo 8, ai
soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che
per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora
da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili,
diversi dai suoi diretti destinatari, l’amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia
dell’inizio del procedimento.
2. Nelle ipotesi di cui al comma 1 resta salva la facoltà dell’amministrazione di adottare, anche prima
della effettuazione delle comunicazioni di cui al medesimo comma 1, provvedimenti cautelari.
Art. 8. (Modalità e contenuti della comunicazione di avvio del procedimento)
1. L’amministrazione provvede a dare notizia dell’avvio del procedimento mediante comunicazione
personale.
2. Nella comunicazione debbono essere indicati:
a) l’amministrazione competente;
b) l’oggetto del procedimento promosso;
c) l’ufficio, il domicilio digitale dell’amministrazione e la persona responsabile del procedimento;
(lettera così modificata dall'art. 12, comma 1, lettera d), legge n. 120 del 2020)
c-bis) la data entro la quale, secondo i termini previsti dall'articolo 2, commi 2 o 3, deve concludersi il
procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell'amministrazione;
c-ter) nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza;
d) le modalità con le quali, attraverso il punto di accesso telematico di cui all’articolo 64-bis del decreto
legislativo 7 marzo 2005, n. 82 o con altre modalità telematiche, è possibile prendere visione degli atti,
accedere al fascicolo informatico di cui all’articolo 41 dello stesso decreto legislativo n. 82 del 2005 ed
esercitare in via telematica i diritti previsti dalla presente legge;
(lettera così sostituita dall'art. 12, comma 1, lettera d), legge n. 120 del 2020)
d-bis) l’ufficio dove è possibile prendere visione degli atti che non sono disponibili o accessibili con le
modalità di cui alla lettera d).
(lettera aggiunta dall'art. 12, comma 1, lettera d), legge n. 120 del 2020)
3. Qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti
particolarmente gravosa, l’amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2
mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall’amministrazione medesima.
4. L’omissione di taluna delle comunicazioni prescritte può esser fatta valere solo dal soggetto nel cui
interesse la comunicazione è prevista.
Art. 9. (Intervento nel procedimento)
1. Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi
costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di
intervenire nel procedimento.
Art. 10. (Diritti dei partecipanti al procedimento)
1. I soggetti di cui all’articolo 7 e quelli intervenuti ai sensi dell’articolo 9 hanno diritto:
a) di prendere visione degli atti del procedimento, salvo quanto previsto dall’articolo 24;
b) di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano
pertinenti all’oggetto del procedimento.
Art. 10-bis. (Comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza)
1. Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima
della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che
ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della
comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente
corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo sospende i termini di conclusione dei
procedimenti, che ricominciano a decorrere dieci giorni dopo la presentazione delle osservazioni o, in
mancanza delle stesse, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Qualora gli istanti abbiano
presentato osservazioni, del loro eventuale mancato accoglimento il responsabile del procedimento o
l’autorità competente sono tenuti a dare ragione nella motivazione del provvedimento finale di diniego
indicando, se ve ne sono, i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni. In caso
di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell’esercitare nuovamente il suo potere
l’amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall’istruttoria del
provvedimento annullato. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure
concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e
gestiti dagli enti previdenziali. Non possono essere addotti tra i motivi che ostano all'accoglimento della
domanda inadempienze o ritardi attribuibili all'amministrazione.
(comma modificato dall'art. 9, comma 3, della legge n. 180 del 2011, poi dall'art. 12, comma 1, lettera e),
legge n. 120 del 2020)
Art. 11. (Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento)
1. In accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell’articolo 10, l’amministrazione
procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del
pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del
provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo.
1-bis. Al fine di favorire la conclusione degli accordi di cui al comma 1, il responsabile del procedimento
può predisporre un calendario di incontri cui invita, separatamente o contestualmente, il destinatario del
provvedimento ed eventuali contro interessati.
2. Gli accordi di cui al presente articolo debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo
che la legge disponga altrimenti. Ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i princìpi del codice
civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. Gli accordi di cui al presente articolo
devono essere motivati ai sensi dell’articolo 3.
3. Gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi.
4. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l’amministrazione recede unilateralmente dall’accordo,
salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi
verificatisi in danno del privato.
4-bis. A garanzia dell'imparzialità e del buon andamento dell';azione amministrativa, in tutti i casi in cui
una pubblica amministrazione conclude accordi nelle ipotesi previste al comma 1, la stipulazione
dell'accordo è preceduta da una determinazione dell'organo che sarebbe competente per l'adozione del
provvedimento.
5. (abrogato)
Art. 12. (Provvedimenti attributivi di vantaggi economici)
1. La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi
economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla
predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi
ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi.
2. L’effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli
provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1.
Art. 13. (Ambito di applicazione delle norme sulla partecipazione)
1. Le disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell’attività della pubblica
amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di
programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione.
2. Dette disposizioni non si applicano altresì ai procedimenti tributari per i quali restano parimenti ferme
le particolari norme che li regolano.
Art. 14. (Conferenze di servizi)
(articolo così sostituito dall'art. 1, comma 1, d.lgs. n. 127 del 2016)
1. La conferenza di servizi istruttoria può essere indetta dall'amministrazione procedente, anche su
richiesta di altra amministrazione coinvolta nel procedimento o del privato interessato, quando lo ritenga
opportuno per effettuare un esame contestuale degli interessi pubblici coinvolti in un procedimento
amministrativo, ovvero in più procedimenti amministrativi connessi, riguardanti medesime attività o
risultati. Tale conferenza si svolge con le modalità previste dall'articolo 14-bis o con modalità diverse,
definite dall'amministrazione procedente.
2. La conferenza di servizi decisoria è sempre indetta dall'amministrazione procedente quando la
conclusione positiva del procedimento è subordinata all'acquisizione di più pareri, intese, concerti, nulla
osta o altri atti di assenso, comunque denominati, resi da diverse amministrazioni, inclusi i gestori di beni
o servizi pubblici. Quando l'attività del privato sia subordinata a più atti di assenso, comunque
denominati, da adottare a conclusione di distinti procedimenti, di competenza di diverse amministrazioni
pubbliche, la conferenza di servizi è convocata, anche su richiesta dell';interessato, da una delle
amministrazioni procedenti.
3. Per progetti di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi l'amministrazione
procedente, su motivata richiesta dell'interessato, corredata da uno studio di fattibilità, può indire una
conferenza preliminare finalizzata a indicare al richiedente, prima della presentazione di una istanza o di
un progetto definitivo, le condizioni per ottenere, alla loro presentazione, i necessari pareri, intese,
concerti, nulla osta, autorizzazioni, concessioni o altri atti di assenso, comunque denominati.
L'amministrazione procedente, se ritiene di accogliere la richiesta motivata di indizione della conferenza,
la indice entro cinque giorni lavorativi dalla ricezione della richiesta stessa. La conferenza preliminare si
svolge secondo le disposizioni dell'articolo 14-bis, con abbreviazione dei termini fino alla metà. Le
amministrazioni coinvolte esprimono le proprie determinazioni sulla base della documentazione prodotta
dall'interessato. Scaduto il termine entro il quale le amministrazioni devono rendere le proprie
determinazioni, l'amministrazione procedente le trasmette, entro cinque giorni, al richiedente. Ove si sia
svolta la conferenza preliminare, l'amministrazione procedente, ricevuta l'istanza o il progetto definitivo,
indice la conferenza simultanea nei termini e con le modalità di cui agli articoli 14-bis, comma 7, e 14-ter
e, in sede di conferenza simultanea, le determinazioni espresse in sede di conferenza preliminare possono
essere motivatamente modificate o integrate solo in presenza di significativi elementi emersi nel
successivo procedimento anche a seguito delle osservazioni degli interessati sul progetto definitivo. Nelle
procedure di realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico, la conferenza di servizi si esprime
sul progetto di fattibilità tecnica ed economica, al fine di indicare le condizioni per ottenere, sul progetto
definitivo, le intese, i pareri, le concessioni, le autorizzazioni, le licenze, i nullaosta e gli assensi,
comunque denominati, richiesti dalla normativa vigente.
4. Qualora un progetto sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale di competenza regionale, tutte
le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati,
necessari alla realizzazione del medesimo progetto, vengono acquisiti nell'ambito della conferenza di
servizi, convocata in modalità sincrona ai sensi dell'articolo 14-ter, secondo quanto previsto dall'articolo
27-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
(comma così sostituito dall'art. 24 del d.lgs. 104 del 2017)
5. L'indizione della conferenza è comunicata ai soggetti di cui all'articolo 7, i quali possono intervenire
nel procedimento ai sensi dell'articolo 9.
Art. 14-bis. (Conferenza semplificata)
(articolo così sostituito dall'art. 1, comma 1, d.lgs. n. 127 del 2016)
1. La conferenza decisoria di cui all'articolo 14, comma 2, si svolge in forma semplificata e in modalità
asincrona, salvo i casi di cui ai commi 6 e 7. Le comunicazioni avvengono secondo le modalità previste
dall'articolo 47 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.
2. La conferenza è indetta dall'amministrazione procedente entro cinque giorni lavorativi dall'inizio del
procedimento d'ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte. A tal
fine l'amministrazione procedente comunica alle altre amministrazioni interessate:
a) l'oggetto della determinazione da assumere, l'istanza e la relativa documentazione ovvero le credenziali
per l'accesso telematico alle informazioni e ai documenti utili ai fini dello svolgimento dell'istruttoria;
b) il termine perentorio, non superiore a quindici giorni, entro il quale le amministrazioni coinvolte
possono richiedere, ai sensi dell'articolo 2, comma 7, integrazioni documentali o chiarimenti relativi a
fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell'amministrazione stessa o non
direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni;
c) il termine perentorio, comunque non superiore a quarantacinque giorni, entro il quale le
amministrazioni coinvolte devono rendere le proprie determinazioni relative alla decisione oggetto della
conferenza, fermo restando l'obbligo di rispettare il termine finale di conclusione del procedimento. Se tra
le suddette amministrazioni vi sono amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico e
territoriale, dei beni culturali, o alla tutela della salute dei cittadini, ove disposizioni di legge o i
provvedimenti di cui all'articolo 2 non prevedano un termine diverso, il suddetto termine è fissato in
novanta giorni;
d) la data della eventuale riunione in modalità sincrona di cui all'articolo 14-ter, da tenersi entro dieci
giorni dalla scadenza del termine di cui alla lettera c), fermo restando l'obbligo di rispettare il termine
finale di conclusione del procedimento.
3. Entro il termine di cui al comma 2, lettera c), le amministrazioni coinvolte rendono le proprie
determinazioni, relative alla decisione oggetto della conferenza. Tali determinazioni, congruamente
motivate, sono formulate in termini di assenso o dissenso e indicano, ove possibile, le modifiche
eventualmente necessarie ai fini dell'assenso. Le prescrizioni o condizioni eventualmente indicate ai fini
dell'assenso o del superamento del dissenso sono espresse in modo chiaro e analitico e specificano se
sono relative a un vincolo derivante da una disposizione normativa o da un atto amministrativo generale
ovvero discrezionalmente apposte per la migliore tutela dell'interesse pubblico.
4. Fatti salvi i casi in cui disposizioni del diritto dell'Unione europea richiedono l'adozione di
provvedimenti espressi, la mancata comunicazione della determinazione entro il termine di cui al comma
2, lettera c), ovvero la comunicazione di una determinazione priva dei requisiti previsti dal comma 3,
equivalgono ad assenso senza condizioni. Restano ferme le responsabilità dell'amministrazione, nonché
quelle dei singoli dipendenti nei confronti dell'amministrazione, per l'assenso reso, allorché implicito.
5. Scaduto il termine di cui al comma 2, lettera c), l'amministrazione procedente adotta, entro cinque
giorni lavorativi, la determinazione motivata di conclusione positiva della conferenza, con gli effetti di
cui all'articolo 14-quater, qualora abbia acquisito esclusivamente atti di assenso non condizionato, anche
implicito, ovvero qualora ritenga, sentiti i privati e le altre amministrazioni interessate, che le condizioni e
prescrizioni eventualmente indicate dalle amministrazioni ai fini dell'assenso o del superamento del
dissenso possano essere accolte senza necessità di apportare modifiche sostanziali alla decisione oggetto
della conferenza. Qualora abbia acquisito uno o più atti di dissenso che non ritenga superabili,
l'amministrazione procedente adotta, entro il medesimo termine, la determinazione di conclusione
negativa della conferenza che produce l'effetto del rigetto della domanda. Nei procedimenti a istanza di
parte la suddetta determinazione produce gli effetti della comunicazione di cui all'articolo 10-bis.
L'amministrazione procedente trasmette alle altre amministrazioni coinvolte le eventuali osservazioni
presentate nel termine di cui al suddetto articolo e procede ai sensi del comma 2. Dell'eventuale mancato
accoglimento di tali osservazioni è data ragione nell'ulteriore determinazione di conclusione della
conferenza.
6. Fuori dei casi di cui al comma 5 l' amministrazione procedente, ai fini dell'esame contestuale degli
interessi coinvolti, svolge, nella data fissata ai sensi del comma 2, lettera d), la riunione della conferenza
in modalità sincrona, ai sensi dell'articolo 14-ter.
7. Ove necessario, in relazione alla particolare complessità della determinazione da assumere,
l'amministrazione procedente può comunque procedere direttamente in forma simultanea e in modalità
sincrona, ai sensi dell'articolo 14-ter. In tal caso indice la conferenza comunicando alle altre
amministrazioni le informazioni di cui alle lettere a) e b) del comma 2 e convocando la riunione entro i
successivi quarantacinque giorni. L'amministrazione procedente può altresì procedere in forma
simultanea e in modalità sincrona su richiesta motivata delle altre amministrazioni o del privato
interessato avanzata entro il termine perentorio di cui al comma 2, lettera b). In tal caso la riunione è
convocata nei successivi quarantacinque giorni.
Art. 14-ter. (Conferenza simultanea)
(articolo così sostituito dall'art. 1, comma 1, d.lgs. n. 127 del 2016)
1. La prima riunione della conferenza di servizi in forma simultanea e in modalità sincrona si svolge nella
data previamente comunicata ai sensi dell'articolo 14-bis, comma 2, lettera d), ovvero nella data fissata ai
sensi dell'articolo 14-bis, comma 7, con la partecipazione contestuale, ove possibile anche in via
telematica, dei rappresentanti delle amministrazioni competenti.
2. I lavori della conferenza si concludono non oltre quarantacinque giorni decorrenti dalla data della
riunione di cui al comma 1. Nei casi di cui all'articolo 14-bis, comma 7, qualora siano coinvolte
amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico e territoriale, dei beni culturali e della
salute dei cittadini, il termine è fissato in novanta giorni. Resta fermo l'obbligo di rispettare il termine
finale di conclusione del procedimento.
3. Ciascun ente o amministrazione convocato alla riunione è rappresentato da un unico soggetto abilitato
ad esprimere definitivamente e in modo univoco e vincolante la posizione dell'amministrazione stessa su
tutte le decisioni di competenza della conferenza, anche indicando le modifiche progettuali eventualmente
necessarie ai fini dell'assenso.
4. Ove alla conferenza partecipino anche amministrazioni non statali, le amministrazioni statali sono
rappresentate da un unico soggetto abilitato ad esprimere definitivamente in modo univoco e vincolante la
posizione di tutte le predette amministrazioni, nominato, anche preventivamente per determinate materie
o determinati periodi di tempo, dal Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, ove si tratti soltanto di
amministrazioni periferiche, dal Prefetto. Ferma restando l'attribuzione del potere di rappresentanza al
suddetto soggetto, le singole amministrazioni statali possono comunque intervenire ai lavori della
conferenza in funzione di supporto. Le amministrazioni di cui all'articolo 14-quinquies, comma 1, prima
della conclusione dei lavori della conferenza, possono esprimere al suddetto rappresentante il proprio
dissenso ai fini di cui allo stesso comma.
5. Ciascuna regione e ciascun ente locale definisce autonomamente le modalità di designazione del
rappresentante unico di tutte le amministrazioni riconducibili alla stessa regione o allo stesso ente locale
nonché l'eventuale partecipazione delle suddette amministrazioni ai lavori della conferenza.
6. Alle riunioni della conferenza possono essere invitati gli interessati, inclusi i soggetti proponenti il
progetto eventualmente dedotto in conferenza.
7. All'esito dell'ultima riunione, e comunque non oltre il termine di cui al comma 2, l'amministrazione
procedente adotta la determinazione motivata di conclusione della conferenza, con gli effetti di cui
all'articolo 14-quater, sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti alla
conferenza tramite i rispettivi rappresentanti. Si considera acquisito l'assenso senza condizioni delle
amministrazioni il cui rappresentante non abbia partecipato alle riunioni ovvero, pur partecipandovi, non
abbia espresso ai sensi del comma 3 la propria posizione, ovvero abbia espresso un dissenso non motivato
o riferito a questioni che non costituiscono oggetto della conferenza.
Art. 14-quater. (Decisione della conferenza di servizi)
(articolo così sostituito dall'art. 1, comma 1, d.lgs. n. 127 del 2016)
1. La determinazione motivata di conclusione della conferenza, adottata dall'amministrazione procedente
all'esito della stessa, sostituisce a ogni effetto tutti gli atti di assenso, comunque denominati, di
competenza delle amministrazioni e dei gestori di beni o servizi pubblici interessati.
2. Le amministrazioni i cui atti sono sostituiti dalla determinazione motivata di conclusione della
conferenza possono sollecitare con congrua motivazione l'amministrazione procedente ad assumere,
previa indizione di una nuova conferenza, determinazioni in via di autotutela ai sensi dell'articolo 21-
nonies. Possono altresì sollecitarla, purché abbiano partecipato, anche per il tramite del rappresentante di
cui ai commi 4 e 5 dell'articolo 14-ter, alla conferenza di servizi o si siano espresse nei termini, ad
assumere determinazioni in via di autotutela ai sensi dell'articolo 21-quinquies.
3. In caso di approvazione unanime, la determinazione di cui al comma 1 è immediatamente efficace. In
caso di approvazione sulla base delle posizioni prevalenti, l'efficacia della determinazione è sospesa ove
siano stati espressi dissensi qualificati ai sensi dell'articolo 14-quinquies e per il periodo utile
all'esperimento dei rimedi ivi previsti.
4. I termini di efficacia di tutti i pareri, autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque
denominati acquisiti nell'ambito della conferenza di servizi decorrono dalla data della comunicazione
della determinazione motivata di conclusione della conferenza.
Art. 14-quinquies. (Rimedi per le amministrazioni dissenzienti)
(articolo così sostituito dall'art. 1, comma 1, d.lgs. n. 127 del 2016)
1. Avverso la determinazione motivata di conclusione della conferenza, entro 10 giorni dalla sua
comunicazione, le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico e territoriale, dei beni
culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini possono proporre opposizione al
Presidente del Consiglio dei ministri a condizione che abbiano espresso in modo non equivoco il proprio
motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza. Per le amministrazioni statali
l'opposizione è proposta dal Ministro competente.
2. Possono altresì proporre opposizione le amministrazioni delle regioni o delle province autonome di
Trento e di Bolzano, il cui rappresentante, intervenendo in una materia spettante alla rispettiva
competenza, abbia manifestato un dissenso motivato in seno alla conferenza.
3. La proposizione dell'opposizione sospende l'efficacia della determinazione motivata di conclusione
della conferenza.
4. La Presidenza del Consiglio dei ministri indice, per una data non posteriore al quindicesimo giorno
successivo alla ricezione dell'opposizione, una riunione con la partecipazione delle amministrazioni che
hanno espresso il dissenso e delle altre amministrazioni che hanno partecipato alla conferenza. In tale
riunione i partecipanti formulano proposte, in attuazione del principio di leale collaborazione, per
l'individuazione di una soluzione condivisa, che sostituisca la determinazione motivata di conclusione
della conferenza con i medesimi effetti.
5. Qualora alla conferenza di servizi abbiano partecipato amministrazioni delle regioni o delle province
autonome di Trento e di Bolzano, e l'intesa non venga raggiunta nella riunione di cui al comma 4, può
essere indetta, entro i successivi quindici giorni, una seconda riunione, che si svolge con le medesime
modalità e allo stesso fine.
6. Qualora all'esito delle riunioni di cui ai commi 4 e 5 sia raggiunta un'intesa tra le amministrazioni
partecipanti, l'amministrazione procedente adotta una nuova determinazione motivata di conclusione della
conferenza. Qualora all'esito delle suddette riunioni, e comunque non oltre quindici giorni dallo
svolgimento della riunione, l'intesa non sia raggiunta, la questione è rimessa al Consiglio dei ministri. La
questione è posta, di norma, all'ordine del giorno della prima riunione del Consiglio dei ministri
successiva alla scadenza del termine per raggiungere l'intesa. Alla riunione del Consiglio dei ministri
possono partecipare i Presidenti delle regioni o delle province autonome interessate. Qualora il Consiglio
dei ministri non accolga l'opposizione, la determinazione motivata di conclusione della conferenza
acquisisce definitivamente efficacia. Il Consiglio dei ministri può accogliere parzialmente l'opposizione,
modificando di conseguenza il contenuto della determinazione di conclusione della conferenza, anche in
considerazione degli esiti delle riunioni di cui ai commi 4 e 5.
7. Restano ferme le attribuzioni e le prerogative riconosciute alle regioni a statuto speciale e alle province
autonome di Trento e Bolzano dagli statuti speciali di autonomia e dalle relative norme di attuazione.
Art. 15. (Accordi fra pubbliche amministrazioni)
1. Anche al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre
concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse
comune.
2. Per detti accordi si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste dall’articolo 11, commi 2 e
3.
2-bis. A fare data dal 30 giugno 2014 gli accordi di cui al comma 1 sono sottoscritti con firma digitale, ai
sensi dell'articolo 24 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, con firma elettronica avanzata, ai sensi
dell'articolo 1, comma 1, lettera q-bis) del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, o con altra firma
elettronica qualificata pena la nullità degli stessi. Dall'attuazione della presente disposizione non devono
derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. All'attuazione della medesima si
provvede nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie previste dalia legislazione vigente.
Art. 16. (Attività consultiva)
1. Gli organi consultivi delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, (ora articolo 1 del d.lgs. n. 165 del 2001 - n.d.r.) sono tenuti a rendere i
pareri ad essi obbligatoriamente richiesti entro venti giorni dal ricevimento della richiesta. Qualora siano
richiesti di pareri facoltativi, sono tenuti a dare immediata comunicazione alle amministrazioni richiedenti
del termine entro il quale il parere sarà reso, che comunque non può superare i venti giorni dal
ricevimento della richiesta.
2. In caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere o senza che l’organo adito
abbia rappresentato esigenze istruttorie, l’amministrazione richiedente procede indipendentemente
dall’espressione del parere. Salvo il caso di omessa richiesta del parere, il responsabile del procedimento
non può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata espressione dei pareri
di cui al presente comma.
(comma così modificato dall'art. 12, comma 1, lettera f), legge n. 120 del 2020)
3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano in caso di pareri che debbano essere rilasciati da
amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini.
4. Nel caso in cui l'organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie i termini di cui al comma 1
possono essere interrotti per una sola volta e il parere deve essere reso definitivamente entro quindici
giorni dalla ricezione degli elementi istruttori da parte delle amministrazioni interessate.
5. I pareri di cui al comma 1 sono trasmessi con mezzi telematici.
6. Gli organi consultivi dello Stato predispongono procedure di particolare urgenza per l’adozione dei
pareri loro richiesti.
6-bis. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 127 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni.
Art. 17. (Valutazioni tecniche)
1. Ove per disposizione espressa di legge o di regolamento sia previsto che per l’adozione di un
provvedimento debbano essere preventivamente acquisite le valutazioni tecniche di organi od enti
appositi e tali organi ed enti non provvedano o non rappresentino esigenze istruttorie di competenza
dell’amministrazione procedente nei termini prefissati dalla disposizione stessa o, in mancanza, entro
novanta giorni dal ricevimento della richiesta, il responsabile del procedimento deve chiedere le suddette
valutazioni tecniche ad altri organi dell’amministrazione pubblica o ad enti pubblici che siano dotati di
qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero ad istituti universitari.
2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica in caso di valutazioni che debbano essere prodotte da
amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico e territoriale e della salute dei cittadini.
3. Nel caso in cui l’ente od organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie all’amministrazione
procedente, si applica quanto previsto dal comma 4 dell’articolo 16.
Art. 17-bis. Effetti del silenzio e dell’inerzia nei rapporti tra amministrazioni pubbliche e tra
amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici
(articolo introdotto dall'art. 3 della legge n. 124 del 2015)
1. Nei casi in cui è prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di
amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici, per l'adozione di provvedimenti
normativi e amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche, le amministrazioni o i
gestori competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta entro trenta giorni dal
ricevimento dello schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, da parte
dell'amministrazione procedente. Esclusi i casi di cui al comma 3, quando per l’adozione di
provvedimenti normativi e amministrativi è prevista la proposta di una o più amministrazioni pubbliche
diverse da quella competente ad adottare l’atto, la proposta stessa è trasmessa entro trenta giorni dal
ricevimento della richiesta da parte di quest’ultima amministrazione. Il termine è interrotto qualora
l'amministrazione o il gestore che deve rendere il proprio assenso, concerto o nulla osta rappresenti
esigenze istruttorie o richieste di modifica, motivate e formulate in modo puntuale nel termine stesso. In
tal caso, l'assenso, il concerto o il nulla osta è reso nei successivi trenta giorni dalla ricezione degli
elementi istruttori o dello schema di provvedimento; lo stesso termine si applica qualora dette esigenze
istruttorie siano rappresentate dall’amministrazione proponente nei casi di cui al secondo periodo. Non
sono ammesse ulteriori interruzioni di termini.
(comma così modificato dall'art. 12, comma 1, lettera g), legge n. 120 del 2020)
2. Decorsi i termini di cui al comma 1 senza che sia stato comunicato l'assenso, il concerto o il nulla osta,
lo stesso si intende acquisito. Esclusi i casi di cui al comma 3, qualora la proposta non sia trasmessa nei
termini di cui al comma 1, secondo periodo, l’amministrazione competente può comunque procedere. In
tal caso, lo schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, è trasmesso
all’amministrazione che avrebbe dovuto formulare la proposta per acquisirne l’assenso ai sensi del
presente articolo. In caso di mancato accordo tra le amministrazioni statali coinvolte nei procedimenti di
cui al comma 1, il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri,
decide sulle modifiche da apportare allo schema di provvedimento.
(comma così modificato dall'art. 12, comma 1, lettera g), legge n. 120 del 2020)
3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano anche ai casi in cui è prevista l'acquisizione di assensi,
concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale,
paesaggistico e territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini, per l'adozione di provvedimenti
normativi e amministrativi di competenza di amministrazioni pubbliche. In tali casi, ove disposizioni di
legge o i provvedimenti di cui all'articolo 2 non prevedano un termine diverso, il termine entro il quale le
amministrazioni competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta è di novanta giorni dal
ricevimento della richiesta da parte dell'amministrazione procedente. Decorsi i suddetti termini senza che
sia stato comunicato l'assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito.
4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei casi in cui disposizioni del diritto dell'Unione
europea richiedano l'adozione di provvedimenti espressi.
Art. 18. (Autocertificazione)
1. Le amministrazioni adottano le misure organizzative idonee a garantire l’applicazione delle
disposizioni in materia di autocertificazione e di presentazione di atti e documenti da parte di cittadini a
pubbliche amministrazioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
(comma così modificato dall'art. 12, comma 1, lettera h), legge n. 120 del 2020)
2. I documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l'istruttoria del procedimento,
sono acquisiti d'ufficio quando sono in possesso dell'amministrazione procedente, ovvero sono detenuti,
istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni. L'amministrazione procedente può richiedere agli
interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti.
3. Parimenti sono accertati d’ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la
stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare.
3-bis. Nei procedimenti avviati su istanza di parte, che hanno ad oggetto l’erogazione di benefici
economici comunque denominati, indennità, prestazioni previdenziali e assistenziali, erogazioni,
contributi, sovvenzioni, finanziamenti, prestiti, agevolazioni, da parte di pubbliche amministrazioni
ovvero il rilascio di autorizzazioni e nulla osta comunque denominati, le dichiarazioni di cui agli articoli
46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, ovvero l’acquisizione di
dati e documenti di cui ai commi 2 e 3, sostituiscono ogni tipo di documentazione comprovante tutti i
requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla normativa di riferimento, fatto comunque salvo il rispetto
delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto
legislativo 6 settembre 2011, n. 159.
(comma aggiunto dall'art. 12, comma 1, lettera h), legge n. 120 del 2020)
Art. 18-bis. (Presentazione di istanze, segnalazioni o comunicazioni)
(articolo introdotto dall'art. 3, comma 1, lettera a), d.lgs. n. 126 del 2016)
1. Dell'avvenuta presentazione di istanze, segnalazioni o comunicazioni è rilasciata immediatamente,
anche in via telematica, una ricevuta, che attesta l'avvenuta presentazione dell'istanza, della segnalazione
e della comunicazione e indica i termini entro i quali l'amministrazione è tenuta, ove previsto, a
rispondere, ovvero entro i quali il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento dell'istanza. Se
la ricevuta contiene le informazioni di cui all'articolo 8, essa costituisce comunicazione di avvio del
procedimento ai sensi dell'articolo 7. La data di protocollazione dell'istanza, segnalazione o
comunicazione non può comunque essere diversa da quella di effettiva presentazione. Le istanze,
segnalazioni o comunicazioni producono effetti anche in caso di mancato rilascio della ricevuta, ferma
restando la responsabilità del soggetto competente.
2. Nel caso di istanza, segnalazione o comunicazione presentate ad un ufficio diverso da quello
competente, i termini di cui agli articoli 19, comma 3, e 20, comma 1, decorrono dal ricevimento
dell'istanza, segnalazione o della comunicazione da parte dell'ufficio competente.
Art. 19. (Segnalazione certificata di inizio attività - SCIA)
(per l'interpretazione si veda l'art. 5, comma 2, legge n. 106 del 2011)
1. Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque
denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività
imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di
requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto
alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio
degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui
sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte
alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza,
all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le
reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le
costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria. La segnalazione è corredata
dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le
qualità personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000,
n. 445, nonché, ove espressamente previsto dalla normativa vigente, dalle attestazioni e asseverazioni di
tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese di cui
all’articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla
legge 6 agosto 2008, n. 133, relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo
periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le
verifiche di competenza dell’amministrazione. Nei casi in cui la normativa vigente prevede l'acquisizione
di atti o pareri di organi o enti appositi, ovvero l'esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque
sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui al presente comma,
salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti. La segnalazione, corredata
delle dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni nonché dei relativi elaborati tecnici, può essere presentata
a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, ad eccezione dei procedimenti per cui è
previsto l’utilizzo esclusivo della modalità telematica; in tal caso la segnalazione si considera presentata
al momento della ricezione da parte dell'amministrazione.
2. L’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata, anche nei casi di cui all'articolo 19-bis, comma
2, dalla data della presentazione della segnalazione all’amministrazione competente.
(comma così modificato dall' art. 3, comma 1, lettera b), d.lgs. n. 126 del 2016)
3. L'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al
comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma,
adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti
dannosi di essa. Qualora sia possibile conformare l'attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa
vigente, l'amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere prescrivendo le
misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a trenta giorni per l'adozione di queste
ultime. In difetto di adozione delle misure da parte del privato, decorso il suddetto termine, l'attività si
intende vietata. Con lo stesso atto motivato, in presenza di attestazioni non veritiere o di pericolo per la
tutela dell'interesse pubblico in materia di ambiente, paesaggio, beni culturali, salute, sicurezza pubblica o
difesa nazionale, l'amministrazione dispone la sospensione dell'attività intrapresa. L'atto motivato
interrompe il termine di cui al primo periodo, che ricomincia a decorrere dalla data in cui il privato
comunica l'adozione delle suddette misure. In assenza di ulteriori provvedimenti, decorso lo stesso
termine, cessano gli effetti della sospensione eventualmente adottata.
(comma sostituito dall'art. 6, comma 1, legge n. 124 del 2015, poi così modificato dall'art. 3, comma 1,
lettera b), d.lgs. n. 126 del 2016)
4. Decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al
comma 6-bis, l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo
comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies.
(comma così sostituito dall'art. 6, comma 1, legge n. 124 del 2015)
4-bis. Il presente articolo non si applica alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi
comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al
decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
5. (abrogato)
6. Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni
che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei
presupposti di cui al comma 1 è punito con la reclusione da uno a tre anni
6-bis. Nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma
3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6,
restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull'attività urbanistico - edilizia, alle
responsabilità e alle sanzioni previste dal D..P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali.
6-ter. La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non
costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio
delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui
all'articolo 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.
Art. 19-bis. (Concentrazione dei regimi amministrativi)
(articolo introdotto dall'art. 3, comma 1, lettera c), d.lgs. n. 126 del 2016)
1. Sul sito istituzionale di ciascuna amministrazione è indicato lo sportello unico, di regola telematico, al
quale presentare la SCIA, anche in caso di procedimenti connessi di competenza di altre amministrazioni
ovvero di diverse articolazioni interne dell'amministrazione ricevente. Possono essere istituite più sedi di
tale sportello, al solo scopo di garantire la pluralità dei punti di accesso sul territorio.
2. Se per lo svolgimento di un'attività soggetta a SCIA sono necessarie altre SCIA, comunicazioni,
attestazioni, asseverazioni e notifiche, l'interessato presenta un'unica SCIA allo sportello di cui al comma
1. L'amministrazione che riceve la SCIA la trasmette immediatamente alle altre amministrazioni
interessate al fine di consentire, per quanto di loro competenza, il controllo sulla sussistenza dei requisiti e
dei presupposti per lo svolgimento dell'attività e la presentazione, almeno cinque giorni prima della
scadenza dei termini di cui all'articolo 19, commi 3 e 6-bis, di eventuali proposte motivate per l'adozione
dei provvedimenti ivi previsti.
3. Nel caso in cui l'attività oggetto di SCIA è condizionata all'acquisizione di atti di assenso comunque
denominati o pareri di altri uffici e amministrazioni, ovvero all'esecuzione di verifiche preventive,
l'interessato presenta allo sportello di cui al comma 1 la relativa istanza, a seguito della quale è rilasciata
ricevuta ai sensi dell'articolo 18-bis. In tali casi, il termine per la convocazione della conferenza di cui
all'articolo 14 decorre dalla data di presentazione dell'istanza e l'inizio dell'attività resta subordinato al
rilascio degli atti medesimi, di cui lo sportello dà comunicazione all'interessato.
Art. 20. (Silenzio assenso)
1. Fatta salva l'applicazione dell'articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di
provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di
accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima
amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di cui all'articolo 2, commi 2 o 3, il
provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2. Tali termini decorrono dalla data di
ricevimento della domanda del privato.
(comma così modificato dall'art. 3, comma 1, lettera d), d.lgs. n. 126 del 2016)
2. L'amministrazione competente può indire, entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza di cui al
comma 1, una conferenza di servizi ai sensi del capo IV, anche tenendo conto delle situazioni giuridiche
soggettive dei contro interessati.
2-bis. Nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento ai sensi
del comma 1, fermi restando gli effetti comunque intervenuti del silenzio assenso, l’amministrazione è
tenuta, su richiesta del privato, a rilasciare, in via telematica, un’attestazione circa il decorso dei termini
del procedimento e pertanto dell’intervenuto accoglimento della domanda ai sensi del presente articolo.
Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, l’attestazione è sostituita da una dichiarazione del privato
ai sensi dell’art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
(comma introdotto dall'art. 62, comma 1, della legge n. 108 del 2021)
3. Nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda,
l'amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-
quinquies e 21-nonies.
4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio
culturale e paesaggistico, l'ambiente, la tutela dal rischio idrogeologico, la difesa nazionale, la pubblica
sicurezza e l'immigrazione, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai
casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in
cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonché agli atti e
procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del
Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti.
(comma modificato dall'art. 9, comma 3, legge n. 69 del 2009 poi dall'art. 54, comma 2, legge n. 221 del
2015)
5. Si applicano gli articoli 2, comma 7, e 10-bis.
5-bis. Ogni controversia relativa all'applicazione del presente articolo è devoluta alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo.
Art. 21. (Disposizioni sanzionatorie)
1. Con la segnalazione o con la domanda di cui agli articoli 19 e 20 l’interessato deve dichiarare la
sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti. In caso di dichiarazioni mendaci o di false
attestazioni non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria prevista
dagli articoli medesimi ed il dichiarante è punito con la sanzione prevista dall’articolo 483 del codice
penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato.
(comma così modificato dall'art. 6, comma 1, legge n. 124 del 2015)
2. (comma abrogato dall'art. 6, comma 1, legge n. 124 del 2015)
2-bis. Restano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di
assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio
all'attività ai sensi degli articoli 19 e 20.
2-ter. La decorrenza del termine previsto dall'articolo 19, comma 3, e la formazione del silenzio assenso
ai sensi dell'articolo 20 non escludono la responsabilità del dipendente che non abbia agito
tempestivamente nel caso in cui la segnalazione certificata o l'istanza del privato non fosse conforme alle
norme vigenti.
(comma aggiunto dall'art. 3, comma 1, lettera e), d.lgs. n. 126 del 2016)
CAPO IV - bis - EFFICACIA ED INVALIDITÀ DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO.
REVOCA E RECESSO
(capo introdotto dall'art. 14 della legge n. 15 del 2005)
Art. 21-bis. (Efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati)
1. Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun
destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli
irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile. Qualora per il numero dei destinatari la
comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede
mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima. Il
provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati non avente carattere sanzionatorio può
contenere una motivata clausola di immediata efficacia. I provvedimenti limitativi della sfera giuridica
dei privati aventi carattere cautelare ed urgente sono immediatamente efficaci.
Art. 21-ter. (Esecutorietà)
1. Nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre
coattivamente l'adempimento degli obblighi nei loro confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi
indica il termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l'interessato non
ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all'esecuzione coattiva nelle
ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge.
2. Ai fini dell'esecuzione delle obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro si applicano le
disposizioni per l'esecuzione coattiva dei crediti dello Stato.
Art. 21-quater. (Efficacia ed esecutività del provvedimento)
1. I provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente
stabilito dalla legge o dal provvedimento medesimo.
2. L'efficacia ovvero l'esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni
e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo
previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell'atto che la dispone e può
essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze. La sospensione
non può comunque essere disposta o perdurare oltre i termini per l'esercizio del potere di annullamento di
cui all'articolo 21-nonies.
(comma così modificato dall'art. 6, comma 1, legge n. 124 del 2015)
Art. 21-quinquies. (Revoca del provvedimento)
1. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto
non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di
autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico
originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte
dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la
inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in
indennizzo.
1-bis. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti
negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati è commisurato al solo danno
emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della
contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso
dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse
pubblico.
1-ter. (abrogato)
Art. 21-sexies. (Recesso dai contratti)
1. Il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla
legge o dal contratto.
Art. 21-septies. (Nullità del provvedimento)
1. È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto
assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi
espressamente previsti dalla legge.
2. (abrogato)
Art. 21-octies. (Annullabilità del provvedimento)
1. È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di
potere o da incompetenza.
2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma
degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo
non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è
comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione
dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato. La disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in
violazione dell’articolo 10-bis.
(comma così modificato dall'art. 12, comma 1, lettera i), legge n. 120 del 2020)
Art. 21-nonies. (Annullamento d'ufficio)
(si veda anche l'articolo 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004)
1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al
medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di
interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a dodici mesi dal momento
dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in
cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari
e dei contro interessati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.
Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento
illegittimo.
(comma modificato dall'art. 25, comma 1, lettera b - quater), legge n. 164 del 2014, poi dall'art. 6,
comma 1, legge n. 124 del 2015, poi dall'art. 63, comma 1, della legge n. 108 del 2021)
2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di
interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.
2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di
dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte
costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati
dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1, fatta salva
l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo del testo unico di cui
al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.
(comma aggiunto dall'art. 6, comma 1, legge n. 124 del 2015, poi modificato dall'art. 63 della legge n.
108 del 2021)
Art. 21-decies Remissione di provvedimenti annullati dal giudice per vizi inerenti ad atti
endo/procedimentali
(articolo introdotto dall'art. 12, comma 1, lettera i-bis), legge n. 120 del 2020)
1. In caso di annullamento di un provvedimento finale in virtù di una sentenza passata in giudicato,
derivante da vizi inerenti ad uno o più atti emessi nel corso del procedimento di autorizzazione o di
valutazione di impatto ambientale, il proponente può richiedere all’amministrazione procedente e, in caso
di progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale, all’autorità competente ai sensi del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, l’attivazione di un procedimento semplificato, ai fini della riadozione
degli atti annullati. Qualora non si rendano necessarie modifiche al progetto e fermi restando tutti gli atti e
i provvedimenti delle amministrazioni interessate resi nel suddetto procedimento, l’amministrazione o
l’ente che abbia adottato l’atto ritenuto viziato si esprime provvedendo alle integrazioni necessarie per
superare i rilievi indicati dalla sentenza. A tal fine, entro quindici giorni dalla ricezione dell’istanza del
proponente, l’amministrazione procedente trasmette l’istanza all’amministrazione o all’ente che ha
emanato l’atto da riemettere, che vi provvede entro trenta giorni. Ricevuto l’atto ai sensi del presente
comma, o decorso il termine per l’adozione dell’atto stesso, l’amministrazione riemette, entro i successivi
trenta giorni, il provvedimento di autorizzazione o di valutazione di impatto ambientale, in attuazione,
ove necessario, degli articoli 14-quater e 14-quinquies della presente legge e dell’articolo 25, commi 2 e 2
-bis, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
CAPO V
(si veda il regolamento approvato con D.P.R. n. 184 del 2006)
Art. 22. (Definizioni e principi in materia di accesso)
1. Ai fini del presente capo si intende:
a) per diritto di accesso, il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti
amministrativi;
b) per interessati, tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che
abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e
collegata al documento al quale è chiesto l'accesso;
c) per contro interessati, tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del
documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla
riservatezza;
d) per documento amministrativo ogni rappresentazione grafica, foto e cinematografica,
elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno
specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico
interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale;
e) per pubblica amministrazione, tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato
limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario.
2. L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce
principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne
l’imparzialità e la trasparenza.
3. Tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all'articolo 24, commi
1, 2, 3, 5 e 6.
4. Non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica amministrazione che non abbiano
forma di documento amministrativo, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196,
in materia di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono.
previsione dell'articolo 43, comma 2, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di documentazione amministrativa, di cui al DP.R. 28 dicembre 2000, n. 445, si informa al
principio di leale cooperazione istituzionale.
6. Il diritto di accesso è esercitabile fino a quando la pubblica amministrazione ha l'obbligo di detenere i
documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere
Art. 23. (Ambito di applicazione del diritto di accesso)
1. Il diritto di accesso di cui all’articolo 22 si esercita nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle
aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi. Il diritto di accesso nei
confronti delle Autorità di garanzia e di vigilanza si esercita nell'ambito dei rispettivi ordinamenti,
secondo quanto previsto dall'articolo 24.
Art. 24. (Esclusione dal diritto di accesso)
1. Il diritto di accesso è escluso:
a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive
modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal
regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del
presente articolo;
b) nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano;
c) nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi,
amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari
norme che ne regolano la formazione;
d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di
carattere psico-attitudinale relativi a terzi.
2. Le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o
comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all'accesso ai sensi del comma 1.
3. Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle
pubbliche amministrazioni.
4. L'accesso ai documenti amministrativi non può essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere
di differimento.
5. I documenti contenenti informazioni connesse agli interessi di cui al comma 1 sono considerati segreti
solo nell'ambito e nei limiti di tale connessione. A tale fine le pubbliche amministrazioni fissano, per ogni
categoria di documenti, anche l'eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all'accesso.
6. Con regolamento, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il
Governo può prevedere casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi:
a) quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall'articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, dalla
loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa
nazionale, all'esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni
internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste dai trattati e dalle relative leggi di
attuazione;
b) quando l'accesso possa arrecare pregiudizio ai processi di formazione, di determinazione e di
attuazione della politica monetaria e valutaria;
c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente
strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con
particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza
dei beni e delle persone coinvolte, all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini;
d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche,
gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario,
professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi
dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono;
e) quando i documenti riguardino l'attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli
atti interni connessi all'espletamento del relativo mandato.
7. Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza
sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati
sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini
previsti dall'articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo
stato di salute e la vita sessuale
Art. 25. (Modalità di esercizio del diritto di accesso e ricorsi)
1. Il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi, nei
modi e con i limiti indicati dalla presente legge. L’esame dei documenti è gratuito. Il rilascio di copia è
subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di
bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura.
2. La richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata. Essa deve essere rivolta all’amministrazione
che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente.
3. Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso sono ammessi nei casi e nei limiti stabiliti
dall’articolo 24 e debbono essere motivati.
4. Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta. In caso di diniego
dell'accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi dell'articolo 24, comma 4, il
richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5, ovvero
chiedere, nello stesso termine e nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e
regionali, al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la
suddetta determinazione. Qualora tale organo non sia stato istituito, la competenza è attribuita al difensore
civico competente per l'ambito territoriale immediatamente superiore. Nei confronti degli atti delle
amministrazioni centrali e periferiche dello Stato tale richiesta è inoltrata presso la Commissione per
l'accesso di cui all'articolo 27 nonché presso l’amministrazione resistente. Il difensore civico o la
Commissione per l'accesso si pronunciano entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza. Scaduto
infruttuosamente tale termine, il ricorso si intende respinto. Se il difensore civico o la Commissione per
l'accesso ritengono illegittimo il diniego o il differimento, ne informano il richiedente e lo comunicano
all'autorità disponente. Se questa non emana il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni
dal ricevimento della comunicazione del difensore civico o della Commissione, l'accesso è consentito.
Qualora il richiedente l'accesso si sia rivolto al difensore civico o alla Commissione, il termine di cui al
comma 5 decorre dalla data di ricevimento, da parte del richiedente, dell'esito della sua istanza al
difensore civico o alla Commissione stessa. Se l'accesso è negato o differito per motivi inerenti ai dati
personali che si riferiscono a soggetti terzi, la Commissione provvede, sentito il Garante per la protezione
dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, decorso inutilmente
il quale il parere si intende reso. Qualora un procedimento di cui alla sezione III del capo I del titolo I
della parte III del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, o di cui agli articoli 154, 157, 158, 159 e
160 del medesimo decreto legislativo n. 196 del 2003, relativo al trattamento pubblico di dati personali da
parte di una pubblica amministrazione, interessi l'accesso ai documenti amministrativi, il Garante per la
protezione dei dati personali chiede il parere, obbligatorio e non vincolante, della Commissione per
l'accesso ai documenti amministrativi. La richiesta di parere sospende il termine per la pronuncia del
Garante sino all'acquisizione del parere, e comunque per non oltre quindici giorni. Decorso inutilmente
detto termine, il Garante adotta la propria decisione.
5. Le controversie relative all'accesso ai documenti amministrativi sono disciplinate dal codice del
processo amministrativo.
5-bis.(abrogato)
6. (abrogato)
1. (abrogato)
2. Sono altresì pubblicate, nelle forme predette, le relazioni annuali della Commissione di cui all’articolo
27 e, in generale, è data la massima pubblicità a tutte le disposizioni attuative della presente legge e a tutte
le iniziative dirette a precisare ed a rendere effettivo il diritto di accesso.
3. Con la pubblicazione di cui al comma 1, ove essa sia integrale, la libertà di accesso ai documenti
indicati nel predetto comma 1 s’intende realizzata.
Art. 27. (Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi)
1. È istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri la Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi.
2. La Commissione è nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio
dei ministri. Essa è presieduta dal sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed è
composta da dieci membri, dei quali due senatori e due deputati, designati dai Presidenti delle rispettive
Camere, quattro scelti fra il personale di cui alla legge 2 aprile 1979, n. 97, anche in quiescenza, su
designazione dei rispettivi organi di autogoverno, e uno scelto fra i professori di ruolo in materie
giuridiche. È membro di diritto della Commissione il capo della struttura della Presidenza del Consiglio
dei ministri che costituisce il supporto organizzativo per il funzionamento della Commissione. La
Commissione può avvalersi di un numero di esperti non superiore a cinque unità, nominati ai sensi
dell'articolo 29 della legge 23 agosto 1988, n. 400.
2-bis. La Commissione delibera a maggioranza dei presenti. L’assenza dei componenti per tre sedute
consecutive ne determina la decadenza.
3. La Commissione è rinnovata ogni tre anni. Per i membri parlamentari si procede a nuova nomina in
caso di scadenza o scioglimento anticipato delle Camere nel corso del triennio.
4. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle
finanze, a decorrere dall'anno 2004, sono determinati i compensi dei componenti e degli esperti di cui al
comma 2, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri.
5. La Commissione adotta le determinazioni previste dall'articolo 25, comma 4; vigila affinché sia attuato
il principio di piena conoscibilità dell'attività della pubblica amministrazione con il rispetto dei limiti
fissati dalla presente legge; redige una relazione annuale sulla trasparenza dell'attività della pubblica
amministrazione, che comunica alle Camere e al Presidente del Consiglio dei ministri; propone al
Governo modifiche dei testi legislativi e regolamentari che siano utili a realizzare la più ampia garanzia
del diritto di accesso di cui all'articolo 22.
6. Tutte le amministrazioni sono tenute a comunicare alla Commissione, nel termine assegnato dalla
medesima, le informazioni ed i documenti da essa richiesti, ad eccezione di quelli coperti da segreto di
Stato.
7. (abrogato)
Art. 28. (Modifica dell'articolo 15 del testo unico di cui al D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, in materia di
segreto di ufficio)
1. L'articolo 15 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato,
approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, è sostituito dal seguente:
«Art. 15 ( Segreto d'ufficio ) - 1. L'impiegato deve mantenere il segreto d'ufficio. Non può trasmettere a
chi non ne abbia diritto informazioni riguardanti provvedimenti od operazioni amministrative, in corso o
concluse, ovvero notizie di cui sia venuto a conoscenza a causa delle sue funzioni, al di fuori delle ipotesi
e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso. Nell'ambito delle proprie attribuzioni,
li impiegato preposto ad un ufficio rilascia copie ed estratti di atti e documenti di ufficio nei casi non
vietati dall'ordinamento».
1. Le disposizioni della presente legge si applicano alle amministrazioni statali e agli enti pubblici
nazionali. Le disposizioni della presente legge si applicano, altresì, alle società con totale o prevalente
capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative. Le disposizioni di cui
agli articoli 2-bis, 11, 15 e 25, commi 5, 5-bis e 6, nonché quelle del capo IV bis si applicano a tutte le
amministrazioni pubbliche.
2. Le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate
dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi
dell'azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge. 2-bis. Attengono
ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione
le disposizioni della presente legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire
la partecipazione dell’interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di concluderlo entro il
termine prefissato, di misurare i tempi effettivi di conclusione dei procedimenti e di assicurare l’accesso
alla documentazione amministrativa, nonché quelle relative alla durata massima dei procedimenti.
(comma così modificato dall'art. 12, comma 1, lettera l), legge n. 120 del 2020) 2-ter. Attengono altresì ai
livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le
disposizioni della presente legge concernenti la presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni, la
segnalazione certificata di inizio attività e il silenzio assenso e la conferenza di servizi, salva la possibilità
di individuare, con intese in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano.
(comma modificato dall'art. 49, comma 4, legge n. 122 del 2010, poi dall'art. 3, comma 1, lettera f), d.lgs.
n. 126 del 2016) 2-quater. Le regioni e gli enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di
loro competenza, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni
attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter, ma possono prevedere livelli
ulteriori di tutela. 2-quinquies. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano
adeguano la propria legislazione alle disposizioni del presente articolo, secondo i rispettivi statuti e le
relative norme di attuazione.
Art. 30. (Atti di notorietà) 1. In tutti i casi in cui le leggi e i regolamenti prevedono atti di notorietà o
attestazioni asseverate da testimoni altrimenti denominate, il numero dei testimoni è ridotto a due. 2. E’
fatto divieto alle pubbliche amministrazioni e alle imprese esercenti servizi di pubblica necessità e di
pubblica utilità di esigere atti di notorietà in luogo della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà
prevista dall’articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, quando si tratti di provare qualità personali, stati
o fatti che siano a diretta conoscenza dell’interessato.
Art. 31. (abrogato).
Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 luglio 2000
Art. 1.
(Principi generali)
1. Le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione,
costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo
espressamente e mai da leggi speciali.
2. L'adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali
e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica.
3. Le regioni a statuto ordinario regolano le materie disciplinate dalla presente legge in attuazione delle
disposizioni in essa contenute; le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano
provvedono, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, ad adeguare i rispettivi
ordinamenti alle norme fondamentali contenute nella medesima legge.
4. Gli enti locali provvedono, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ad
adeguare i rispettivi statuti e gli atti normativi da essi emanati ai principi dettati dalla presente legge.
Art. 2.
(Chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie)
1. Le leggi e gli altri atti aventi forza di legge che contengono disposizioni tributarie devono menzionarne
l'oggetto nel titolo; la rubrica delle partizioni interne e dei singoli articoli deve menzionare l'oggetto delle
disposizioni ivi contenute.
2. Le leggi e gli atti aventi forza di legge che non hanno un oggetto tributario non possono contenere
disposizioni di carattere tributario, fatte salve quelle strettamente inerenti all'oggetto della legge
medesima.
3. I richiami di altre disposizioni contenuti nei provvedimenti normativi in materia tributaria si fanno
indicando anche il contenuto sintetico della disposizione alla quale si intende fare rinvio.
4. Le disposizioni modificative di leggi tributarie debbono essere introdotte riportando il testo
conseguentemente modificato.
Art. 3.
(Efficacia temporale delle norme tributarie)
1. Salvo quanto previsto dall'articolo 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo.
Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d'imposta
successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono.
2. In ogni caso, le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la
cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o
dell'adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti.
3. I termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati.
Art. 4.
(Utilizzo del decreto-legge
in materia tributaria)
1. Non si può disporre con decreto-legge l'istituzione di nuovi tributi né prevedere l'applicazione di tributi
esistenti ad altre categorie di soggetti.
Art. 5.
(Informazione del contribuente)
1. L'amministrazione finanziaria deve assumere idonee iniziative volte a consentire la completa e agevole
conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative vigenti in materia tributaria, anche curando la
predisposizione di testi coordinati e mettendo gli stessi a disposizione dei contribuenti presso ogni ufficio
impositore. L'amministrazione finanziaria deve altresì assumere idonee iniziative di informazione
elettronica, tale da consentire aggiornamenti in tempo reale, ponendola a disposizione gratuita dei
contribuenti.
2. L'amministrazione finanziaria deve portare a conoscenza dei contribuenti tempestivamente e con i
mezzi idonei tutte le circolari e le risoluzioni da essa emanate, nonché ogni altro atto o decreto che
dispone sulla organizzazione, sulle funzioni e sui procedimenti.
Art. 6.
(Conoscenza degli atti e semplificazione)
1. L'amministrazione finanziaria deve assicurare l'effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti
a lui destinati. A tal fine essa provvede comunque a comunicarli nel luogo di effettivo domicilio del
contribuente, quale desumibile dalle informazioni in possesso della stessa amministrazione o di altre
amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente, ovvero nel luogo ove il contribuente ha eletto
domicilio speciale ai fini dello specifico procedimento cui si riferiscono gli atti da comunicare. Gli atti
sono in ogni caso comunicati con modalità idonee a garantire che il loro contenuto non sia conosciuto da
soggetti diversi dal loro destinatario. Restano ferme le disposizioni in materia di notifica degli atti
tributari.
2. L'amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali
possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l'irrogazione di una sanzione,
richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, seppure
parziale, di un credito.
3. L'amministrazione finanziaria assume iniziative volte a garantire che i modelli di dichiarazione, le
istruzioni e, in generale, ogni altra propria comunicazione siano messi a disposizione del contribuente in
tempi utili e siano comprensibili anche ai contribuenti sforniti di conoscenze in materia tributaria e che il
contribuente possa adempiere le obbligazioni tributarie con il minor numero di adempimenti e nelle forme
meno costose e più agevoli.
4. Al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso
dell'amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente. Tali
documenti ed informazioni sono acquisiti ai sensi dell'articolo 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990,
n. 241, relativi ai casi di accertamento d'ufficio di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla azione
amministrativa.
5. Prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da
dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l'amministrazione
finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i
chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non
inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. La disposizione si applica anche qualora, a seguito
della liquidazione, emerga la spettanza di un minor rimborso di imposta rispetto a quello richiesto. La
disposizione non si applica nell'ipotesi di iscrizione a ruolo di tributi per i quali il contribuente non è
tenuto ad effettuare il versamento diretto. Sono nulli i provvedimenti emessi in violazione delle
disposizioni di cui al presente comma.
Art. 7.
(Chiarezza e motivazione degli atti)
1. Gli atti dell'amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall'articolo 3 della
legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i
presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione. Se
nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama.
2. Gli atti dell'amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente
indicare:
a) l'ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato o
comunicato e il responsabile del procedimento;
dell'atto in sede di autotutela;
c) le modalità, il termine, l'organo giurisdizionale o l'autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in
caso di atti impugnabili.
3. Sul titolo esecutivo va riportato il riferimento all'eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in
mancanza, la motivazione della pretesa tributaria.
4. La natura tributaria dell'atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne
ricorrano i presupposti.
Art. 8.
(Tutela dell'integrità patrimoniale)
1. L'obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione.
2. È ammesso l'accollo del debito d'imposta altrui senza liberazione del contribuente originario.
2. Le disposizioni tributarie non possono stabilire né prorogare termini di prescrizione oltre il limite
ordinario stabilito dal codice civile.
4. L'amministrazione finanziaria è tenuta a rimborsare il costo delle fideiussioni che il contribuente ha
dovuto richiedere per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso dei tributi. Il
rimborso va effettuato quando sia stato definitivamente accertato che l'imposta non era dovuta o era
dovuta in misura minore rispetto a quella accertata.
5. L'obbligo di conservazione di atti e documenti, stabilito a soli effetti tributari, non può eccedere il
termine di dieci anni dalla loro emanazione o dalla loro formazione.
4. Con decreto del Ministro delle finanze, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23
agosto 1988, n. 400, relativo ai poteri regolamentari dei Ministri nelle materie di loro competenza, sono
emanate le disposizioni di attuazione del presente articolo.
7. La pubblicazione e ogni informazione relative ai redditi tassati, anche previste dall'articolo 15 della
legge 5 luglio 1982, n. 441, sia nelle forme previste dalla stessa legge sia da parte di altri soggetti, deve
sempre comprendere l'indicazione dei redditi anche al netto delle relative imposte.
8. Ferme restando, in via transitoria, le disposizioni vigenti in materia di compensazione, con regolamenti
emanati ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, è disciplinata l'estinzione
dell'obbligazione tributaria mediante compensazione, estendendo, a decorrere dall' anno d'imposta 2002,
l'applicazione di tale istituto anche a tributi per i quali attualmente non è previsto.
Art. 9.
(Rimessione in termini)
1. Il Ministro delle finanze, con decreto da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, rimette in termini i
contribuenti interessati, nel caso in cui il tempestivo adempimento di obblighi tributari è impedito da
cause di forza maggiore. Qualora la rimessione in termini concerna il versamento di tributi, il decreto è
adottato dal Ministro delle finanze di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica.
2. Con proprio decreto il Ministro delle finanze, sentito il Ministro del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica, può sospendere o differire il termine per l'adempimento degli obblighi
tributari a favore dei contribuenti interessati da eventi eccezionali ed imprevedibili.
Art. 10.
(Tutela dell'affidamento e della buona fede.
1. I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della
collaborazione e della buona fede.
2. Non sono irrogate sanzioni nè richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato
a indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate
dall'amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti
direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell'amministrazione stessa.
3. Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di
incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una
mera violazione formale senza alcun debito di imposta. Le violazioni di disposizioni di rilievo
esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto.
Art. 11.
(Interpello del contribuente)
1. Ciascun contribuente può inoltrare per iscritto all'amministrazione finanziaria, che risponde entro
centoventi giorni, circostanziate e specifiche istanze di interpello concernenti l'applicazione delle
disposizioni tributarie a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla
corretta interpretazione delle disposizioni stesse. La presentazione dell'istanza non ha effetto sulle
scadenze previste dalla disciplina tributaria.
2. La risposta dell'amministrazione finanziaria, scritta e motivata, vincola con esclusivo riferimento alla
questione oggetto dell'istanza di interpello, e limitatamente al richiedente. Qualora essa non pervenga al
contribuente entro il termine di cui al comma 1, si intende che l'amministrazione concordi con
l'interpretazione o il comportamento prospettato dal richiedente. Qualsiasi atto, anche a contenuto
impositivo o sanzionatorio, emanato in difformità dalla risposta, anche se desunta ai sensi del periodo
precedente, è nullo.
3. Limitatamente alla questione oggetto dell'istanza di interpello, non possono essere irrogate sanzioni nei
confronti del contribuente che non abbia ricevuto risposta dall'amministrazione finanziaria entro il
termine di cui al comma 1.
4. Nel caso in cui l'istanza di interpello formulata da un numero elevato di contribuenti concerna la stessa
questione o questioni analoghe fra loro, l'amministrazione finanziaria può rispondere collettivamente,
attraverso una circolare o una risoluzione tempestivamente pubblicata ai sensi dell'articolo 5, comma 2.
5. Con decreto del Ministro delle finanze, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23
agosto 1988, n. 400, relativo ai poteri regolamentari dei Ministri nelle materie di loro competenza, sono
determinati gli organi, le procedure e le modalità di esercizio dell'interpello e dell'obbligo di risposta da
parte dell'amministrazione finanziaria.
6. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 21 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, relativo all'interpello
della amministrazione finanziaria da parte dei contribuenti.
Art. 12.
(Diritti e garanzie del contribuente
sottoposto a verifiche fiscali)
1. Tutti gli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali,
industriali, agricole, artistiche o professionali sono effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e
controllo sul luogo. Essi si svolgono, salvo casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, durante
l'orario ordinario di esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile
allo svolgimento delle attività stesse nonché alle relazioni commerciali o professionali del contribuente.
2. Quando viene iniziata la verifica, il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che
l'abbiano giustificata e dell'oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista
abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonché dei diritti e degli obblighi che vanno
riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche.
3. Su richiesta del contribuente, l'esame dei documenti amministrativi e contabili può essere effettuato
nell'ufficio dei verificatori o presso il professionista che lo assiste o rappresenta.
4. Delle osservazioni e dei rilievi del contribuente e del professionista, che eventualmente lo assista, deve
darsi atto nel processo verbale delle operazioni di verifica.
5. La permanenza degli operatori civili o militari dell'amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche
presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta
giorni nei casi di particolare complessità dell'indagine individuati e motivati dal dirigente dell'ufficio. Gli
operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le
osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni
di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell'ufficio, per specifiche ragioni.
6. Il contribuente, nel caso ritenga che i verificatori procedano con modalità non conformi alla legge, può
rivolgersi anche al Garante del contribuente, secondo quanto previsto dall'articolo 13.
7. Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della
copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente
può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori.
L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di
particolare e motivata urgenza.
Art. 13.
(Garante del contribuente)
1. Presso ogni direzione regionale delle entrate e direzione delle entrate delle province autonome è
istituito il Garante del contribuente.
2. Il Garante del contribuente, operante in piena autonomia, è organo collegiale costituito da tre
componenti scelti e nominati dal presidente della commissione tributaria regionale o sua sezione
distaccata nella cui circoscrizione è compresa la direzione regionale delle entrate e appartenenti alle
seguenti categorie:
a) magistrati, professori universitari di materie giuridiche ed economiche, notai, sia a riposo sia in attività
di servizio;
b) dirigenti dell'amministrazione finanziaria e ufficiali generali e superiori della Guardia di finanza, a
riposo da almeno due anni, scelti in una terna formata, per ciascuna direzione regionale delle entrate,
rispettivamente, per i primi, dal direttore generale del Dipartimento delle entrate e, per i secondi, dal
Comandante generale della Guardia di finanza;
c) avvocati, dottori commercialisti e ragionieri collegiati, pensionati, scelti in una terna formata, per
ciascuna direzione regionale delle entrate, dai rispettivi ordini di appartenenza.
3. L'incarico di cui al comma 2 ha durata triennale ed è rinnovabile per una sola volta. Le funzioni di
Presidente sono svolte dal componente scelto nell'ambito delle categorie di cui alla lettera a) del comma
2. Gli altri due componenti sono scelti uno nell'ambito delle categorie di cui alla lettera b) e l'altro
nell'ambito delle categorie di cui alla lettera c) del comma 2.
4. Con decreto del Ministro delle finanze sono determinati il compenso ed i rimborsi spettanti ai
componenti del Garante del contribuente.
5. Le funzioni di segreteria e tecniche sono assicurate al Garante del contribuente dagli uffici delle
direzioni regionali delle entrate presso le quali lo stesso è istituito.
6. Il Garante del contribuente, anche sulla base di segnalazioni inoltrate per iscritto dal contribuente o da
qualsiasi altro soggetto interessato che lamenti disfunzioni, irregolarità, scorrettezze, prassi
amministrative anomale o irragionevoli o qualunque altro comportamento suscettibile di incrinare il
rapporto di fiducia tra cittadini e amministrazione finanziaria, rivolge richieste di documenti o chiarimenti
agli uffici competenti, i quali rispondono entro trenta giorni, e attiva le procedure di autotutela nei
confronti di atti amministrativi di accertamento o di riscossione notificati al contribuente. Il Garante del
contribuente comunica l'esito dell'attività svolta alla direzione regionale o compartimentale o al comando
di zona della Guardia di finanza competente nonché agli organi di controllo, informandone l'autore della segnalazione.
7. Il Garante del contribuente rivolge raccomandazioni ai dirigenti degli uffici ai fini della tutela del
contribuente e della migliore organizzazione dei servizi.
8. Il Garante del contribuente ha il potere di accedere agli uffici finanziari e di controllare la funzionalità
dei servizi di assistenza e di informazione al contribuente nonché l'agibilità degli spazi aperti al pubblico.
9. Il Garante del contribuente richiama gli uffici al rispetto di quanto previsto dagli articoli 5 e 12 della
presente legge.
10. Il Garante del contribuente richiama gli uffici al rispetto dei termini previsti per il rimborso d'imposta.
11. Il Garante del contribuente individua i casi di particolare rilevanza in cui le disposizioni in vigore
ovvero i comportamenti dell'amministrazione determinano un pregiudizio dei contribuenti o conseguenze
negative nei loro rapporti con l'amministrazione, segnalandoli al direttore regionale o compartimentale o
al comandante di zona della Guardia di finanza competente e all'ufficio centrale per l'informazione del
contribuente, al fine di un eventuale avvio del procedimento disciplinare. Prospetta al Ministro delle
finanze i casi in cui possono essere esercitati i poteri di rimessione in termini previsti dall'articolo 9.
12. Ogni sei mesi il Garante del contribuente presenta una relazione sull'attività svolta al Ministro delle
finanze, al direttore regionale delle entrate, ai direttori compartimentali delle dogane e del territorio
nonché al comandante di zona della Guardia di finanza, individuando gli aspetti critici più rilevanti e
prospettando le relative soluzioni.
13. Il Ministro delle finanze riferisce annualmente alle competenti Commissioni parlamentari in ordine al
funzionamento del Garante del contribuente, all'efficacia dell'azione da esso svolta ed alla natura delle
questioni segnalate nonché ai provvedimenti adottati a seguito delle segnalazioni del Garante stesso.
Art. 14.
(Contribuenti non residenti)
1. Al contribuente residente all'estero sono assicurate le informazioni sulle modalità di applicazione delle
imposte, la utilizzazione di moduli semplificati nonché agevolazioni relativamente all'attribuzione del
codice fiscale e alle modalità di presentazione delle dichiarazioni e di pagamento delle imposte.
2. Con decreto del Ministro delle finanze, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23
agosto 1988, n. 400, relativo ai poteri regolamentari dei Ministri nelle materie di loro competenza, sono
emanate le disposizioni di attuazione del presente articolo.
Art. 15.
(Codice di comportamento per il personale
addetto alle verifiche tributarie)
1. Il Ministro delle finanze, sentiti i direttori generali del Ministero delle finanze ed il Comandante
generale della Guardia di finanza, emana un codice di comportamento che regoli le attività del personale
addetto alle verifiche tributarie, aggiornandolo eventualmente anche in base alle segnalazioni delle
disfunzioni operate annualmente dal Garante del contribuente.
Art. 16.
1. Il Governo è delegato ad emanare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente
legge, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, uno o più decreti legislativi recanti le
disposizioni correttive delle leggi tributarie vigenti strettamente necessarie a garantirne la coerenza con i
princìpi desumibili dalle disposizioni della presente legge.
2. Entro il termine di cui al comma 1 il Governo provvede ad abrogare le norme regolamentari
incompatibili con la presente legge.
Art. 17.
(Concessionari della riscossione)
1. Le disposizioni della presente legge si applicano anche nei confronti dei soggetti che rivestono la
qualifica di concessionari e di organi indiretti dell'amministrazione finanziaria, ivi compresi i soggetti che
esercitano l'attività di accertamento, liquidazione e riscossione di tributi di qualunque natura.
Art. 18.
(Disposizioni di attuazione)
1. I decreti ministeriali previsti dagli articoli 8 e 11 devono essere emanati entro centottanta giorni dalla
data di entrata in vigore della presente legge.
2. Entro il termine di cui al comma 1 sono nominati i componenti del Garante del contribuente di cui
all'articolo 13.
Art. 19.
(Attuazione del diritto di interpello del
contribuente)
1. L'amministrazione finanziaria, nel quadro dell'attuazione del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300,
adotta ogni opportuno adeguamento della struttura organizzativa ed individua l'occorrente riallocazione
delle risorse umane, allo scopo di assicurare la piena operatività delle disposizioni dell'articolo 11 della
presente legge.
2. Per le finalità di cui al comma 1 il Ministro delle finanze è altresì autorizzato ad adottare gli opportuni
provvedimenti per la riqualificazione del personale in servizio.
Art. 20.
(Copertura finanziaria)
1. Agli oneri derivanti dall'attuazione dell'articolo 13, valutati in lire 6 miliardi annue a decorrere
dall'anno 2000, si provvede mediante utilizzo dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale
2000-2002, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di
previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l'anno 2000, allo
scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della pubblica istruzione.
2. Agli oneri derivanti dall'attuazione dell'articolo 19, determinati nel limite massimo di lire 14 miliardi
annue per il triennio 2000-2002, si provvede, mediante utilizzo dello stanziamento iscritto, ai fini del
bilancio triennale 2000-2002, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo
speciale» dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica per l'anno 2000, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero
della pubblica istruzione.
3. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato ad apportare, con
propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. FINE NOTA.
il fulcro dell’attività amministrativa si è spostato dall’emanazione del
provvedimento finale al momento dell’accertamento, attribuendo un ruolo
centrale alla partecipazione al procedimento amministrativo da parte dei
destinatari dell’atto, nonché di tutti gli interessati. Rilevante in proposito è
la distinzione tra procedimento inteso come “partecipazione” e
procedimento inteso come “contraddittorio”. Nel primo schema l’elemento
fondamentale è la presenza soggettiva in posizione collaborativa alla
formazione dell’atto da parte sia dell’ente impositore che del cittadino
contribuente; nel secondo la presenza del privato sarebbe maggiormente
determinante, in quanto svolta in termini di formulazione attiva di posizioni
contrastanti con quelle della Amministrazione stessa.
La legge citata ha quindi evidenziato l’esistenza di uno spazio per il
consenso nella formazione dell’atto amministrativo, introducendo la figura
dell’”accordo”, il quale è parso in grado di determinare il contenuto
dell’atto amministrativo ovvero di sostituirlo, spostando l’attenzione e
l’attività amministrative dall’atto finale all’iter di formazione dello stesso,
con attribuzione di crescente rilievo all’istruzione mediante contraddittorio.
Per quanto detto, il consenso del destinatario del provvedimento, cioè del
contribuente, ha assunto un ruolo sempre maggiore nello svolgimento della
funzione amministrativa e nell’adozione dell’atto amministrativo tributario,
così da evitare, attraverso un dialogo che, come detto, si svolge su un piano
di parità, possibili situazioni patologiche che richiederebbero il ricorso
dinanzi agli organi giurisdizionali.
Nel diritto amministrativo la funzione esplicata dal privato tramite la
partecipazione è essenzialmente attiva, ciò che denota una finalità
marcatamente garantista, ed è prevista dall’ordinamento a tutela dei
principi di imparzialità e buon andamento dell’attività amministrativa. Le
caratteristiche essenziali della partecipazione del privato alla attività della
Amministrazione nell’ambito non meramente amministrativo, e quindi
fiscalmente connotato, sono invece rappresentate dalla mancanza di
autonomia e dalla obbligatorietà. Sarebbe quindi improprio un
accostamento tra diritto amministrativo e diritto tributario. Tale difficoltà di
adattamento e di coordinamento sono confermate dalla stessa Legge
241/90, la quale all’art. 13 esclude l’applicazione delle norme sugli accordi
nel settore tributario, settore in cui non può operare la discrezionalità
presente invece nella fissazione del contenuto degli atti genericamente
amministrativi. Il primo fattore che può essere richiamato per spiegare la
divergenza tra la ratio alla base della partecipazione in campo tributario e
quella alla base del procedimento amministrativo è rappresentato dalla
esistenza di un vincolo in capo all’attività degli Uffici impositori: non è
infatti possibile, diversamente che nel procedimento amministrativo,
svolgere una attività tesa all’introduzione di interessi da valutare. Parte
della dottrina accoglie la nozione tradizionale di “discrezionalità
amministrativa” definendola come ponderazione comparativa di più
interessi secondari, pubblici, privati o collettivi, in ordine ad un interesse
primario, costituito dall’interesse pubblico che è stato attribuito o rientra
nella competenza di una determinata Autorità amministrativa. Sulla base di
tale definizione parte della dottrina ritiene che manchino nell’ordinamento
dell’attività istruttoria, l’Ufficio debba effettuare una ponderazione tra
l’interesse pubblico e quello privato. Poiché la discrezionalità si
tradurrebbe in tale attività di ponderazione, ne deriva, in mancanza di un
coinvolgimento di situazioni giuridicamente rilevanti da parte del privato,
una assenza di discrezionalità da parte dell’Amministrazione finanziaria. In
particolare si sostiene che nell’ipotesi di scelta da parte degli Uffici dei
poteri da esercitare tra quelli attribuiti dalla legge, tale scelta non comporta
il necessario contemperamento tra un interesse pubblico e uno privato ma
di due interessi entrambi pubblici e rappresentati dall’interesse al
reperimento delle entrate e da quello della maggiore efficienza e
produttività dell’azione amministrativa.
Nell’ordinamento tributario italiano, non esiste un generale diritto del
contribuente alla partecipazione al procedimento di accertamento anche se
si registra una tendenza all’incremento di formule che tale diritto
prevedono in alcuni momenti dell’iter procedimentale.
Il secondo fattore, in parte collegato al primo, a cui può ricondursi la
divergente ratio ispiratrice della partecipazione nel procedimento tributario
rispetto a quella che si registra in ambito amministrativo, si ravvisa nella
struttura della partecipazione del privato nella materia tributaria, in quanto
tale partecipazione è strettamente dipendente dalla posizione di soggezione
propria del contribuente con riguardo all’attività impositiva considerata nel
suo complesso. Tuttavia il carattere vincolato dell’attività non comporta
necessariamente che la partecipazione debba essere limitata alla funzione
passiva da parte del contribuente, in quanto è ammessa, sebbene in
subordine, una attività volta alla comunicazione di fatti e non alla
rivendicazione di interessi.
Amministrazione può coesistere con il riconoscimento, in capo ai soggetti
nei cui confronti detti poteri sono esercitati, del diritto di far valere le
proprie ragioni in sede procedimentale e di partecipare allo svolgimento
della funzione amministrativa, anche nell’ipotesi in cui l’interesse pubblico
perseguito dalla Pubblica Amministrazione imponga di restringere l’ambito
di operatività della partecipazione del privato.
I significativi mutamenti introdotti dalla disciplina sul procedimento
amministrativo e soprattutto la differente tipologia di partecipazione del
cittadino alla formazione dell’atto, anche se non applicabili al settore
fiscale in virtù della previsione contenuta nell’art. 13 della Legge 241/90,
hanno esercitato una notevole sebbene indiretta influenza sulla portata della
indisponibilità. La problematica della indisponibilità deve essere affrontata
considerando l’esigenza di determinare, eventualmente con la
partecipazione del privato, la dimensione qualitativa e quantitativa del
presupposto. In altri termini eventuali strumenti che consentono una
conclusione concertata dell’accertamento comportano la necessità di
pervenire ad un accordo che non può prescindere da una equiparazione
delle due parti contraenti. Pertanto il privato non si limiterebbe a fornire un
flusso di informazioni, ma concorrerebbe a determinare, sia
qualitativamente che quantitativamente, il presupposto del tributo,
comportando ciò, per il privato, la potestà di concorrere alla definizione
delle questioni di fatto e di diritto concernenti il presupposto stesso.
L’indisponibilità relativamente al prelievo tributario, indisponibilità che,
come detto è il risultato dell’operatività di tutte le Pubbliche
Amministrazioni e quindi anche dell’Amministrazione finanziaria,
dovrebbe essere intesa come parità di ripartizione e invarianza dei criteri
utilizzati per la ripartizione stessa, sia in sede di emanazione della legge
che della sua applicazione, in quanto il contribuente è tenuto al doveroso
rispetto della disciplina costituzionale del fenomeno fiscale sulla base dei
principi enucleabili dal dettato degli artt. 2 7 , 3 8 , 53 9 della Costituzione. La
preclusione o indisponibilità in altre parole, scaturisce dai limiti impliciti
del credito di imposta e rinviene la sua giustificazione nella inevitabile
lesione che subirebbero gli interessi degli altri membri della comunità dei
contribuenti a causa dell’esercizio di un eventuale principio dispositivo, il
quale determinerebbe una sostituzione dei criteri di riparto fissati a livello
legislativo ed efficaci erga omnes, con altri criteri creati
dall’Amministrazione a seconda delle esigenze, violando così il principio
di uguaglianza tra contribuenti.
In conclusione: indisponibile sarebbe l’interesse pubblico perequativo (che
sorregge e giustifica l’accertamento tributario) nel suo rapporto con gli
interessi del contribuente. Le ragioni di questa peculiarità strutturale
dell’accertamento tributario si rinvengono nelle convergenze e divergenze
tra le normative proprie delle funzioni pubbliche e dell’autonomia privata e
nei modi in cui tali normative si riverberano sugli interessi pubblici e
privati che da esse risultano regolati.
7 “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni
sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale.”
8 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di
razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E`compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di
tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
tributario è informato a criteri di progressività.”FINE NOTA
Se dall’analisi della Legge 241/1990 si passa a considerare il disposto dello
“Statuto dei diritti del contribuente” risulta agevole constatare che il
passaggio verso la generalizzazione della partecipazione al procedimento di
accertamento tributario è ancora di là da venire. Lo Statuto, emanato con
Legge 212/2000, rappresentando la carta fondamentale dei diritti del
contribuente, nonché attuazione dei principi costituzionali di uguaglianza,
legalità, capacità contributiva e imparzialità amministrativa, sarebbe stata
invero la sede più appropriata per recepire il suddetto diritto di
partecipazione del contribuente. Il legislatore tributario si è invece limitato
a prevedere soltanto nuove forme di collaborazione e cooperazione tra
l’Amministrazione finanziaria e i contribuenti. Parte della dottrina ha
ravvisato invece nello Statuto una generalizzazione e un riconoscimento del
diritto di partecipazione del contribuente al procedimento di accertamento,
funzionale all’attuazione imparziale della legge di imposta, ritenendo che
gli enunciati in esso contenuti si prestino a fungere, in concomitanza con i
principi costituzionali di legalità e di imparzialità amministrativa, da
fondamento per l’elaborazione di una disciplina generalizzata della regola
del contraddittorio anticipato ossia con partecipazione attiva del
contribuente. In realtà è opinione diffusa in dottrina che l’evoluzione
normativa, pur ricca di ipotesi di partecipazione del contribuente all’attività
amministrativa, è circoscritta a specifiche fasi di attuazione delle singole
imposte e all’esercizio di puntuali poteri di indagine da parte della
Amministrazione, durante la fase istruttoria. Un esempio di positiva
evoluzione dei rapporti tra lo Stato e i soggetti privati in materia di
imposizione tributaria è senz’altro ravvisabile nell’art. 10 10 dello Statuto, il
quale statuisce che “i rapporti tra contribuente e Amministrazione
finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona
fede”. L’articolo in parola conferma quanto già avrebbe potuto essere
desunto dall’art. 97 11 Cost. L’Amministrazione finanziaria infatti, non ha
nulla di diverso rispetto alla figurazione costituzionale di Pubblica
Amministrazione, e come quest’ultima è tenuta a comportarsi in modo
leale, in conformità alla funzione che la legge le ha attribuito e a tutela del
pubblico interesse, che a livello di Amministrazione tributaria si concreta
nel dovere di pronta esazione del tributo. I termini “collaborazione” e
“buona fede” che si rinvengono nell’articolo 10 dello Statuto, non hanno
solo un valore simbolico, ma sono espressione di principi generali
dell’ordinamento che non possono essere modificati se non per espressa
disposizione di legge e in nessun caso ad opera di provvedimenti di grado
inferiore. Sempre in riferimento ai principi di cui all’art. 10 dello Statuto, si
potrebbe inferire che il principio di “collaborazione” alluda per un verso “ai
principi di buon andamento, efficienza ed imparzialità dell’azione
amministrativa tributaria” e per altro verso non sia in contrasto con l’art.
53, comma 1 della Costituzione. Quanto invece al principio di “buona
1. I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della
collaborazione e della buona fede.
2. Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato
a indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate
dall'amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti
direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell'amministrazione stessa.
3. Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di
incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una
mera violazione formale senza alcun debito di imposta. Le violazioni di disposizioni di rilievo
esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto.
11
I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon
andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere
di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. FINE NOTA
fede”,
si è argomentato che “tale principio, se riferito all’Amministrazione
finanziaria, coincide, almeno in parte, con i significati attribuiti al termine
“collaborazione”, dato che entrambi i principi sono tesi ad assicurare
comportamenti dell’amministrazione coerenti, cioè non contraddittori o
discontinui, ossia mutevoli nel tempo”. L’art. 10, quindi, introduce
nell’ordinamento i principi dell’”affidamento” e della “buona fede”. Il
primo termine costituisce una tutela dell’atteggiamento di lealtà e
collaborazione cui deve sempre essere improntato il rapporto giuridico di
imposta, garantendo un prelievo rapportato ad effettivi indici di capacità
contributiva e prevedendo una giusta tutela degli interessi erariali. Inoltre i
nominati principi mirano a garantire l’efficacia, l’efficienza ed economicità
della Pubblica Amministrazione. Il termine “buona fede”, mutuato
dall’ordinamento civilistico ha un duplice senso, cioè, come sostenuto da
chiara e affermata dottrina, per un verso obbliga all’attuazione di
comportamenti coerenti da parte dell’Amministrazione, per altro verso
impone ad essa Amministrazione il dovere di correttezza, onde evitare
comportamenti capziosi, dilatori, sostanzialmente connotati da abuso di
diritti e/o tesi ad eludere una giusta pretesa tributaria. Il principio in parola
implica non solo un atteggiamento leale e non contraddittorio per entrambe
le parti, ma anche la necessità di operare per un rapporto fiscale semplice
nei modi di attuazione, trasparente nelle procedure ed ampiamente
condiviso. Il principio di buona fede è stato considerato come ratio da
porre alla base di disposizioni dell’ordinamento tributario, parametro della
loro interpretazione e integrazione e metro diretto di giudizio dell’azione
del Fisco e del contribuente.
Per quanto concerne la buona fede e la collaborazione come ratio di regole
giuridiche, è possibile considerare come esempio dell’applicazione di tali
oggetto di richiesta da parte dell’Ufficio, che il contribuente si è rifiutato di
fornire o ha dichiarato di non possedere, non possono essere utilizzati a suo
favore nel corso dell’eventuale giudizio, salvo che si dimostri che la
mancata presentazione è stata dovuta a causa non imputabile al
contribuente. In tale ipotesi il principio che viene in considerazione è
quello di “buona fede”. In altre parole la condotta di celare la
documentazione all’Amministrazione finanziaria che notifichi un avviso di
accertamento, per poi utilizzare la detta documentazione in sede
processuale, configurerebbe una violazione del principio della buona fede.
Sullo stesso principio deve essere modulato il comportamento della
Amministrazione finanziaria, cioè essa Amministrazione è tenuta a
richiedere ai fini dell’accertamento solo e soltanto i dati e i documenti
analiticamente da considerare necessari all’accertamento di una eventuale
irregolarità contributiva. Infine il termine “affidamento” designa
comunemente, ma anche a livello giuridico, lo stato psicologico di un
soggetto che ripone fiducia in qualcuno o in qualcosa. L’applicazione del
principio di affidamento del contribuente costituisce il naturale
svolgimento dei principi di collaborazione e buona fede presenti nella
Costituzione e quindi non può essere limitato alle fattispecie indicate nel
comma 2 dell’art. 10 dello Statuto. Si ritiene che l’affidamento debba
essere in generale ragionevole e meritevole: si deve trattare di affidamento
che potrebbe essere determinato in un soggetto mediamente diligente. La
tutela dell’affidamento quindi, non può essere delegata ad un soggetto, se
colui il quale dovrebbe garantirla è in mala fede, oppure è un soggetto in
buona fede ma che è incorso in una ipotesi di colpa. A questo proposito il
comma 2 dell’art. 10 dello Statuto prevede: “ non sono irrogate sanzioni né
richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato ad
indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria ancorché
successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il
suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente
conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa”. La
norma esclude conseguenze sanzionatorie civilistiche, amministrative o
penali per chi si trovi in condizioni di buona fede.
In precedenza, parte della giurisprudenza riconosceva che la tutela
dell’affidamento poteva invalidare la pretesa tributaria e non solo
l’applicazione di sanzioni e di interessi. Ad oggi tale corrente
giurisprudenziale ha mutato indirizzo e quindi, se il contribuente abbia
richiesto istruzioni agli Uffici e si sia attenuto a tali istruzioni, il Fisco non
potrà avanzare pretese che contraddicano la propria condotta precedente.
Se invece, ad esempio, l’Amministrazione finanziaria esprima una
determinata interpretazione di una fattispecie, per poi mutare indirizzo, al
contribuente che abbia adempiuto secondo il modus agendi precedente non
saranno imputabili interessi o sanzioni, mentre sempre il contribuente
dovrà necessariamente adempiere ai tributi posti a suo carico secondo il
nuovo indirizzo interpretativo e impositivo degli Uffici di riscossione.
E’ possibile inoltre riscontrare un orientamento giurisprudenziale che
riconosce nel principio del legittimo affidamento, una regola di carattere
generale, suscettibile di esplicare i suoi effetti anche oltre i confini della
materia tributaria sostanziale. A titolo esemplificativo si può citare l’art. 5
dello Statuto, in base al quale è stata ritenuta contraria non all’affidamento,
ma al principio di collaborazione e informazione, che al primo potrebbe
essere considerato afferente, una motivazione espressa in una determinata
fattispecie impositiva. In sostanza la Pubblica amministrazione finanziaria
assume nei confronti del contribuente una posizione che non prescinde o
raramente prescinde dai principi costituzionali che ne regolano la attività, al
pari di una ordinaria struttura di Pubblica Amministrazione.
Per quanto possa attenere ad una più compiuta definizione del lemma
“accertamento”, si potrebbe affermare che si ha accertamento all’esito di
una sequenza di atti tra loro funzionalmente collegati , attraverso i quali la
Amministrazione realizza gli interessi pubblici e privati coinvolti dal
proprio intervento, al fine di assumere il provvedimento adeguato allo
scopo perseguito. Per quanto detto, si è osservato che l’esigenza di tutela
del privato sarebbe soddisfatta dalla struttura stessa del procedimento che
spesso, in forza di apposite disposizioni, non sfocia nel provvedimento
finale senza che il contribuente abbia partecipato attivamente al
procedimento stesso. In altri termini si ritiene che attraverso il
procedimento trovi attuazione un principio di imparzialità che prevale sui
principi di buon andamento e di tutela dell’affidamento di cui il principio di
collaborazione costituisce espressione. La conclusione delle precedenti
asserzioni è che, come si è già evidenziato più sopra, la collaborazione non
è sovra ordinata alle fattispecie partecipative che si collocano nella
sequenza di atti che compongono il procedimento volto all’attuazione della
legge di imposta, ma è ad esse fattispecie equiparata.
Sulla base di quanto detto, la dottrina già citata giunge a due rilevanti
conclusioni: la prima, rappresentata dal fatto che la regola della
collaborazione, in conformità al disposto dell’art. 97 Cost. presiede ai
rapporti che si instaurano tra Amministrazione e contribuente al di fuori
delle occasioni rigidamente formalizzate che si verificano nei procedimenti
di imposizione, soprattutto se è previsto un contraddittorio con il
contribuente; la seconda è costituita dalla circostanza che il fondamento
della disciplina che regola la partecipazione del contribuente ai
procedimenti volti all’attuazione imparziale della legge di imposta si trova
codificata nello Statuto.
Per quanto attiene infatti ad un ulteriore articolo dello Statuto, ossia
l’articolo 12 12 , esso articolo prevede un rafforzamento dei diritti e delle
garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali. La norma in parola
dispone che, nel rispetto del principio di cooperazione tra Amministrazione
e contribuente, quest’ultimo può comunicare, entro sessanta giorni dalla
consegna del processo verbale di chiusura delle operazioni ispettive
condotte nei suoi riguardi “osservazioni e richieste” che gli Uffici
impositori sono tenuti a valutare prima di provvedere, salvo che nei casi di
particolare e motivata urgenza. In virtù di tale disposizione, tra gli elementi
che l’Amministrazione ha il dovere di analizzare per definire il presupposto
di imposta non dichiarato, vi sono anche le indicazioni del contribuente
chiamato a cooperare. La regola in parola opera pertanto come raccordo tra
due sequenze di atti, cioè l’istruttoria e l’accertamento, poiché pone
l’Amministrazione finanziaria e il contribuente nella condizione di
perseguire il medesimo fine, cioè il prelievo conforme a legge, pur
partendo da differenti rappresentazioni del presupposto.
Il riferimento alla cooperazione contenuto sempre nell’art. 12 dello Statuto
non va inteso come indicazione dell’attività con la quale il soggetto
passivo, fornendo all’Amministrazione finanziaria notizie esaustive e
veritiere, renda possibile la determinazione di un tributo adeguato alla sua
capacità contributiva. Il riferimento invece va colto in senso normativo,
cioè in quanto codificazione del diritto del contribuente ad esporre le
NOTA
“Tutti gli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali,
industriali, agricole, artistiche o professionali sono effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e
controllo sul luogo.”FINE NOTA
proprie ragioni prima che l’Amministrazione provveda ed il dovere di
quest’ultima di tenerne conto nella motivazione dell’atto impositivo.
Per tornare a parlare del diritto al contraddittorio, occorre dire che l’analisi
dell’istituto in parola è stata svolta prevalentemente in ambito processuali –
stico, da parte di una dottrina che ha individuato il suo nucleo essenziale
nella possibilità concessa ad entrambe le parti di farsi udire dal giudice,
personalmente o per mezzo di un difensore prima che venga pronunciata
qualsiasi decisione sulle istanze avanzate. Il contraddittorio pertanto
svolgerebbe la funzione sia di utile contrappeso al diritto alla prova,
costituzionalmente riconosciuto a ciascun soggetto, sia di idoneo strumento
per il migliore accertamento della conoscenza del fatto, attraverso l’apporto
conoscitivo dell’interessato. Il contraddittorio rinverrebbe il proprio
fondamento innanzitutto nel principio di uguaglianza come espresso dal
Legislatore Costituente nell’art. 3 ed anche nei precetti di buon andamento
e di imparzialità dell’azione della P.A. come descritti nell’articolo 97 Cost.
Tuttavia il Legislatore, sebbene sia giunto a favorire i momenti di contatto
tra Amministrazione e soggetti amministrati, ed abbia ampliato le ipotesi di
partecipazione (collaborativa e difensiva) del contribuente nell’attività di
prelievo dei tributi, le relative norme di natura partecipativa hanno soltanto
un carattere di deroga od eccezione, in quanto ammettono la partecipazione
al procedimento da parte del soggetto passivo dell’imposizione in ipotesi
ben determinate e dalla disciplina piuttosto circoscritta. La mancanza del
pieno riconoscimento del contraddittorio come principio generale da parte
del Legislatore tributario comporta, da un lato la violazione del precetto di
cui all’articolo 97 della Costituzione, in quanto non può realizzarsi il
principio di imparzialità della P.A. senza la conoscenza di tutti i dati di
fatto da parte del privato, realizzabile proprio attraverso il pieno esercizio
del contraddittorio; dall’altro, essa mancanza determinerebbe un
allontanamento del sistema di accertamento tributario da quello accolto in
altri ambiti e formalizzato nella Legge 241/1990. Inoltre la mancanza di
contraddittorio apparirebbe come l’effetto di un ordinamento poco
democratico e destinato ad appesantire l’azione della Amministrazione
finanziaria poiché si rinvierebbe l’accertamento concreto del fatto
imponibile ad un’epoca successiva all’emissione dell’atto impositivo e si
violerebbero i principi costituzionali di eguaglianza, di difesa e di capacità
contributiva, se si considera che risulterebbe impossibile addurre in sede
contenziosa le ragioni del soggetto interessato, oltre che di eventuali
princìpii di diritto sovranazionale. In ogni caso l’esistenza di un diritto al
contraddittorio prima dell’emissione di un provvedimento sfavorevole, si
presenta come il requisito minimo e indefettibile ai fini della legittimità
costituzionale dell’impianto accertatore. L’esistenza di un contraddittorio
consentirebbe all’Amministrazione finanziaria di evitare di emettere
provvedimenti con riferimento ai quali il soggetto passivo sia costretto ad
assumere decisioni senza disporre delle circostanze di fatto e di diritto
auspicabili. Sarebbe cioè necessario che si verificasse una inversione del
flusso di informazioni dall’Amministrazione finanziaria al soggetto
passivo, consentendo a quest’ultimo di avere conoscenza del quadro
probatorio delineato, così da essere, data la conoscenza da parte sua delle
ipotesi ricostruttive emerse, messo in condizione di difendersi avendo
contezza di ciò che lo riguarda. La generalizzazione del diritto al
contraddittorio procedimentale deriverebbe anche da una interpretazione
condotta alla luce dell’art. 111 Cost., relativo al “giusto processo”. In altri
termini una migliore applicazione del principio di economia processuale
potrebbe realizzarsi predisponendo tutti i mezzi e gli strumenti per evitare
la fase processuale. I fondamentali principi processuali dovrebbero essere
osservati anche nella fase amministrativa di accertamento, prevedendo una
generale applicazione del principio del contraddittorio anche in ambito
procedimentale, cioè prima e indipendentemente da un eventuale passaggio
alla fase istruttoria e poi processuale. La possibilità di tutela piena ed
effettiva nel processo non sarebbe teoricamente in grado di evitare che un
soggetto possa prendere decisioni sulla base di un piano probatorio
erroneamente considerato corretto: ciò costituisce un primo elemento che
militerebbe a favore dell’attuazione del principio del contraddittorio già in
fase procedimentale.
Tuttavia è necessario evidenziare che il Legislatore dello Statuto prevede
esplicitamente l’attuazione dei principi costituzionali di uguaglianza,
legalità, capacità contributiva ed imparzialità amministrativa attraverso
regole derogabili o modificabili solo espressamente e mai da provvedimenti
sotto ordinati alla legge. Coloro che, nella dottrina, militano a favore
dell’attuazione di un “giusto procedimento” sostengono che, sulla base
dell’art. 24 Cost. 13 , esista una netta dissociazione tra partecipazione al
procedimento e diritto di difesa all’interno dello stesso procedimento. In
alcune ipotesi tuttavia, è stata sostenuta la inutilità di una garanzia
anticipata in seno al procedimento, qualora la posizione del contribuente sia
sufficientemente protetta nelle fasi successive all’accertamento.
Capitolo II
NOTA
“Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con
appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.”FINE NOTA
Cenni di diritto comparato alla disciplina della partecipazione
del contribuente al procedimento tributario nell’ordinamento spagnolo
Attualmente si registra anche nel panorama spagnolo un mutamento della
configurazione della partecipazione, la quale risulta maggiormente attiva,
spontanea e diretta ad una obiettiva determinazione del tributo. Pertanto si
accentua la caratterizzazione della posizione del contribuente come vera e
propria “parte” interessata ad intervenire come tale, in via di
contraddittorio, durante l’attività di controllo per offrire elementi utili alla
conferma del dichiarato. Intesa in questi termini la partecipazione favorisce
l’emersione degli interessi coinvolti e comunque l’ampliamento del
soggetto del provvedimento e degli elementi da considerare ai fini della
emanazione del provvedimento stesso, evidenziando il collegamento
esistente tra il procedimento e la partecipazione del privato.
Allorché nell’ordinamento spagnolo si è verificato il passaggio ad uno
Stato di diritto e alla applicazione del principio di legalità, tutto ciò ha
provocato un mutamento radicale della posizione del contribuente, il quale
è passato a sua volta dallo status di contribuente/suddito a quello di
cittadino/contribuente identificando un rapporto caratterizzato dalla parità
delle parti, cioè Amministrazione finanziaria e contribuente, in quanto
entrambe soggette all’ordinamento e al principio della riserva di legge in
ambito tributario. E’ evidente che sia la attività di controllo da parte del
Fisco che la partecipazione del privato sono, almeno in linea di principio,
funzionali al medesimo obiettivo: giungere alla determinazione di una
obbligazione tributaria che possa maggiormente identificare la corretta
capacità contributiva del soggetto passivo.
Fino alla approvazione della “Legge sui diritti e le garanzie dei
contribuenti” risalente al 1998, le disposizioni che prevedevano una
partecipazione del contribuente al procedimento tributario erano molto
limitate, in quanto la dottrina, ma soprattutto il Legislatore avevano sempre
riconosciuto all’Amministrazione il ruolo di “protagonista”
nell’applicazione dei tributi, ruolo da cui scaturiva il potere, in capo alla
stessa Amministrazione, di determinare unilateralmente l’entità del tributo,
senza consentire alcuna partecipazione del contribuente. Se dal
provvedimento del 1998 si passa, con uno sguardo al passato, alla riforma
del 1977, si può affermare che fu questa riforma a porre le basi dell’attuale
sistema tributario spagnolo, basato sulla collaborazione dell’amministrato
al quale è stato attribuito il potere di quantificare il tributo attraverso la
risoluzione di specifiche questioni giuridiche ed indipendentemente da un
intervento della Amministrazione finanziaria. La riforma del 1977, insieme
alla più recente riforma del 1998 hanno riconosciuto ai contribuenti
determinati diritti nell’ambito del compimento dei loro doveri nonché
all’interno dei diversi procedimenti di applicazione dei tributi. Nella prima
categoria, rientrano i diritti di “informazione e assistenza”, oltre al diritto di
“effettuare una interpretazione ragionevole dell’ordinamento non
suscettibile di sanzione”. Nella seconda categoria rientrano alcuni diritti
riconosciuti al cittadino nell’ambito del processo amministrativo ordinario,
quali “il diritto alla conoscenza della sua situazione da parte del
contribuente e l’accesso agli archivi e ai registri amministrativi”. Pertanto
anche nell’ordinamento tributario spagnolo il Legislatore ha operato la
scelta di una maggiore articolazione del procedimento attraverso la
previsione di istituti tendenti alla ricerca del consenso del contribuente,
piuttosto che attraverso l’esercizio unilaterale dell’azione amministrativa,
così da determinare una effettiva conciliazione degli interessi coinvolti nel
procedimento e cioè quelli del contribuente da una parte e del Fisco
dall’altra. Ciò detto, risulta spiegabile come nell’attuale strutturazione
dell’ordinamento tributario spagnolo la partecipazione ovvero la
collaborazione del contribuente è stata promossa con sempre maggiore
intensità al fine di perseguire un equilibrio adeguato tra la partecipazione
del privato e l’interesse fiscale nel procedimento tributario.
Ove si voglia trattare più estesamente gli effetti del principio di legalità già
sommariamente menzionato poc’anzi, occorre dire che tale principio è stato
oggetto di interpretazione sia da parte della dottrina che della
giurisprudenza del “Tribunale costituzionale” spagnolo, in quanto previsto
dalla Costituzione di quel Paese all’art. 31, comma 3 14 . La dottrina
costituzionale ha individuato come ambito in cui si esplicano le tecniche
convenzionali e cioè partecipative da parte del contribuente, quello della
determinazione degli elementi quantitativi del tributo, così pervenendo ad
una velocizzazione e facilitazione dell’attività amministrativa e al
contempo generando certezza e stabilità giuridica nelle relazioni tra
Amministrazione e privati. Inoltre la pressione esercitata dalla dottrina ai
fini dell’introduzione di formule negoziali nell’ambito del procedimento
tributario si è tradotta a livello legislativo nella previsione degli “atti
transattivi”, cioè una serie di provvedimenti che tendono a sviluppare la
collaborazione tra Amministrazione e soggetto amministrato e quindi a
favorire una maggiore legittimità dell’azione amministrativa, unitamente
alla riduzione del livello di conflittualità tra le due parti e all’aumento della
NOTA 14 1) Tutti contribuiranno al sostenimento delle spese pubbliche secondo le loro possibilità economiche,
attraverso un sistema tributario giusto, ispirato ai principi di uguaglianza e progressività, che in nessun
caso potrà avere carattere di confisca.
2) La spesa pubblica prevedrà uno stanziamento equitativo di risorse pubbliche e la sua programmazione
ed effettuazione dovranno rispondere a criteri di efficacia ed economicità.
3) Prestazioni personali o patrimoniali di carattere pubblico potranno essere disposte solo a norma di
legge.FINE NOTA
richiesto che si verifichi una delle seguenti ipotesi: la necessità di applicare
concetti giuridici indeterminati; una valutazione dei fatti determinanti per la
corretta applicazione della norma ai casi concreti; la necessità di realizzare
“stime, attribuzioni di valore, mediazioni” relative a dati elementi o
caratteristiche rilevanti per l’obbligazione tributaria, che non possono
essere intuitivamente quantificati. Nell’ipotesi che concorrano i suddetti
requisiti è possibile individuare due modalità di conclusione del
procedimento ispettivo: la sottoscrizione dell’atto transattivo ovvero la
tradizionale conclusione del procedimento attraverso la adozione di “atti di
conformità” o “atti di non conformità” della prestazione patrimoniale alle
disposizioni della Amministrazione tributaria. Inoltre a tutela sia
dell’interesse pubblico che dell’interesse privato è sempre necessario che
tutta la documentazione relativa alle attività poste in essere per il
raggiungimento dell’accordo sia sempre disponibile, così da favorire una
consultazione dei documenti in parola da parte del contribuente.
Parte della dottrina ritiene che, anche in assenza di una comunicazione da
parte dell’Amministrazione finanziaria, il soggetto passivo di un eventuale
procedimento possa presentare una proposta ovvero un “sollecito” ai fini
della adozione di atto transattivo.
Tuttavia ordinariamente tra la fase istruttiva e prima della proposta di
regolarizzazione del rapporto di imposta, è previsto il contraddittorio tra le
parti, il quale deve necessariamente essere sottoposto ad un termine, in
quanto una eccessiva dilazione potrebbe determinare un effetto contrario a
quello che è stato previsto nel momento dell’introduzione degli “atti
transattivi” nell’ordinamento spagnolo. La finalità del procedimento è
quindi quella di ottenere un atto in cui il contribuente non si limita a dare o
negare la propria adesione al contenuto dell’atto di imposizione, ma a
consentire al contribuente una attiva partecipazione all’attività di
accertamento tributario.
Il contenuto dell’atto tributario definitivo vincola sia la Amministrazione
finanziaria che lo ha adottato, sia il contribuente, per cui ne deriva
l’immediata attuazione dello stesso, ma altresì la impossibilità di proporre
ricorso amministrativo avverso la liquidazione che deriva dall’atto.
Tornando a considerare il contenuto dell’atto transattivo, la legge tributaria
spagnola stabilisce in ordine alla natura dello stesso atto, che esso, almeno
a livello teorico, rappresenta una figura intermedia tra un atto
amministrativo e un modulo consensuale, che scaturisce dalla
partecipazione attiva del contribuente, atto finalizzato ad attribuire certezza
giuridica agli aspetti controversi nella determinazione dell’ammontare
impositivo. La figura degli atti transattivi ha sollevato in dottrina la
elaborazione di alcune problematiche di definizione che trovano
fondamento nel principio di legalità presente nella Costituzione spagnola
come più sopra delineato. Si tratta dell’alternativa, come detto, prospettata
in dottrina tra subordinazione negativa e subordinazione positiva della
Amministrazione alla legge. Nella prima ipotesi il principio di legalità
implica che la Pubblica amministrazione non incontra limitazioni allo
svolgimento della propria attività; nella seconda ipotesi invece, essa potrà
esercitare soltanto le potestà che la Legge espressamente le attribuisce. In
entrambi i casi, questa duplice manifestazione del principio di legalità non
risulterebbe inficiata nella sua validità se l’Amministrazione finanziaria
adottasse le proprie decisioni in maniera concertata con il privato, sempre
che ciò sia consentito dalla Legge.
Per tornare alla riforma posta in essere nel 1998 e relativa ai diritti e alle
garanzie ovvero “tutele” dei contribuenti, essa riforma rinveniva la propria
ratio ispiratrice nella necessità di modificare sostanzialmente la posizione
del contribuente, riconoscendo a quest’ultimo una serie di diritti e di
garanzie, idonei a consentire il raggiungimento di un equilibrio tra le parti
del rapporto obbligatorio. La suddetta legge di riforma, abrogata nel 2003
da un nuovo provvedimento, qualificava il “diritto di proporre allegazioni”
e il diritto “al contraddittorio” come diritti fondamentali del contribuente
all’interno del procedimento tributario. La “Legge tributaria generale” del
2003 come testé citata, in una ottica di “codificazione”, ha per obiettivi il
rafforzamento delle garanzie del contribuente, e la garanzia della certezza
del diritto così da raggiungere un tendenziale equilibrio tra la posizione del
contribuente e quella dell’ Amministrazione finanziaria. Inoltre nel 2008 è
entrato in vigore il Decreto Lgs. n.1065 che costituisce un ulteriore
aggiunta a quanto previsto in tema di procedimento dalla riforma del 2003.
Il leit motiv delle citate riforme verte sempre e principalmente sulle nozioni
di “diritto di allegazione” e “diritto al contraddittorio”. Quest’ultimo
costituisce un autentico diritto e non una mera facoltà che può esercitare il
soggetto amministrato, ossia un diritto che deve necessariamente essere
esercitato qualora la normativa lo preveda, a prescindere dalla volontà del
contribuente. Il diritto di allegazione è invece definibile come facoltà e non
è sostituibile al diritto al contraddittorio, che è invece il fulcro dei diritti in
materia di accertamento previsti in capo al contribuente.
L’articolo 24 della Costituzione spagnola consacra il diritto alla tutela
giuridica attraverso l’attribuzione al cittadino del “diritto alla
giurisdizione”, sancendo due diritti fondamentali dal contenuto complesso:
il diritto alla tutela giudiziale effettiva e il diritto a non rimanere privo di
difesa, i quali diritti possono essere esercitati separatamente. Nel panorama
dottrinale spagnolo si ritiene che la previsione di un diritto al
contraddittorio consenta al contribuente di esperire più efficacemente la
tutela dei propri interessi, mentre permette all’Amministrazione finanziaria
di maturare una cognizione più completa e consapevole degli elementi da
porre a fondamento dei propri atti. L’interpretazione di tale diritto da parte
della giurisprudenza spagnola chiama in causa due articoli della
Costituzione: l’articolo 24, introduttivo di alcuni principi relativi al giusto
processo e l’articolo 103 15 sempre della Costituzione che pone una riserva
di legge sul procedimento in tema di adozione di atti amministrativi.
Ancora esiste un altro orientamento giurisprudenziale che riconosce al
diritto al contraddittorio un significato autonomo e differente da quello
proprio dell’ambito giudiziale. Il contraddittorio è in definitiva considerato,
in ambito amministrativo come lo strumento che consente di effettuare un
adeguato confronto tra soggetto attivo e soggetto passivo prima che sia
adottata una decisione definitiva. La finalità del diritto in parola è duplice:
da una parte esso rappresenta una garanzia per il privato; dall’altra permette
all’organo amministrativo competente di acquisire gli elementi necessari
per poter concludere il procedimento in conformità al diritto. Tuttavia la
dottrina spagnola ha evidenziato che il diritto al contraddittorio in ambito
tributario rimane qualcosa di differente dallo stesso diritto considerato in
ambito meramente processuale, in quanto esso diritto è limitato
NOTA
“Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei
confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla
legge, anche dei diritti soggettivi.
La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla
legge.
I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno
giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate.”FINE
NOTA
limitato alla realizzazione di alcuni principi costituzionali tassativamente
individuati, come il principio di capacità contributiva e quello di efficacia
ed efficienza dell’agire amministrativo, insieme alle norme di principio
statuite in sede Europea.
Si osserva da parte della dottrina che il diritto al contraddittorio si sostanzia
nella presentazione di allegazioni e quindi non si concreterebbe in un vero
e proprio dialogo “orale” tra contribuente da una parte e detentore della
potestà impositiva dall’altra; ma si tradurrebbe in un semplice scambio di
istanze o allegazioni. Tuttavia anche così inteso il contraddittorio, esso
contraddittorio non manca di attuare i citati disposti costituzionali, ultimo
dei quali quello relativo all’obbligo per le parti del rapporto tributario di
attuare il “giusto procedimento” e il diritto “fondamentale” ad “una buona
amministrazione”.
Cenni al concetto di “giusto procedimento tributario” in ottica
Nell’ordinamento italiano non esiste il riconoscimento, espresso mediante
una norma, di un generale diritto al contraddittorio in riferimento alla fase
precedente il processo tributario, cioè all’attività di controllo posta in essere
dalla Amministrazione finanziaria. In altre parole l’assenza di un
contraddittorio in fase procedimentale può condizionare l’operato della
Amministrazione, in quanto tale assenza impone alla Amministrazione, la
necessità di acquisire tutto il materiale probatorio nel rispetto delle regole
dettate dal diritto positivo, a prescindere dalla circostanza che tale materiale
sia o no favorevole al privato, il quale non è legittimato ad un qualsiasi
dialogo con l’Amministrazione procedente. Emerge perciò l’opportunità di
valorizzare il contraddittorio nel procedimento tributario e prevederne una
generica applicazione in modo da consentire l’instaurazione di un rapporto,
proficuo per il Fisco da un lato e il contribuente dall’altro, coerente con un
ordinamento tributario evoluto. L’attuazione del contraddittorio
comprende, non solo il diritto dei contribuenti di esprimere il loro punto di
vista, ma anche l’obbligo in capo alle autorità fiscali di tenerne conto nella
motivazione dei loro atti.
A livello sovranazionale, i giudici europei della Corte di Giustizia
attribuiscono al diritto al contraddittorio nella fase amministrativa, valore
di principio fondamentale, in quanto esso contraddittorio rappresenta uno
strumento che consente non solo la soddisfazione di interessi individuali
ma anche l’attuazione dei principi di una “buona amministrazione”. I
giudici europei si sono anche soffermati a considerare nell’ambito del
contraddittorio, le eventuali conseguenze di una sua violazione, la quale
determinerebbe il venire meno dell’attuazione a livello nazionale di quello
che la Corte di Giustizia considera un principio fondamentale
dell’ordinamento sovranazionale, essendo il contraddittorio attuazione del
diritto di difesa e del dovere di una adeguata istruttoria a carico dell’organo
ispettivo, tutto ciò richiamando il principio già espresso dalla Corte nella
sentenza Sopropé 16 . La Corte evidenzia che la violazione del diritto al
NOTA
SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
18 dicembre 2008 ( *1 )
«Codice doganale comunitario — Principio del rispetto dei diritti della difesa — Recupero dei dazi
doganali all’importazione»
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal
Supremo Tribunal Administrativo (Portogallo), con decisione 12 giugno 2007, pervenuta in cancelleria il
27 luglio 2007, nella causa
Sopropé — Organizações de Calçado Lda
contro
Fazenda Pública,
con l’intervento di:
Ministério Público,
LA CORTE (Seconda Sezione),
composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dai sigg. J.-C. Bonichot (relatore),
K. Schiemann, P. Kūris e L. Bay Larsen, giudici,
avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak
cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale
considerate le osservazioni presentate:
— per la Sopropé - Organizações de Calçado Lda, dall’avv. A. Caneira, advogado;
— per il governo portoghese, dalle sig.re H. Ventura, C. Guerra Santos e dal sig. L. Fernandes, in qualità
di agenti;
— per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. Albenzio,
avvocato dello Stato;
— per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. S. Schønberg e P. Guerra e Andrade, in qualità
di agenti,
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 2 ottobre 2008,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione del principio del rispetto dei diritti
della difesa.
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che vede contrapposta la società
Sopropé — Organizações de Calçado Lda (in prosieguo: la «Sopropé») alla Fazenda Pública (Erario), in
merito ad una richiesta di recupero a posteriori di un debito doganale decisa in seguito ad un controllo
sull’origine delle merci importate in Portogallo dalla suddetta società negli anni 2000-2002.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
3 Il regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale
comunitario (GU L 302, pag. 1) è stato modificato dal regolamento (CE) del Parlamento europeo e del
Consiglio 16 novembre 2000, n. 2700 (GU L 311, pag. 17; in prosieguo: il «Codice doganale»).
4 Il Titolo VII, capitolo 3, del Codice doganale disciplina, agli artt. 217-232, il recupero del debito
doganale.
5 L’art. 221, n. 1, del Codice doganale dispone quanto segue:
«L’importo dei dazi deve essere comunicato al debitore secondo modalità appropriate, non appena sia
stato contabilizzato».
6 Ai termini dell’art. 222, n. 1, lett. a), del Codice doganale:
«1. Ogni importo di dazi comunicato ai sensi dell’articolo 221 deve essere pagato dal debitore nei
termini indicati in appresso:
a) se questi non fruisce di una facilitazione di pagamento di cui agli articoli da 224 a 229, il pagamento
deve essere effettuato nel termine che gli è stato fissato.
Fatto salvo il secondo comma dell’articolo 244, questo termine non può eccedere dieci giorni dalla
comunicazione al debitore dell’importo di dazi da pagare e, in caso di contabilizzazioni globali alle
condizioni stabilite dall’articolo 218, paragrafo 1, secondo comma, esso deve essere fissato in modo da
non consentire al debitore di ottenere un termine di pagamento più lungo di quello di cui avrebbe
beneficiato se avesse ottenuto una dilazione di pagamento.
(…)».
7 Gli artt. 243-246, inclusi nel titolo VIII del Codice doganale, riguardano il diritto di ricorso.
8 L’art. 245 di tale Codice ha il seguente tenore:
«Le norme di attuazione della procedura di ricorso sono adottate dagli Stati membri».
La normativa nazionale
9 La legge generale tributaria (in prosieguo: la «LGT»), approvata con decreto legge 12 dicembre 1998,
n. 398, prevede espressamente il principio di partecipazione al procedimento tributario, enunciato
all’art. 267 della Costituzione della Repubblica portoghese e già previsto, per quanto attiene al
procedimento amministrativo, dagli artt. 100 e seguenti del Codice di procedura amministrativa.
10 Ai termini dell’art. 60 di tale legge, nel testo applicabile ai fatti oggetto della causa principale:
«1. Salvo contraria disposizione di legge, i contribuenti partecipano alla formazione delle decisioni
che li riguardano in uno dei modi seguenti:
a) diritto all’audizione prima del recupero;
(…)
e) diritto all’audizione prima della conclusione della relazione d’ispezione tributaria.
(…)
4. Il diritto all’audizione deve essere esercitato entro un termine fissato dall’amministrazione
tributaria con lettera raccomandata inviata a tal fine al domicilio fiscale del contribuente.
(…)
6. Il termine per esercitare oralmente o per scritto il diritto all’audizione non può essere inferiore a 8
giorni né superiore a 15 giorni.
(…)».
11 Il regolamento complementare del procedimento di ispezione tributaria è stato adottato con decreto
12 L’art. 60 del predetto decreto legge, relativo all’audizione preventiva, è formulato come segue:
«1. Terminati gli atti d’ispezione e nel caso in cui essi diano luogo a provvedimenti tributari o in
materia di tributaria sfavorevoli al soggetto nei cui confronti si è svolta l’ispezione, il progetto di
conclusioni della relazione, comprendente l’individuazione di tali provvedimenti nonché la loro
motivazione, deve essere notificato a detto soggetto entro un termine di 10 giorni.
2. La notifica deve prevedere un termine da 8 a 15 giorni per consentire al soggetto nei cui confronti
ha avuto luogo l’ispezione di pronunciarsi riguardo al progetto di conclusioni in parola.
3. Il soggetto nei cui confronti si è svolta l’ispezione può pronunciarsi in maniera scritta o orale, in
quest’ultima ipotesi le sue dichiarazioni vengono verbalizzate.
4. La relazione definitiva viene elaborata entro di 10 giorni dalle dichiarazioni di cui al paragrafo
precedente».
Causa principale e questioni pregiudiziali
13 La Sopropé è un’impresa portoghese che vende calzature importate dall’Asia. La controversia
principale riguarda 52 operazioni d’importazione di calzature dichiarate provenire dalla Cambogia, che
hanno beneficiato, in virtù della loro presunta origine, di un trattamento doganale preferenziale, in
forza del Sistema delle preferenze generalizzate, nell’arco di due anni e mezzo, dal 2000 alla metà del
2002.
14 Agli inizi del 2003 la direzione dei Servizi antifrode delle dogane portoghesi ha condotto
un’operazione di controllo, nell’ambito di una missione di cooperazione amministrativa avviata
dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode della Commissione (OLAF), al fine di verificare l’origine
delle calzature importate dall’Asia.
15 Il 14 febbraio 2003 sono iniziate le verifiche da parte dell’autorità doganale presso la Sopropé. Sulla
base di tali verifiche le autorità portoghesi hanno ritenuto che le 52 operazioni d’importazione sopra
menzionate fossero state realizzate presentando certificati d’origine e documenti di trasporto falsificati.
16 I servizi doganali ne hanno dedotto che le merci importate non avessero origine preferenziale e non
potessero pertanto beneficiare del Sistema delle preferenze generalizzate, e che, di conseguenza,
occorresse applicare alle stesse l’aliquota dei dazi doganali applicabile alle merci provenienti da paesi
terzi.
17 Il 3 luglio 2003 è stato comunicato alla Sopropé che, in applicazione dell’art. 60 della LGT, essa
avrebbe potuto esercitare il suo diritto all’audizione preventiva in merito al progetto di conclusioni
della relazione d’ispezione e relativi allegati entro un termine di otto giorni. La società ha esercitato
tale diritto l’11 luglio 2003.
18 Ritenendo che la Sopropé non avesse apportato alcun nuovo elemento atto a modificare il progetto di
relazione d’ispezione, l’amministrazione doganale, con lettera datata 16 luglio 2003 e ricevuta il giorno
successivo a tale data, l’ha informata che, in conformità dell’art. 222 del Codice doganale, essa avrebbe
disposto di un termine di dieci giorni per pagare i dazi doganali dovuti. Tali dazi doganali
ammontavano a EUR 212684,98, maggiorati di EUR 36757,99 di imposta sul valore aggiunto e di
EUR 19,30 d’interessi compensatori, per un totale di EUR 249462,27.
19 Pertanto, tra la data della notifica ai fini dell’esercizio del diritto all’audizione e la data della notifica
relativa al pagamento sono trascorsi tredici giorni.
20 La Sopropé ha rifiutato di pagare il debito doganale che gli era stato notificato entro il termine stabilito.
L’8 settembre 2003 essa ha proposto ricorso dinanzi al Tribunal Administrativo e Fiscal di Lisbona,
lamentando in particolare la violazione del principio del rispetto dei diritti della difesa, imputabile
all’insufficienza del termine accordatole per far valere le proprie osservazioni. Il giudice ha nondimeno
ritenuto che la decisione di recupero fosse giustificata, non essendo stato prodotto alcun elemento di
prova idoneo a metterla in discussione. Esso ha inoltre reputato che i diritti della difesa fossero stati
rispettati, posto che l’obbligo di audizione preventiva, come definito dalla LGT, era stato soddisfatto e
che il Regolamento del procedimento d’ispezione fiscale era stato osservato.
21 La Sopropé ha interposto appello dinanzi al Supremo Tribunal Administrativo (Corte suprema
amministrativa) avverso tale pronuncia adducendo in particolare il fatto che il giudice di primo grado
non aveva correttamente applicato il principio dei diritti della difesa così come garantito dal diritto
comunitario.
22 Nell’ambito del suddetto ricorso il Supremo Tribunal Administrativo ha deciso di sospendere il
procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se il termine da 8 a 15 giorni stabilito all’art. 60, n. 6, della legge generale tributaria e all’art. 60,
n. 2, del Regolamento complementare del procedimento di ispezione tributaria, approvato con
decreto legge 31 dicembre 1998, n. 413, ai fini dell’esercizio orale o scritto del diritto del
contribuente di essere ascoltato, sia conforme al principio del diritto di difesa.
2) Se un termine di 13 giorni, calcolato a decorrere dalla data in cui l’autorità doganale ha notificato a
un importatore comunitario (nella fattispecie una piccola ditta portoghese di commercio di calzature)
che aveva 8 giorni per esercitare il suo diritto di audizione fino alla data della notifica dell’obbligo di
pagare entro 10 giorni i dazi doganali riguardanti 52 operazioni di importazione di calzature
dall’Estremo oriente effettuate ai sensi del Sistema delle preferenze generalizzate nell’arco di due
anni e mezzo (tra il 2000 e la metà del 2002), possa essere ritenuto un termine ragionevole per
l’importatore per l’esercizio del suo diritto di difesa».
Sulle questioni pregiudiziali
23 Con le sue due questioni, che è d’uopo esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede alla
Corte se un termine di otto giorni concesso ad un’impresa al fine di far valere le proprie osservazioni in
merito ad un progetto di decisione di recupero a posteriori di dazi all’importazione per un importo di
EUR 249462,27, in relazione a 52 operazioni di importazione di merci che hanno avuto luogo in un
arco di tempo di due anni e mezzo, soddisfi le condizioni imposte dal diritto comunitario e, in
particolare, il principio generale del rispetto dei diritti della difesa, considerato, in particolare, che la
decisione di recupero è stata adottata dall’amministrazione cinque giorni dopo lo scadere di tale
termine.
Osservazioni presentate alla Corte
24 La ricorrente della causa principale rammenta che in base alla giurisprudenza della Corte, il principio
del rispetto dei diritti della difesa impone che ogni soggetto nei confronti del quale si intenda assumere
una decisione ad esso lesiva deve esser messo in condizione di far conoscere utilmente il proprio punto
di vista (v., in particolare, sentenze 24 ottobre 1996, causa C-32/95 P, Commissione/Lisrestal e a.,
Racc. pag. I-5373, punto 21; 21 settembre 2000, causa C-462/98 P, Mediocurso/Commissione,
Racc. pag. I-7183, punto 36, e 12 dicembre 2002, causa C-395/00, Cipriani, Racc. pag. I-11877,
punto 51).
25 La Sopropé pertanto afferma che un termine, come quello concesso in forza della LGT ad un
63
importatore per esercitare il suo diritto ad essere ascoltato, può considerarsi conforme al principio del
rispetto dei diritti della difesa soltanto se consente allo stesso di far conoscere utilmente il proprio
punto di vista. Orbene, in circostanze come quelle della causa principale, a suo giudizio, il termine
concessole non è stato sufficiente.
26 La Repubblica portoghese sostiene che il principio del rispetto dei diritti della difesa non si applica
rispetto al procedimento di audizione preventiva previsto dalla LGT. Infatti, detto procedimento
sarebbe espressione del principio di partecipazione alla decisione, e non del diritto ad esperire un
ricorso. Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte ed in particolare dalla sentenza 2 ottobre 2003,
causa C-176/99 P, ARBED/Commissione (Racc. pag. I-10687) risulterebbe che il principio del diritto
ad essere ascoltato preventivamente fa parte dei diritti della difesa solo nel contesto di un procedimento
di sanzione, che non è il caso della causa principale. Di conseguenza, la Repubblica portoghese stima
che il termine di cui all’art. 60 della LGT non possa essere oggetto di valutazione alla luce del principio
dei diritti della difesa. Tale termine non può pertanto essere ritenuto irragionevole, atteso che lo stesso
non fa altro che aggiungersi ai vari mezzi di ricorso previsti nei confronti di una decisione impositiva,
rafforzando quindi la possibilità effettiva di esercizio dei diritti della difesa.
27 La Repubblica portoghese aggiunge che, nel caso in cui la Corte dovesse dichiarare che i diritti della
difesa si applicano al procedimento di audizione preventiva di cui alla LGT, il termine di cui si discute
nella causa principale è compatibile con il diritto comunitario, dal momento che rispetta i principi di
equivalenza e di effettività (v., in particolare, sentenza 17 giugno 2004, causa C-30/02, Recheio —
Cash & Carry, Racc. pag. I-6051). Ad avviso di detto Stato membro, il principio di equivalenza è
rispettato, in quanto la LGT prevede un termine identico per tutti i provvedimenti di liquidazione di
introiti fiscali, siano essi fondati sulla normativa comunitaria ovvero sulla normativa nazionale.
Spetterebbe al giudice nazionale giudicare dell’osservanza del principio di effettività.
28 La Repubblica italiana rileva che il Codice doganale neppure prevede l’audizione del debitore prima
del recupero del suo debito doganale. Essa si fonda sull’art. 245 di tale codice per sostenere che le
disposizioni sull’attuazione della procedura di ricorso sono di competenza degli Stati membri. Tale
Stato membro quindi ritiene che la Corte dovrebbe limitarsi a ribadire il principio del diritto di un
operatore ad essere ascoltato, sia nella fase amministrativa che in quella giudiziale, in conformità della
normativa nazionale.
29 La Commissione delle Comunità europee osserva che dalla giurisprudenza della Corte emerge che il
rispetto dei diritti della difesa impone che ogni destinatario di una decisione che incide sensibilmente
sui suoi interessi abbia il diritto di essere ascoltato, ossia che possa manifestare utilmente il proprio
punto di vista, circostanza che esige il rispetto di un termine ragionevole per presentare le proprie
osservazioni (v., in particolare, sentenze 14 luglio 1972, causa 55/69, Cassella Farbwerke
Mainkur/Commissione, Racc. pag. 887; 29 giugno 1994, causa C-135/92, Fiskano/Commissione,
Racc. pag. I-2885, nonché 13 settembre 2007, cause riunite C-439/05 P e C-454/05 P, Land
Oberösterreich e Austria/Commissione, Racc. pag. I-7141).
30 La Commissione afferma che le decisioni di recupero adottate in applicazione del Codice doganale
sono idonee ad incidere sensibilmente sugli interessi di importatori come la ricorrente della causa
principale e che, di conseguenza, i diritti della difesa devono essere assicurati dagli Stati membri
nell’attuazione delle disposizioni del suddetto codice relative alle modalità di recupero dei debiti
doganali, pur non figurandovi nessuna disposizione attinente al diritto di audizione.
31 Essa ne deduce che un termine come quello previsto dalla LGT è compatibile con il principio del diritto
all’audizione se i soggetti i cui interessi sono sensibilmente lesi da decisioni assunte nell’ambito del
diritto comunitario hanno la possibilità di manifestare effettivamente il loro punto di vista su tali
decisioni.
32 A giudizio della Commissione, al giudice nazionale compete valutare se, alla luce del contesto
all’origine della controversia principale, le prescrizioni relative al rispetto dei diritti della difesa siano
soddisfatte. Essa ritiene che il giudice del rinvio, per decidere in merito al rispetto del diritto
all’audizione, possa ispirarsi ai criteri che potrebbero trarsi dalla giurisprudenza della Corte, vale a dire
la finalità delle norme comunitarie applicabili, la complessità dei fatti e dei motivi sottesi alla
decisione, la complessità del contesto giuridico, l’eventuale possibilità di chiedere una proroga del
termine impartito e, infine, la possibilità di presentare osservazioni supplementari.
Risposta della Corte
33 I diritti fondamentali sono parte integrante dei principi giuridici generali dei quali la Corte garantisce
l’osservanza. A tal fine, quest’ultima si ispira alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri
oltre che alle indicazioni fornite dai trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo a cui
gli Stati membri hanno cooperato o aderito (v., in particolare, sentenza 6 marzo 2001, causa C-274/99
P, Connolly/Commissione, Racc. pag. I-1611, punto 37).
34 D’altro canto, da costante giurisprudenza della Corte risulta che, quando una normativa nazionale
rientra nella sfera di applicazione del diritto comunitario, la Corte, adita in via pregiudiziale, deve
fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari alla valutazione, da parte del giudice nazionale,
della conformità di detta normativa ai diritti fondamentali di cui la Corte garantisce il rispetto (v., in
particolare, sentenze 18 giugno 1991, causa C-260/89, ERT, Racc. pag. I-2925, punto 42, e 4 ottobre
1991, causa C-159/90, Society for the Protection of Unborn Children Ireland, Racc. pag. I-4685,
punto 31).
35 Dal momento che le questioni pregiudiziali vertono sulle modalità in base alle quali le autorità
nazionali devono applicare il Codice doganale comunitario, la Corte è competente a fornire al giudice
del rinvio tutti gli elementi d’interpretazione necessari alla valutazione da parte di quest’ultimo della
compatibilità della normativa nazionale in causa con i diritti fondamentali di cui essa garantisce
l’osservanza.
36 Orbene, il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto comunitario che
trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto
un atto ad esso lesivo.
37 In forza di tale principio i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono
essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui
quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione. A tal fine essi devono beneficiare di un
termine sufficiente (v., in particolare, sentenze citate Commissione/Lisrestal e a., punto 21, e
Mediocurso/Commissione, punto 36).
38 Tale obbligo incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogni qualvolta esse adottano decisioni
che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto comunitario, quand’anche la normativa comunitaria
applicabile non preveda espressamente siffatta formalità. Trattandosi dell’attuazione del principio in
parola e, più in particolare, dei termini per esercitare i diritti della difesa, si deve precisare che, qualora
non siano fissati dal diritto comunitario, come nella causa principale, essi rientrano nella sfera del
diritto nazionale purché, da un lato, siano dello stesso genere di quelli di cui beneficiano i singoli o le
imprese in situazioni di diritto nazionale comparabili, e, dall’altro, non rendano praticamente
impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti della difesa conferiti dall’ordinamento
giuridico comunitario.
39 Quanto al principio del rispetto dei diritti della difesa, il giudice del rinvio si pone due questioni, vale a
dire, da un lato, se un termine da otto a quindici giorni quale quello previsto come regola generale dal
diritto nazionale affinché il contribuente possa esercitare il proprio diritto ad essere ascoltato possa
ritenersi sufficiente e, dall’altro, se, alla luce delle circostanze della causa a qua, il termine di tredici
giorni intercorso tra il momento in cui la Sopropé è stata messa in condizione di far valere le proprie
osservazioni e la data della decisione di recupero sia sufficiente per l’osservanza del suddetto principio.
40 Quanto al primo punto, occorre rilevare che è normale e peraltro opportuno che le disposizioni
legislative e regolamentari nazionali stabiliscano, nell’ambito di vari procedimenti amministrativi,
regole generali sui termini. La previsione di regole del genere è altresì in linea con il rispetto del
principio di uguaglianza. Per quanto riguarda le normative nazionali che rientrano nella sfera
d’applicazione del diritto comunitario, spetta agli Stati membri stabilire termini in funzione,
segnatamente, della rilevanza che le decisioni da adottare rivestono per gli interessati, della complessità
dei procedimenti e della legislazione da applicare, del numero di soggetti che possono essere coinvolti
e degli altri interessi pubblici o privati che devono essere presi in considerazione.
41 Quanto al recupero a posteriori di dazi doganali all’importazione si deve affermare che un termine che
consenta al contribuente di esercitare il suo diritto all’audizione, che non può essere inferiore ad otto
giorni né superiore a quindici giorni, in linea di principio non rende praticamente impossibile o
eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti della difesa conferiti dall’ordinamento giuridico
comunitario. Infatti, le imprese che possono essere coinvolte dal procedimento oggetto della causa
principale sono professionisti che abitualmente ricorrono all’importazione. D’altro canto, la normativa
comunitaria applicabile prevede che tali imprese debbano essere in grado di dimostrare, a fini di
controllo, la regolarità del complesso delle operazioni da loro effettuate. Infine, l’interesse generale
della Comunità europea e, in particolare, l’interesse a recuperare tempestivamente le entrate proprie
impone che i controlli possano essere realizzati prontamente ed efficacemente.
42 La ricorrente nella causa principale fa tuttavia valere dinanzi al giudice del rinvio che essa aveva fruito
soltanto di un termine di otto giorni per manifestare la propria posizione e che la decisione di recupero
era stata assunta appena tredici giorni dopo essere stata invitata a presentare le proprie osservazioni.
Per tale ragione il giudice del rinvio chiede alla Corte di chiarire se termini simili siano compatibili con
il diritto comunitario.
43 Sebbene la Corte non sia competente, ai sensi dell’art. 234 CE, ad applicare la norma comunitaria ad
una determinata controversia, e neppure a qualificare una disposizione di diritto nazionale alla luce di
tale norma, tuttavia, nell’ambito della collaborazione giudiziaria instaurata dal detto articolo e in base
al contenuto del fascicolo, essa può fornire al giudice nazionale gli elementi d’interpretazione del
diritto comunitario che possono essergli utili per la valutazione degli effetti di detta disposizione
(sentenze 8 dicembre 1987, causa 20/87, Gauchard, Racc. pag. 4879, punto 5; 5 marzo 2002, cause
riunite C-515/99, da C-519/99 a C-524/99 e da C-526/99 a C-540/99, Reisch e a., Racc. pag. I-2157,
punto 22, nonché 11 settembre 2003, causa C-6/01, Anomar e a., Racc. pag. I-8621, punto 37).
44 In proposito occorre precisare che, quando una disciplina legislativa o regolamentare nazionale, come
nel caso della normativa di legge applicabile in esame nella causa principale, fissa il termine finalizzato
a raccogliere le osservazioni degli interessati individuando una forbice di tempo, spetta al giudice
nazionale verificare che il termine così impartito dall’amministrazione nel singolo caso sia confacente
alla situazione particolare della persona o dell’impresa coinvolta e che abbia loro consentito di
esercitare i loro diritti della difesa nel rispetto del principio di effettività. Spetta a detto giudice, in tal
caso, tenere debitamente conto dei dati peculiari alla causa. Nel caso di importazioni effettuate con
paesi dell’Asia, possono assumere rilevanza anche elementi quali la complessità delle operazioni di cui
trattasi, la distanza o ancora la qualità dei rapporti solitamente intrattenuti con le amministrazioni locali
competenti. Deve altresì tenersi conto delle dimensioni dell’impresa e del fatto che essa intrattenga o
meno abituali relazioni commerciali con i paesi in questione.
45 Quanto alle operazioni di controllo come quelle di cui alla causa principale, va rilevato che esse
costituiscono un insieme. Quindi, un procedimento d’ispezione che si svolga nel corso di più mesi, che
comporti verifiche in loco e l’audizione dell’impresa coinvolta le cui dichiarazioni sono verbalizzate
consente di presumere che la predetta impresa sia a conoscenza delle ragioni per le quali il
46 Anche circostanze del genere atte a dimostrare che l’impresa interessata è stata sentita, con cognizione
di causa, nel corso dell’ispezione vanno prese in considerazione.
47 Spetta al giudice investito della controversia principale esaminare se, alla luce in particolare di tali vari
criteri, il termine concesso dall’amministrazione competente all’interno della forbice temporale
prevista dalla legge nazionale soddisfi le prescrizioni del diritto comunitario sopra rammentate.
48 Quanto alla questione di quale incidenza possa avere sulla decisione contestata nella causa principale il
fatto che la stessa sia stata adottata tredici giorni dopo che la società era stata informata di avere un
termine di otto giorni di tempo per presentare le sue osservazioni, occorre fornire le seguenti
precisazioni.
49 La regola secondo cui il destinatario di una decisione ad esso lesiva deve essere messo in condizione di
far valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata ha lo scopo di mettere l’autorità
competente in grado di tener conto di tutti gli elementi del caso. Al fine di assicurare una tutela
effettiva della persona o dell’impresa coinvolta, la suddetta regola ha in particolare l’obiettivo di
consentire a queste ultime di correggere un errore o far valere elementi relativi alla loro situazione
personale tali da far sì che la decisione sia adottata o non sia adottata, ovvero abbia un contenuto
piuttosto che un altro.
50 In tale contesto, il rispetto dei diritti della difesa implica, perché possa ritenersi che il beneficiario di
tali diritti sia stato messo in condizione di manifestare utilmente il proprio punto di vista, che
l’amministrazione esamini, con tutta l’attenzione necessaria, le osservazioni della persona o
dell’impresa coinvolta.
51 Spetta unicamente al giudice nazionale verificare se, tenuto conto del periodo intercorso tra il momento
in cui l’amministrazione interessata ha ricevuto le osservazioni e la data in cui ha assunto la propria
decisione, sia possibile o meno ritenere che essa abbia tenuto debitamente conto delle osservazioni che
le sono state trasmesse.
52 Occorre pertanto rispondere al giudice del rinvio dichiarando che, per quanto riguarda la riscossione di
un debito doganale al fine di procedere al recupero a posteriori di dazi doganali all’importazione, un
termine da otto a quindici giorni concesso all’importatore sospettato di aver commesso un’infrazione
doganale affinché questi presenti le proprie osservazioni è, in linea di principio, conforme alle
prescrizioni del diritto comunitario.
53 Spetta al giudice nazionale adito stabilire se, alla luce delle circostanze particolari della causa, il
termine concretamente concesso a detto importatore gli abbia consentito di essere utilmente ascoltato
dalle autorità doganali.
54 Il giudice nazionale deve inoltre verificare se, in considerazione del periodo intercorso tra il momento
in cui l’amministrazione interessata ha ricevuto le osservazioni dell’importatore e la data in cui ha
adottato la sua decisione, sia possibile o meno ritenere che essa abbia tenuto debitamente conto delle
osservazioni che le sono state trasmesse.
Sulle spese
55 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente
sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri
soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.FINE NOTA
contraddittorio può determinare l’annullamento del provvedimento
adottato, a condizione però che in caso di rispetto di tale diritto al
contraddittorio il procedimento avrebbe portato a un risultato diverso. Tale
conclusione ha il vantaggio di evitare che il contribuente eccepisca in
maniera pretestuosa la violazione del diritto ad essere sentito, solo per
paralizzare l’attività Amministrativa fiscale, e trarre da ciò un ingiusto
vantaggio. Tuttavia se, anche sulla scia della giurisprudenza
sovranazionale, si considera il confronto nella fase procedimentale alla
stregua di un presupposto essenziale del giusto procedimento in materia
tributaria, l’emanazione di un atto potenzialmente lesivo per il
contribuente, emanato a prescindere dalla instaurazione di un
contraddittorio preventivo tra quest’ultimo e l’Amministrazione finanziaria,
NOTA Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:
1) Per quanto riguarda la riscossione di un debito doganale al fine di procedere al recupero a posteriori di
dazi doganali all’importazione, un termine da otto a quindici giorni concesso all’importatore sospettato
di aver commesso un’infrazione doganale affinché questi presenti le proprie osservazioni è, in linea di
principio, conforme alle prescrizioni del diritto comunitario.
2) Spetta al giudice nazionale adito stabilire se, alla luce delle circostanze particolari della causa, il
termine concretamente concesso a detto importatore gli abbia consentito di essere utilmente ascoltato
dalle autorità doganali.
3) Il giudice nazionale deve inoltre verificare se, in considerazione del periodo intercorso tra il momento
in cui l’amministrazione interessata ha ricevuto le osservazioni dell’importatore e la data in cui ha
adottato la sua decisione, sia possibile o meno ritenere che essa abbia tenuto adeguatamente conto delle
osservazioni che le sono state trasmesse.FINE NOTA
dovrebbe condurre alla dichiarazione di nullità dell’atto stesso, al fine di
garantire la corretta attuazione dei principi costituzionali di difesa, capacità
contributiva, buon andamento e imparzialità della Pubblica
Amministrazione.
Nella sentenza Glencore 17 i giudici della CEDU hanno evidenziato che
17
SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)
16 ottobre 2019 (*)
«Rinvio pregiudiziale – Imposta sul valore aggiunto (IVA) – Direttiva 2006/112/CE – Articoli 167
e 168 – Diritto a detrazione dell’IVA – Diniego – Frode – Assunzione delle prove – Principio del
rispetto dei diritti della difesa – Diritto al contraddittorio – Accesso al fascicolo – Articolo 47 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Sindacato giurisdizionale effettivo – Principio
della parità delle armi – Principio del contraddittorio – Normativa o prassi nazionale secondo la
quale, nel verificare il diritto fatto valere da un soggetto passivo alla detrazione dell’IVA,
l’amministrazione finanziaria è vincolata dalle constatazioni di fatto e dalle qualificazioni
giuridiche da essa effettuate nell’ambito di procedimenti amministrativi connessi in cui tale
soggetto passivo non era parte»
Nella causa C189/18,
avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi
dell’articolo 267 TFUE, dal Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale
amministrativo e del lavoro di Budapest, Ungheria), con decisione del 14 febbraio 2018, pervenuta
in cancelleria il 13 marzo 2018, nel procedimento
Glencore Agriculture Hungary Kft.
contro
Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága
LA CORTE (Quinta Sezione),
composta da E. Regan, presidente di sezione, I. Jarukaitis (relatore) E. Juhász, M. Ilešič e
C. Lycourgos, giudici,
avvocato generale: M. Bobek
cancelliere: R. Şereş, amministratrice
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 20 marzo 2019,
considerate le osservazioni presentate:
69
– per la Glencore Agriculture Hungary Kft., da Z. Várszegi, D. Kelemen e B. Balog,
ügyvédek;
– per il governo ungherese, da Z. Fehér e G. Koós, in qualità di agenti;
– per la Commissione europea, da L. Havas e J. Jokubauskaitė, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 5 giugno 2019,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 2006/112/CE del
Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU
2006, L 347, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva IVA»), del principio del rispetto dei diritti della
difesa e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la
«Carta»).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Glencore Agriculture
Hungary Kft. (in prosieguo: la «Glencore») e il Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli
Igazgatósága (Direzione ricorsi dell’Amministrazione nazionale delle imposte e delle dogane,
Ungheria) (in prosieguo: l’«amministrazione finanziaria») in merito a due decisioni con cui è stato
disposto il pagamento di importi a titolo dell’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA»)
per gli esercizi 2010 e 2011.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3 L’articolo 167 della direttiva IVA prevede:
«Il diritto a detrazione sorge quando l’imposta detraibile diventa esigibile».
4 L’articolo 168 di tale direttiva dispone quanto segue:
«Nella misura in cui i beni e i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta,
il soggetto passivo ha il diritto, nello Stato membro
o in cui effettua tali operazioni, di detrarre
dall’importo dell’imposta di cui è debitore gli importi seguenti:
a) l’IVA dovuta o assolta in tale Stato membro per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per
i servizi che gli sono o gli saranno resi da un altro soggetto passivo;
(…)».
Diritto ungherese
5 L’articolo 119, paragrafo 1, dell’általános forgalmi adóról szóló 2007. évi CXXVII. törvény (legge
CXXVII del 2007 relativa all’imposta sul valore aggiunto) stabilisce quanto segue:
«Salvo disposizioni contrarie, il diritto a detrazione sorge nel momento in cui si deve determinare
l’imposta dovuta corrispondente all’imposta calcolata a monte (articolo 120)».
5) richiedere agli organi e alle Amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici non economici, alle
società ed enti di assicurazione ed alle società ed enti che effettuano istituzionalmente riscossioni e
pagamenti per conto terzi la comunicazione, anche in deroga a contrarie disposizioni legislative, statutarie
o regolamentari, di dati e notizie relativi a soggetti indicati singolarmente o per categorie. Alle società ed
enti di assicurazione, per quanto riguarda i rapporti con gli assicurati del ramo vita, possono essere
richiesti dati e notizie attinenti esclusivamente alla durata del contratto di assicurazione, all'ammontare
del premio e alla individuazione del soggetto tenuto a corrisponderlo. Le informazioni sulla categoria
devono essere fornite, a seconda della richiesta, cumulativamente o specificamente per ogni soggetto che
ne fa parte. Questa disposizione non si applica all'Istituto centrale di statistica e agli ispettorati del lavoro
per quanto riguarda le rilevazioni loro commesse dalla legge e, salvo il disposto del n. 7), alle banche, alla
società Poste italiane Spa, per le attività finanziarie e creditizie, alle società ed enti di assicurazione per le
attività finanziarie, agli intermediari finanziari, alle imprese di investimento, agli organismi di
investimento collettivo del risparmio, alle società di gestione del risparmio e alle società fiduciarie;
6) richiedere copie o estratti degli atti e dei documenti depositati presso i notai, i procuratori del
registro, i conservatori dei registri immobiliari e gli altri pubblici ufficiali;
6-bis) richiedere, previa autorizzazione del direttore centrale dell'accertamento dell'Agenzia delle
entrate o del direttore regionale della stessa, ovvero, per il Corpo della guardia di finanza, del comandante
regionale, ai soggetti sottoposti ad accertamento, ispezione o verifica il rilascio di una dichiarazione
contenente l'indicazione della natura, del numero e degli estremi identificativi dei rapporti intrattenuti con
le banche, la società Poste italiane Spa, gli intermediari finanziari, le imprese di investimento, gli
organismi di investimento collettivo del risparmio, le società di gestione del risparmio e le società
fiduciarie, nazionali o stranieri, in corso ovvero estinti da non più di cinque anni dalla data della richiesta.
Il richiedente e coloro che vengono in possesso dei dati raccolti devono assumere direttamente le cautele
necessarie alla riservatezza dei dati acquisiti;
7) richiedere, previa autorizzazione del direttore centrale dell'accertamento dell'Agenzia delle entrate
o del direttore regionale della stessa, ovvero, per il Corpo della guardia di finanza, del comandante
regionale, alle banche, alla società Poste italiane Spa, per le attività finanziarie e creditizie, alle società ed
enti di assicurazione per le attività finanziarie, agli intermediari finanziari, alle imprese di investimento,
agli organismi di investimento collettivo del risparmio, alle società di gestione del risparmio e alle società
fiduciarie, dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi
compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi o dagli operatori
finanziari sopra indicati e le generalità dei soggetti per i quali gli stessi operatori finanziari abbiano
effettuato le suddette operazioni e servizi o con i quali abbiano intrattenuto rapporti di natura finanziaria.
Alle società fiduciarie di cui alla legge 23 novembre 1939, n. 1966, e a quelle iscritte nella sezione
speciale dell'albo di cui all'articolo 20 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione
finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, può essere richiesto, tra l'altro,
specificando i periodi temporali di interesse, di comunicare le generalità dei soggetti per conto dei quali
esse hanno detenuto o amministrato o gestito beni, strumenti finanziari e partecipazioni in imprese,
inequivocamente individuati. La richiesta deve essere indirizzata al responsabile della struttura accentrata,
ovvero al responsabile della sede o dell'ufficio destinatario che ne da notizia immediata al soggetto
interessato; la relativa risposta deve essere inviata al titolare dell'ufficio procedente; FINE NOTA
richieste che possono consistere nell’invito a comparire, nell’invio di
questionari e nell’invito ad esibire atti e documenti. Il contribuente infatti,
non potrà utilizzare a suo favore in sede amministrativa e contenziosa le
notizie e i dati non addotti e gli atti, i documenti e i registri non esibiti o
non trasmessi in risposta alle richieste degli Uffici tributari. Il punto di
equilibrio nel confronto tra le due parti del rapporto di imposta è in
definitiva rappresentato dall’attuazione del principio di buona fede da
entrambe le parti. Le norme che disegnano i poteri di richiesta degli Uffici
tributari prevedono anche una serie di iniziative che possono coinvolgere
soggetti terzi rispetto al contribuente e al Fisco. Un primo settore in cui si
verifica quanto enunciato è quello delle banche e istituti bancari, poiché
questi ultimi sono solitamente detentori di ricchezza riferibile al
contribuente. In caso di accertamento bancario l’instaurazione del
contraddittorio è soltanto facoltativa e in caso non sia esercitata non
produce l’illegittimità dell’avviso di accertamento.
NOTA 7-bis) richiedere, con modalità stabilite con decreto di natura non regolamentare del Ministro
dell'economia e delle finanze, da adottare d'intesa con l'Autorità di vigilanza in coerenza con le regole
europee e internazionali in materia di vigilanza e, comunque, previa autorizzazione del direttore centrale
dell'accertamento dell'Agenzia delle entrate o del direttore regionale della stessa, ovvero, per il Corpo
della guardia di finanza, del comandante regionale, ad autorità ed enti, notizie, dati, documenti e
informazioni di natura creditizia, finanziaria e assicurativa, relativi alle attività di controllo e di vigilanza
svolte dagli stessi, anche in deroga a specifiche disposizioni di legge.
Gli inviti e le richieste di cui al precedente comma devono essere fatti a mezzo di raccomandata con
avviso di ricevimento fissando per l'adempimento un termine non inferiore a quindici giorni ovvero, per il
caso di cui al n. 7), non inferiore a trenta giorni. Il termine può essere prorogato per un periodo di venti
giorni su istanza dell'operatore finanziario, per giustificati motivi, dal competente direttore centrale o
direttore regionale per l'Agenzia delle entrate, ovvero, per il Corpo della guardia di finanza, dal
comandante regionale. Si applicano le disposizioni dell'art. 52 del decreto del Presidente della Repubblica
29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni.
Le richieste di cui al secondo comma, numero 7), nonché le relative risposte, anche se negative, sono
effettuate esclusivamente in via telematica. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate
sono stabilite le disposizioni attuative e le modalità di trasmissione delle richieste, delle risposte, nonché
dei dati e delle notizie riguardanti i rapporti e le operazioni indicati nel citato numero 7).
Per l'inottemperanza agli inviti di cui al secondo comma, numeri 3) e 4), si applicano le disposizioni di
cui ai commi terzo e quarto dell'articolo 32 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 600, e successive modificazioni.FINE NOTA
90
Sempre in riferimento al contraddittorio, con la comunicazione del risultato
delle attività dell’Ufficio tributario, il contribuente è anche invitato a
versare le maggiori somme dovute, di modo che, qualora lo stesso non
abbia osservazioni e chiarimenti da formulare, eseguendo il pagamento nel
termine assegnato, può evitare l’iscrizione a ruolo e conseguire una
riduzione delle sanzioni. I giudici hanno inoltre evidenziato che
“presupposto per la riscossione delle sanzioni è l’intervenuto pagamento
delle somme dovute in base al controllo nel termine di trenta giorni dalla
comunicazione dell’esito della liquidazione ovvero decorrenti dalla
notificazione della cartella di pagamento nel caso di omissione del c.d.
“avviso bonario”, qualora essa omissione non integri causa di nullità della
cartella stessa ma mera irregolarità a cagione della insussistenza di
rilevanti incertezze su aspetti importanti della dichiarazione”. Quindi
l’omessa comunicazione dell’invito al pagamento prima dell’iscrizione a
ruolo non determina la nullità di tale iscrizione e degli atti successivi, ma
una mera “irregolarità”, che non incide sugli effetti dell’atto: l’interessato
può sempre pagare per estinguere la pretesa fiscale, con riduzione della
sanzione, una volta ricevuta la notifica della cartella.
La natura giuridica delle comunicazioni che l’Ufficio è tenuto ad inviare al
contribuente all’esito della liquidazione o del controllo formale della
dichiarazione ha comportato l’insorgenza di un dibattito concernente
l’impugnabilità o meno di tali atti dinanzi al giudice tributario. In dottrina
si sono sviluppate diverse posizioni sulle comunicazioni in parola. In
particolare esse sono considerate: atti che costituiscono un antecedente
procedimentale all’iscrizione a ruolo, con conseguente illegittimità in caso
di mancanza delle stesse; atti preparatori ma privi di effetti giuridici per il
contribuente, salvo quello di consentire l’esercizio della sua partecipazione
91
al procedimento; atti la cui omissione al contribuente, nei casi di chiara
applicabilità della norma statutaria, è da considerarsi vizio di legittimità in
termini di nullità. Sono, nell’ambito delle comunicazioni
dell’Amministrazione finanziaria al contribuente, qualificati come avvisi di
accertamento o di liquidazione, impugnabili, tutti quegli atti con cui
l’Amministrazione finanziaria comunica al contribuente una pretesa
tributaria ormai definita. L’elencazione degli atti impugnabili ha natura
tassativa ma non preclude la possibilità di impugnare anche altri atti, ove
con gli stessi l’Amministrazione finanziaria porti a conoscenza del
contribuente una individuata pretesa tributaria, in ossequio alle norme
costituzionali a tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon
andamento della Amministrazione (art. 97 Cost.).
Nel quadro riassuntivo così definito si colloca l’art. 12 dello Statuto del
contribuente, il quale prevede, al comma 7, la facoltà in capo al
contribuente e in sede di interlocuzione con l’Amministrazione di accedere
a diritti e garanzie, in particolare i diritti e le garanzie contenuti nelle
disposizioni di cui agli artt. 2 24 , 3 25 , 6 26 , 7 27 dello Statuto, in tema di:
24 1. Le leggi e gli altri atti aventi forza di legge che contengono disposizioni tributarie devono
menzionarne l'oggetto nel titolo; la rubrica delle partizioni interne e dei singoli articoli deve menzionare
l'oggetto delle disposizioni ivi contenute.
2. Le leggi e gli atti aventi forza di legge che non hanno un oggetto tributario non possono contenere
disposizioni di carattere tributario, fatte salve quelle strettamente inerenti all'oggetto della legge
medesima.
3. I richiami di altre disposizioni contenuti nei provvedimenti normativi in materia tributaria si fanno
indicando anche il contenuto sintetico della disposizione alla quale si intende fare rinvio.
4. Le disposizioni modificative di leggi tributarie debbono essere introdotte riportando il testo
conseguentemente modificato.
25 1. Salvo quanto previsto dall'articolo 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto
retroattivo. Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal
periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le
prevedono (1)(2) .
92
2. In ogni caso, le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei
contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata
in vigore o dell'adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti.
3. I termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere
prorogati (3)(4)(5)(6)(7) .
26 1. L'amministrazione finanziaria deve assicurare l'effettiva conoscenza da parte del contribuente
degli atti a lui destinati. A tal fine essa provvede comunque a comunicarli nel luogo di effettivo domicilio
del contribuente, quale desumibile dalle informazioni in possesso della stessa amministrazione o di altre
amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente, ovvero nel luogo ove il contribuente ha eletto
domicilio speciale ai fini dello specifico procedimento cui si riferiscono gli atti da comunicare. Gli atti
sono in ogni caso comunicati con modalità idonee a garantire che il loro contenuto non sia conosciuto da
soggetti diversi dal loro destinatario. Restano ferme le disposizioni in materia di notifica degli atti
tributari.
2. L'amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai
quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l'irrogazione di una sanzione,
richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, seppure
parziale, di un credito.
3. L'amministrazione finanziaria assume iniziative volte a garantire che i modelli di dichiarazione, le
relative istruzioni, i servizi telematici, la modulistica e i documenti di prassi amministrativa siano messi a
disposizione del contribuente, con idonee modalità di comunicazione e di pubblicità, almeno sessanta
giorni prima del termine assegnato al contribuente per l'adempimento al quale si riferiscono (1) .
3-bis. I modelli e le relative istruzioni devono essere comprensibili anche ai contribuenti sforniti di
conoscenze in materia tributaria. L'amministrazione finanziaria assicura che il contribuente possa
ottemperare agli obblighi tributari con il minor numero di adempimenti e nelle forme meno costose e più
agevoli.
3-ter. Le amministrazioni interessate provvedono alle attività relative all'attuazione dei commi 3 e 3-
bis nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e,
comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica (2) .
4. Al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in
possesso dell'amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente.
Tali documenti ed informazioni sono acquisiti ai sensi dell'articolo 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto
1990, n. 241, relativi ai casi di accertamento d'ufficio di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla
azione amministrativa.
5. Prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da
dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l'amministrazione
finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i
chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non
inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. La disposizione si applica anche qualora, a seguito
della liquidazione, emerga la spettanza di un minor rimborso di imposta rispetto a quello richiesto. La
disposizione non si applica nell'ipotesi di iscrizione a ruolo di tributi per i quali il contribuente non è
tenuto ad effettuare il versamento diretto. Sono nulli i provvedimenti emessi in violazione delle
disposizioni di cui al presente comma.
5-bis. In caso di esercizio di attività istruttorie di controllo nei confronti del contribuente del cui
avvio lo stesso sia stato informato, l'amministrazione finanziaria comunica al contribuente, in forma
semplificata, entro il termine di sessanta giorni dalla conclusione della procedura di controllo, l'esito
negativo di quest'ultima. L'amministrazione finanziaria, con proprio provvedimento, individua le modalità
semplificate di comunicazione, anche mediante l'utilizzo di messaggistica di testo indirizzata all'utenza
93
informazione del contribuente su alcuni aspetti della verifica; richiesta
volta ad ottenere che l’ispezione documentale sia effettuata al di fuori dei
locali di cui ha la disponibilità; possibilità di rivolgersi al Garante del
contribuente in caso di verifica svolta con modalità non conformi alla
legge; comunicazioni di osservazioni e richieste dopo la chiusura delle
operazioni di verifica.
Si può in via ulteriore osservare che, mentre normalmente le norme fiscali
impongono obblighi a carico del contribuente ed attribuiscono al soggetto
attivo della pretesa tributaria il potere di irrogare sanzioni in caso di
violazione delle suddette norme, le disposizioni dello Statuto impongono,
nell’interesse del contribuente, precisi comportamenti a carico dell’Ufficio
impositore, con possibilità, in caso di non ottemperanza da parte di
quest’ultimo, per il soggetto passivo di rivolgersi al giudice affinché
telefonica mobile del destinatario, della posta elettronica, anche non certificata, o dell'applicazione IO.
Con il medesimo provvedimento sono definite le modalità con le quali il contribuente fornisce
all'amministrazione finanziaria i propri dati al fine di consentire la suddetta comunicazione in forma
semplificata. La comunicazione dell'esito negativo della procedura di controllo non pregiudica l'esercizio
successivo dei poteri di controllo dell'amministrazione finanziaria, ai sensi delle vigenti disposizioni. Le
disposizioni del presente comma non si applicano alle liquidazioni di cui agli articoli 36-bis del decreto
del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e 54-bis del decreto del Presidente della
Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (3) .
27 1. Gli atti dell'amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall'articolo 3
della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi,
indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione
dell'amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato
all'atto che lo richiama.
2. Gli atti dell'amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono
tassativamente indicare:
1. a) l'ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato
o comunicato e il responsabile del procedimento;
2. b) l'organo o l'autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel
merito dell'atto in sede di autotutela;
3. c) le modalità, il termine, l'organo giurisdizionale o l'autorità amministrativa cui è possibile
ricorrere in caso di atti impugnabili.
3. Sul titolo esecutivo va riportato il riferimento all'eventuale precedente atto di accertamento
ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria.
4. La natura tributaria dell'atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando
ne ricorrano i presupposti.
94
sanzioni l’operato della Amministrazione. Sempre ai sensi dello Statuto si
dispone che, pur dovendo i verificatori tributari agire in maniera da ridurre
al massimo gli effetti pregiudizievoli nei confronti del contribuente oggetto
di accertamento fiscale, essi devono inoltre attenersi ai doveri di
economicità, efficienza ed efficacia che sono posti a carico della attività di
ogni Pubblica amministrazione.
Per tornare più specificamente all’art. 12 dello Statuto del contribuente,
quest’ultimo dispone a favore del contribuente sottoposto a verifica, il
diritto ad essere destinatario di una serie di informazioni. Il contribuente
deve essere informato nel momento di inizio della verifica delle ragioni che
l’hanno giustificata e dell’oggetto della medesima, confermando la
rilevanza di tali informazioni ai fini della trasparenza della azione
amministrativa nei confronti del contribuente verificato. Sempre l’art. 12
dello Statuto stabilisce un limite alla durata della permanenza dei
verificatori nei locali del contribuente che viene fissata, in modo perentorio
in trenta giorni lavorativi prorogabili per ulteriori trenta giorni. La norma fa
riferimento al termine “sede”, intendendo con tale espressione, sia i locali
di cui al comma 1 in cui viene svolta attività imprenditoriale, artistica o
professionale, sia gli altri locali di cui il contribuente abbia la disponibilità.
Ma cosa accade se i verificatori violano il termine di permanenza dei
verificatori presso la sede del contribuente? La giurisprudenza ha
evidenziato che la violazione del termine non comporti conseguenze di
rilievo a carico dei verificatori, in quanto il termine in parola ha carattere
meramente “ordinatorio” e deve considerarsi tale in quanto nessuna
disposizione lo dichiara “perentorio”. Tuttavia in relazione alla “natura” del
termine previsto dall’art. 12, si può fare riferimento all’orientamento
giurisprudenziale secondo il quale “il carattere perentorio di un termine non
95
deve necessariamente risultare espressamente da una norma, potendosi
desumere dalla funzione, ricavabile dal testo di legge, che il termine è
chiamato a svolgere”.
Sempre l’art. 12 conferisce al contribuente il diritto di comunicare
all’Ufficio impositore osservazioni e richieste entro il termine perentorio di
sessanta giorni dall’atto di chiusura delle operazioni di controllo e impone
all’ente accertatore di attendere il decorso del termine e di acquisire gli atti
provenienti dal contribuente. Tutto ciò in ottemperanza a quanto dedotto
dalla dottrina sulla base della Costituzione e all’obbligo per la Pubblica
Amministrazione di agire “audita altera parte”. L’Amministrazione deve
quindi assumere un comportamento coerente e rispettoso del dettato
normativo e delle finalità imposte dal Legislatore, quale quella
dell’instaurazione del contraddittorio. L’art. 12 dello Statuto prevede una
sola eccezione all’utilizzo della procedura in parola, rappresentata dai casi
di “necessità e urgenza”: questa è l’unica ipotesi in cui si verifica il venir
meno da parte dell’Ufficio dell’obbligo di colloquiare con il contribuente.
Si deve trattare, quanto all’urgenza, di una urgenza “particolare”. In ambito
tributario la situazione di urgenza si qualifica come una situazione
imprevedibile ed eccezionale che deve concernere la concreta acquisizione
del “quantum” in corso di accertamento e quindi il buon esito della
pretesa impositiva.
Per tornare al diritto del contribuente a partecipare al contraddittorio
preprocessuale come sopra descritto, esso diritto è assistito da sanzioni a
carico della Pubblica Amministrazione accertatrice. In particolare sono
censurabili, sotto il profilo della motivazione dell’atto di accertamento, sia
l’omessa pronuncia dell’Ente impositore sulle osservazioni proposte, sia la
reiezione delle ragioni del contribuente con clausole di mero stile, e quindi
96
in assenza di valide argomentazioni. Gli apporti collaborativi del
contribuente costituiscono elementi integranti il procedimento, pertanto
l’Amministrazione finanziaria è obbligata, non solo a prenderli in
considerazione, ma ad esprimere, dopo una attenta valutazione, le ragioni
per cui essi atti non inficiano l’iter motivazionale approntato
dall’Accertatore e quindi non sono suscettibili di accoglimento.
La giurisprudenza di legittimità aveva in un primo momento ritenuto che la
nullità dell’atto di accertamento determinata dal mancato rispetto, in ordine
al tempo della iscrizione a ruolo, del termine di sessanta giorni posto in
capo al contribuente ai fini della produzione di atti, comunicazioni e notizie
a proprio favore, fosse essa nullità, estensibile agli atti istruttori compiuti
nella sede dell’ufficio tributario, in quanto anche tali atti seguivano lo
stesso iter e le stesse procedure dell’atto di accertamento conclusivo e
istitutivo della entità della prestazione patrimoniale a carico del
contribuente. La situazione sembrerebbe ormai essere stata risolta con
l’introduzione, da parte del Decreto Legge n. 34 del 2019, convertito dalla
Legge n. 58 del 2019 28 dell’obbligo, per l’Ufficio, di notificare al
28 La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno
approvato;
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Promulgala seguente legge:
Art. 1
1. Il decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, recante misure urgenti
di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni
di crisi, e convertito in legge con le modificazioni riportate in
allegato alla presente legge.
2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello
della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita
nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica
italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla
osservare come legge dello Stato.
Data a Roma, addì 28 giugno 2019
97
contribuente, prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, un invito
al contraddittorio, in quanto è previsto che “l’Ufficio, fuori dei casi in cui
sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni
da parte degli organi di controllo, prima di emettere un avviso di
accertamento, notifica l’invito a comparire per la definizione
dell’accertamento”.
Si pone in via ulteriore la questione se – in relazione ai poteri di indagine
della Pubblica Amministrazione, che presuppongono la presenza fisica dei
verificatori presso i locali del contribuente ed il controllo sulla persona e
sui suoi effetti personali, nonché sulla corrispondenza – si ponga il
MATTARELLA
Conte, Presidente del Consiglio dei
ministri
Tria, Ministro dell'economia e delle
finanze
Di Maio, Ministro dello sviluppo
economico
Visto, il Guardasigilli: Bonafede
Avvertenza:
La presente legge di conversione del decreto-legge 30
aprile 2019, n. 34, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale -
Serie generale - n. 100 del 30 aprile 2019, e pubblicata,
per motivi di massima urgenza, senza note, ai sensi
dell'art. 8, comma 3 del regolamento di esecuzione del
testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle
leggi, sulla emanazione dei decreti del Presidente della
Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica
italiana, approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 14 marzo 1986, n. 217.
Nella Gazzetta Ufficiale dell'11 luglio 2019 si
Procederà alla ripubblicazione del testo della presente
legge coordinata con il decreto-legge sopra citato,
corredato delle relative note, ai sensi dell'art. 10, commi
2 e 3 del decreto del Presidente della Repubblica 28
dicembre 1985, n. 1092.
Il testo del decreto-legge coordinato con la legge di
conversione e' pubblicato in questo
stesso Supplemento Ordinario alla pag. 92.
98
problema dell’effettiva interferenza con i diritti fondamentali del soggetto.
Tali diritti trovano espressione normativa costituzionale ai sensi degli 13,
14, 15, che vengono altresì sanciti dall’art. 8 29 CEDU, dato che si tratta di
poteri che possono incidere sui locali adibiti allo svolgimento della vita
privata e familiare, di attività commerciali e professionali, sulla persona e
sulla corrispondenza, compresi gli “hard disk”, cioè i dati fondamentali
contenuti in un elaboratore. In ordine al diritto alla segretezza della
corrispondenza è richiesta una autorizzazione da parte della Autorità
giudiziaria per la eventuale consultazione della stessa da parte del Soggetto
impositore, escludendo dalla nozione di corrispondenza gli archivi digitali.
Tale esclusione non è oggi più attuale e pertanto bisogna ritenere, sulla scia
dei pronunciamenti della Corte di Strasburgo, che si debba attribuire la
stessa tutela prevista per la corrispondenza anche ai sunnominati archivi
digitali o “hard disk”. Si può anche osservare che la giurisprudenza
nazionale ritiene che la collaborazione fornita dal contribuente
nell’apertura di borse, casseforti o nell’estrazione di copie di hard disk, sia
sufficiente per escludere la coattività della operazione eseguita e per
ritenere non necessaria una autorizzazione giudiziaria. In tema di garanzie
costituzionali a favore dell’accertato, di recente i giudici si sono
pronunciati sul caso della apertura di una valigetta reperita in sede di
accesso ai locali del soggetto passivo. I giudici non hanno ritenuto che
ricorresse la necessità di interpellare l’art. 15 30 della Costituzione, a tutela
29 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua
corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto se non in quanto tale
ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è
necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione
dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui.
30 La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.
La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie
stabilite dalla legge.
99
della “segretezza” della corrispondenza, poiché quest’ultima presuppone
due soggetti agenti, mentre l’apertura di una cassetta è un atto unilaterale.
Pertanto essi giudici hanno elaborato una distinzione tra il caso in cui la
borsa costituisca elemento intrinsecamente collegato ed a stretto contatto
con l’individuo che la indossa; e il caso in cui la valigetta viene rinvenuta
nei locali di accesso e quindi separatamente dalla persona che ne usa
abitualmente. Nel primo caso i giudici hanno fatto riferimento all’art. 13 31
Cost., in materia di tutela della libertà personale; nel secondo caso all’art.
14 32 Cost. in materia di tutela del domicilio come sede principale di affari e
interessi dell’obbligato. Ovviamente tutto ciò che è stato disposto da questa
corrente giurisprudenziale trova ragion d’essere solo in assenza del
consenso dell’interessato, cioè del contribuente. Se infatti egli accorda il
proprio consenso alle modalità di ispezione descritte, nulla si può imputare
di illegittimo alla Amministrazione procedente.
Per quanto riguarda l’evoluzione legislativa sul punto in esame, occorre
dire che la Legge n. 58 del 2019 ha introdotto l’obbligo per gli Uffici
31 La libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra
restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria [cfr. art. 111 c. 1, 2] e
nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati
tassativamente dalla legge l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che
devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle
successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.
E` punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà;
La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.
32 “Il domicilio è inviolabile.
Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla
legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale.
Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali
sono regolati da leggi speciali.”
100
accertatori di notificare ai contribuenti, prima dell’emissione dell’avviso di
accertamento, un invito al contraddittorio. Pertanto è divenuta obbligatoria
la notificazione dell’invito a comparire per definire l’accertamento con
adesione. L’elemento più rilevante della norma consiste nel fatto che essa
porta ad anticipare il “punto centrale” del tentativo di accertamento con
adesione ad una fase anteriore dell’istruttoria rispetto a quella attuale.
Infatti il tentativo deve essere esperito obbligatoriamente prima
dell’emissione dell’atto impositivo e non potrà più esserlo
successivamente. La norma in questione non pone un obbligo di adesione
all’accertamento da parte del contribuente, ma una mera “facoltà”. Se il
contribuente non esercita tale facoltà, non potrà però presentare istanza di
accertamento con adesione dopo la notifica dell’avviso di accertamento. La
previsione infatti impone l’attivazione del contraddittorio quando non sia
stata rilasciata copia del processo verbale di constatazione, ossia
dell’avvenuta chiusura della fase procedimentale. L’esimente dall’obbligo
di rilasciare il verbale è anche essa fattispecie prevista dall’art. 12 dello
Statuto, e ricorre quando si abbiano “casi di particolare urgenza,
specificamente motivata”, ovvero di fondato pericolo di mancata
riscossione. In questi casi, l’Ufficio può quindi notificare direttamente
l’avviso di accertamento non preceduto dall’invito a comparire anche in
ipotesi di obbligatorietà della previa notifica. Fuori dei casi suddetti, il
mancato avvio del contraddittorio determina l’invalidità dell’avviso di
accertamento, ma solo se il contribuente a seguito di impugnazione
dimostri le ragioni che in concreto avrebbe potuto far valere se il
contraddittorio si fosse attivato.
In definitiva l’accertamento con adesione consiste in una definizione su
base concordata alla quale si giunge a seguito di un confronto necessario
101
tra il contribuente e l’Ufficio. Quando l’accertamento sia avviato
dall’istanza del contribuente esso si colloca al di fuori dello schema del
procedimento principale, intervenendo dopo che quest’ultimo si è già
concluso con l’emanazione dell’atto impositivo. Diversa è invece l’ipotesi
in cui il tentativo di accertamento con adesione abbia luogo prima
dell’emissione dell’avviso di accertamento, in quanto in tal caso sarebbe
carente di motivazione.
La Corte di Cassazione si è soffermata sulla sussistenza dell’obbligo, in
capo all’Amministrazione, di invitare il contribuente al contraddittorio
quando egli abbia proposto istanza di accertamento con adesione. La scelta
di aderire o meno da parte della Amministrazione sarebbe frutto di una
valutazione discrezionale. Tale opinione della Corte non è condivisibile, in
quanto si basa su argomentazioni estranee alla ratio dell’istituto
dell’accertamento con adesione, dal momento che quest’ultimo segue e
non precede l’attività procedimentale posta in essere dall’Ente impositore.
La disposizione analizzata non concerne il contraddittorio anticipato tra le
parti, in quanto si limita a rendere obbligatorio l’invito per consentire
all’ente impositore di visionare atti e documenti ed avvalersi dell’ulteriore
privilegio dell’eventuale differimento dei termini perentori per
l’accertamento, senza obbligarlo a un reale confronto con il contribuente
sui dati istruttori acquisiti.
Di recente si sono però prodotti segnali di cambiamento. Nella Relazione
della Commissione consultiva per la riforma della giustizia tributaria, la
prima scelta operata dal Legislatore è volta a prevenire il contenzioso
rafforzando il contraddittorio all’interno del procedimento tributario. In
questa logica si muove il disegno di Legge delega per “l’integrazione e
l’attuazione dello Statuto dei diritti del contribuente” proposto dal CNEL. Il
102
disegno in parola si sostanzierebbe nell’inserimento, nello Statuto del
contribuente, di una disposizione legislativa che riconosca il diritto dei
contribuenti di essere sentiti prima che sia adottato l’atto impositivo di
qualsiasi tributo e di una disposizione ulteriore che commini la nullità per
qualunque atto impositivo emanato in violazione delle garanzie
procedurali.
Per quanto riguarda il già considerato “diritto di accesso agli atti” esso
costituisce una condizione essenziale per l’esercizio dei diritti di difesa da
parte del contribuente nel procedimento tributario. Infatti il destinatario di
un atto che potrebbe produrre effetti nella sua sfera giuridica deve poter
accedere al fascicolo che lo riguarda già nel corso del procedimento che
può giungere all’emanazione dell’atto stesso per poter soddisfare
efficacemente i propri diritti. In altri termini è necessario garantire al
destinatario dell’atto il diritto di accesso ai documenti già nell’ambito del
procedimento tributario. Per fare tutto ciò, il contribuente deve però
conoscere tutti gli elementi fondanti la contestazione che la
Amministrazione intende avanzare. Il diritto di accedere al fascicolo è
strumentale all’esercizio del diritto di difesa da parte di chi potrebbe essere
leso nei propri diritti da un atto della suddetta Amministrazione. Inoltre il
contribuente deve poter accedere anche ai documenti che possono essere
utili all’esercizio del suo diritto di difesa, ossia possono essere vantaggiosi
per il contribuente stesso. A quest’ultimo diritto possono però porsi delle
restrizioni da parte della Amministrazione, ad esempio sulla base di motivi
di interesse generale, ad esempio la esigenza di tutela della riservatezza o
del segreto professionale. Un altro aspetto della questione concerne i modi
in cui l’accesso al fascicolo deve essere concesso, rispetto alla cui
disciplina il Legislatore nazionale ha introdotto forti limitazioni volte ad
103
escludere le numerose facoltà altrimenti concesse dalla normativa
preesistente al soggetto passivo del procedimento tributario. Le limitazioni
sono rinvenibili nell’art. 24, comma 1 lett. b) della Legge 241/1990, il cui
disposto stabilisce che “il diritto di accesso è escluso nei procedimenti
tributari per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano.
Relativamente a tale disposto i giudici del Consiglio di Stato hanno statuito
che esso disposto è valido solo in riferimento alla fase di pendenza del
procedimento tributario, non essendovi esigenze di segretezza nella fase
che segue la conclusione del procedimento con l’adozione del relativo
provvedimento definitivo di accertamento della imposta dovuta sulla base
degli elementi reddituali che conducono alla quantificazione del tributo.
Tuttavia l’orientamento della Corte di Giustizia sempre in riferimento alle
norme richiamate poc’anzi, potrebbe condurre ad una modifica del disposto
del Consiglio di Stato in merito alla problematica in discorso, come
potrebbe concorrere a una modifica di tale fattispecie anche la
giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale in un importante inciso
affermava che “le statuizioni della Corte di Giustizia delle Comunità
europee hanno, al pari delle norme comunitarie direttamente applicabili cui
ineriscono, operatività immediata negli ordinamenti interni”. Ne deriva che
l’Amministrazione, in linea di principio, dovrebbe garantire sempre il
diritto di accesso ai contribuenti, tranne quando vi siano obiettivi di
interesse generale da tutelare. Secondo la dottrina il diritto di accesso in
capo al contribuente si potrebbe considerare quale applicazione dei principi
costituzionali contenuti negli artt. 97, 3, 41 33 , 2.
33 “L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente,
alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
104
Relativamente ad una ulteriore problematica sono necessari alcuni accenni.
Si tratta della fattispecie della motivazione degli atti impositivi emanati
dall’Amministrazione tributaria. Le motivazioni di atti che ledono la sfera
patrimoniale di un soggetto presentano delicati profili di costituzionalità e
di legittimità e necessitano pertanto di una motivazione non ordinaria ma
per così dire “rafforzata”, ossia è necessario che l’Amministrazione che
adotta il provvedimento analizzi con la dovuta attenzione le osservazioni
eccepite dalla parte coinvolta e indichi i motivi per i quali ritiene di dover
comunque procedere all’emanazione dell’atto. Essa Amministrazione dovrà
tenere conto delle motivazioni contrarie addotte dal soggetto passivo di
imposta ed utilizzarle nella determinazione sia dell’an sia del quantum
della prestazione patrimoniale imposta al contribuente. L’Amministrazione
sarà comunque tenuta a produrre tutte le evidenze raccolte in occasione
della contestazione anche rivolta al terzo, poiché esse costituiranno
presupposto fondamentale per dimostrare che l’atto impositivo è stato
adottato sulla base di una effettiva analisi delle prove. L’Art. 41 della
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo sancisce l’obbligo per
l’Amministrazione di motivare le proprie decisioni, compresa quella
iniziale di dare avvio all’accertamento e nel corso del procedimento di non
discostarsi da quanto dichiarato nella motivazione della decisione iniziale.
Infine al contribuente deve essere garantita una chiara informazione sia nel
momento iniziale dell’istruttoria pre/accertativa, sia nella fase conclusiva.
In altri termini l’effettività del contraddittorio preventivo presuppone
l’informazione del contribuente, al quale fin dal momento iniziale
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata
possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”
105
dell’istruttoria deve essere garantita la conoscenza degli indizi in possesso
dell’ente impositore, attraverso la previsione dell’obbligo di motivare la
decisione di procedere alla attività di controllo. Successivamente è
necessario garantire al contribuente la conoscenza delle prove.
Capitolo IV
Cenni ai diritti del contribuente nell’ordinamento comunitario
L’ordinamento giuridico della UE è una entità distinta da quella dei singoli
Stati, e pertanto è anche una entità produttiva di norme differenti da quelle
prodotte dai singoli Stati che ne fanno parte, e che caratterizzano l’UE
come ordinamento sovranazionale. I trattati istitutivi delle Comunità
europee, cioè in un tempo antecedente alla nascita della UE, non
prevedevano la tutela di diritti, in quanto inizialmente rivolti
all’integrazione economica e all’istituzione di un mercato comune.
L’articolo 6, comma 3 del Trattato sull’UE ha realizzato un importante
contemperamento tra i principi generali dell’UE e i diritti fondamentali
come risultano della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo
riconoscendo a tali diritti il ruolo di principi generali dell’UE. Da ciò
consegue l’obbligo degli Stati membri dell’UE di rispettare quanto
contenuto nella Carta come formulata all’interno della Convenzione. Il
rispetto della Carta è talmente intenso da realizzare in concreto una
situazione di primazia delle disposizioni emanate dagli organi dell’UE
anche su quelle costituzionali del Nostro Paese, con il limite del necessario
rispetto da parte della normativa UE, dei principi fondamentali
dell’ordinamento interno. La Corte di Giustizia ha assunto, con la sua
attività interpretativa, un ruolo fondamentale nell’ambito della integrazione
tributaria europea, ma è, comunque sia, evidente che la Corte costituzionale
106
e quella europea si fondano su meccanismi di funzionamento differenti.
Tuttavia esse Corti hanno in comune la salvaguardia dei diritti
fondamentali, anche al fine di risolvere le antinomie che possono sorgere
tra le Corti stesse. Il confronto tra le giurisdizioni deve coinvolgere anche
la Corte di Strasburgo al fine di individuare la combinazione più efficiente
a livello giurisdizionale atta a bilanciare i diritti e i doveri di livello
sovranazionale europeo con quelli riconosciuti a livello nazionale.
Nell’applicazione del diritto nazionale, assume rilevanza una serie di
principi del Diritto dell’Unione Europea, che possono essere oggetto della
seguente classificazione: principi generali del diritto comune; principi
generali propri del diritto europeo; principi riferiti ai diritti fondamentali
dell’uomo, a cui espressamente rinvia l’articolo 6 TUE. Volendo svolgere
alcune considerazioni nel merito di tali principi, viene innanzitutto alla luce
il principio di certezza del diritto: ogni soggetto deve essere consapevole
che la sua situazione a livello giuridico sarà oggetto di tutela da parte
dell’ordinamento in virtù del principio ora enunciato, dal quale consegue ad
esempio lo strumento della irretroattività delle norme, che in materia
tributaria trova riconoscimento nell’art. 3 34 dello Statuto dei diritti del
contribuente. Corollario del principio di certezza del diritto è il principio di
tutela del legittimo affidamento in favore del soggetto che abbia operato in
maniera conforme alle prescrizioni dell’ordinamento giuridico di
34 Salvo quanto previsto dall'articolo 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo.
Le presunzioni legali non si applicano retroattivamente. Relativamente ai tributi dovuti, determinati o
liquidati periodicamente le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d'imposta
successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono. ( 2 )
2. In ogni caso, le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la
cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o
dell'adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti.
3. I termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati.
107
appartenenza. Altro principio, quello di proporzionalità, è invece enunciato
in varie fonti del diritto sovranazionale di matrice UE e prevede: il criterio
dell’idoneità del mezzo utilizzato, in virtù del quale ogni misura deve
essere idonea all’obiettivo perseguito; il criterio della necessarietà, in base
al quale tra più mezzi idonei a raggiungere uno scopo deve essere preferito
quello meno restrittivo dei diritti individuali; il criterio della
proporzionalità in senso stretto, secondo cui nella valutazione comparativa
tra interesse pubblico e situazioni soggettive private deve essere perseguito
il “giusto equilibrio”. Inoltre il principio di effettività sancito dall’art. 19
del TUE, comporta che la tutela dei diritti conferiti dall’ordinamento
giuridico dell’UE non può essere organizzata, negli Stati membri, in modo
che sia in pratica impossibile o eccessivamente difficile. Infine il principio
di equivalenza, in virtù del quale la tutela che l’ordinamento di uno Stato
membro riserva a un ricorso fondato sul diritto nazionale non può essere
superiore a quella che lo stesso ordinamento assicura ad un ricorso fondato
sul diritto europeo. Si tratta di un principio di fonte giurisprudenziale, non
enunciato espressamente nei Trattati istitutivi che spesso è correlato
direttamente al principio di non discriminazione.
Per quanto attiene alla CEDU, o Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo, essa ha come obiettivo quello di garantire una protezione
efficace dei diritti fondamentali all’interno del territorio dell’UE. Tuttavia
l’art. 51 ammette l’applicazione generale della Convenzione solo per
quanto attiene all’attività degli organi dell’UE, mentre gli Stati membri
sono chiamati a rispettarla solo quando attuano a livello interno “il diritto
dell’Unione Europea”. Secondo l’art. 52 35 i diritti sanciti dalla CEDU
35 1. Eventuali limitazioni all'esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono
essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del
principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e
108
dovrebbero essere interpretati in modo da offrire un elevato livello di tutele
che sia consono al Diritto dell’UE e in armonia con le tradizioni
costituzionali comuni, limitando le possibilità di contrasto tra diritto
costituzionale nazionale e diritto sovranazionale.
Una questione relativa alla CEDU che potrebbe porsi è quella di stabilire se
essa abbia una mera natura dichiarativa ovvero costituisca l’effettiva fonte
dei diritti che essa regola. Si evidenzia in proposito che le norme in essa
contenute hanno una semplice funzione dichiarativa per quanto riguarda la
misura in cui il loro contenuto riproduce principi fondamentali che
potrebbero essere già considerati intrinseci all’ordinamento giuridico
dell’UE. In ogni caso nella Carta è possibile distinguere: norme che
riflettono i principi giuridici fondamentali sanciti dalle Costituzioni
nazionali; norme che conferiscono ai diritti umani una specifica dimensione
giuridica all’interno del sistema della UE e norme che sono dirette
specificamente alle istituzioni e agli organi UE. Tuttavia le caratteristiche
dell’ordinamento giuridico dell’UE sono chiari indici della possibilità che,
a prescindere dall’esistenza della CEDU, possano svilupparsi ulteriori
principi a livello interpretativo. La CEDU attribuisce alla Corte Europea
dei Diritti dell’Uomo il compito di interpretare le corrispondenti
rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di
proteggere i diritti e le libertà altrui. 2. I diritti riconosciuti dalla presente Carta per i quali i trattati
prevedono disposizioni si esercitano alle condizioni e nei limiti dagli stessi definiti. 3. Laddove la
presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la
salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono
uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto
dell'Unione conceda una protezione più estesa. 4. Laddove la presente Carta riconosca i diritti
fondamentali quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, tali diritti sono
interpretati in armonia con dette tradizioni. 5. Le disposizioni della presente Carta che contengono dei
principi possono essere attuate da atti legislativi e esecutivi adottati da istituzioni, organi e organismi
dell'Unione e da atti di Stati membri allorché essi danno attuazione al diritto dell'Unione, nell'esercizio
delle loro rispettive competenze. Esse possono essere invocate dinanzi a un giudice solo ai fini
dell' interpretazione e del controllo di legalità di detti atti. 6. Si tiene pienamente conto delle legislazioni e
prassi nazionali, come specificato nella presente Carta. 7. I giudici dell'Unione e degli Stati membri
tengono nel debito conto le spiegazioni elaborate al fine di fornire orientamenti per l'interpretazione della
presente Carta.
109
disposizioni della stessa, il cui art. 52 intende assicurare la necessaria
coerenza delle proprie disposizioni con l’attività della Corte e statuisce la
regola secondo cui, qualora i diritti della Carta di Nizza corrispondano ai
diritti garantiti anche dalla CEDU, il loro significato e la loro portata nei
due ambiti sono identici. Pertanto l’art. 52 richiede che lo standard di
protezione risultante dalla CEDU sia almeno elevato quanto lo standard
della Corte, mentre assicura che le restrizioni ai diritti fondamentali siano
limitate e non oltrepassino quanto necessario per garantire, ad esempio la
tutela degli interessi finanziari dell’UE; l’art. 53 36 statuisce invece che a
livello nazionale le Costituzioni degli Stati membri possono stabilire
standard di tutela dei diritti più elevati rispetto a quelli sanciti nella Carta.
Tra i diritti sanciti dalla CEDU ve ne sono alcuni che meritano di essere
analizzati in maniera particolare.
Il primo dei diritti che vengono in considerazione e il diritto ad una buona
amministrazione. Negli ultimi anni si assiste ad una tendenza sempre più
accentuata della giurisprudenza nazionale in materia tributaria a fondare le
proprie decisioni sull’art. 41 37 della CEDU, il quale sancisce il diritto ad
una buona amministrazione. Il contenuto dell’articolo è particolarmente
36 Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto
dell'Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l'Unione o tutti gli Stati
membri sono parti, in particolare dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e
delle Libertà fondamentali, e dalle costituzioni degli Stati membri..
37 1. Ogni persona ha diritto a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo
ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni, organi e organismi dell'Unione. 2. Tale diritto
comprende in particolare: a) il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti
venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio; b) il diritto di ogni persona di
accedere al fascicolo che la riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto
professionale e commerciale; c) l'obbligo per l'amministrazione di motivare le proprie decisioni. 3. Ogni
persona ha diritto al risarcimento da parte dell'Unione dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi
agenti nell'esercizio delle loro funzioni, conformemente ai principi generali comuni agli ordinamenti degli
Stati membri. 4. Ogni persona può rivolgersi alle istituzioni dell'Unione in una delle lingue dei trattati e
deve ricevere una risposta nella stessa lingua.
110
importante per i procedimenti, dal momento che conferisce a ciascun
individuo il diritto ad essere ascoltato prima che un provvedimento
individuale venga adottato nei suoi confronti, di avere accesso ai fascicoli
che lo riguardano, e correlativamente l’obbligo per l’Amministrazione di
motivare le proprie decisioni affinché il contribuente possa verificare la
provenienza dell’informazione, il rispetto dei requisiti formali, la
corrispondenza degli elementi informativi acquisiti con i profili soggettivi e
oggettivi del contribuente confluiti nell’atto emesso a suo carico.
In generale, se si considerano gli orientamenti giurisprudenziali nazionali, è
possibile desumere il carattere vincolante dell’art. 41 della CEDU
nell’ordinamento interno. Tuttavia nella giurisprudenza della Corte di
Giustizia si riscontrano talora pronunce che prevedono l’applicabilità
dell’articolo 41 solo alle istituzioni, organi e organismi dell’UE; talora
pronunce che ne sanciscono l’immediata applicabilità sul piano interno agli
ordinamenti degli Stati membri. Peraltro pare che la conclusione definitiva
dell’ambivalente orientamento della Corte sia che l’art. 41 non può essere
interpretato come limitativo dell’applicazione, nei confronti delle
Amministrazioni dei vari Stati, dei precetti specifici della buona
amministrazione, in quanto principi generali dell’ordinamento europeo. A
tal fine, in attuazione delle indicazioni formulate a livello europeo,
l’Amministrazione finanziaria deve osservare e porre in essere tutte le
attività necessarie per rendere effettivo il contenuto previsto dall’art. 41
della Carta. Le Autorità degli Stati membri dovrebbero sempre garantire il
diritto ad una buona amministrazione nell’ambito dello svolgimento delle
proprie prerogative ove queste incidano su posizioni soggettive, in qualsiasi
settore esse ricadano.
111
L’art. 47 38 della Carta enuncia un ulteriore principio che si sostanzia nel
diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva. Tale tutela si fonda sul
principio di leale collaborazione tra le istituzioni europee e gli Stati
membri, i quali devono assicurare l’effettività degli strumenti di tutela
riconosciuti ai singoli. Tra i requisiti del principio della tutela
giurisdizionale effettiva figura il principio del contraddittorio, che deve
essere applicato in ogni procedura che possa sfociare in una decisione che
pregiudichi sensibilmente gli interessi di un soggetto. Altro requisito del
principio in parola è il rispetto del criterio di effettività che soggiace ad
ulteriori principi che regolano l’accesso del singolo ad una tutela
giurisdizione effettiva. Uno di tali principi è quello che statuisce la
possibilità, per il destinatario di un atto potenzialmente lesivo dei proprii
interessi, di beneficiare di un congruo termine per realizzare una difesa
efficace. Infine è necessario che il provvedimento lesivo sia dotato di una
motivazione “rafforzata”. In altri termini per garantire l’effettività del
contraddittorio all’interno del procedimento è necessario statuire un
obbligo di valutazione effettiva delle deduzioni difensive addotte dal
contribuente a carico dell’Amministrazione finanziaria, che dovrà
considerarle nella formazione della decisione sull’an e sul quantum
debeatur, così come dovrà esplicitare le ragioni che inducono a
disattendere le osservazioni del contribuente.
In linea generale occorre considerare un fondamentale elemento: la
proporzione tra gli strumenti accertativi di cui dispone l’Amministrazione
finanziaria e i diritti dei contribuenti. A tal riguardo si potrebbe considerare
38 Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha diritto a un
ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni
persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine
ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di
farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso
il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla
giustizia.
112
di nuovo l’art. 52 della CEDU, il quale introduce il principio di
proporzionalità come garanzia per i diritti e le libertà dei contribuenti, in
quanto deve ispirare l’azione amministrativa nel suo complesso. Da quanto
detto emerge la necessità di configurare un sistema nel quale sia l’attività di
accertamento che quella di difesa debbano essere assicurate, prevedendo
una serie di poteri di deduzione, allegazione e di prova, che sia idonea ad
assicurare l’effettività della tutela. Dato che esiste un forte legame tra le
procedure amministrative e quelle giudiziarie, l’effettiva tutela dei diritti
fondamentali nell’ambito della fase giurisdizionale, non può validamente
sussistere se non si estenda alla precedente fase amministrativa. Nella
stessa prospettiva è previsto dall’art. 47 della CEDU il principio di parità
“delle armi” fra le parti, principio inteso ad assicurare l’equilibrio fra le
parti del processo, garantendo la parità dei loro diritti ed obblighi per
quanto concerne l’amministrazione delle prove e il contraddittorio dinanzi
al giudice, nonché i loro diritti di ricorso. Allo stesso modo il suddetto
articolo esige da parte del giudice, un controllo circa la legittima
assunzione delle prove, e la verifica della eventuale adozione delle stesse
prove in un giudizio operato in altra sede, e nei confronti di altri soggetti. Il
diritto all’equo processo di cui all’art. 47 corrisponde all’art. 6 sempre della
CEDU, da cui deriva che la persona ha diritto di essere tempestivamente
informata della natura e dei motivi dell’accusa, nonché avere il tempo e i
mezzi per poter apprestare la sua difesa, che potrà essere esperita
personalmente o attraverso l’assistenza di un difensore. Il diritto a un
processo equo implica altresì il diritto ad essere processati entro un termine
ragionevole e dinanzi ad un tribunale imparziale, indipendente,
precostituito per legge che emetta decisioni vincolanti.
113
Infine l’art. 47 stabilisce che il diritto di accesso alla giustizia implica la
facoltà dei soggetti di farsi consigliare, difendere, rappresentare. Secondo
la giurisprudenza di Strasburgo, deve essere accordata una assistenza legale
poiché la mancanza di tale assistenza renderebbe inefficace la garanzia di
ricorso effettivo. Si potrebbe ulteriormente affermare che il diritto ad una
tutela giurisdizionale effettiva comprende l’accesso effettivo ad un
tribunale che deve essere: indipendente dal potere esecutivo e legislativo;
imparziale; istituito su base permanente, cioè per legge; competente a
giudicare su questioni di fatto o di diritto; non soggetto a restrizioni nei
confronti di tutti coloro che traggono diritti dal diritto dell’UE, e che
devono avere accesso al tribunale per poter difendere quegli stessi diritti
entro un termine ragionevole; le Autorità devono motivare le loro decisioni
amministrative al fine di consentire alle parti interessate di poter esercitare
il loro diritto di difesa e di consentire al Tribunale competente di verificare
la legittimità di tali decisioni; ai soggetti che non sono in grado di
affrontare il pagamento delle consulenze legali o delle spese giudiziali per
la presentazione della domanda, deve essere concesso il patrocinio a spese
dello Stato se ciò è necessario per un accesso effettivo alla giustizia; il
Tribunale nazionale competente deve avere il potere di imporre sanzioni
efficaci dissuasive e proporzionate per porre fine ad una violazione del
diritto dell’Unione Europea. Il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva
dei diritti dell’UE comporta per i giudici nazionali l’obbligo di
disapplicare, anche d’ufficio, la legge nazionale laddove viola il diritto
europeo.
Per quanto più in particolare riguarda il “giusto processo” nel sistema dei
diritti europeo fondato sulla CEDU, ossia Convenzione (più banalmente
“Carta”) Europea dei Diritti dell’Uomo, si pone il problema
114
dell’applicabilità del principio del “giusto processo” anche all’ambito del
Diritto tributario. Al riguardo la prima disposizione che emerge è quella,
già citata, contenuta nell’art. 6 CEDU, il quale riconosce in capo al
soggetto che eserciti la domanda giudiziale a tutela dei propri diritti e
obbligazioni di carattere civile o per l’accertamento della fondatezza di
ogni accusa penale che venga ad esso rivolta, il diritto ad un processo equo,
pubblico, entro un termine ragionevole e davanti ad un giudice
indipendente ed imparziale costituito per legge. Si deve però trattare di un
processo nel quale siano garantiti alle parti: una effettiva difesa in giudizio,
intesa in senso ampio, ossia comprensiva anche del diritto alla prova;
l’effettività del contraddittorio a condizioni paritarie, in ossequio al
principio della “parità delle armi”, inteso come uguale possibilità di
interloquire sull’oggetto del giudizio e di avere le stesse possibilità
probatorie; indipendenza ed imparzialità del giudice; ragionevole durata del
contenzioso, da valutare considerando la complessità della causa, la
condotta tenuta dalle parti, il comportamento delle pubbliche Autorità
coinvolte. Il diritto di accesso al processo non è tuttavia assoluto e può
essere soggetto a limitazioni, dato che l’esercizio di tale diritto presuppone
una disciplina nazionale. In particolare, come affermato dalla Corte dei
Diritti dell’Uomo, le limitazioni del diritto di accesso al processo possono
derivare da due fattori: il primo consiste nella esclusione della
meritevolezza dell’interesse vantato nell’ordinamento nazionale; il secondo
è rappresentato dalla sussistenza di limiti e preclusioni alla facoltà di adire
l’organo chiamato a pronunciarsi, il quale deve perseguire un fine pubblico
e legittimo e presentare un rapporto di proporzionalità ragionevole tra i
mezzi perseguiti e gli obiettivi da raggiungere.
115
Per tornare al tema della ammissibilità dell’introduzione di un processo
equo anche in materia di diritto tributario, a livello di UE, i presupposti di
tale inclusione esisterebbero oltre che nella Carta, anche in altri strumenti
di diritto internazionale ove è prevista l’estensione di diritti sovranazionali
in una materia come quella tributaria. Chiaramente va considerato
l’orientamento tradizionale della Corte Europea, la quale ritiene che l’art. 6
della Carta non sia applicabile anche ai rapporti tributari, in quanto questi
ultimi rientrerebbero nel potere di imperio degli Stati aderenti al Consiglio
d’Europa ed anche perché sarebbe impossibile ricondurre le controversie
relative all’obbligazione tributaria a quelle attinenti ai diritti e doveri di
carattere civile e penale cui si riferisce ancora l’art. 6. Come già scritto,
l’oggetto dell’art. 6 è costituito dalla garanzia dello svolgimento di un
processo equo nei confronti dei soggetti che vantino una posizione attiva
nei confronti del potere di imperio dello Stato. Ciascuno degli Stati membri
è destinatario di tale obbligazione: ne deriva la necessità per gli Stati di
adoperarsi per strutturare il proprio sistema di amministrazione della
giustizia in modo da consentire il perseguimento delle garanzie apprestate
dalla Carta. Poiché ad oggetto delle norme della Carta, se interpretate in
maniera restrittiva, vi sono soltanto le disposizioni di carattere “civile” o
“penale”, di livello nazionale, e quindi non le norme del settore tributario,
si è ritenuto di non poter far rientrare l’ambito tributario nel disposto della
Convenzione in merito al giusto processo. Tuttavia la Corte ha riconosciuto
che, in taluni casi, ha ammesso la sussumibilità sotto il profilo civile di
alcune controversie a carattere tributario in cui il profilo patrimoniale delle
stesse era molto vicino ad una situazione di diritto privato. Non si
tratterebbe solo del caso in cui la Pubblica Amministrazione agisca “iure
privatorum” ma anche dell’ipotesi in cui la stessa, agendo in base ai poteri
di imperio conferiti dalla legislazione pubblicistica, intervenga con atti e
116
comportamenti in grado di incidere in maniera rilevante su diritti di natura
privata.
Una sentenza rilevante ai fini dell’applicazione delle norme convenzionali
e dell’art. 6 della Carta, è quella resa nel caso “Jussila” 39 , ove la Corte di
39 Autorità: Corte europea diritti dell'uomo sez. grande chambre Data: 23/11/2006 Numero: 73053
Classificazioni: PROCEDIMENTO TRIBUTARIO - In genere Fatto In fatto (sintesi) Il ricorrente è il
signor Esa Jussila, cittadino finlandese residente a Tampere. A seguito della constatazione di alcune
irregolarità nella contabilità dell'impresa diretta dal ricorrente, l'Agenzia delle entrate di Häme notificava
a quest'ultimo una rettifica fiscale. Il signor Jussila adiva il Tribunale amministrativo della contea di
Uusimaa, sollecitando la propria audizione nonché quella dell'ispettrice delle imposte che si era occupata
del suo fascicolo e di un perito di sua scelta. Il Tribunale amministrativo non riteneva necessario
procedere all'udienza, essendo state comunicate dalle parti tutte le informazioni necessarie.
Contestualmente, respingeva il ricorso del signor Jussila, il quale si vedeva altresì rifiutare
l'autorizzazione ad adire la suprema Corte amministrativa. Diritto In diritto I. Sulla pretesa violazione
dell'art. 6, par. 1, della Convenzione 22. Il ricorrente sostiene che la procedura di rettifica fiscale di cui ha
fatto oggetto è stata iniqua, dal momento che le giurisdizioni competenti gli hanno negato la possibilità di
avere un'udienza relativa a questo caso. La Corte prenderà in considerazione la doglianza sotto il profilo
dell'art. 6 della Convenzione, i cui passi pertinenti sono così formulati: «Ogni persona ha diritto a che la
sua causa sia esaminata equamente (...) da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il
quale deciderà (...) della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta». A. Tesi delle parti 1. Tesi
del ricorrente 23. L'interessato contesta le conclusioni del Governo, da cui traspare a suo giudizio
un'interpretazione erronea e ingannevole del diritto interno e della Convenzione. Sostiene che il suo caso
avrebbe dovuto necessariamente portare ad un'udienza, in virtù sia del diritto interno che dell'art. 6 della
Convenzione, dal momento che aveva bisogno di protezione giuridica e che la credibilità delle
dichiarazioni dei testimoni giocava un ruolo importante per l'esito del caso. Precisa che la posta in gioco
nel contenzioso non verteva solo su 380,80 EUR poiché la rettifica incorsa era in totale di 7.374,92 EUR.
Sostiene che la mancanza di un'udienza ha avuto de facto la conseguenza di porre l'onere della prova a
suo carico. Inoltre, insiste sulla gravità della minaccia della sanzione che gravava su di lui e sul fatto che
l'obbligo di pagare imposte non dovute e non basate su alcun fondamento giuridico ha avuto ripercussioni
sulle sue attività professionali. 24. Durante l'udienza davanti alla Corte, il ricorrente ha sottolineato di non
aver «scelto» di sottostare all'obbligo di pagare l'IVA ma che, al contrario, era tenuto ad indirizzare
dichiarazioni dell'IVA all'amministrazione fiscale poiché il fatturato annuo dell'impresa che dirigeva
superava la soglia d'esenzione fissata dalla legge sull'IVA. 2. Tesi del Governo 25. Il Governo sottolinea
che l'obbligo che grava sui privati e sulle imprese di pagare l'imposta ha un carattere fondamentale. A suo
giudizio, l'ambito fiscale costituisce il nocciolo duro delle prerogative del potere pubblico, essendo
predominante il carattere pubblico del rapporto tra il contribuente e l'amministrazione fiscale. Estendere
la portata del risvolto penale dell'art. 6, par. 1, per comprendervi l'imposta potrebbe avere conseguenze
maggiori per la capacità dello Stato di percepire le imposte obbligatorie. 26. Il Governo spiega che, nel
sistema giuridico finlandese, le maggiorazioni fiscali sono disciplinate dal diritto amministrativo. Precisa
che sono comminate non sulla base di norme penali ma in applicazione di diverse disposizioni fiscali,
aggiungendo che le autorità competenti in materia sono gli organi dell'amministrazione fiscale e le
giurisdizioni amministrative, e che la loro disciplina è a tutti gli effetti diversa da quella delle sanzioni
giudiziarie. A suo giudizio, la maggiorazione contestata era stata imposta in virtù di una disposizione che
riguardava un determinato gruppo di individui aventi una condizione particolare, vale a dire i contribuenti
soggetti all'IVA e registrati come tali. Non sarebbe dunque fondata su una norma di carattere generale. Le
maggiorazioni avrebbero come obiettivo principale quello di proteggere gli interessi fiscali dello Stato, di
fare pressione sui contribuenti ai fini di sollecitarli a rispettare i loro obblighi giuridici, di sanzionare le
violazioni di tali obblighi e di prevenire la reiterazione delle condotte incriminate. Tuttavia, questo
aspetto non sarebbe decisivo. Occorre infatti constatare che la severità della sanzione imposta
all'interessato non raggiunge il livello elevato di gravità di quella che è stata inflitta al ricorrente nel caso
Bendenoun (sentenza 24 febbraio 1994, serie A n. 284). La maggiorazione contestata non potrebbe essere
117
commutata in pena detentiva e la somma pretesa nella fattispecie sarebbe bassa (rappresenterebbe il 10%
delle tasse di cui l'interessato era debitore, ossia 308,80 EUR, raggiungendo il limite massimo del 20%
delle tasse in questione la maggiorazione massima incorsa). 27. Il Governo sostiene che, quand'anche
l'art. 6 fosse applicabile alla fattispecie, non verrebbe meno il fatto che l'obbligo di tenere un'udienza,
previsto dal primo paragrafo di questa disposizione, non è assoluto. Un'udienza potrebbe rivelarsi
superflua in considerazione delle circostanze eccezionali proprie del caso, per esempio quando questo non
sollevi nessuna questione di fatto o di diritto che possa risolversi in modo adeguato sulla base del
fascicolo e delle osservazioni scritte delle parti. Oltre alla regola della pubblicità del procedimento, vi
sarebbero altre considerazioni, tra cui il diritto ad un giudicato entro un termine ragionevole e la
conseguente necessità di una trattazione rapida dei casi iscritti al ruolo delle giurisdizioni competenti, da
prendere in considerazione per determinare se un dibattimento pubblico corrisponde ad un bisogno dopo
la procedura di prima istanza. 28. Il Governo sostiene che il ricorrente aveva sollecitato un'udienza per
poter contestare l'affidabilità e l'esattezza del rapporto d'ispezione fiscale, interrogando l'ispettrice
incaricata del suo fascicolo e l'esperto designato in questo caso. Osserva che il Tribunale amministrativo
aveva invitato l'ispettrice a comunicargli osservazioni scritte che avrebbero dovuto essere seguite da un
rapporto redatto da un esperto scelto dall'interessato. Sostiene che un'udienza sarebbe stata
manifestamente superflua dal momento che le informazioni fornite dal ricorrente stesso costituivano una
base sufficiente per l'esame dei fatti del caso di specie. A suo giudizio, le questioni contestate avevano un
carattere tecnico marcato poiché si fondavano sul rapporto di ispezione fiscale e una tale controversia si
prestava meglio ad un esame scritto piuttosto che ad uno orale. Nulla indicava che vi fosse una questione
di fatto o di diritto che non potesse essere adeguatamente risolta sulla base del fascicolo e delle
osservazioni scritte dell'interessato, dell'ispettrice e dell'esperto. L'audizione dell'ispettrice e dell'esperto,
richiesta dal ricorrente, non avrebbe potuto apportare alcuna informazione supplementare. Inoltre,
l'interessato avrebbe avuto la possibilità di presentare per iscritto ogni osservazione che ritenesse
determinante per l'esito del procedimento o di commentare in qualsiasi momento dello stesso le
informazioni che le autorità fiscali avrebbero potuto offrire. Avrebbe altresì potuto esercitare un ricorso
davanti al Tribunale amministrativo regionale e alla Corte amministrativa suprema, che avevano piena
giurisdizione per pronunciarsi in merito al caso e la competenza per annullare le decisioni delle autorità
fiscali. Si dovrebbe concludere che le circostanze della fattispecie permettevano alle autorità di astenersi
dal tenere un'udienza. B. Valutazione della Corte 1. Sull'applicabilità dell'art. 6 29. Il presente caso attiene
ad un procedimento al termine del quale il ricorrente si è visto comminare una rettifica fiscale a titolo di
IVA e una maggiorazione d'imposta pari al 10 % delle tasse di cui fu giudicato debitore, in
considerazione di errori che avrebbe commesso nelle sue dichiarazioni fiscali. Non essendo applicabile
l'art. 6, sotto il profilo civile, alla determinazione dell'imposizione e alla maggiorazione d'imposta (v. la
sentenza Ferrazzini c. Italia, GC, ricorso n. 44759/98, par. 29), la questione che si pone nella fattispecie è
se il contenzioso sia di natura «penale» nel significato autonomo dell'art. 6 e se, a questo titolo, sia idoneo
a determinare l'applicazione delle garanzie previste dal profilo penale di questa disposizione. 30. Secondo
la giurisprudenza costante della Corte, l'applicabilità dell'art. 6 sotto il suo profilo penale deve essere
valutata sulla base di tre elementi. Questi, che sono talvolta definiti «criteri Engel», sono stati confermati
da ultimo dalla Grande Camera nella sentenza resa nel caso Ezeh e Connors c. Regno Unito (GC, ricorsi
n. 39665/98 e 40086/98, par. 82): «82. (...) Occorre anzitutto sapere se il o i testi che definiscono
l'infrazione incriminata appartengono, secondo la tecnica giuridica dello Stato convenuto, al diritto
penale, al diritto disciplinare o ad entrambi. Si tratta tuttavia di un semplice punto di partenza.
L'indicazione che fornisce ha solo un valore formale e relativo; occorre esaminarli alla luce del
denominatore comune alle rispettive legislazioni dei diversi Stati contraenti. La natura stessa
dell'infrazione rappresenta un elemento di valutazione di maggior peso. (...) Il controllo della Corte non si
esaurisce in ciò. In generale, sarebbe illusorio se non prendesse anche in considerazione il grado di
severità della sanzione che l'interessato rischia di subire (...)» 31. Il secondo e terzo criterio sono
alternativi e non necessariamente cumulativi. Affinché sia applicabile l'art. 6, è sufficiente che la
violazione in causa sia di natura penale o abbia esposto l'interessato ad una sanzione che, per la sua natura
e il suo livello di gravità, sia riconducibile in generale alla materia penale (v. la già citata sentenza Ezeh e
Connors, par. 86). La debolezza relativa della posta in gioco non fa venire meno l'intrinseco carattere
penale dell'infrazione (v. la sentenza 21 febbraio 1984 nel caso Öztürk c. Germania, serie A n. 73, par. 54,
e la sentenza 25 agosto 1987 nel caso Lutz c. Germania, serie A n. 123, par. 55). Ciò non impedisce
l'adozione di un approccio cumulativo se l'analisi distinta di ciascun criterio non permette di giungere ad
una conclusione chiara in merito all'esistenza di un'accusa in materia penale (v. la già citata sentenza Ezeh
e Connors, par. 86, che si riferisce in particolare alla già citata sentenza Bendenoun c. Francia, par. 47).
118
32. La Corte ha valutato se poteva basarsi su elementi della propria giurisprudenza per applicare un altro
metodo in materia fiscale. Ricorda che, nella sentenza Bendenoun c. Francia (cit.), in cui erano in causa
ammende fiscali e maggiorazioni d'imposta per frode fiscale inflitte rispettivamente alla società diretta dal
ricorrente (a titolo di IVA e di imposta sulle società) e a quest'ultimo (a titolo di imposta sul reddito), non
ha fatto esplicito riferimento alla sentenza Engel e ha citato i quattro elementi che riteneva pertinenti in
quel caso per risolvere la questione circa l'applicabilità dell'art. 6, rilevando che la legge che prevedeva le
sanzioni riguardava tutti i cittadini nella loro qualità di contribuenti, che le maggiorazioni fiscali non
erano dirette ad una riparazione pecuniaria di un pregiudizio ma miravano essenzialmente a punire per
impedire la reiterazione delle condotte incriminate, che esse erano basate su una norma di carattere
generale il cui scopo era, al tempo stesso, preventivo e repressivo e che le somme pretese a questo titolo
erano di un ammontare considerevole (422.534 franchi francesi (FRF) per il ricorrente, vale a dire 64.415
EUR, e 570.398 FRF per la società, ossia 86.957 EUR). Tuttavia, nel contesto di questo caso, gli elementi
in questione potevano essere considerati come parte di quelli che la Corte ha ritenuto per pronunciarsi in
merito all'applicazione del secondo e terzo criterio Engel ai fatti in causa, poiché nulla indica che essa
abbia inteso allontanarsi dalla sua giurisprudenza anteriore o porre principi diversi in materia fiscale.
Occorre poi sottolineare che, nella sentenza Bendenoun, la Corte ha ritenuto che nessuno di questi
elementi apparisse di per sé decisivo e che ha optato per un approccio cumulativo che l'ha indotta a
concludere per l'applicabilità del profilo penale dell'art. 6. 33. Nella sentenza che ha reso nel caso
Janosevic c. Svezia (ricorso n. 34619/97), alla luce dei criteri Engel prima ricordati, la Corte non ha citato
la sentenza Bendenoun e non ha seguito il particolare approccio che aveva adottato allora. La
constatazione della gravità della sanzione incorsa e di quella che fu effettivamente inflitta al signor
Janosevic (che consisteva in una maggiorazione il cui ammontare non raggiungeva il limite massimo e
che fu fissato in 161.261 corone svedesi, ossia 17.284 EUR), ha costituito un motivo supplementare e
distinto tale da attribuire all'infrazione il carattere penale che le aveva già riconosciuto esaminandone la
natura (v. la sentenza Janosevic, cit., par. 68-69, e la sentenza 23 luglio 2002 nel caso Vastberga Taxi
Aktiebolag e Vulic c. Svezia, ricorso n. 36985/97, che la Corte ha adottato nello stesso periodo seguendo
un ragionamento analogo). 34. In compenso, nella decisione sul caso Morel c. Francia (ricorso n.
54559/00, di cui ha avuto notizia in seguito), la Corte ha ritenuto che l'art. 6 non si applicasse ad una
maggiorazione d'imposta del 10% (corrispondente a 4.450 franchi, ossia 678 EUR), che fosse di
«importanza minima» e fosse quindi «lontana dal ricoprire l'ampiezza considerevole» necessaria per
considerare il carattere penale del caso. La decisione in questione, in cui la Corte ha applicato i criteri
Bendenoun piuttosto che i criteri Engel, riconosce un peso preminente al livello di gravità della sanzione
− a scapito degli altri elementi considerati nella decisione Bendenoun, in particolare quello relativo alla
natura della violazione (e allo scopo della sanzione) − e non fa alcun riferimento alla sentenza Janosevic,
più recente. In essa, sembrava essere più in sintonia con l'approccio della Commissione che, nel caso
Bendenoun c. Francia (ricorso n. 12547/86, rapporto del 10 dicembre 1992), si era basata essenzialmente
sul grado di severità della sanzione per pronunciarsi a favore dell'applicabilità dell'art. 6 mentre la Corte,
nello stesso caso, ha scelto di bilanciare tutti gli aspetti del contenzioso secondo un approccio
strettamente cumulativo. Il caso Morel, in cui la Corte si è basata sul carattere veniale della sanzione per
concludere che il contenzioso non rientrava nel contesto dell'art. 6, anche quando le altre condizioni
richieste per l'applicazione di tale disposizione (generalità della norma, sanzione priva di carattere
indennitario che perseguisse uno scopo preventivo e repressivo) erano incontestabilmente presenti,
costituisce un'eccezione tra i casi pubblicati. 35. La Grande Camera condivide l'impostazione adottata
dalla Camera che aveva reso, nel caso Janosevic, una sentenza di merito dopo aver proceduto ad
un'analisi minuziosa degli aspetti del contenzioso e aveva ascoltato le spiegazioni rese dalle parti (il caso
Morel aveva determinato una decisione di irricevibilità). Non esiste dunque, nella giurisprudenza della
Corte, alcun precedente che consenta di sostenere che la tenuità della sanzione costituisce, in materia
fiscale o in altra materia, un fattore decisivo per escludere dall'ambito di applicazione dell'art. 6 una
violazione che rivesta peraltro un carattere penale. 36. Inoltre, la Corte non è convinta della tesi secondo
la quale i procedimenti di rettifica fiscale, in considerazione della loro stessa natura, devono o dovrebbero
sfuggire alla protezione dell'art. 6. Le argomentazioni che sono state invocate a sostegno di una tale teoria
in materia di disciplina penitenziaria e di violazioni lievi delle norme del codice della strada sono state
respinte dalla Corte (v. tra le altre, le già citate sentenze Ezeh e Connors e Öztürk). Se la Corte non dubita
dell'importanza delle imposte per il buon funzionamento dello Stato, non è convinta del fatto che
bisognerebbe non riconoscere alle sanzioni fiscali le garanzie processuali contenute nell'art. 6 per
preservare l'efficacia del sistema fiscale né, del resto, che tale impostazione si possa conciliare con lo
spirito e lo scopo della Convenzione. Di conseguenza, la Corte applicherà nella fattispecie i criteri Engel
119
ricordati sopra. 37. Per quanto riguarda il primo di questi criteri, sembra che la maggiorazione d'imposta
inflitta all'interessato non attenesse al diritto penale ma riguardasse la legislazione fiscale. Tuttavia, una
tale considerazione non è decisiva. 38. Il secondo criterio, che riguarda la natura dell'infrazione, è il più
importante. La Corte osserva che, al pari di quelle inflitte nei casi Janosevic e Bendenoun, le
maggiorazioni fiscali applicate nella fattispecie possono essere considerate fondate su disposizioni
giuridiche generali applicabili all'insieme dei contribuenti. Non è convinta dall'argomentazione del
Governo secondo cui l'IVA si applica solo ad un gruppo determinato di persone aventi uno status
particolare poiché nella fattispecie, come avveniva nei casi sopra evocati, il ricorrente era soggetto a tale
imposta in quanto contribuente. Il fatto che l'interessato abbia scelto di sottoporre la sua attività
professionale al regime dell'IVA non modifica la sua situazione in proposito. Inoltre, come ha ammesso il
Governo, le maggiorazioni fiscali non miravano alla riparazione pecuniaria di un pregiudizio ma erano
dirette essenzialmente a punire per impedire la reiterazione delle condotte incriminate. Si può pertanto
concludere che le maggiorazioni comminate erano basate su norme che perseguivano uno scopo sia
preventivo che repressivo. Questa considerazione basta di per sé sola a conferire all'infrazione inflitta un
carattere penale. La tenuità della sanzione contestata distingue la presente fattispecie dai casi Janosevic e
Bendenoun per quanto concerne il terzo criterio Engel ma non determina l'esclusione dall'ambito di
applicazione dell'art. 6. Tale disposizione si applica dunque sotto il suo profilo penale nonostante la
modicità della somma pretesa a titolo di maggiorazione fiscale. 39. La Corte deve pertanto valutare,
tenendo debitamente conto delle circostanze del caso, soprattutto gli elementi pertinenti del quadro fiscale
nel quale si iscrive, se la procedura di rettifica fiscale di cui il ricorrente è stato oggetto fosse conforme ai
requisiti dell'art. 6. 2. Rispetto dell'art. 6 40. Lo svolgimento di un'udienza pubblica costituisce un
principio fondamentale consacrato dall'art. 6, par. 1. Questo principio ricopre un'importanza peculiare in
materia penale, in cui deve esservi generalmente un tribunale di prima istanza pienamente conforme ai
requisiti dell'art. 6 (v. la sentenza 25 febbraio 1997 nel caso Findlay c. Regno Unito, par. 79) e in cui
colui che è sottoposto a giudizio deve poter legittimamente pretendere di essere sentito e di beneficiare
soprattutto della possibilità di esporre oralmente i suoi mezzi di difesa, di ascoltare le deposizioni a
carico, d'interrogare e controinterrogare i testimoni. 41. Dato ciò, l'obbligo di tenere un'udienza pubblica
non è assoluto (v. la sentenza 21 febbraio 1990 nel caso Håkansson e Sturesson c. Svezia, serie A n. 171
A, par. 66). L';art. 6 non esige necessariamente la tenuta di un'udienza in ogni procedimento. In
particolare, ciò vale per i casi che non sollevano questioni di credibilità o che non suscitano controversie
in merito ai fatti che avrebbero richiesto un'udienza e per i quali i tribunali possono pronunciarsi in modo
equo e ragionevole sulla base delle conclusioni presentate dalle parti e di altri documenti (v., per esempio,
la sentenza 12 novembre 2002 nel caso Döry c. Svezia, ricorso n. 28394/95, par. 37; la decisione 25
novembre 2003 nel caso Pursiheimo c. Finlandia, ricorso n. 57795/00, da confrontare con la sentenza 12
novembre 2002 nel caso Lundevall c. Svezia, ricorso n. 38629/97, par. 39; la sentenza 12 novembre 2002
nel caso Salomonsson c. Svezia, ricorso n. 38978/97, par. 39; v. altresì la sentenza Göç c. Turchia, GC,
ricorso n. 36590/97, par. 51, in cui la Corte ha ritenuto che il ricorrente avrebbe dovuto avere la
possibilità di spiegare oralmente i pregiudizi che aveva subito poiché essi erano pertinenti per la
determinazione dell'ammontare dell'indennità da accordare). 42. Del resto, la Corte riconosce che le
autorità nazionali possono tenere conto di imperativi di efficacia e di economia, ritenendo per esempio
che l'organizzazione sistematica di dibattimenti possa costituire un ostacolo alla particolare diligenza
richiesta in materia di sicurezza sociale e, al limite, impedire il rispetto del termine ragionevole previsto
dall'art. 6, par. 1 (v. la sentenza 24 giugno 1993 nel caso Schuler - Zgraggen c. Svizzera, serie A n. 263,
par. 58, e i casi a cui fa riferimento). Se, in un primo momento, in più casi la Corte ha sottolineato che in
un procedimento che si svolge davanti ad un tribunale che decide in prima ed ultima istanza, un'udienza
deve avere luogo a meno che circostanze eccezionali giustifichino il contrario (v., tra altre, la già citata
sentenza Håkansson e Sturesson c. Svezia, par. 64, la sentenza 23 febbraio 1994 nel caso Fredin c. Svezia,
n. 2, serie A n. 283 A, par. 21-22, e la sentenza 19 febbraio 1998 nel caso Allan Jacobsson c. Svezia, n. 2,
par. 46), ha poi precisato che l'esistenza di tali circostanze dipende essenzialmente dalla natura delle
questioni di cui i tribunali interni sono investiti e non dalla frequenza dei contenziosi in cui queste ultime
si pongono. Ciò non significa che il rigetto di una domanda diretta ad ottenere un'udienza possa
giustificarsi solo in rare occasioni (v. la sentenza 8 febbraio 2005 nel caso Miller c. Svezia, ricorso n.
55853/00, par. 29). Occorre, come in ogni altro ambito, prendere in considerazione anzitutto il principio
di equità consacrato dall'art. 6, la cui importanza è fondamentale (v., mutatis mutandis, la sentenza
Pélissier e Sassi c. Francia, GC, ricorso n. 25444/94, par. 52, e la sentenza Sejdovic c. Italia, GC, ricorso
n. 56581/00, par. 90). 43. Se è vero che i casi sopra evocati, per i quali la tenuta di un'udienza non è stata
giudicata necessaria, si riferiscono a procedimenti rilevanti sotto il profilo civile dell'art. 6, par. 1, e che i
120
requisiti dell'equo processo sono più rigorosi in materia penale, la Corte non esclude che, nel contesto di
alcuni procedimenti penali, i tribunali aditi possono, in considerazione della natura delle questioni che si
pongono, astenersi dal tenere un'udienza. Se occorre prendere in considerazione il principio secondo cui i
procedimenti penali, che hanno per oggetto la determinazione della responsabilità penale e l'imposizione
di misure di carattere repressivo e dissuasivo, rivestono una certa gravità, va da sé che alcune di esse non
comportano carattere infamante per ciò a cui mirano e per il fatto che le «accuse in materia penale» non
hanno tutte lo stesso peso. Per di più, adottando un'interpretazione autonoma della nozione di «accusa in
materia penale» attraverso l'applicazione dei criteri Engel, gli organi della Convenzione hanno gettato le
basi per un'estensione progressiva dell'applicazione del profilo penale dell'art. 6 ad ambiti che non
rientrano formalmente nelle categorie tradizionali del diritto penale, quali le contravvenzioni
amministrative (v. la già citata sentenza Öztürk c. Germania), le punizioni per inosservanza della
disciplina penitenziaria (v. la sentenza 28 giugno 1984 nel caso Campbell e Fell c. Regno Unito, serie A
n. 80), le infrazioni doganali (v. la sentenza 7 ottobre 1988 nel caso Salabiaku c. Francia, serie A n. 141-
A), le sanzioni pecuniarie inflitte a fronte della violazione del diritto alla concorrenza (v. la sentenza del
27 febbraio 1992 nel caso Società Stenuit c. Francia, serie A n. 232 A) e le ammende comminate da
giurisdizioni finanziarie (v. la sentenza Guisset c. Francia, ricorso n. 33933/96). Poiché le maggiorazioni
fiscali non fanno parte del nocciolo duro del diritto penale, le garanzie offerte dal profilo penale dell'art. 6
non devono necessariamente essere applicate in tutto il loro rigore (v. le sentenze Bendenoun e Janosevic,
rispettivamente par. 46 e 81, in cui la Corte ha ritenuto che autorità amministrative o organi non giudiziari
che decidono in prima istanza potevano infliggere sanzioni penali senza violare l'art. 6, par. 1, e a
contrario la già citata sentenza Findlay c. Regno Unito). 44. Si deve anche precisare che la considerevole
importanza che la posta in gioco del procedimento in contestazione può avere per la situazione personale
di un ricorrente − come avviene talvolta in materia di assicurazioni e pensione − non è decisiva per la
questione se un'udienza sia necessaria (v. la decisione 16 maggio 2006 nel caso Pirinen c. Finlandia,
ricorso n. 32447/02). 45. Se la Corte ha ritenuto che i requisiti dell' art. 6, par. 1, della Convenzione si
estendono ai contenziosi relativi a penalità fiscali, ha escluso dal campo di applicazione di tale
disposizione le controversie relative all'imposizione propriamente detta (v. la già citata sentenza
Ferrazzini c. Italia, GC). Tuttavia, non è raro che questi due elementi si trovino combinati in una stessa
istanza ed è perciò impossibile distinguere le fasi di una procedura che riguardano una «accusa in materia
penale» da quelle che hanno un altro oggetto. Nella misura in cui il contenzioso ha per oggetto una
«accusa in materia penale» rivolta al ricorrente, la Corte deve procedere al suo esame, anche se ciò la
porterà inevitabilmente a rivolgere la propria attenzione poco o tanto sul modo in cui l'imposizione stessa
è stata valutata (v. la decisione 16 maggio 2000 nel caso Georgiou c. Regno Unito, ricorso n. 40042/98, e
la decisione 21 giugno 2005 nel caso Sträg Datatjänster AB c. Svezia, ricorso n. 50664/99). 46. Nella
fattispecie, il ricorrente aveva chiesto che si tenesse un'udienza per poter contestare l'affidabilità e
l'esattezza del rapporto di accertamento interrogando l'ispettrice incaricata del suo fascicolo e avvalendosi
della testimonianza di un esperto di propria scelta. Riteneva infatti che l'ispettrice avesse erroneamente
interpretato le disposizioni pertinenti della legge applicabile e che avesse fatto un resoconto inesatto della
sua situazione finanziaria. Risulta dunque che i motivi per i quali l'interessato sollecitava l'udienza fossero
in gran parte legati alla contestazione della fondatezza della valutazione dell'imposta di cui lo si
considerava debitore − che sfugge di per sé all'ambito di applicazione dell'art. 6 − anche se si poneva pure
la questione se la contabilità della sua impresa presentasse irregolarità di una gravità tale da giustificare la
maggiorazione fiscale che gli era stata inflitta. Il Tribunale amministrativo, che aveva invitato l'ispettrice
a comunicargli osservazioni scritte che dovevano essere seguite da un rapporto redatto da un esperto
scelto dal ricorrente, aveva ritenuto che, viste le circostanze del caso, la tenuta di un'udienza sarebbe stata
manifestamente superflua poiché le informazioni fornite dall'interessato stesso costituivano una base
sufficiente per l'esame dei fatti del caso di specie. 47. La Corte non dubita che una procedura scritta possa
spesso rilevarsi più efficace di una procedura orale per verificare l'esattezza delle dichiarazioni di
situazioni patrimoniali fatte dai contribuenti, così come l'esistenza e la regolarità dei giustificativi
prodotti. Non è convinta della tesi del ricorrente, secondo cui si ponevano nella fattispecie questioni di
credibilità che richiedevano un dibattimento sugli elementi di prova o un'audizione in contraddittorio dei
testimoni e giudica pertinente l'argomentazione del Governo, secondo cui tutti gli elementi di fatto e di
diritto relativi a questo caso potevano essere esaminati e risolti in modo adeguato sulla base delle
osservazioni scritte delle parti. 48. La Corte rileva, inoltre, che l'interessato non si è visto rifiutare la
possibilità di sollecitare la tenuta di un'udienza, anche se competeva ai tribunali pronunciarsi sulla
questione di sapere se tale misura fosse necessaria (v., mutatis mutandis, la sentenza 12 aprile 2006 nel
caso Martinie c. Francia, GC, ricorso n. 58675/00, par. 44) e che il Tribunale amministrativo ha motivato
121
Strasburgo lamentava una violazione del diritto al contraddittorio. In essa
sentenza i giudici della Corte confermano che il diritto tributario non è
tutelato dal principio dal principio di “giusto processo”, poiché la materia
tributaria costituisce il nocciolo duro delle prerogative statali e non può
pertanto assumere carattere sovranazionale. Nonostante tale pronuncia
della Corte sia ostile alle ragioni del contribuente e quindi alla dimensione
sovranazionale che assumerebbe il diritto tributario, ancora la Corte ha
espressamente sancito l’applicabilità dell’art. 6 ai casi in cui il processo
tributario verta non solo sul recupero di imposta, ma anche sull’irrogazione
70
6 Ai sensi dell’articolo 120 di tale legge:
«Nella misura in cui il soggetto passivo – che agisce in quanto tale – utilizzi, o impieghi in altro
modo, prodotti e servizi per eseguire cessioni di beni o prestazioni di servizi soggette ad imposta,
avrà diritto a detrarre dall’imposta di cui è debitore:
a) l’imposta addebitatagli da altro soggetto passivo – compresi le persone o gli organismi
assoggettati ad imposta sulle società semplificata – in occasione dell’acquisto di beni o
della fruizione di servizi;
(…)».
7 L’articolo 1, paragrafo 3a, dell’adózás rendjéről szóló 2003. évi XCII. törvény (legge generale sui
tributi n. XCII del 2003: in prosieguo: la «legge generale sui tributi») così recita:
«Nell’ambito di un controllo delle parti di un rapporto giuridico (contratto, operazione) riguardante
l’obbligazione tributaria, l’amministrazione finanziaria non può qualificare un medesimo rapporto
giuridico oggetto del controllo, e che è già stato qualificato, in modo diverso per ciascun soggetto
passivo, e applica d’ufficio le constatazioni effettuate presso una delle parti del predetto rapporto
giuridico in caso di controllo presso tutte le altre parti del predetto rapporto».
8 A norma dell’articolo 12, paragrafi 1 e 3, della legge generale sui tributi, il soggetto passivo, come
ogni persona tenuta al pagamento dell’imposta ai sensi dell’articolo 35, paragrafi 2 e 7, ha il diritto
di controllare i documenti relativi all’imposizione. Può consultare, fare o richiedere copie di tutti i
documenti necessari per l’esercizio dei suoi diritti e per l’adempimento dei suoi obblighi. Tuttavia,
il soggetto passivo non può consultare, in particolare, parti di un documento che contengono
informazioni relative ad un’altra persona e la cui divulgazione violerebbe una disposizione in
materia di segreto fiscale.
9 L’articolo 97, paragrafi 4 e 5, di tale legge così dispone:
«4. Durante il controllo, l’amministrazione finanziaria ha l’obbligo di accertare e dimostrare i
fatti, tranne nel caso in cui, in forza di una legge, l’onere della prova incomba sul contribuente.
5. Saranno ritenuti mezzi di prova e prove ammissibili, in particolare, (…) le constatazioni
risultanti dai controlli connessi che sono stati disposti (…)».
10 Ai sensi dell’articolo 100, paragrafo 4, del suddetto codice:
«Se l’amministrazione finanziaria comprova le conclusioni di un’indagine mediante i risultati di
un controllo connesso effettuato presso un altro soggetto passivo, o mediante dati e prove ottenuti
in quella sede, il soggetto passivo riceve una comunicazione dettagliata relativa alla parte che lo
riguarda del verbale e della decisione pertinenti, e dei dati e delle prove raccolte in occasione del
controllo stesso».
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
11 La Glencore è una società avente sede in Ungheria, la cui principale attività consiste nel
commercio all’ingrosso di cereali, semi oleaginosi e mangimi per animali, nonché di materie
prime.
12 A seguito di controlli relativi, da un lato, a tutte le imposte e alle sovvenzioni per gli esercizi 2010
e 2011, ad eccezione dell’IVA dei mesi di settembre e di ottobre 2011, e, dall’altro, all’IVA del
mese di ottobre 2011, l’amministrazione finanziaria ha adottato due decisioni, la prima delle quali
71
imponeva in particolare alla Glencore di versare la somma di 1 951 418 000 fiorini ungheresi
(HUF) (circa EUR 6 000 000) a titolo dell’IVA nonché una sanzione e interessi di mora, mentre la
seconda le ingiungeva di pagare un supplemento d’IVA di importo pari a HUF 130 171 000 (circa
EUR 400 000).
13 In tali decisioni, l’amministrazione finanziaria ha ritenuto che la Glencore avesse illegittimamente
detratto l’IVA in quanto sapeva o avrebbe dovuto sapere che le operazioni che essa ha effettuato
con i suoi fornitori si iscrivevano in una frode relativa all’IVA. Essa si è basata su constatazioni
effettuate presso tali fornitori considerando tale frode come un fatto accertato.
14 Dopo il rigetto del suo ricorso amministrativo proposto avverso tali due decisioni, la Glencore ha
proposto un ricorso di annullamento dinanzi al Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság
(Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest, Ungheria), giudice del rinvio.
15 A sostegno di tale ricorso, la Glencore sostiene in particolare che l’amministrazione finanziaria ha
violato il diritto a un processo equo garantito dall’articolo 47 della Carta nonché i requisiti che tale
diritto implica e ha violato, in particolare, il principio della parità delle armi. Tale amministrazione
ha inoltre, a suo avviso, violato il principio del rispetto dei diritti della difesa ad un duplice titolo.
Da un lato, solamente detta amministrazione avrebbe avuto accesso all’intero fascicolo relativo ad
un procedimento penale in cui erano implicati taluni fornitori, in cui la Glencore non era parte e
nel quale essa non poteva quindi avvalersi di alcun diritto, ed elementi di prova sarebbero stati così
raccolti e utilizzati contro di essa. D’altro lato, tale medesima amministrazione non avrebbe messo
a sua disposizione né il fascicolo relativo ai controlli effettuati presso tali fornitori, in particolare i
documenti sui quali si fondano le constatazioni da essa operate, né il suo verbale, né le decisioni
amministrative da essa adottate, limitandosi a comunicargliene solo una parte, da essa selezionata
secondo i propri criteri.
16 L’amministrazione finanziaria sostiene che, sebbene la Glencore non possa disporre dei diritti
connessi alla qualità di parte in un procedimento tributario riguardante un altro soggetto passivo, i
diritti della difesa non sono stati violati per questo, poiché essa ha potuto esaminare, nell’ambito
del procedimento che la riguarda, gli scritti e le dichiarazioni provenienti da procedimenti connessi
e versati agli atti, e contestarne il valore probatorio esercitando il suo diritto di ricorso.
17 Il giudice del rinvio rileva che il diritto alla detrazione dell’IVA costituisce un principio
fondamentale del sistema comune dell’IVA e che, in linea di principio, non si può negare qualora
le condizioni sostanziali richieste siano soddisfatte. Orbene, la prassi dell’amministrazione
finanziaria attuata nel procedimento principale, fondata in particolare su un’interpretazione
dell’articolo 1, paragrafo 3a, della legge generale sui tributi, secondo la quale tale amministrazione
è vincolata alle constatazioni contenute nelle decisioni da essa adottate in esito a controlli effettuati
presso i fornitori del soggetto passivo e aventi carattere definitivo, avrebbe portato a negare alla
Glencore tale diritto a detrazione.
18 Tale giudice osserva che l’articolo 1, paragrafo 3a, della legge generale sui tributi ha lo scopo di
garantire la certezza del diritto imponendo che si traggano da un’unica operazione le stesse
conclusioni. Si pone tuttavia, a suo avviso, la questione se tale obiettivo giustifichi una prassi,
come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in base alla quale l’amministrazione fiscale
si svincola dall’onere della prova gravante su di essa, prendendo in considerazione, d’ufficio,
constatazioni effettuate nell’ambito di un procedimento anteriore, nel quale il soggetto passivo non
aveva la qualità di parte né poteva quindi esercitare i diritti connessi a tale qualità e lo stesso ha
preso conoscenza delle decisioni adottate al termine di tali procedure e divenute definitive solo
nell’ambito dei controlli ai quali è stato assoggettato.
19 Detto giudice aggiunge che la Glencore ha ricevuto soltanto una comunicazione parziale di tali
decisioni e dei documenti sui quali sono fondate, dato che l’amministrazione finanziaria si è
72
limitata ad indicare, nel suo verbale, ciascuna delle constatazioni contenute nelle suddette
decisioni, senza produrre queste ultime né tantomeno i documenti su cui si fondano.
20 Il giudice del rinvio si interroga sulla conformità di una siffatta prassi con il principio del rispetto
dei diritti della difesa nonché con il diritto a un processo equo sancito dall’articolo 47 della Carta,
tenuto conto dei limiti del controllo giurisdizionale che esso può operare, non essendo competente
ad esaminare la legittimità delle decisioni adottate in esito a controlli che hanno riguardato altri
soggetti passivi e, in particolare, a verificare se le prove sulle quali tali decisioni si fondano siano
state legittimamente acquisite. Facendo riferimento alla sentenza del 17 dicembre 2015,
WebMindLicenses (C419/14, EU:C:2015:832), esso chiede se i requisiti di un processo equo
richiedano che il giudice investito di un ricorso avverso la decisione dell’amministrazione
finanziaria che procede alla rettifica fiscale sia legittimato a controllare che le prove provenienti da
un procedimento amministrativo connesso siano state ottenute conformemente ai diritti garantiti
dal diritto dell’Unione e che le constatazioni basate su queste ultime non violino tali diritti.
21 In tali circostanze, il Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi bíróság (Tribunale amministrativo e
del lavoro di Budapest) ha deciso di sospendere la decisione e di sottoporre alla Corte le seguenti
questioni pregiudiziali:
«1) Se le disposizioni della direttiva IVA, nonché, in quanto ad esse pertinente, il principio
fondamentale del rispetto dei diritti della difesa e l’articolo 47 della [Carta], debbano essere
interpretati nel senso che ostano ad una normativa di uno Stato membro e a una prassi
nazionale che si basa su detta normativa ai sensi delle quali le constatazioni, nel contesto
del controllo delle parti del rapporto giuridico (contratto, operazione) relativamente
all’obbligazione tributaria, effettuate dall’amministrazione finanziaria in esito a un
procedimento avviato nei confronti di una delle parti del predetto rapporto giuridico
(l’emittente delle fatture nel giudizio principale) e che comportano una riqualificazione del
rapporto giuridico, devono essere prese in considerazione dall’amministrazione finanziaria
in occasione del controllo nei confronti di un’altra parte del rapporto giuridico (il
destinatario delle fatture nel giudizio principale), fermo restando che l’altra parte del
rapporto giuridico non gode di alcun diritto, in particolare di diritti connessi alla qualità di
parte, nel procedimento originario di controllo.
2) In caso di risposta negativa alla prima questione, se le disposizioni della direttiva IVA,
nonché, in quanto ad esse pertinente, il principio fondamentale del rispetto dei diritti della
difesa e l’articolo 47 della [Carta], ostino ad una prassi nazionale che consente una
procedura come quella di cui alla prima questione tale che l’altra parte del rapporto
giuridico (il destinatario delle fatture), non gode, nel procedimento originario di controllo,
dei diritti connessi alla qualità di parte, e non può quindi nemmeno esercitare il diritto di
ricorso nel contesto di un procedimento di controllo le cui constatazioni devono essere
prese in considerazione d’ufficio dall’amministrazione finanziaria nel procedimento di
controllo riguardante l’obbligazione tributaria dell’altra parte e possono essere imputate a
carico di quest’ultima, tenuto presente che l’amministrazione finanziaria non mette a
disposizione dell’altra parte il fascicolo relativo al controllo effettuato nei confronti della
prima parte del rapporto giuridico (l’emittente delle fatture), e in particolare gli elementi su
cui si fondano le constatazioni, i verbali e le decisioni amministrative, ma gliene comunica
soltanto una parte, per estratto, di modo che l’amministrazione finanziaria porta l’altra parte
a conoscenza del fascicolo soltanto in modo indiretto, operando una selezione secondo
criteri che le sono propri e sui quali l’altra parte non può esercitare alcun controllo.
3) Se le disposizioni della direttiva IVA, nonché, in quanto ad esse pertinente, il principio
fondamentale del rispetto dei diritti della difesa e l’articolo 47 della [Carta], debbano essere
interpretati nel senso che ostano ad una prassi nazionale ai sensi della quale le
constatazioni, nel contesto del controllo delle parti del rapporto giuridico relativamente
all’obbligazione tributaria, effettuate dall’amministrazione finanziaria in esito a un
procedimento avviato nei confronti dell’emittente delle fatture e che comportano la
73
constatazione che tale emittente ha concorso a una frode fiscale attiva devono essere prese
in considerazione d’ufficio da detta amministrazione in occasione del controllo nei
confronti del destinatario delle fatture, fermo restando che il predetto destinatario non gode,
nel procedimento originario di controllo avviato nei confronti dell’emittente, dei diritti
connessi alla qualità di parte e non può quindi nemmeno esercitare il diritto di ricorso nel
contesto di un procedimento di controllo le cui constatazioni devono essere prese in
considerazione d’ufficio dall’amministrazione finanziaria nel procedimento di controllo
riguardante l’obbligazione tributaria del destinatario e possono essere imputate a carico di
quest’ultimo, tenuto presente che [l’amministrazione finanziaria] non mette a disposizione
del destinatario il fascicolo relativo al controllo effettuato nei confronti dell’emittente, e in
particolare gli elementi su cui si fondano le constatazioni, i verbali e le decisioni
amministrative, ma gliene comunica soltanto una parte, per estratto, di modo che
l’amministrazione finanziaria porta il destinatario a conoscenza del fascicolo soltanto in
modo indiretto, operando una selezione secondo criteri che le sono propri e sui quali egli
non può esercitare alcun controllo».
Sulle questioni pregiudiziali
Osservazioni preliminari
22 Dalla decisione di rinvio risulta che la Glencore, in seguito a controlli fiscali di cui i suoi fornitori e
essa stessa sono stati oggetto, si è vista negare l’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA e
imporre di conseguenza le rettifiche IVA. In particolare, l’amministrazione finanziaria ha fondato
tale rifiuto, conformemente all’articolo 1, paragrafo 3a, della legge generale sui tributi, su
constatazioni effettuate nell’ambito di procedimenti condotti contro tali fornitori e nei quali la
Glencore non era quindi parte, che hanno dato luogo a decisioni divenute definitive, secondo le
quali i suddetti fornitori avevano commesso una frode relativa all’IVA.
23 Poiché la domanda di pronuncia pregiudiziale fa riferimento ad un procedimento penale, ad un
procedimento amministrativo tributario anteriore e a decisioni amministrative di cui i fornitori
della Glencore sono stati oggetto, la Corte, conformemente all’articolo 101 del suo regolamento di
procedura, ha chiesto al giudice del rinvio di fornire chiarimenti sul procedimento o sui
procedimenti penali di cui trattasi e di indicare se essi siano stati definiti con decisioni emanate da
un giudice penale divenute definitive. In risposta a tale richiesta, il giudice del rinvio ha dichiarato
di non disporre di informazioni circa la chiusura, con sentenza nel merito, dei procedimenti penali
riguardanti i fornitori della Glencore e ha comunicato quattro decisioni amministrative tributarie
definitive riguardanti alcuni di tali fornitori.
24 In udienza è stato precisato dalla Glencore e dal governo ungherese che due procedimenti penali
riguardanti la frode di cui trattasi erano ancora pendenti quando l’amministrazione fiscale ha
consultato i documenti di tali procedimenti e ha adottato le due decisioni amministrative
impugnate dalla Glencore nel procedimento principale. Pertanto, tali procedimenti non si erano
ancora conclusi con una decisione resa nel merito da un giudice penale. Ne consegue che la
presente causa non solleva questioni connesse con l’autorità di cosa giudicata.
25 Alla luce di tali precisazioni, occorre considerare che, con le sue tre questioni, che occorre
esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva IVA, il principio
del rispetto dei diritti della difesa e l’articolo 47 della Carta debbano essere interpretati nel senso
che ostano a una normativa o a una prassi di uno Stato membro secondo la quale, in occasione di
una verifica del diritto a detrazione dell’IVA esercitato da un soggetto passivo, l’amministrazione
finanziaria è vincolata dalle constatazioni di fatto e dalle qualificazioni giuridiche, da essa già
effettuate nell’ambito di procedimenti amministrativi connessi condotti nei confronti dei fornitori
di tale soggetto passivo, sui quali si basano le decisioni divenute definitive che accertano
l’esistenza di una frode relativa all’IVA commessa da tali fornitori.
74
26 Secondo le informazioni fornite dal giudice del rinvio, l’amministrazione finanziaria ritiene che il
fatto di essere vincolata dalle constatazioni di fatto e dalle qualificazioni giuridiche contenute in
tali decisioni che hanno acquisito carattere definitivo la esoneri dal fornire nuovamente le prove
della frode nel procedimento a carico del soggetto passivo. In tale contesto, detto giudice si chiede
in particolare se la direttiva IVA e il principio del rispetto dei diritti della difesa ostino ad una
prassi dell’amministrazione finanziaria consistente, come nel procedimento principale, nel non
dare a tale soggetto passivo accesso al fascicolo relativo a procedimenti connessi e, in particolare,
all’insieme dei documenti su cui si fondano tali constatazioni, ai verbali redatti e alle decisioni
adottate, e nel comunicargli indirettamente, in forma sintetica, solo una parte di tali elementi da
essa selezionati secondo criteri che le sono propri e sui quali lo stesso non può esercitare alcun
controllo.
27 A tal riguardo, è stato precisato in udienza che, per dimostrare il coinvolgimento della Glencore in
tale frode, l’amministrazione finanziaria si è basata su elementi di prova raccolti nell’ambito dei
procedimenti penali pendenti, dei procedimenti amministrativi avviati nei confronti dei fornitori
della Glencore e del procedimento amministrativo di cui quest’ultima è stata oggetto.
28 Il giudice del rinvio, nell’esporre, peraltro, di non essere competente ad esaminare la legittimità
delle decisioni anteriori pronunciate in esito a controlli di altri soggetti passivi e, in particolare, a
verificare se le prove su cui si fondano tali decisioni siano state ottenute legittimamente, si
interroga altresì, facendo riferimento alla sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses
(C419/14, EU:C:2015:832), sulla questione se le condizioni di un processo equo richiedano che il
giudice investito di un ricorso avverso la decisione dell’amministrazione finanziaria che procede
ad una rettifica dell’IVA sia abilitato a verificare che le prove provenienti da un procedimento
amministrativo connesso siano state ottenute conformemente ai diritti garantiti dall’ordinamento
dell’Unione e che le constatazioni basate su queste ultime non violino tali diritti.
29 Poiché, nelle sue osservazioni scritte e orali, il governo ungherese ha fornito un’interpretazione
delle disposizioni nazionali e una spiegazione delle prassi dell’amministrazione finanziaria,
riguardanti l’assunzione delle prove, la portata dell’accesso al fascicolo e la portata del controllo
giurisdizionale, diverse da quelle esposte dal giudice del rinvio, occorre ricordare che non spetta
alla Corte, nell’ambito del sistema di cooperazione giudiziaria istituito dall’articolo 267 TFUE,
verificare o rimettere in discussione l’esattezza dell’interpretazione del diritto nazionale effettuata
dal giudice nazionale, dato che tale interpretazione rientra nella competenza esclusiva di
quest’ultimo. Perciò la Corte, qualora sia adita in via pregiudiziale da un giudice nazionale, deve
attenersi all’interpretazione del diritto nazionale che ad essa è stata esposta da detto giudice
(sentenza del 6 ottobre 2015, Târşia, C69/14, EU:C:2015:662, punto 13 e giurisprudenza ivi
citata).
30 Analogamente, non spetta alla Corte, bensì al giudice nazionale, accertare i fatti all’origine della
causa e trarne le conseguenze ai fini della sua pronuncia. Infatti, incombe alla Corte prendere in
considerazione, nell’ambito della ripartizione delle competenze tra essa e i giudici nazionali, il
contesto materiale e normativo nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali, quale definito dal
giudice del rinvio (v., in tal senso, sentenza del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association,
C44/17, EU:C:2018:415, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).
31 Inoltre, non spetta alla Corte nemmeno pronunciarsi sulla conformità di norme nazionali con il
diritto dell’Unione né interpretare disposizioni legislative o regolamentari nazionali (sentenze del
1 o marzo 2012, Ascafor e Asidac, C484/10, EU:C:2012:113, punto 33 e giurisprudenza ivi citata, e
del 6 ottobre 2015, Consorci Sanitari del Maresme, C203/14, EU:C:2015:664, punto 43). La Corte
è tuttavia competente a fornire al giudice del rinvio tutti gli elementi d’interpretazione attinenti al
diritto dell’Unione che gli consentano di pronunciarsi su tale compatibilità per la definizione della
controversia della quale è investito (sentenze del 1 o marzo 2012, Ascafor e Asidac, C484/10,
EU:C:2012:113, punto 34 e giurisprudenza ivi citata, e del 26 luglio 2017, Europa Way e
Persidera, C560/15, EU:C:2017:593, punto 35).
75
32 Alla luce di tali osservazioni preliminari, occorre esaminare in successione i requisiti derivanti
dalla direttiva IVA, dal principio del rispetto dei diritti della difesa e dall’articolo 47 della Carta
per quanto riguarda l’assunzione delle prove, la portata dell’accesso del soggetto passivo al
fascicolo e la portata del controllo giurisdizionale in un procedimento quale quello principale.
Sulla produzione delle prove sulla base della direttiva IVA e del principio del rispetto dei diritti
della difesa
33 Secondo costante giurisprudenza, il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono
debitori l’IVA dovuta o versata a monte per i beni acquistati e per i servizi loro prestati ai fini di
sue operazioni soggette ad imposta costituisce un principio fondamentale del sistema comune
dell’IVA istituito dalla normativa dell’Unione. Come ripetutamente sottolineato dalla Corte, il
diritto a detrazione previsto dagli articoli 167 e seguenti della direttiva IVA costituisce parte
integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni
(sentenze del 6 dicembre 2012, Bonik, C285/11, EU:C:2012:774, punti 25 e 26; del 19 ottobre
2017, Paper Consult, C101/16, EU:C:2017:775, punti 35 e 36, nonché del 21 marzo 2018,
Volkswagen, C533/16, EU:C:2018:204, punti 37 e 39).
34 Ciò detto, la lotta contro frodi, evasione fiscale ed eventuali abusi costituisce un obiettivo
riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva IVA e la Corte ha più volte dichiarato che i singoli non
possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione. Pertanto,
spetta alle autorità e ai giudici nazionali negare il beneficio del diritto a detrazione se è dimostrato,
alla luce di elementi obiettivi, che tale diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo (v., in
tal senso, sentenze del 6 dicembre 2012, Bonik, C285/11, EU:C:2012:774, punti da 35 a 37,
nonché giurisprudenza citata, e del 28 luglio 2016, Astone, C332/15, EU:C:2016:614, punto 50).
35 Tale situazione, così come ricorre nel caso di una frode commessa dal soggetto passivo stesso,
ricorre altresì quando il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio
acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in una frode relativa all’IVA. Il beneficio
del diritto a detrazione può, pertanto, essere negato a un soggetto passivo qualora si dimostri, e
solamente qualora si dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che detto soggetto passivo, al quale
sono stati ceduti i beni o prestati i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o
avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto di tali beni e servizi, partecipava ad un’operazione che
si iscriveva in un’evasione dell’IVA commessa dal fornitore o da altro operatore intervenuto a
monte o a valle nella catena di tali cessioni o prestazioni (v., in tal senso, sentenze del 6 dicembre
2012, Bonik, C285/11, EU:C:2012:774, punti da 38 a 40, e del 13 febbraio 2014, Maks Pen,
C18/13, EU:C:2014:69, punti 27 e 28).
36 Poiché il diniego del diritto a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio
fondamentale che tale diritto costituisce, spetta alle autorità tributarie dimostrare adeguatamente
gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe
dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in tale
frode (v., in tal senso, sentenza del 13 febbraio 2014, Maks Pen, C18/13, EU:C:2014:69, punto 29
e giurisprudenza ivi citata).
37 Poiché il diritto dell’Unione non prevede norme relative alle modalità dell’assunzione delle prove
in materia di frode relativa all’IVA, tali elementi oggettivi devono essere stabiliti
dall’amministrazione finanziaria secondo le norme in materia di prova previste dal diritto
nazionale. Tuttavia, tali norme non devono pregiudicare l’efficacia del diritto dell’Unione e
devono rispettare i diritti garantiti da tale diritto, specialmente dalla Carta (v., in tal senso, sentenza
del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses, C419/14, EU:C:2015:832, punti da 65 a 67).
38 Pertanto, e a tali condizioni, la Corte, nella sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses
(C419/14, EU:C:2015:832), ha dichiarato, al punto 68 di quest’ultima, che il diritto dell’Unione
non osta a che l’amministrazione finanziaria possa, nell’ambito di un procedimento
76
amministrativo, al fine di accertare la sussistenza di una pratica abusiva in materia di IVA,
utilizzare prove ottenute nell’ambito di un procedimento penale parallelo non ancora concluso
riguardanti il soggetto passivo. Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 39 delle sue
conclusioni, una siffatta valutazione si applica anche all’utilizzo, al fine di accertare l’esistenza di
una frode relativa all’IVA, di prove ottenute nell’ambito di procedimenti penali non conclusi non
aventi ad oggetto il soggetto passivo o raccolte nel corso di procedimenti amministrativi connessi
nei quali, come nel caso del procedimento principale, il soggetto passivo non era parte.
39 Tra i diritti garantiti dal diritto dell’Unione vi è il rispetto dei diritti della difesa il quale, secondo
una giurisprudenza consolidata, costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che trova
applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto
un atto che gli arreca pregiudizio. In forza di tale principio i destinatari di decisioni che incidono
sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro
punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione.
Tale obbligo incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano
misure che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, quand’anche la normativa
dell’Unione applicabile non preveda espressamente siffatta formalità (sentenze del 18 dicembre
2008, Sopropé, C349/07, EU:C:2008:746, punti da 36 a 38, e del 22 ottobre 2013, Sabou,
C276/12, EU:C:2013:678, punto 38).
40 Detto principio generale si applica in circostanze come quelle di cui al procedimento principale,
nelle quali uno Stato membro, per conformarsi all’obbligo, derivante dall’applicazione del diritto
dell’Unione, di adottare tutte le misure legislative e amministrative al fine di garantire che l’IVA
dovuta sia interamente riscossa nel suo territorio e a lottare contro la frode sottopone un
contribuente a una procedura di verifica fiscale (v., in tal senso, sentenza del 9 novembre 2017,
Ispas, C298/16, EU:C:2017:843, punto 27).
41 Costituisce parte integrante del rispetto dei diritti della difesa il diritto di essere ascoltati, il quale
garantisce a chiunque la possibilità di manifestare, utilmente ed efficacemente, il proprio punto di
vista durante il procedimento amministrativo prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa
incidere in modo negativo sui suoi interessi. Secondo costante giurisprudenza della Corte, la regola
secondo cui il destinatario di una decisione ad esso lesiva deve essere messo in condizione di far
valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata ha lo scopo di mettere l’autorità
competente in grado di tener conto di tutti gli elementi del caso. Al fine di assicurare una tutela
effettiva della persona coinvolta, la suddetta regola ha in particolare l’obiettivo di consentire a
quest’ultima di correggere un errore o far valere elementi relativi alla sua situazione personale tali
da far sì che la decisione sia adottata o non sia adottata, ovvero abbia un contenuto piuttosto che un
altro (sentenza del 5 novembre 2014, Mukarubega, C166/13, EU:C:2014:2336, punti 46 e 47 e
giurisprudenza ivi citata).
42 Il diritto di essere ascoltati implica anche che l’amministrazione presti tutta l’attenzione necessaria
alle osservazioni così presentate dall’interessato esaminando, in modo accurato e imparziale, tutti
gli elementi rilevanti della fattispecie e motivando circostanziatamente la sua decisione, laddove
l’obbligo di motivare una decisione in modo sufficientemente dettagliato e concreto, al fine di
consentire all’interessato di comprendere le ragioni del diniego opposto alla sua domanda,
costituisce un corollario del principio del rispetto dei diritti della difesa (sentenza del 5 novembre
2014, Mukarubega, C166/13, EU:C:2014:2336, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).
43 Tuttavia, secondo una giurisprudenza costante della Corte, il principio del rispetto dei diritti della
difesa non è una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a restrizioni, a condizione che queste
rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e
non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale
da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti (sentenza del 9 novembre 2017, Ispas,
C298/16, EU:C:2017:843, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).
77
44 Inoltre, l’esistenza di una violazione dei diritti della difesa deve essere valutata in funzione delle
circostanze specifiche di ciascuna fattispecie, segnatamente della natura dell’atto in oggetto, del
contesto in cui è stato adottato e delle norme giuridiche che disciplinano la materia in esame
(sentenza del 5 novembre 2014, Mukarubega, C166/13, EU:C:2014:2336, punto 54 e
giurisprudenza ivi citata).
45 Occorre peraltro ricordare che la certezza del diritto è inclusa tra i principi generali riconosciuti nel
diritto dell’Unione. Infatti, la Corte ha constatato, segnatamente, che il carattere definitivo di una
decisione amministrativa, acquisito alla scadenza di termini ragionevoli di ricorso o in seguito
all’esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale, contribuisce alla certezza del diritto e da ciò
deriva che il diritto dell’Unione non esige che un organo amministrativo sia, in linea di principio,
obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquisito tale carattere definitivo (v.,
in tal senso, sentenze del 13 gennaio 2004, Kühne & Heitz, C453/00, EU:C:2004:17, punto 24; del
12 febbraio 2008, Kempter, C2/06, EU:C:2008:78, punto 37, e del 4 ottobre 2012, Byankov,
C249/11, EU:C:2012:608, punto 76).
46 Per quanto riguarda una prescrizione, come quella contenuta nell’articolo 1, paragrafo 3a, della
legge generale sui tributi, in forza della quale, secondo il giudice del rinvio, l’amministrazione
finanziaria è vincolata dalle constatazioni di fatto e dalle qualificazioni giuridiche che essa ha
effettuato nell’ambito di procedimenti amministrativi connessi avviati nei confronti dei fornitori
del soggetto passivo, nei quali quest’ultimo non era quindi parte, risulta che essa è idonea, come ha
fatto valere il governo ungherese e come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 46 delle sue
conclusioni, a garantire la certezza del diritto e l’uguaglianza tra i contribuenti, in quanto obbliga
tale amministrazione a dar prova di coerenza, attribuendo ai medesimi fatti qualificazioni
giuridiche identiche. Il diritto dell’Unione non osta quindi, in linea di principio, all’applicazione di
una tale prescrizione.
47 Tuttavia, ciò non vale per il caso in cui, in forza di tale prescrizione e a causa del carattere
definitivo delle decisioni adottate in esito a tali procedimenti amministrativi collegati,
l’amministrazione finanziaria sia esentata dal far conoscere al soggetto passivo gli elementi di
prova, compresi quelli provenienti da detti procedimenti, in base ai quali essa intende prendere una
decisione, e il soggetto passivo di cui trattasi sia così privato del diritto di rimettere in discussione
utilmente, nel corso del procedimento di cui è parte, tali constatazioni di fatto e tali qualificazioni
giuridiche.
48 Infatti, da un lato, una siffatta applicazione di detta regola, che si traduce nel conferire autorità a
una decisione amministrativa definitiva, la quale constata l’esistenza di una frode, nei confronti di
un soggetto passivo che non era parte nel procedimento che ha condotto a tale constatazione, è
contraria all’obbligo gravante sull’amministrazione finanziaria, ricordato al punto 36 della
presente sentenza, di dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di
concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a
fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in una frode, dato che tale obbligo presuppone che
tale amministrazione fornisca, nel procedimento in cui è parte il soggetto passivo, la prova
dell’esistenza della frode alla quale gli viene addebitato di aver partecipato passivamente.
49 Dall’altro lato, nell’ambito di un procedimento di controllo fiscale, come quello oggetto del
procedimento principale, il principio della certezza del diritto non può giustificare una siffatta
restrizione dei diritti della difesa, il cui contenuto è richiamato ai punti 39 e 41 della presente
sentenza, restrizione che costituisce, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e
inaccettabile tale da ledere la sostanza stessa di tali diritti. Essa priva, infatti, il soggetto passivo al
quale si intende negare l’esercizio del diritto a detrazione dell’IVA della possibilità di far
conoscere utilmente ed efficacemente, nel corso del procedimento amministrativo e prima
dell’adozione di una decisione sfavorevole ai suoi interessi, il suo punto di vista in merito agli
elementi sui quali l’amministrazione intende fondarsi. Essa altera la possibilità che l’autorità
competente sia messa in grado di tener utilmente conto di tutti gli elementi pertinenti e che la
persona interessata corregga, se del caso, un errore. Essa solleva, infine, l’amministrazione, dal suo
78
dovere di prestare tutta l’attenzione necessaria alle osservazioni della persona coinvolta
esaminando, in modo accurato e imparziale, tutti gli elementi rilevanti della fattispecie e
motivando sufficientemente la sua decisione.
50 Di conseguenza, se è pur vero che la direttiva IVA e il principio del rispetto dei diritti della difesa
non ostano, in linea di principio, a una regola del genere, è a condizione che la sua applicazione
non sollevi l’amministrazione finanziaria dal far conoscere al soggetto passivo gli elementi di
prova, compresi quelli provenienti dai procedimenti connessi avviati nei confronti dei suoi
fornitori, in base ai quali essa intende prendere una decisione, e che tale soggetto passivo non sia
così privato del diritto di rimettere in discussione utilmente, nel corso del procedimento di cui è
oggetto, le constatazioni di fatto e le qualificazioni giuridiche effettuate da tale amministrazione
nell’ambito di tali procedimenti collegati.
Sulla portata dell’accesso del soggetto passivo al fascicolo alla luce del principio del rispetto dei
diritti della difesa
51 La necessità, ricordata ai punti 39 e 41 della presente sentenza, di poter manifestare utilmente il
proprio punto di vista sugli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione
presuppone che il destinatario di quest’ultima sia messo in condizione di conoscere detti elementi
(v., in tal senso, sentenza del 9 novembre 2017, Ispas, C298/16, EU:C:2017:843, punto 31). Il
principio del rispetto dei diritti della difesa ha così come corollario il diritto di accesso al fascicolo
(v., in tal senso, sentenza del 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./Commissione, C204/00 P,
C205/00 P, C211/00 P, C213/00 P, C217/00 P e C219/00 P, EU:C:2004:6, punto 68).
52 Poiché il destinatario di una decisione che arreca pregiudizio deve essere messo in condizione di
far valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata, al fine, in particolare, che
l’autorità competente sia messa in grado di tenere utilmente conto di tutti gli elementi pertinenti e
che, eventualmente, tale destinatario possa correggere un errore e far valere utilmente tali elementi
relativi alla sua situazione personale, l’accesso al fascicolo deve essere autorizzato nel corso del
procedimento amministrativo. Quindi, una violazione del diritto di accesso al fascicolo intervenuta
durante il procedimento amministrativo non è sanata dal semplice fatto che l’accesso a
quest’ultimo è stato reso possibile nel corso del procedimento giurisdizionale relativo ad un
eventuale ricorso diretto all’annullamento della decisione contestata (v., per analogia, sentenze
dell’8 luglio 1999, Hercules Chemicals/Commissione, C51/92 P, EU:C:1999:357, punto 78; del 15
ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C238/99 P, C244/99 P,
C245/99 P, C247/99 P, da C250/99 P a C252/99 P e C254/99 P, EU:C:2002:582, punto 318, e del
7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./Commissione, C204/00 P, C205/00 P, C211/00 P,
C213/00 P, C217/00 P e C219/00 P, EU:C:2004:6, punto 104).
53 Ne consegue che, in un procedimento amministrativo tributario come quello di cui trattasi nel
procedimento principale, il soggetto passivo deve poter accedere al complesso degli elementi del
fascicolo sui quali l’amministrazione fiscale intende fondare la propria decisione. Pertanto, qualora
l’amministrazione finanziaria intenda fondare la propria decisione su elementi di prova ottenuti,
come nel caso di specie, nell’ambito di procedimenti penali e di procedimenti amministrativi
connessi avviati nei confronti dei suoi fornitori, detto soggetto passivo deve poter accedere a tali
elementi.
54 Inoltre, come ha rilevato l’avvocato generale nei paragrafi 59 e 60 delle sue conclusioni, si deve
anche consentire al soggetto passivo di accedere ai documenti che non servono direttamente a
fondare la decisione dell’amministrazione finanziaria, ma possono essere utili per l’esercizio dei
diritti della difesa, in particolare agli elementi a discarico che tale amministrazione ha potuto
raccogliere (v., in tal senso, sentenza del 13 settembre 2018, UBS Europe e a., C358/16,
EU:C:2018:715, punto 66 e giurisprudenza ivi citata).
79
55 Tuttavia, dal momento che, come è stato ricordato al punto 43 della presente sentenza, il principio
del rispetto dei diritti della difesa non costituisce una prerogativa assoluta, ma può comportare
restrizioni, occorre rilevare che, in un procedimento di controllo tributario, restrizioni del genere,
sancite dalla normativa nazionale, possono in particolare essere intese a tutelare le esigenze di
riservatezza o di segreto professionale (v., in tal senso, sentenza del 9 novembre 2017, Ispas,
C298/16, EU:C:2017:843, punto 36), nonché, come ha fatto valere il governo ungherese, la vita
privata di terzi, i dati personali che li riguardano o l’efficacia dell’azione repressiva, che possono
essere pregiudicati dall’accesso a talune informazioni e a determinati documenti.
56 Il principio del rispetto dei diritti della difesa, in un procedimento amministrativo come quello di
cui trattasi nel procedimento principale, non impone quindi all’amministrazione finanziaria un
obbligo generale di fornire un accesso integrale al fascicolo di cui dispone, ma esige che il
soggetto passivo abbia la possibilità di ricevere, a sua richiesta, le informazioni e i documenti
contenuti nel fascicolo amministrativo e presi in considerazione da tale amministrazione ai fini
dell’adozione della sua decisione, a meno che obiettivi di interesse generale giustifichino la
restrizione dell’accesso alle suddette informazioni e a detti documenti (v., in tal senso, sentenza del
9 novembre 2017, Ispas, C298/16, EU:C:2017:843, punti 32 e 39). In quest’ultimo caso, come
rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 64 delle sue conclusioni, spetta all’amministrazione
finanziaria esaminare se sia possibile un accesso parziale.
57 Ne consegue che, qualora l’amministrazione finanziaria intenda fondare la propria decisione su
elementi di prova ottenuti, come nel procedimento principale, nell’ambito di procedimenti penali e
di procedimenti amministrativi connessi avviati nei confronti dei fornitori del soggetto passivo, il
principio del rispetto dei diritti della difesa esige che quest’ultimo, durante il procedimento di cui è
oggetto, possa avere accesso a tutti questi elementi e a quelli che possano essere utili alla sua
difesa, a meno che obiettivi di interesse generale giustifichino la restrizione di tale accesso.
58 Non soddisfa tale requisito una prassi dell’amministrazione finanziaria consistente nel non dare al
soggetto passivo interessato alcun accesso a tali elementi e, in particolare, ai documenti su cui si
fondano le constatazioni effettuate, ai verbali redatti e alle decisioni adottate in esito a
procedimenti amministrativi collegati, e nel comunicargli indirettamente, sotto forma di sintesi,
solo una parte di tali elementi da essa selezionati secondo criteri che le sono propri e sui quali egli
non può esercitare alcun controllo.
Sulla portata del controllo giurisdizionale alla luce dell’articolo 47 della Carta
59 Poiché il giudice del rinvio si chiede se i requisiti di un processo equo impongano che il giudice
chiamato a pronunciarsi su un ricorso avverso una decisione dell’amministrazione finanziaria che
procede ad un avviso di rettifica dell’IVA sia legittimato a verificare che le prove provenienti da
un procedimento amministrativo connesso siano state ottenute conformemente ai diritti garantiti
dal diritto dell’Unione e che le constatazioni fondate su queste ultime non violino tali diritti,
occorre ricordare che i diritti fondamentali garantiti dalla Carta sono destinati ad applicarsi in una
situazione del genere, dato che una rettifica dell’IVA in seguito all’accertamento di una frode,
come quella oggetto del procedimento principale, costituisce attuazione del diritto dell’Unione, ai
sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta (v., in questo senso, sentenze del 26 febbraio 2013,
Åkerberg Fransson, C617/10, EU:C:2013:105, punti 19 e 27, e del 17 dicembre 2015,
WebMindLicenses, C419/14, EU:C:2015:832, punto 67).
60 Ai sensi dell’articolo 47 della Carta, ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto
dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto
delle condizioni previste in detto articolo. Ogni persona ha diritto, in particolare, a che la sua causa
sia esaminata equamente.
61 Il principio della parità delle armi, che costituisce parte integrante del principio della tutela
giurisdizionale effettiva dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, sancito
80
dall’articolo 47 della Carta, in quanto è un corollario, come, segnatamente, il principio del
contraddittorio, della nozione stessa di processo equo, implica l’obbligo di offrire a ciascuna parte
una possibilità ragionevole di esporre la propria posizione, comprese le proprie prove, in
circostanze che non la pongano in una situazione di netto svantaggio rispetto all’avversario (v., in
tal senso, sentenze del 17 luglio 2014, Sánchez Morcillo e Abril García, C169/14,
EU:C:2014:2099, punto 49, e del 16 maggio 2017, Berlioz Investment Fund, C682/15,
EU:C:2017:373, punto 96 e giurisprudenza ivi citata).
62 Tale principio è inteso ad assicurare l’equilibrio tra le parti del processo, garantendo la parità dei
loro diritti e obblighi per quanto concerne l’amministrazione delle prove e il contraddittorio
dinanzi al giudice, nonché i loro diritti di ricorso (sentenza del 28 luglio 2016, Ordre des barreaux
francophones et germanophone e a., C543/14, EU:C:2016:605, punto 41). Perché siano soddisfatte
le prescrizioni connesse al diritto a un processo equo, occorre che le parti possano discutere in
contraddittorio tanto sugli elementi di fatto quanto sugli elementi di diritto decisivi per l’esito del
procedimento (sentenza del 2 dicembre 2009, Commissione/Irlanda e a., C89/08 P,
EU:C:2009:742, punto 56).
63 Nella sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C419/14, EU:C:2015:832), alla quale fa
riferimento il giudice del rinvio, la Corte, nella causa che ha dato luogo a tale sentenza,
relativamente alle prove ottenute nell’ambito di un procedimento penale non ancora concluso,
all’insaputa del soggetto passivo, mediante intercettazioni di telecomunicazioni e sequestri di
messaggi di posta elettronica idonei a costituire una violazione dell’articolo 7 della Carta, e del
loro utilizzo nell’ambito di un procedimento amministrativo, ha rilevato, al punto 87 di tale
sentenza, che l’effettività del controllo giurisdizionale garantita dall’articolo 47 della Carta esige
che il giudice che ha effettuato il controllo di legittimità di una decisione che costituisce attuazione
del diritto dell’Unione possa verificare se le prove sulle quali tale decisione si fonda non siano
state ottenute e utilizzate in violazione dei diritti garantiti dal diritto dell’Unione e, in special
modo, dalla Carta.
64 La Corte ha rilevato, al punto 88 di tale sentenza, che tale requisito è soddisfatto se il giudice
investito di un ricorso avverso la decisione dell’amministrazione tributaria relativa a una rettifica
dell’IVA è abilitato a controllare che dette prove, sulle quali si basa la decisione, siano state
ottenute in detto procedimento penale conformemente ai diritti garantiti dal diritto dell’Unione o se
può quantomeno sincerarsi, sulla base di un controllo già effettuato da un giudice penale
nell’ambito di un procedimento in contraddittorio, che le prove di cui trattasi siano state ottenute
conformemente a detto diritto.
65 L’effettività del controllo giurisdizionale garantita dall’articolo 47 della Carta esige, allo stesso
modo, che il giudice investito di un ricorso avverso una decisione dell’amministrazione finanziaria
recante una rettifica dell’IVA sia abilitato a controllare che le prove assunte in un procedimento
amministrativo connesso, del quale il soggetto passivo non era parte, e sulle quali si basa tale
decisione, non siano state ottenute in violazione dei diritti garantiti dal diritto dell’Unione e, in
special modo, dalla Carta. Lo stesso dicasi quando, come nel procedimento principale, su tali
prove sono state fondate talune decisioni amministrative adottate nei confronti di altri soggetti
passivi e diventate definitive.
66 A tal riguardo, occorre sottolineare che, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 74 delle
sue conclusioni, le dichiarazioni e le constatazioni delle autorità amministrative non possono
vincolare i giudici.
67 Più in generale, tale giudice deve poter verificare, nell’ambito di un dibattito in contraddittorio, la
legittimità dell’ottenimento e dell’utilizzo delle prove assunte nel corso di procedimenti
amministrativi connessi avviati contro altri soggetti passivi, nonché delle constatazioni effettuate
nelle decisioni amministrative adottate in esito a tali procedimenti, che sono decisive per l’esito del
ricorso. Infatti, la parità delle armi verrebbe meno e il principio del contraddittorio non sarebbe
81
rispettato se l’amministrazione finanziaria, per il fatto di essere vincolata dalle decisioni adottate
nei confronti di altri soggetti passivi e divenute definitive, non fosse tenuta a produrre tali prove
dinanzi ad essa, se il soggetto passivo non potesse averne conoscenza, se le parti non potessero
discutere in contraddittorio tanto su dette prove quanto su tali constatazioni e se detto giudice non
potesse verificare tutti gli elementi di fatto e di diritto sui quali si fondano tali decisioni e che sono
decisivi per la soluzione della controversia di cui è investito.
68 Se detto giudice non è legittimato ad effettuare tale verifica e se, pertanto, il diritto a un ricorso
giurisdizionale non è effettivo, le prove ottenute nell’ambito dei procedimenti amministrativi
connessi e le constatazioni effettuate nelle decisioni amministrative adottate nei confronti di altri
soggetti passivi in esito a tali procedimenti non devono essere ammesse, e la decisione impugnata,
che si basa su tali prove e su tali constatazioni, deve essere annullata se, per tale ragione, essa
risulta priva di fondamento (v., in tal senso, sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses,
C419/14, EU:C:2015:832, punto 89).
69 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni poste
dichiarando che la direttiva IVA, il principio del rispetto dei diritti della difesa e l’articolo 47 della
Carta devono essere interpretati nel senso che essi non ostano, in linea di principio, a una
normativa o a una prassi di uno Stato membro secondo la quale, in occasione di una verifica del
diritto a detrazione dell’IVA esercitato da un soggetto passivo, l’amministrazione finanziaria è
vincolata dalle constatazioni di fatto e dalle qualificazioni giuridiche, da essa già effettuate
nell’ambito di procedimenti amministrativi connessi avviati nei confronti dei fornitori di tale
soggetto passivo, sulle quali si basano le decisioni divenute definitive che accertano l’esistenza di
una frode relativa all’IVA commessa da tali fornitori, a condizione che, in primo luogo, essa non
esoneri l’amministrazione finanziaria dal far conoscere al soggetto passivo gli elementi di prova,
ivi compresi quelli risultanti da tali procedimenti amministrativi connessi, sui quali essa intende
fondare la propria decisione, e che tale soggetto passivo non sia in tal modo privato del diritto di
contestare utilmente, nel corso del procedimento di cui è oggetto, tali constatazioni di fatto e tali
qualificazioni giuridiche, in secondo luogo, che detto soggetto passivo possa avere accesso durante
tale procedimento a tutti gli elementi raccolti nel corso di detti procedimenti amministrativi
connessi o di ogni altro procedimento sul quale l’amministrazione intende fondare la sua decisione
o che possono essere utili per l’esercizio dei diritti della difesa, a meno che obiettivi di interesse
generale giustifichino la restrizione di tale accesso e, in terzo luogo, che il giudice adito con un
ricorso avverso la decisione di cui trattasi possa verificare la legittimità dell’ottenimento e
dell’utilizzo di tali elementi nonché le constatazioni effettuate nelle decisioni amministrative
adottate nei confronti di detti fornitori, che sono decisive per l’esito del ricorso.
Sulle spese
70 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente
sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da
altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:
La direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul
valore aggiunto, il principio del rispetto dei diritti della difesa e l’articolo 47 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che essi non ostano, in linea di
principio, a una normativa o a una prassi di uno Stato membro secondo la quale, in occasione di una
verifica del diritto a detrazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) esercitato da un soggetto passivo,
l’amministrazione finanziaria è vincolata dalle constatazioni di fatto e dalle qualificazioni giuridiche, da
essa già effettuate nell’ambito di procedimenti amministrativi connessi avviati nei confronti dei fornitori
di tale soggetto passivo, sulle quali si basano le decisioni divenute definitive che accertano l’esistenza di
una frode relativa all’IVA commessa da tali fornitori, a condizione che, in primo luogo, essa non esoneri
l’amministrazione finanziaria dal far conoscere al soggetto passivo gli elementi di prova, ivi compresi
82
costituisce parte integrante del rispetto dei diritti della difesa il diritto di
essere ascoltati, garantendo a chiunque la possibilità di manifestare,
utilmente ed efficacemente, il proprio punto di vista durante il
procedimento amministrativo prima dell’adozione di qualsiasi decisione
che possa incidere sui suoi personali interessi. Al fine di assicurare una
tutela effettiva della persona coinvolta, la regola enucleata dalla Corte ha
l’obiettivo di consentire a quest’ultima di correggere un errore o far valere
elementi relativi alla sua situazione personale tali da far sì che la decisione
sia adottata o non sia adottata, ovvero abbia un contenuto piuttosto che un
altro. Quindi il contraddittorio preventivo nei rapporti tra Pubblica
Amministrazione e destinatario dell’atto è configurato dalla Corte di
Giustizia come un principio generale dell’ordinamento della UE. La
giurisprudenza europea ha infatti elevato il contraddittorio a principio
generale, espressione del due process of law, rilevante in qualsiasi
procedimento in cui l’esercizio di un potere della Pubblica
Amministrazione possa avere esiti pregiudizievoli per l’amministrato, 18
anche in assenza di una espressa previsione normativa. L’attualità e
l’importanza di un contraddittorio durante l’attività di controllo
quelli risultanti da tali procedimenti amministrativi connessi, sui quali essa intende fondare la propria
decisione, e che tale soggetto passivo non sia in tal modo privato del diritto di contestare utilmente, nel
corso del procedimento di cui è oggetto, tali constatazioni di fatto e tali qualificazioni giuridiche, in
secondo luogo, che detto soggetto passivo possa avere accesso durante tale procedimento a tutti gli
elementi raccolti nel corso di detti procedimenti amministrativi connessi o di ogni altro procedimento sul
quale l’amministrazione intende fondare la sua decisione o che possono essere utili per l’esercizio dei
diritti della difesa, a meno che obiettivi di interesse generale giustifichino la restrizione di tale accesso e,
in terzo luogo, che il giudice adito con un ricorso avverso la decisione di cui trattasi possa verificare la
legittimità dell’ottenimento e dell’utilizzo di tali elementi nonché le constatazioni effettuate nelle
decisioni amministrative adottate nei confronti di detti fornitori, che sono decisive per l’esito del ricorso.
83
dell’Amministrazione finanziaria nei riguardi del contribuente, emergono
anche da alcuni pronunciamenti della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,
in particolare nelle sentenze Gaspodaria c. Moldavia e Sadocha c.
Ucraina. La consacrazione, a livello europeo, del principio del
contraddittorio procedimentale quale principio fondamentale dell’UE è
avvenuta con la proclamazione contenuta a livello normativo nell’art. 41 19
della CEDU. E’ inoltre previsto dagli articoli 47 e 48 20 della Convenzione
in parola. Il Trattato di Lisbona poi, modificando il Trattato istitutivo della
Comunità Europea (TCE) e il Trattato sull’Unione Europea (TUE), ha
conferito valore giuridico alla CEDU attraverso un richiamo ad essa
convenzione, contenuto nell’art. 6 del TUE 21 .
Per quanto riguarda la giurisprudenza italiana, inizialmente essa aveva
statuito la generale applicazione del contraddittorio preventivo a tutti i
procedimenti amministrativi. Pertanto un qualsiasi avviso di accertamento
emanato in assenza di contraddittorio preventivo con il contribuente doveva
19 Ogni persona ha diritto al risarcimento da parte dell'Unione dei danni cagionati dalle sue istituzioni o
dai suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni, conformemente ai principi generali comuni agli
ordinamenti degli Stati membri.
20 Art. 47 Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha
diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente
articolo. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un
termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la
facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è
concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo
alla giustizia.
Art. 48 Ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata
legalmente provata. Il rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato.
21 Articolo 6 1. L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso
valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze
dell'Unione definite nei trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità
delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione
e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali
disposizioni. 2. L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati. 3. I
diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del
diritto dell'Unione in quanto principi generali.
84
essere considerato nullo. Successivamente la stessa giurisprudenza italiana
si è però posta in contrasto con il precedente orientamento stabilendo che il
contraddittorio può essere ammesso solo nelle materie armonizzate, cioè
nelle materie oggetto di considerazione sia a livello europeo che a livello
nazionale. Per quanto riguarda invece i tributi non armonizzati, cioè
disciplinati dalla sola normativa nazionale, l’obbligo del contraddittorio da
parte della Amministrazione finanziaria sussiste solo ove previsto da una
specifica norma, ad esempio nell’articolo 12, comma 7, dello Statuto dei
diritti del contribuente. Tuttavia affinché operi la nullità del provvedimento
adottato in assenza di contraddittorio, costituisce condizione indefettibile la
circostanza che se vi fosse stato contraddittorio il procedimento avrebbe
sortito un esito diverso.
Nell’ordinamento interno la fase istruttoria è caratterizzata dalla
contemporanea presenza di interessi che, sebbene contrapposti, sono ad
ogni riguardo meritevoli di tutela: da un lato l’esigenza
dell’Amministrazione finanziaria di reprimere e prevenire l’evasione
attraverso il controllo del corretto adempimento, da parte dei contribuenti
degli obblighi formali e sostanziali posti a loro carico dalle norme fiscali;
dall’altro l’aspettativa del contribuente di non subire ingiustificate
limitazioni dei suoi diritti fondamentali.
Nel sistema italiano della potestà impositiva è, in particolare possibile
distinguere poteri che permettono di inoltrare al soggetto sottoposto al
controllo richieste di informazioni, documenti o inviti a comparire perché
fornisca elementi utilizzabili ai fini dell’accertamento nei suoi confronti; e
poteri che si caratterizzano per un intervento diretto presso i luoghi in cui il
contribuente svolge le proprie attività imprenditoriali o professionali
ovvero presso altri locali allo stesso riferibili tra cui l’abitazione privata.
85
Ai sensi dell’Articolo 32 del D.P.R. n. 600/1973 22 e dell’Articolo 51 D.P.R.
22 In vigore dal 03/12/2016
Modificato da: Decreto-legge del 22/10/2016 n. 193 Articolo 7 quater
Per l'adempimento dei loro compiti gli uffici delle imposte possono:
1) procedere all'esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche a norma del successivo articolo 33;
2) invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a comparire di persona o per mezzo di
rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento nei loro confronti, anche
relativamente ai rapporti ed alle operazioni, i cui dati, notizie e documenti siano stati acquisiti a norma del
numero 7), ovvero rilevati a norma dell'articolo 33, secondo e terzo comma, o acquisiti ai sensi
dell'articolo 18, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504. I dati ed elementi
attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del numero 7) e
dell'articolo 33, secondo e terzo comma, o acquisiti ai sensi dell';articolo 18, comma 3, lettera b), del
decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti
dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del
reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì
posti come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto
beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi
nell'ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque,
a euro 5.000 mensili. Le richieste fatte e le risposte ricevute devono risultare da verbale sottoscritto anche
dal contribuente o dal suo rappresentante; in mancanza deve essere indicato il motivo della mancata
sottoscrizione. Il contribuente ha diritto ad avere copia del verbale (1);
3) invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai
fini dell'accertamento nei loro confronti, compresi i documenti di cui al successivo art. 34. Ai soggetti
obbligati alla tenuta di scritture contabili secondo le disposizioni del titolo III può essere richiesta anche
l'esibizione dei bilanci o rendiconti e dei libri o registri previsti dalle disposizioni tributarie. L'ufficio può
estrarne copia ovvero trattenerli, rilasciandone ricevuta, per un periodo non superiore a sessanta giorni
dalla ricezione. Non possono essere trattenute le scritture cronologiche in uso;
4) inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini
dell'accertamento nei loro confronti nonché nei confronti di altri contribuenti con i quali abbiano
intrattenuto rapporti, con invito a restituirli compilati e firmati;
5) richiedere agli organi e alle Amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici non economici, alle
società ed enti di assicurazione ed alle società ed enti che effettuano istituzionalmente riscossioni e
pagamenti per conto di terzi la comunicazione, anche in deroga a contrarie disposizioni legislative,
statutarie o regolamentari, di dati e notizie relativi a soggetti indicati singolarmente o per categorie. Alle
società ed enti di assicurazione, per quanto riguarda i rapporti con gli assicurati del ramo vita, possono
essere richiesti dati e notizie attinenti esclusivamente alla durata del contratto di assicurazione,
all'ammontare del premio e alla individuazione del soggetto tenuto a corrisponderlo. Le informazioni
sulla categoria devono essere fornite, a seconda della richiesta, cumulativamente o specificamente per
ogni soggetto che ne fa parte. Questa disposizione non si applica all'Istituto centrale di statistica, agli
ispettorati del lavoro per quanto riguarda le rilevazioni loro commesse dalla legge, e, salvo il disposto del
numero 7), alle banche, alla società Poste italiane Spa, per le attività finanziarie e creditizie, alle società
ed enti di assicurazione per le attività finanziarie, agli intermediari finanziari, alle imprese di
investimento, agli organismi di investimento collettivo del risparmio, alle società di gestione del
risparmio e alle società fiduciarie;
6) richiedere copie o estratti degli atti e dei documenti depositati presso i notai, i procuratori del
registro, i conservatori dei registri immobiliari e gli altri pubblici ufficiali. Le copie e gli estratti, con
l'attestazione di conformità all'originale, devono essere rilasciate gratuitamente;
6-bis) richiedere, previa autorizzazione del direttore centrale dell'accertamento dell'Agenzia delle
entrate o del direttore regionale della stessa, ovvero, per il Corpo della guardia di finanza, del comandante
86
regionale, ai soggetti sottoposti ad accertamento, ispezione o verifica il rilascio di una dichiarazione
contenente l'indicazione della natura, del numero e degli estremi identificativi dei rapporti intrattenuti con
le banche, la società Poste italiane Spa, gli intermediari finanziari, le imprese di investimento, gli
organismi di investimento collettivo del risparmio, le società di gestione del risparmio e le società
fiduciarie, nazionali o stranieri, in corso ovvero estinti da non più di cinque anni dalla data della richiesta.
Il richiedente e coloro che vengono in possesso dei dati raccolti devono assumere direttamente le cautele
necessarie alla riservatezza dei dati acquisiti;
7) richiedere, previa autorizzazione del direttore centrale dell'accertamento dell'Agenzia delle entrate
o del direttore regionale della stessa, ovvero, per il Corpo della guardia di finanza, del comandante
regionale, alle banche, alla società Poste italiane Spa, per le attività finanziarie e creditizie, alle società ed
enti di assicurazione per le attività finanziarie, agli intermediari finanziari, alle imprese di investimento,
agli organismi di investimento collettivo del risparmio, alle società di gestione del risparmio e alle società
fiduciarie, dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi
compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi o dagli operatori
finanziari sopra indicati e le generalità dei soggetti per i quali gli stessi operatori finanziari abbiano
effettuato le suddette operazioni e servizi o con i quali abbiano intrattenuto rapporti di natura finanziaria.
Alle società fiduciarie di cui alla legge 23 novembre 1939, n. 1966, e a quelle iscritte nella sezione
speciale dell'albo di cui all'articolo 20 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione
finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, può essere richiesto, tra l'altro,
specificando i periodi temporali di interesse, di comunicare le generalità dei soggetti per conto dei quali
esse hanno detenuto o amministrato o gestito beni, strumenti finanziari e partecipazioni in imprese,
inequivocamente individuati. La richiesta deve essere indirizzata al responsabile della struttura accentrata,
ovvero al responsabile della sede o dell'ufficio destinatario che ne dà notizia immediata al soggetto
interessato; la relativa risposta deve essere inviata al titolare dell'ufficio procedente;
7-bis) richiedere, con modalità stabilite con decreto di natura non regolamentare del Ministro
dell'economia e delle finanze, da adottare d'intesa con l'Autorità di vigilanza in coerenza con le regole
europee e internazionali in materia di vigilanza e, comunque, previa autorizzazione del direttore centrale
dell'accertamento dell'Agenzia delle entrate o del direttore regionale della stessa, ovvero, per il Corpo
della guardia di finanza, del comandante regionale, ad autorità ed enti, notizie, dati, documenti e
informazioni di natura creditizia, finanziaria e assicurativa, relativi alle attività di controllo e di vigilanza
svolte dagli stessi, anche in deroga a specifiche disposizioni di legge;
8) richiedere ai soggetti indicati nell'articolo 13 dati, notizie e documenti relativi ad attività svolte in
un determinato periodo d'imposta, rilevanti ai fini dell'accertamento, nei confronti di loro clienti, fornitori
e prestatori di lavoro autonomo;
8-bis) invitare ogni altro soggetto ad esibire o trasmettere, anche in copia fotostatica, atti o documenti
fiscalmente rilevanti concernenti specifici rapporti intrattenuti con il contribuente e a fornire i chiarimenti
relativi;
8-ter) richiedere agli amministratori di condominio negli edifici dati, notizie e documenti relativi alla
gestione condominiale.
Gli inviti e le richieste di cui al presente articolo devono essere notificati ai sensi dell'art. 60. Dalla
data di notifica decorre il termine fissato dall'ufficio per l'adempimento, che non può essere inferiore a
quindici giorni ovvero per il caso di cui al n. 7) a trenta giorni. Il termine può essere prorogato per un
periodo di venti giorni su istanza dell'operatore finanziario, per giustificati motivi, dal competente
direttore centrale o direttore regionale per l'Agenzia delle entrate, ovvero, per il Corpo della guardia di
finanza, dal comandante regionale.
Le richieste di cui al primo comma, numero 7), nonché le relative risposte, anche se negative, devono
essere effettuate esclusivamente in via telematica. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle
entrate sono stabilite le disposizioni attuative e le modalità di trasmissione delle richieste, delle risposte,
nonché dei dati e delle notizie riguardanti i rapporti e le operazioni indicati nel citato numero 7) (1).
Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in
risposta agli inviti dell'ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini
87
n. 633/1972 23 gli uffici possono formulare al contribuente una serie di
dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l'ufficio deve informare il contribuente
contestualmente alla richiesta (2).
Le cause di inutilizzabilità previste dal terzo comma non operano nei confronti del contribuente che
depositi in allegato all'atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i
documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle
richieste degli uffici per causa a lui non imputabile.
(1) Con Provv. 22 dicembre 2005 (Gazz. Uff. 10 gennaio 2006, n. 7, S.O.), modificato dal Provv. 24
febbraio 2006 (Gazz. Uff. 10 marzo 2006, n. 58), dal Provv. 28 aprile 2006 (Gazz. Uff. 15 maggio 2006,
n. 111) e dal Provv. 12 novembre 2007 (Gazz. Uff. 24 novembre 2007, n. 274, S.O.) - modificato dal
Comunicato 20 marzo 2008 (pubblicato nel sito internet dell'Agenzia delle entrate il 20 marzo 2008) -
sono state stabilite le modalità di trasmissione telematica delle richieste e delle risposte, nonché dei dati,
notizie e documenti in esse contenuti.
(2) Ai sensi dell'art. 6, comma 3 decreto legislativo 24 settembre 2015 n. 156 le disposizioni contenute nel
presente comma non si applicano a dati, notizie, atti, registri o documenti richiesti dall'amministrazione
nel corso dell'istruttoria delle istanze di interpello.
(3) In base all'ordinanza della Corte Costituzionale n. 8 del 31 gennaio 2020 è manifestamente
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 32, del decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui
redditi), in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in
relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, e all'art. 6 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).
23 In vigore dal 06/07/2011
Modificato da: Decreto-legge del 06/07/2011 n. 98 Articolo 23
Gli uffici dell'imposta sul valore aggiunto controllano le dichiarazioni presentate e i versamenti eseguiti
dai contribuenti, ne rilevano l'eventuale omissione e provvedono all'accertamento e alla riscossione delle
imposte o maggiori imposte dovute; vigilano sull'osservanza degli obblighi relativi alla fatturazione e
registrazione delle operazioni e alla tenuta della contabilità e degli altri obblighi stabiliti dal presente
decreto; provvedono alla irrogazione delle pene pecuniarie e delle sopratasse e alla presentazione del
rapporto all'autorità giudiziaria per le violazioni sanzionate penalmente. Il controllo delle dichiarazioni
presentate e l'individuazione dei soggetti che ne hanno omesso la presentazione sono effettuati sulla base
di criteri selettivi fissati annualmente dal Ministro delle Finanze che tengano anche conto della capacità
operativa degli uffici stessi. I criteri selettivi per l'attività di accertamento di cui al periodo precedente,
compresa quella a mezzo di studi di settore, sono rivolti prioritariamente nei confronti dei soggetti diversi
dalle imprese manifatturiere che svolgono la loro attività in conto terzi per altre imprese in misura non
inferiore al 90 per cento.
Per l'adempimento dei loro compiti gli uffici possono:
1) procedere all'esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche ai sensi dell'art. 52;
2) invitare i soggetti che esercitano imprese, arti o professioni, indicandone il motivo, a comparire di
persona o a mezzo di rappresentanti per esibire documenti e scritture, ad esclusione dei libri e dei registri
in corso di scritturazione, o per fornire dati, notizie e chiarimenti rilevanti ai fini degli accertamenti nei
loro confronti anche relativamente ai rapporti ed alle operazioni, i cui dati, notizie e documenti siano stati
acquisiti a norma del numero 7) del presente comma, ovvero rilevati a norma dell'art. 52, ultimo comma,
o dell'articolo 63, primo comma, o acquisiti ai sensi dell'articolo 18, comma 3, lettera b), del decreto
legislativo 26 ottobre 1995, n. 504. I dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e
rilevati rispettivamente a norma del numero 7) e dell'articolo 52, ultimo comma, o dell'articolo 63, primo
88
comma, o acquisiti ai sensi dell'articolo 18, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n.
504, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 54 e 55 se il contribuente
non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili;
sia le operazioni imponibili sia gli acquisti si considerano effettuati all'aliquota in prevalenza
rispettivamente applicata o che avrebbe dovuto essere applicata. Le richieste fatte e le risposte ricevute
devono essere verbalizzate a norma del sesto comma dell'articolo 52; 3) inviare ai soggetti che esercitano
imprese, arti e professioni, con invito a restituirli compilati e firmati, questionari relativi a dati e notizie di
carattere specifico rilevanti ai fini dell'accertamento, anche nei confronti di loro clienti e fornitori;
4) invitare qualsiasi soggetto ad esibire o trasmettere, anche in copia fotostatica, documenti e fatture
relativi a determinate cessioni di beni o prestazioni di servizi ricevute ed a fornire ogni informazione
relativa alle operazioni stesse;
di sanzioni relative alla violazione commessa, e per esteso nei casi in cui il
processo assuma ad oggetto una fattispecie sussumibile nell’ambito del
diritto penale.
Ancora in tema di applicazione dell’art. 6 della Carta alla materia tributaria,
si pone la sentenza sul caso“Ravon”, 40 concernente l’applicabilità delle
il suo rifiuto a considerarla tale. Osserva altresì che la somma in gioco era minima. Dal momento che
l'interessato aveva ampiamente avuto l'occasione di presentare per iscritto i suoi mezzi di difesa e di
rispondere alle conclusioni delle autorità fiscali, la Corte ritiene che i requisiti di equità sono stati
soddisfatti e che, considerate le circostanze particolari del caso, non richiedevano lo svolgimento di
un'udienza. 49. Pertanto, non vi è stata violazione dell'art. 6, par. 1 della Convenzione. PQM Per questi
motivi, la Corte 1. dichiara, per tredici voti contro quattro, che l'art. 6 della Convenzione si applica alla
fattispecie; 2. dichiara, per quattordici voti contro tre, che non vi è stata violazione dell' art. 6 della
Convenzione. Alla sentenza è allegata l'opinione parzialmente dissenziente comune ai giudici Costa
Cabral Barreto, Mularoni, che il giudice Caflisch dichiara di condividere, e l'opinione parzialmente
dissenziente del giudice Lucaides, che i giudici Zupancic e Spielmann dichiarano di condividere.
Copyright Giuffrè editore 2006 - Traduzione ripresa dall'opera M. de Salvia - V. Zagrebelsky, Diritti
dell'uomo e libertà fondamentali, coordinato da M. Fumagalli Meraviglia. Note Utente: LORIS TOSI -
www.iusexplorer.it - 07.11.2014 © Copyright Giuffrè 2014.
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CASO RAVON E ALTRI c. FRANCIA
STRASBURGO
21 febbraio 2008
Questa sentenza diventerà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della
Convenzione. Potrebbe subire aggiustamenti di forma.
Nel caso Ravon e altri c. Francia,
122
La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (terza sezione), riunita in una camera composta da :
Boštjan M. Zupančič , presidente,
Corneliu Bîrsan,
Jean-Paul Costa,
Elisabet Fura-Sandström,
Alvina Gyulumyan,
Egbert Myjer,
Isabelle Berro-Lefèvre, giudici,
e Santiago Quesada , segretario di sezione ,
Dopo aver deliberato in camera privata in data 31 gennaio 2008,
Rende la seguente sentenza, adottata in data odierna :
PROCEDURA
1. La causa ha origine da un ricorso (n. 18497/03 ) diretto contro la Repubblica francese e che
coinvolgeva un cittadino di tale Stato, il sig. Jean - Maurice Ravon (“ il ricorrente ”), e persone giuridiche
di diritto francese, TMR International Consultant e SCI Rue du Cherche-Midi 66 (" le società ricorrenti"),
hanno presentato ricorso alla Corte il 10 giugno 2003 ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ('la Convenzione ') .
2. I ricorrenti sono rappresentati dall'avvocato Delphine Ravon, a Parigi. Il governo francese (" il
Governo ") è rappresentato dal suo agente, la signora Edwige Belliard , direttrice degli affari giuridici
presso il Ministero degli affari esteri.
3. Il 6 agosto 2005, la Corte ha deciso di comunicare il ricorso al Governo. Basandosi sull’articolo 29
§ 3 della Convenzione, ha deciso che l’ammissibilità e il merito della causa sarebbero stati esaminati allo
stesso tempo.
I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE
4. Il ricorrente è nato nel 1947 e vive a Marsiglia, dove si trovano anche le sedi delle società
ricorrenti.
5. Il ricorrente controllava le società ricorrenti, nonché un'altra società denominata TMR France, sia
attraverso la detenzione del capitale sociale, sia attraverso l'esercizio della gestione statutaria.
6. Il 3 luglio 2000, sospettando che le società ricorrenti – in particolare – abbiano eluso ed evaso
l'accertamento e il pagamento dell'imposta sulle società e dell'imposta sul valore aggiunto (“ IVA ”),
l'amministrazione fiscale presenta richieste al presidente dell'Alta Corte di Marsiglia tribunale e il
presidente della Corte Suprema di Parigi chiedendo l'attuazione del suo diritto di visita e di sequestro
previsto dall'articolo L. 16 B del libro delle procedure fiscali. Quest'ultimo, nella stessa data, ha emesso
due distinte ordinanze che autorizzano l'Amministrazione finanziaria ad effettuare visite e sequestri
necessari alla ricerca delle prove di tali fatti nei luoghi sotto indicati dove possono trovarsi documenti e
materiali informativi atti a dimostrare presunte frodi , vale a dire (in particolare): i locali e annessi
situati a Marsiglia, ad un indirizzo determinato, che potrebbero essere occupati dalle società ricorrenti, e,
ad altro indirizzo, dal ricorrente e/o da sua moglie ; i “ locali e annessi ” situati in 66 rue du Cherche-Midi
a Parigi, “ che potrebbero essere occupati ” dal ricorrente e/o da sua moglie e/o dalla seconda società
ricorrente. I ricorrenti hanno presentato ricorso alla Corte di Cassazione contro tali ordinanze ; non
forniscono alcuna informazione relativa a tali procedure.
7. I locali delle società ricorrenti nonché le abitazioni della ricorrente a Marsiglia e Parigi furono
visitati il 4 luglio 2000 sulla base di tali ordinanze ; furono sequestrati i documenti.
8. Ritenendo che fossero state commesse irregolarità nel corso di tali visite e sequestri, i ricorrenti
hanno presentato due distinte richieste ai presidenti delle Corti Superiori di Marsiglia e di Parigi
chiedendo l'annullamento di tutte queste operazioni.
9. Il 26 febbraio 2001, il presidente dell'Alta Corte di Parigi dichiarava irricevibile il ricorso
presentatogli, con un'ordinanza motivata come segue :
123
“ Nell’ambito delle nostre competenze :
Considerando che l'articolo L. 16 B del libro delle procedure tributarie, che ci conferisce piena
facoltà non solo di autorizzare la visita ma anche di assicurare la regolarità delle operazioni poiché
la visita e il sequestro di documenti sono effettuati sotto l'autorità e il controllo del giudice che li
ha autorizzati, non pone limiti temporali al potere di controllo affidatoci.
Considerando che la giurisprudenza costante da molti anni, e finora pienamente condivisa dalla
Corte di Cassazione, la quale aveva ritenuto che il nostro potere di controllo si estendesse alla
constatazione dell'irregolarità delle operazioni al momento del loro compimento e in questo caso al
loro annullamento, in fine di trattare unitariamente la controversia sulle visite domiciliari e di
sottoporla allo stesso magistrato firmatario, non può essere oggetto di alcuna censura, nel senso che
spetta infatti all'autorità giudiziaria il compito di garantire la tutela della libertà individuale in tutti i
suoi aspetti ; d'altro canto poiché le persone che, sulla base di una presunzione di frode, sono oggetto
di visita domiciliare, dispongono, secondo il testo dell'articolo L. 16 B del libro delle procedure
tributarie, di un'unica via di ricorso , che è il ricorso per cassazione non sospensivo, che consente di
impugnare sia il provvedimento di autorizzazione sia lo svolgimento della visita domiciliare, la base
giuridica della coesistenza di un ricorso “ pretoriano ” con un via di ricorso “ ufficiale è di per sé
discutibile.
Mentre tale difficoltà procedurale, già emersa in giurisprudenza, poiché alcune sentenze della
Suprema Corte avevano rilevato che il provvedimento di autorizzazione emesso su richiesta non era
soggetto a revoca, rito abbreviato o ricorso, ma solo ricorso in cassazione, non era stata accolta
identica risposta con riguardo alle istanze di contestazione della regolarità delle operazioni,
presentate dopo la presentazione del verbale e quindi dopo la chiusura delle operazioni ; che per tali
c.d. istanze di annullamento, rispettando il carattere contraddittorio dello scambio di memorie, è
stato consentito che fossero esaminate e che lo stesso è avvenuto per la citazione per ritrattazione
sommaria emessa secondo una procedura ispirata alla ritrattazione sommaria della procedura civile
disciplinata dagli articoli 496 e ss. del nuovo codice di procedura civile.
Mentre l'ordinanza contraddittoria emessa, incidendo sostanzialmente sulla validità stessa delle
operazioni, era essa stessa oggetto di ricorso per Cassazione.
Mentre, mentre il testo dell'articolo L. 16 B non limita certo la nostra giurisdizione nel tempo, il
che spiega perché il magistrato non abbia l'impressione di commettere un eccesso di potere quando
conserva la sua giurisdizione, anche al di là della presentazione della relazione, su d'altro canto tale
pratica può spiegarsi solo con considerazioni concrete al fine di consentire alla parte visitata di
esercitare il proprio diritto di opposizione anche previa riflessione e quindi a posteriori, pur avendo
piena possibilità di esercitarlo nel corso delle operazioni stesse, poiché la sottoscrizione Il
magistrato, in contatto permanente con l'amministrazione finanziaria e gli agenti di polizia
giudiziaria, almeno telefonicamente, fino alla conclusione delle operazioni, ha già avuto ogni
occasione di essere informato delle difficoltà e di aver potuto esercitare il suo potere di controllo ,
che gli consente anche, eventualmente, di sospendere o interrompere la visita.
Mentre la Suprema Corte, che tende ormai a ritenere per giurisprudenza costante che il fatto di
pronunciarsi su tali censure, dopo la chiusura delle operazioni, costituisce un eccesso di potere da
parte del magistrato firmatario, solleva conseguentemente la regolarità del duplice procedimento
processuale percorso, sopra evidenziato ; che questa nuova posizione della Corte Suprema è
anteriore al deposito del ricorso e avrebbe potuto essere nota al ricorrente e al suo avvocato.
Premesso che il magistrato firmatario rileva inoltre che nel caso di specie, da un lato, il visitato ha
effettivamente proposto ricorso per cassazione e che, secondo la relazione redatta, non è stato
menzionato che esso abbia formulato specifica eccezione ; che pertanto la parte visitata non è stata
privata dei rimedi ; che vi è motivo di dichiarare il ricorso irricevibile .
124
L'11 dicembre 2002, la Sezione penale della Corte di cassazione ha respinto il ricorso proposto dai
ricorrenti – in particolare per violazione degli articoli 6 § 1, 8 e 13 della Convenzione – con una sentenza
così formulata :
« (...)
Considerato che, ai sensi dell'articolo L. 16 B del libro delle procedure tributarie, il mandato del
giudice incaricato di controllare l'esecuzione dell'ispezione domiciliare si conclude con le operazioni
autorizzate ; che un'eventuale irregolarità che riguardi tali operazioni non può essere rinviata a
posteriori, poiché una simile controversia rientra nell'ambito del contenzioso che può essere portato
dinanzi ai giudici chiamati a pronunciarsi su eventuali procedimenti avviati sulla base dei documenti
sequestrati ;
(...) »
10. Nel frattempo, con ordinanza del 5 aprile 2001, il presidente della Corte Suprema di Marsiglia
aveva respinto in quanto infondata la richiesta sottopostagli, dopo essersi dichiarato competente, ma
soltanto a conoscere della regolarità delle visite e dei sequestri a partire da tali operazioni sono
effettuate sotto il nostro controllo (art. L. 16 B) ”.
Adita dai ricorrenti, la sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza dell'11 dicembre 2002,
ha cassato e annullato tale ordinanza – e ha affermato che non vi era motivo di rinvio – sulla base del fatto
che “ pronunciandosi in questo modo, mentre le operazioni erano terminate, il giudice ha ecceduto i suoi
poteri ed ha disatteso [articolo L. 16 B del libro delle procedure tributarie] e il principio [riportato
nell'estratto della prima sentenza della camera penale dell'11 dicembre 2002 sopra trascritto ] ”.
11. Allo stesso tempo, i conti della prima società ricorrente furono controllati e fu effettuato un esame
contraddittorio della situazione fiscale personale della ricorrente ; tuttavia, rispettivamente in data 10
dicembre 2001 e 12 febbraio 2003, l'amministrazione finanziaria ha inviato a ciascuna di esse un avviso
di mancata rettifica. Quanto alla contabilità della seconda società ricorrente, essa non ha dato luogo ad
alcuna operazione di revisione contabile.
12. L'articolo L.16 B del libro delle procedure tributarie così recita :
I. Quando l'autorità giudiziaria, contattata dall'amministrazione fiscale, ritiene che sussistano
presunzioni secondo cui un contribuente elude l'accertamento o il pagamento delle imposte sul
reddito o sugli utili o dell'imposta sul valore aggiunto effettuando acquisti o vendite senza fattura,
utilizzando o emettendo fatture o documenti non relativi a transazioni effettive o omettendo
consapevolmente di effettuare o spacciare registrazioni o inserendo o inserendo consapevolmente
registrazioni inesatte o fittizie in documenti contabili la cui conservazione è richiesta dal codice
generale delle imposte, può, ai sensi del alle condizioni previste al punto II, autorizzare gli agenti
dell'amministrazione fiscale, aventi almeno il grado di ispettore e autorizzati a tal fine dal Direttore
generale delle imposte, a ricercare prove di tali azioni, effettuando visite in tutti i luoghi, anche
privati, dove è probabile che gli atti e i documenti ad essi relativi siano conservati e si proceda al
loro ingresso, qualunque sia il mezzo.
II. Ogni visita deve essere autorizzata con ordine del presidente del tribunale nella cui
giurisdizione si trovano i luoghi da visitare o di un giudice da lui delegato.
(Il presidente della Corte Suprema può affidare questa funzione al giudice delle libertà e della
detenzione).
Il giudice deve verificare in concreto la fondatezza della richiesta di autorizzazione
sottopostagli; tale richiesta deve contenere tutte le informazioni in possesso dell'amministrazione
idonee a giustificare la visita.
L'ordine comprende:
L'indirizzo dei luoghi da visitare;
125
Il nome e lo status del funzionario autorizzato che ha richiesto e ottenuto l'autorizzazione a
svolgere le operazioni di ispezione.
Il giudice motiva la sua decisione indicando gli elementi di fatto e di diritto che ritiene e che
suggeriscono, nella specie, l'esistenza delle azioni fraudolente di cui si chiede la prova.
Qualora, nel corso della visita, gli agenti autorizzati scoprano l'esistenza di una cassaforte presso
un istituto di credito di cui è titolare la persona che occupa i locali visitati e nella quale possono
essere rinvenuti parti e documenti relativi ai fatti di cui alla lettera I, essi potrà, previa autorizzazione
rilasciata con qualsiasi mezzo dal giudice che ha emesso l'ordinanza, procedere immediatamente
all'ispezione di tale cassaforte. Di tale autorizzazione si fa menzione nel verbale previsto al punto
IV.
La visita e il sequestro dei documenti vengono effettuati sotto l'autorità e il controllo del giudice
che li ha autorizzati. A tal fine impartisce tutte le istruzioni agli agenti che partecipano a tali
operazioni.
Nomina un ufficiale di polizia giudiziaria incaricato di assistere a tali operazioni e di tenerlo
informato sullo svolgimento delle stesse.
Può, se lo ritiene utile, recarsi sul posto durante l'intervento.
In ogni momento potrà decidere di sospendere o interrompere la visita.
L'ordinanza è notificata oralmente e sul posto, al momento della visita, all'occupante dei locali o al
suo rappresentante che ne riceve copia integrale contro ricevuta o firma nel verbale previsto al punto
IV. In assenza dell'occupante dei locali o del suo rappresentante, l'ordine viene notificato, dopo la
visita, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. La notifica si ritiene effettuata alla
data di ricevimento riportata sull'avviso.
In mancanza di ricevuta, l'ordinanza è notificata alle condizioni previste dagli articoli 550 e
seguenti del codice di procedura penale.
I termini e i termini della procedura di ricorso sono indicati nella notifica e negli atti di notifica.
L'ordinanza di cui al primo comma è soggetta esclusivamente a ricorso in cassazione secondo le
norme previste dal codice di procedura penale; tale ricorso non è sospensivo. I termini per il ricorso
decorrono dalla notifica o notifica dell'ordinanza.
III. La visita, che non può iniziare prima delle ore 6.00 né dopo le 21.00, è effettuata alla presenza
dell'occupante dei locali o del suo rappresentante; Se ciò non è possibile, l'ufficiale di polizia
giudiziaria richiede due testimoni scelti tra persone estranee alla sua autorità o a quella
dell'amministrazione tributaria.
Gli agenti dell'amministrazione fiscale menzionati al punto I possono essere assistiti da altri agenti
fiscali autorizzati alle stesse condizioni degli ispettori.
Possono esaminare i pezzi e i documenti prima del sequestro solo gli agenti fiscali abilitati,
l'occupante dei locali o il suo rappresentante e l'ufficiale di polizia giudiziaria.
L'ufficiale di polizia giudiziaria assicura il rispetto del segreto professionale e dei diritti della
difesa secondo quanto previsto dal terzo comma dell'articolo 56 del codice di procedura penale; Si
applica l'articolo 58 del presente codice.
IV. Gli agenti dell'amministrazione finanziaria redigono immediatamente un verbale che illustra i
termini e lo stato di avanzamento dell'operazione e riporta i rilievi effettuati. Se necessario, viene
126
allegato l'inventario dei pezzi e dei documenti sequestrati. Il verbale e l'inventario sono firmati dagli
agenti dell'amministrazione tributaria e dall'ufficiale di polizia giudiziaria nonché dai soggetti di cui
al comma primo del III; in caso di rifiuto di firma se ne fa menzione nel verbale.
Se l'inventario in loco presenta difficoltà, le parti ed i documenti sequestrati vengono posti sotto
sigillo. L'occupante del locale o il suo rappresentante è informato che può assistere all'apertura dei
sigilli che avviene alla presenza dell'ufficiale di polizia giudiziaria ; viene quindi stabilito
l'inventario.
V. Gli originali del verbale e dell'inventario sono, non appena costituiti, trasmessi al giudice che ha
autorizzato la visita; copia degli stessi documenti è consegnata all'occupante del locale o al suo
rappresentante.
Le parti ed i documenti sequestrati vengono restituiti all'occupante dei locali entro sei mesi dalla
visita; tuttavia, quando viene avviato un procedimento penale, la loro restituzione è autorizzata
dall'autorità giudiziaria competente.
VI. L'amministrazione tributaria può utilizzare le informazioni raccolte nei confronti del
contribuente solo dopo la restituzione dei pezzi e dei documenti sequestrati o la loro riproduzione e
l'attuazione delle procedure di controllo di cui ai commi primo e secondo dell'articolo L. 47.
13. Il Governo sottolinea che si tratta di una procedura eccezionale che l'amministrazione utilizza solo
per i casi che si presume coinvolgano frodi di notevole entità e di notevole gravità. I ricorrenti contestano
tuttavia tale affermazione. Sottolineano che la Corte di Cassazione ha statuito che “ l'articolo L. 16 B del
libro della procedura tributaria non richiede l'esistenza di presunzioni di reati di particolare gravità ma
solo di presunzioni di evasione fiscale sui redditi o sugli utili o sull'IVA ” (Cass. Com. May 30, 2000,
n.1182 D -F) e che “ non discende dall'articolo L. 16 B (...) che detta procedura non “è autorizzata solo
per reati di particolare gravità ” (Cass. Crim. 30 ott. 2002, n . 01-84960).
14. La Corte di cassazione ha ritenuto che il controllo del presidente della Corte d'appello sulle visite
domiciliari da lui autorizzate in applicazione di tale disposizione si estendeva alla contestazione della
regolarità delle visite e alle operazioni di sequestro una volta che queste fossero state concluse (Cass.
Mixed Ch. 15 dicembre 1988, n° 176 P, Maene : RFJE 3/89 n ° 328). Con due sentenze del 30 novembre
1999 (n . 1937 PB , Sté Bec Frères , e n . 1938 D, Sté Sogea ), la sua camera di commercio ha concluso –
nell'ambito dell'applicazione di un testo paragonabile all'articolo L. 16 B citato sopra – che il mandato del
giudice competente a rilasciare l'autorizzazione alle visite e ai sequestri domiciliari si conclude con le
operazioni, all'atto della consegna della copia del verbale e dell'inventario all'occupante dei locali o al suo
rappresentante ; il giudice non può quindi prendere cognizione a posteriori di un'eventuale irregolarità di
tali operazioni, trattandosi di una controversia che può essere portata dinanzi ai giudici chiamati a
pronunciarsi su eventuali procedimenti avviati sulla base dei documenti sequestrati. Per quanto riguarda
specificamente l'articolo L. 16 B del libro delle procedure tributarie, questa nuova giurisprudenza è stata
confermata dalla sezione penale della Corte di cassazione nelle due sentenze rese nei confronti dei
ricorrenti l'11 dicembre 2002.
Il Governo indica che sono ora possibili due vie di ricorso per ottenere una valutazione della regolarità
delle operazioni di perquisizione e sequestro. La prima, nel corso delle operazioni (prima della
presentazione del verbale che documenta tale andamento), davanti al giudice che ha autorizzato la visita,
la cui decisione è soggetta solo a ricorso in Cassazione. La seconda, davanti alle autorità giudiziarie che
dovranno conoscere il procedimento sulla base della visita in questione : o il giudice tributario – quello
amministrativo – competente a pronunciarsi sulla procedura di rettifica fiscale, oppure il giudice penale,
in caso di procedimento penale per frode fiscale.
POSTO
127
I. SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE E
DELL'ARTICOLO 13 COMBINATO CON L'ARTICOLO 8
15. I ricorrenti lamentano di non aver avuto accesso ad un ricorso effettivo per contestare la legalità
delle visite domiciliari e dei sequestri ai quali sono stati sottoposti ai sensi dell'articolo L. 16 B del Libro
delle procedure tributarie. Essi si basano sull'articolo 6 § 1 della Convenzione nonché sull'articolo 13 in
combinato disposto con l'articolo 8, disposizioni che sono così formulate :
Articolo 6 § 1
“ Ogni individuo ha diritto che la sua causa sia esaminata equamente (...) da un tribunale
indipendente e imparziale, costituito dalla legge, che deciderà (...) le controversie relative ai suoi
diritti e obblighi di natura civile (.. .) »
Articolo 13
“ Qualsiasi persona i cui diritti e libertà riconosciuti dalla (...) Convenzione siano stati violati ha
diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinanzi ad un'autorità nazionale, anche se la
violazione è stata commessa da persone che agiscono nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali . »
Articolo 8
“ 1. Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio
e della propria corrispondenza.
2. Non vi può essere ingerenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di questo diritto solo nella
misura in cui tale ingerenza è prevista dalla legge e costituisce una misura necessaria, in una società
democratica, per la sicurezza nazionale, la sicurezza pubblica , il benessere economico del Paese, la
difesa dell'ordine e la prevenzione dei reati, la tutela della salute o della morale, ovvero la tutela dei
diritti e delle libertà altrui. »
A. Tesi delle parti
1. Il governo
16. Il Governo sostiene, in primo luogo, che l'articolo 6 § 1 non è applicabile, sicché, da questo punto
di vista, l'applicazione è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi
dell'articolo 35 § 3. Egli ammette che vi è stata una “ controversia ” ai sensi dell’articolo 6 § 1. Egli
ritiene tuttavia che non si tratti di diritti o obblighi di “ natura civile ”, il cui procedimento si tratta di
essere, secondo lui, “ fiscale", si riferisce in particolare al caso Ferrazzini c. Italia [GC] del 12 luglio
2001 (n . 44759/98 , CEDH 2001-VII, § 29), in cui la Corte ha confermato che “il contenzioso tributario
esula dall'ambito dei diritti e degli obblighi civili ”.
17. Il Governo ritiene il ricorso irricevibile anche ai sensi degli articoli 13 e 8 combinati.
18. In sostanza, egli sostiene che i ricorrenti non hanno esaurito le vie di ricorso interne previste
dall'articolo 35 § 1 della Convenzione poiché il diritto francese ha aperto loro due procedimenti che
avrebbero consentito loro di “ ottenere il risarcimento del danno causato dalla persona controversa”. visita
a casa . In primo luogo, potrebbero avvalersi del rimedio previsto dall'articolo 9 del codice civile il quale
prevede che ognuno ha diritto al rispetto della propria vita privata e che precisa che i giudici
possono, salvo il risarcimento del danno subito, prescrivere tutte le misure , quali il sequestro, il sequestro
ed altri, idonei a prevenire o porre fine ad una violazione della privacy . Il Governo precisa al riguardo
che la tutela dell'abitazione rientra nell'ambito di applicazione dell'articolo 9 del codice civile e che, ad
esempio, la Corte di Cassazione ha statuito che costituisce una violazione del rispetto della vita privata, e
dà quindi luogo a il diritto al risarcimento, il fatto che un locatore entri nell'abitazione del suo inquilino
senza l'autorizzazione di quest'ultimo (Cass. Civ. 3 , 25 febbraio 2004, ricorso n. 02 - 18081 , Bollettino
128
2004 III n . 41, p.38 ). In secondo luogo, avevano la possibilità di agire contro l'agente giudiziario
dell'Erario, per essere risarciti sulla base della responsabilità senza colpa dello Stato per violazione del
principio di uguaglianza prima delle accuse per i soggetti che hanno subito un danno nel corso di una
perquisizione o di una visita domiciliare, alla duplice condizione che il danno sia sufficientemente
rilevante da caratterizzare una violazione di uguaglianza e che non sia fortuito (Cass. Civ. 1 , 25 ott. 2005,
ricorso n . 03-15371).
19. In subordine, il Governo conclude che questo aspetto del ricorso è manifestamente infondato. Egli
afferma di non contestare l'esistenza di un'ingerenza nel rispetto del domicilio dei ricorrenti, ma ritiene
che questi avessero a disposizione un “ rimedio effettivo ” ai sensi dell'articolo 13.
Sottolinea innanzitutto che le visite domiciliari effettuate ai sensi dell'articolo L. 16 B del Libro delle
procedure tributarie possono essere effettuate solo sulla base di un'autorizzazione rilasciata a seguito di un
procedimento giudiziario. A questo proposito, ricorda che nel caso Keslassy c. Francia (n . 51578/99 ,
decisione dell'8 gennaio 2002), la Corte ha ritenuto che questo “ articolo (...) prevede un certo numero di
garanzie : prevede, da un lato, l'autorizzazione giudiziaria previa verifica, da parte del giudice, degli
elementi fondanti la richiesta dell'amministrazione [;], invece, l'intero procedimento di visita e sequestro è
posto sotto l'autorità e il controllo del giudice, il quale nomina un ufficiale di polizia giudiziaria incaricato
di intervenire e riferire al lui, e che può in ogni momento recarsi personalmente sul posto e ordinare la
sospensione o la cessazione della visita ” ; ha poi concluso che “ considerato il rigido quadro entro il
quale si collocano le autorizzazioni alle visite domiciliari e il fatto che la contestata visita domiciliare
[era] avvenuta nel rispetto di tale quadro, (...) l'ingerenza nel diritto del ricorrente il rispetto della sua vita
privata e del suo domicilio era proporzionato agli scopi legittimi perseguiti e quindi necessario, in una
società democratica , ai sensi dell'articolo 8 § 2 della Convenzione . Tuttavia, secondo lui, nel caso di
specie “ le ordinanze impugnate soddisfacevano pienamente i requisiti posti dalla normativa nazionale e
dalla giurisprudenza europea ”. Inoltre, il fatto che tali ordinanze siano soggette solo a ricorso in
cassazione non sarebbe problematico, la Convenzione non impone un doppio livello di giurisdizione e,
come ha statuito la Corte nel caso Civet c. Francia del 28 settembre 1999 (Recueil 1999-VI, § 43),
essendo il ricorso per cassazione un rimedio da esaurire per soddisfare i requisiti dell'articolo 35 § 1 e
quindi un rimedio effettivo.
I ricorrenti disponevano quindi di un ricorso effettivo a posteriori , che consentiva di ottenere una
decisione sulla legalità delle perquisizioni. Certamente, dopo l'inversione della giurisprudenza della Corte
di Cassazione, nel caso in cui alle perquisizioni non faccia seguito un procedimento tributario o penale,
l'interessato alla perquisizione domiciliare dovrà agire tempestivamente e proporre ricorso dinanzi al
giudice che ha rilasciato l'autorizzazione prima che gli fosse consegnato il verbale della perquisizione. La
possibilità di proporre tale ricorso sarebbe tuttavia facilitata dal fatto che il predetto giudice è in contatto
permanente con ufficiale di polizia giudiziaria che dirige loperazione e che può recarsi sul posto in
qualsiasi momento (o anche interrompere la perquisizione in camera). caso di difficoltà). Inoltre,
sottolinea il Governo, se è vero che l'esercizio di questo rimedio è più delicato quando, come nel caso
di specie, la visita domiciliare inizia con i locali non occupati (il che impone all'ufficiale di polizia
giudiziaria di richiedere due testimoni che non hanno necessariamente un legame con i proprietari dei
locali), l'interessato dispone in ogni caso dei rimedi sopra menzionati nell'ambito dell'articolo 35 comma
1, consentendogli di contestare eventuali abusi nello svolgimento della visita .
2. I ricorrenti
20. I ricorrenti replicano che la giurisprudenza Ferrazzini non è rilevante poiché riguarda
l'applicabilità dell'articolo 6 § 1 alle “ controversie sulla base imponibile ”. Le visite domiciliari in
materia fiscale seguirebbero in realtà un “ accusa penale ”, poiché avrebbero lo scopo di ricercare
elementi relativi al reato di evasione fiscale, come avrebbe statuito il Consiglio Costituzionale nelle
decisioni del 29 dicembre 1983 e 1984. L'articolo 6 § 1 sarebbe quindi applicabile sotto il suo aspetto
penale.
21. I ricorrenti contestano inoltre di avere a disposizione vie di ricorso ai sensi dell'articolo 35 § 1
della Convenzione. Esse indicano, da un lato, che l'azione di risarcimento del danno derivante da
violazione dell'uguaglianza davanti alle cariche pubbliche menzionata dal Governo, azione di
responsabilità avente per oggetto e oggetto il risarcimento del danno, non consente una decisione sulla
regolarità delle visite riguardo ai requisiti di cui all'articolo L. 16 B del libro delle procedure
tributarie. D'altra parte, sequestrati in base all'articolo 9 del codice civile, il giudice giudiziario li avrebbe
sicuramente invitati a fare meglio : non avrebbe avuto altra alternativa che dire e giudicare legittima
129
l'ingerenza del pubblico potere. poiché apparentemente esso è stato esercitato nell'ambito e alle condizioni
previste dalla legge ; egli non avrebbe potuto verificare se ricorressero i presupposti per l'applicazione
dell'articolo L. 16 B, poiché esiste a tal fine un rimedio specifico – il ricorso per cassazione ; né sarebbe
stato competente a verificare la regolarità dello svolgimento delle visite poiché, secondo la giurisprudenza
della Corte di Cassazione, sono competenti a conoscere solo i giudici chiamati a pronunciarsi sui
procedimenti avviati sulla base dei documenti sequestrati questa disputa.
22. Quanto al merito, i ricorrenti ricordano innanzitutto che, nella sentenza Société Colas Est e altri
c. Francia del 16 aprile 2002 (n . 37971/97 , CEDH 2002-III, §§ 40-42), la Corte ha concluso che “ i
diritti garantiti dall’articolo 8 della Convenzione possono essere interpretati nel senso che comprendono
per una società il diritto di rispetto della sua sede, della sua agenzia o dei suoi locali professionali e che
perquisizioni e sequestri in tali luoghi possono quindi costituire un'ingerenza nel suo diritto al rispetto del
suo domicilio.
23. Essi sostengono poi che dal fatto che le visite domiciliari possono aver luogo solo previa
autorizzazione del magistrato non si può dedurre che esse siano soggette a un previo controllo
giurisdizionale. In pratica, infatti, i provvedimenti di concessione e autorizzazione verrebbero prescritti
dall'amministrazione, e presentati al giudice contestualmente alla richiesta e ai documenti motivanti,
mentre il giudice dovrà solo firmare. Così sarebbe stato nel caso di specie, il che spiegherebbe perché le
due ordinanze emesse nello stesso giorno dai presidenti di due distinti tribunali – uno di Marsiglia, l'altro
di Parigi – siano scritte negli stessi termini e tipografici e contengano la dicitura stessi errori di battitura,
grammatica ed ortografia. Il fatto che le ordinanze siano state emesse lo stesso giorno in cui sono state
depositate le istanze dell'amministrazione – che contenevano tuttavia 240 pagine di documenti –
confermerebbe che i suddetti giudici non hanno effettuato un efficace esame degli atti. Insomma, in realtà
la decisione di effettuare una visita domiciliare in materia fiscale spetterebbe alla sola amministrazione.
Né si potrebbe vedere un rimedio efficace nella possibilità per gli interessati di ricorrere al giudice che
ha autorizzato la visita mentre questa è in corso. Gli agenti che effettuano la visita e l’ufficiale di polizia
giudiziaria, infatti, non sarebbero tenuti a informarli di questa eventualità, e la legge non richiederebbe
che una menzione di questo tipo figuri sull’ordinanza né prevedrebbe la possibilità di contattare
consiglio. Inoltre, l'unico mezzo per contattare il giudice nel corso delle operazioni – che possono
svolgersi anche senza la presenza degli interessati, come è avvenuto per i locali di una delle società
ricorrenti, la SCI Rue du Cherche-Midi 66, visitati in assenza di un rappresentante della persona giuridica
– sarebbe il telefono e il fax ; Tuttavia, in questo caso, i recapiti del giudice competente, non risultanti
dalle ordinanze impugnate, non sarebbero stati forniti dall'ufficiale di polizia giudiziaria presente sul
posto.
In assenza di un successivo procedimento penale o fiscale, gli interessati non avrebbero nemmeno
accesso a posteriori ad un controllo giurisdizionale conforme ai requisiti della Convenzione (i ricorrenti
si riferiscono su questo punto alle sentenze Obermeier c. Austria , del 25 giugno 1990). , Serie A n° 179 ,
e Chevrol c. Francia, del 13 febbraio 2003, n. 49636/99 , CEDH 2003-III). Da un lato, come ha ritenuto
nel caso di specie la Corte di Cassazione, il giudice che ha autorizzato la visita è incompetente a valutare
le condizioni di esecuzione, la sua missione termina con le operazioni, al momento della consegna di
copia del verbale e dell'inventario all'occupante del locale o al suo rappresentante. Il provvedimento di
autorizzazione, invece, non poteva che essere oggetto di ricorso alla Corte di Cassazione. Tuttavia, un
siffatto ricorso non consentirebbe al ricorrente di ottenere un controllo sulla fondatezza dei fatti
dell'ordinanza, sulla legittimità dei documenti prodotti dall'amministrazione a sostegno della sua richiesta,
o sull'esistenza o meno di una frode amministrativa ; quanto al “ controllo giuridico ” effettuato dalla
Corte di Cassazione, si ridurrebbe in pratica ad una verifica della regolarità formale dell'ordinanza.
B. Valutazione della Corte
1. Sulla ricevibilità
24. Per quanto riguarda l'eccezione di irricevibilità ratione materiae sollevata dal Governo, essendo
l'articolo 6 § 1 manifestamente inapplicabile sotto il profilo penale in assenza di accusa in materia
penale , resta da determinare se sia, tuttavia, sotto il suo profilo penale. aspetto civile. Si tratta, nella
fattispecie, di verificare se il procedimento al quale i ricorrenti chiedono di accedere sia finalizzato a
risolvere una “ controversia ” – reale e grave – su un “ diritto ” di “ natura civile ” rivendicabile, almeno
in modo difendibile, riconosciuto nel diritto interno (si vedano, tra molte altre, le sentenze Taşkin e altri c.
130
Turchia del 10 novembre 2004, n . 46117/99 , CEDU 2004 - X, § 130, Balmer-Schafroth e altri
c. Svizzera del 26 agosto 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-IV, § 32, e Athanassoglou e altri
c. Svizzera [GC] del 6 aprile 2000, n ° 27644/95 , CEDU 2000-IV, § 43), fermo restando che l'articolo 6 §
1 non prevede di per sé “ diritti e obblighi civili ” con alcun contenuto specifico né mira a creare nuovi
diritti materiali privi di base giuridica nello Stato interessato (si veda la sentenza Regno UnitoW. c. di
luglio 8, 1987, serie A n° 121 , § 73, e la decisione Poķis c. Lettonia del 5 ottobre 2006,
n ° 528/02 ).
La Corte rileva che il Governo ammette che nel caso di specie vi è stata una “ controversia ” ai sensi
dell'articolo 6 § 1 ; ciò emerge in particolare dalle argomentazioni sviluppate dai ricorrenti dinanzi
alla Corte di Cassazione – riguardava la regolarità delle perquisizioni domiciliari e dei sequestri ai quali
erano stati sottoposti, con particolare riguardo al loro diritto al rispetto del proprio domicilio. Né il
Governo mette in dubbio il carattere “ reale e serio ” di tale “ contenzioso ” (che, del resto, emerge dalle
circostanze del caso). L'unica cosa controversa è il “ carattere civile ” della legge oggetto di questa
legge.
A questo proposito, è vero che, come sostiene il Governo, la Corte ha confermato nella
sentenza Ferrazzini (sopra citata, §§ 23-31) che “ il contenzioso tributario esula dall';ambito dei diritti e
degli obblighi civili ”. Si deve tuttavia precisare che il “ contenzioso ” attualmente in questione non si
riferisce ad un contenzioso di tale natura. Come indicato in precedenza, si tratta della regolarità delle
visite domiciliari e dei sequestri ai quali sono stati sottoposti i ricorrenti : al centro è la questione se le
autorità fossero o meno a conoscenza del loro diritto al rispetto del loro domicilio. Tuttavia, il carattere
“ civile ” di questo diritto è evidente, così come il suo riconoscimento nell’ordinamento interno, che
risulta non solo dall’articolo 9 del Codice civile – al quale fa riferimento anche il Governo – ma anche dal
fatto che la Convenzione, che lo sancisce all'articolo 8, è direttamente applicabile nell'ordinamento
giuridico francese.
Di conseguenza, la Corte ha concluso che l’articolo 6 § 1 era applicabile e che l’eccezione di
irricevibilità sollevata al riguardo dal Governo è stata respinta.
25. Per quanto riguarda l'argomento del mancato esaurimento delle vie di ricorso interne avanzato dal
Governo, esso è strettamente legato al merito della censura sollevata dai ricorrenti, per cui è opportuno
aggiungere l'eccezione di merito (v., ad esempio , la decisione Gnahoré c. Francia del 6 gennaio 2000,
n . 40031/98 ).
26. Ciò premesso, ritenendo inoltre che questa parte del ricorso non è manifestamente infondata ai
sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione e non è soggetta ad alcun altro motivo di irricevibilità, la
Corte lo dichiara ricevibile.
2. Nel merito
27. Quando, come nel caso di specie, si applica l'articolo 6 § 1, esso costituisce una lex
specialis rispetto all'articolo 13 : i suoi requisiti, che coinvolgono l'intera gamma delle garanzie proprie
del procedimento giudiziario, sono più rigorosi di quelli dell' articolo 13 , che vengono da loro assorbiti
(v., ad esempio, le sentenze Brualla Gómez de la Torre c. Spagna , del 19 dicembre 1997, Reports 1997-
VIII, § 41, e Kudła c. Polonia [GC], del 26 ottobre 2000). , n . 30210/96 , CEDH 2000-XI, § 146).
È quindi necessario esaminare questa doglianza unicamente ai sensi dell’articolo 6 § 1, e quindi
verificare se i ricorrenti hanno avuto accesso ad un “ tribunale ” per ottenere, secondo una procedura
rispondente ai requisiti di questa disposizione, una decisione sulla loro “ contestazione ” . .
La Corte ricorda a questo proposito che solo un organo che soddisfa una serie di criteri – quali
l’indipendenza dall’esecutivo e dai partiti – e gode di piena giurisdizione merita il nome di
“ tribunale tribunale ” possa per decidere una controversia relativa ai diritti e agli obblighi civili ai sensi
di tale disposizione, deve essere competente ad esaminare tutte le questioni di fatto o di diritto rilevanti
per la controversia di cui è investito (si veda, ad esempio, la citata sentenza Chevrol , §§ 76-77). . Inoltre,
come altri diritti garantiti dalla Convenzione, il diritto di accesso alla giustizia deve essere concreto ed
effettivo (vedi, ad esempio, mutatis mutandis , sentenze Airey c. Irlanda del 9 ottobre 1979, serie A
n . 32, § 24, e Steel e Morris c. Regno Unito del 15 febbraio 2005, n . 68416/01 , CEDU 2005-II,
§ 59).
28. Secondo la Corte, ciò implica, in materia di visite domiciliari, che gli interessati possano ottenere
un controllo giurisdizionale effettivo, in fatto e in diritto, della legittimità della decisione che ordina la
visita nonché, eventualmente, delle misure adottate sulla sua fondazione ; i rimedi disponibili devono
131
consentire, in caso di irregolarità, di impedire che l' operazione abbia luogo o, nel caso in cui
un'operazione ritenuta irregolare sia già avvenuta, di fornire all'interessato un adeguato risarcimento.
29. Dall'articolo L. 16 B del Libro delle procedure tributarie risulta che le ordinanze che autorizzano
le visite domiciliari sono soggette solo a ricorso dinanzi alla Corte di cassazione. La Corte ha avuto
l'opportunità, nel contesto dell'articolo 5 § 3 della Convenzione e del controllo del termine ragionevole
entro il quale una persona arrestata o detenuta deve essere processata o rilasciata nel corso del
procedimento, di affermare che il ricorso alla Corte di Giustizia La cassazione è un rimedio interno utile e
deve essere esaurito altrimenti il ricorso sarà irricevibile dinanzi alla Corte (vedi sentenza Civet c.
Francia [GC] dell' 8 settembre 1999, Raccolta 1999-VI). Tuttavia, non ne consegue necessariamente che
il presente ricorso costituisca un ricorso effettivo ai fini del controllo della regolarità, in diritto e in fatto,
dei provvedimenti che autorizzano visite domiciliari sulla base dell'articolo L.16 B del libro delle
procedure tributarie. Spetta quindi alla Corte esaminare concretamente se, in questo contesto, il controllo
della Corte di cassazione, pronunciandosi sul ricorso del ricorrente, offra sufficienti garanzie riguardo
all'equità del processo, richiesta dall' articolo 6 della Convenzione. Essa ritiene tuttavia che, di per sé, la
possibilità di ricorso per cassazione – di cui si sono avvalsi anche i ricorrenti – non soddisfi i requisiti
dell'articolo 6 § 1, poiché un simile ricorso dinanzi alla Corte di cassazione, giudice di diritto, non
consente l' esame degli elementi di fatto alla base delle autorizzazioni contestate.
30. Il fatto che l’autorizzazione a effettuare visite a domicilio sia rilasciata da un giudice – di modo
che, prima facie, un controllo giurisdizionale comprendente un esame di questo tipo sia incorporato nel
processo decisionale stesso – non è sufficiente per colmare questa lacuna . Infatti, se, come ha statuito la
Corte ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione nella causa Keslassy cui fa riferimento il Governo, ciò
contribuisce a garantire la salvaguardia del diritto al rispetto della vita privata e del domicilio, non si può
ritenere che il procedimento nel corso del quale il giudice esamina la conformità della richiesta di
autorizzazione all'articolo 6 § 1 quando la persona oggetto della perquisizione prevista – che in questa
fase non è a conoscenza dell'esistenza di un procedimento a suo carico – non può essere ascoltata.
31. Certamente, l'articolo L. 16 B prevede anche che le operazioni si svolgano sotto il controllo del
giudice che le ha ordinate, di modo che, durante il loro svolgimento, le persone i cui locali sono
interessati abbiano la possibilità di sequestrare un vista in particolare della sospensione o della cessazione
della visita. Ma se questa è anche una garanzia di cui la Corte tiene conto nell’ambito dell’articolo 8 della
Convenzione ( ibidem ) e nella quale si intravede una modalità idonea ad assicurare il controllo delle
misure di regolarità adottate sulla base dell’autorizzazione rilasciata da parte del predetto giudice, ciò non
consente un controllo autonomo sulla regolarità dell'autorizzazione stessa. Inoltre, l'accesso degli
interessati a questo giudice appare più teorico che effettivo. Infatti – questo risulta dalla giurisprudenza
della Corte di Cassazione – gli agenti che effettuano la visita non hanno l’obbligo giuridico di informare
gli interessati del loro diritto di sottoporre qualsiasi difficoltà al giudice ( e non fanno in questo caso), che
non è tenuto a menzionare nel provvedimento di autorizzazione né la possibilità né i termini del suo
deferimento ai fini della sospensione o dell'arresto della visita; non è richiesta la presenza degli interessati
(è sufficiente che siano presenti due testimoni terzi) e la legge non prevede la possibilità per gli interessati
di rivolgersi ad un avvocato o di avere contatti con l'esterno ; inoltre, almeno nel caso di specie, i recapiti
del giudice competente non figuravano nei provvedimenti di autorizzazione e non erano stati forniti ai
ricorrenti dagli agenti che avevano effettuato le visite. Inoltre, a causa di un ribaltamento della
giurisprudenza della Corte di Cassazione, gli interessati non hanno più il diritto di ricorrere al giudice che
ha autorizzato le operazioni dopo la loro realizzazione : egli non può più avere conoscenza a posteriori di
un'eventuale irregolarità che inficia tali operazioni. , controversia che rientra, secondo la Corte di
Cassazione, nella controversia che potrà essere sottoposta ai giudici chiamati a pronunciarsi sul
procedimento eventualmente avviato sulla base dei documenti sequestrati.
32. Quanto all'accesso a questi ultimi, in ogni caso, presuppone che venga successivamente avviato un
procedimento contro gli interessati, il che non è avvenuto nel caso di specie.
33. Resta la possibilità, menzionata dal Governo, di agire contro l'agente giudiziario dell'Erario per
violazione del principio di uguaglianza davanti ai pubblici uffici o di adire il giudice giudiziario sulla base
dell'articolo 9 del codice civile. Tuttavia, a parte il fatto che il Governo non fornisce precisazioni sui
termini di tali ricorsi, la Corte rileva che in ogni caso, secondo le dichiarazioni di quest' ultimo, essi
consentono di ottenere il risarcimento nell'ipotesi di danni causati durante un visita domiciliare piuttosto
che un controllo della regolarità della decisione che la prescrive e delle misure adottate sulla sua base,
sicché non possiamo considerarla come un “ controllo giurisdizionale effettivo ” richiesto (paragrafo 28
supra).
132
34. Da quanto precede consegue che i ricorrenti non hanno avuto accesso ad un “ tribunale ” per
ottenere, a seguito di una procedura conforme ai requisiti dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, una
decisione sul loro “ protesto ”.
35. Di conseguenza, la Corte conclude che l'eccezione del Governo basata sul mancato esaurimento
delle vie di ricorso interne deve essere respinta e che c'è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della
Convenzione.
II. SU ALTRE PRESUNTE VIOLAZIONI
36. I ricorrenti denunciano una violazione dell'articolo 8 della Convenzione isolatamente, derivante
dal fatto che i giudici indicati dall'amministrazione non hanno effettuato un controllo della
proporzionalità tra lo scopo perseguito e i mezzi utilizzati prima di autorizzare il contenzioso visite. Essi
aggiungono che questi magistrati si sono pronunciati sulle richieste dell'amministrazione in un periodo di
tempo talmente breve da non potersi definire termine ragionevole e che, apponendo la loro firma su
ordinanze effettivamente redatte dall'amministrazione tributaria, hanno non hanno rispettato gli obblighi
di imparzialità e di indipendenza loro imposti ; i ricorrenti vedono in ciò una violazione degli articoli 8 e
6 § 1 della Convenzione.
37. La Corte ricorda che, ai sensi dell'articolo 35 § 1 della Convenzione, essa deve essere sequestrata
entro sei mesi dalla decisione interna definitiva resa in seguito all'esaurimento delle vie di ricorso
interne ; in assenza di vie di ricorso interne conformi ai requisiti della Convenzione, tale termine inizia, in
linea di principio, a decorrere dalla data in cui si sono verificati i fatti in questione o dalla data in cui il
ricorrente è stato direttamente interessato dai fatti in questione, in quanto ne era a conoscenza o avrebbe
potuto esserne a conoscenza (si veda, ad esempio, la sentenza Gongadze c. Ucraina dell'8 novembre
2005, n . 45678/98 , § 155). Tuttavia, è chiaro che tali condizioni non sono soddisfatte nel caso di specie
per quanto riguarda le censure sopra menzionate, poiché i ricorrenti le hanno sollevate per la prima volta
nelle loro osservazioni in risposta a quelle del Governo, datate 14 aprile 2006. Queste le denunce sono
quindi in ogni caso tardive e devono quindi essere respinte ai sensi dell'articolo 35 §§ 1 e 4 della
Convenzione.
III. SULL' APPLICAZIONE DELL' ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
38. Ai sensi DELL’ARTICOLO 41 della Convenzione,
“ Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il
diritto interno dell’Alta Parte Contraente consente di cancellare solo imperfettamente le
conseguenze di tale violazione, la Corte concede, se del caso, alla parte lesa , solo soddisfazione. »
Ricorrente
39. Il ricorrente chiede 80.000 euro (EUR) per danno morale. Per quanto riguarda le società ricorrenti,
a questo riguardo chiedono ciascuna 20.000 euro.
40. Il Governo ritiene che “ la mera constatazione di una violazione costituirebbe, in ogni caso, un
risarcimento adeguato per il danno morale eventualmente subito dai ricorrenti ”.
41. La Corte condivide questo punto di vista riguardo alle società ricorrenti. Ritiene tuttavia giusto
riconoscere al ricorrente la somma di 5.000 euro per il danno morale.
B. Commissioni e spese
42. I ricorrenti hanno inoltre chiesto 30.000 euro per costi e spese sostenuti dinanzi ai tribunali
nazionali e alla Corte.
43. Il Governo “ conclude che l'eventuale equa soddisfazione concessa ai ricorrenti in merito ai costi e
alle spese non supera l'importo totale delle spese sostenute dinanzi ai tribunali nazionali e alla Corte per
accertare le presunte violazioni, a condizione che esse siano debitamente giustificato e ragionevole ».
133
garanzie del citato articolo alla istruttoria tributaria, finalizzata alla ricerca
di elementi di prova nel domicilio dei soggetti interessati o nei locali da
essi occupati. La sentenza non contiene, né espressamente, né
implicitamente alcun ritorno sui propri passi da parte del Giudicante il
quale ritiene che la fattispecie che ha dato luogo al pronunciamento della
44. La Corte ricorda che, ai sensi dell'articolo 60 §§ 2 e 3 del Regolamento, ogni ricorrente che
desideri che gli venga accordata l'equa soddisfazione ai sensi dell'articolo 41 deve presentare domande
quantificate, suddivise per titolo e accompagnate dai relativi documenti giustificativi. , in mancanza di ciò
potrà respingerli tutti o parte di essi. In questo caso, i ricorrenti non forniscono alcuna prova a sostegno
della loro richiesta ; non distinguono nemmeno le spese corrispondenti alla difesa dei loro interessi
dinanzi ai tribunali nazionali da quelle relative al presente procedimento. In queste condizioni, tutte le
loro richieste di costi e spese devono essere respinte nel loro insieme.
C. Interessi di mora
45. La Corte ritiene appropriato modellare il tasso di interesse di mora sul tasso di interesse
dell'operazione di rifinanziamento marginale della Banca Centrale Europea aumentato di tre punti
percentuali.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,
1. Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda la doglianza fondata sull'articolo 6 § 1 della
Convenzione e sull' articolo 13 della Convenzione in combinato disposto con l'articolo 8 della
Convenzione, e irricevibile per il resto ;
2. Ritiene che vi sia stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione ;
3. Ritiene che non sia necessario esaminare se vi sia stata violazione dell'articolo 13 della Convenzione
in combinato disposto con l'articolo 8 della Convenzione ;
4. Ritiene che la constatazione di violazione costituisce di per sé un'equa soddisfazione sufficiente per il
danno morale subito dalle società ricorrenti;
5. Questo
a) che lo Stato CONVENUTO deve versare al ricorrente, entro tre mesi dal giorno in cui la sentenza
diventa definitiva ai sensi dell'articolo 44 § 2 della Convenzione, 5.000 EUR (cinquemila euro), più
qualsiasi importo eventualmente dovuto come imposta, per danno morale;
b) che dalla scadenza di detto periodo e fino al pagamento, tale importo sarà maggiorato degli
interessi semplici ad un tasso pari a quello dell'operazione di rifinanziamento marginale della Banca
Centrale Europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali ; 6. Rigetta la
richiesta di equa soddisfazione per la restante parte.
134
Corte sia non di carattere tributario ma di carattere attinente ai diritti della
persona, e quindi anche il diritto all’integrità e inviolabilità del domicilio
privato.
Da quanto detto finora si ricava la conclusione che la Corte di Strasburgo si
limita a controllare l’applicazione da parte degli Stati dei tributi in modo
conforme ai diritti fondamentali, ma non si spinge a garantire anche una
tutela conforme ai diritti fondamentali in sede giurisdizionale. In
conclusione si può osservare che, sul piano della effettività della tutela
delle situazioni giuridiche soggettive e della nozione stessa di giusto
processo, il diritto interno e il diritto comunitario tollerano differenze nelle
garanzie processuali ciascuno nel proprio ambito legiferativo. Nonostante
ciò le scelte del legislatore statale devono essere realizzate in modo
armonico con i principi e le regole di fondo sanciti sia a livello nazionale,
secondo la disciplina del “giusto processo” introdotta dalla revisione
dell’art. 111 Cost., sia a livello europeo, con particolare riferimento agli
standard minimi di tutela imposti dalla Carta e dalla Corte di Strasburgo.
Altra questione legata alla dimensione europea del diritto tributario è
costituita dal diritto alla protezione dei propri dati personali da parte di
ciascun contribuente. A livello fiscale la questione si riferisce ai limiti
all’acquisizione, all’utilizzo e alla conservazione degli stessi da parte
dell’Amministrazione finanziaria per garantire un corretto bilanciamento
tra le esigenze di contrasto all’elusione ed evasione fiscale e la tutela del
diritto alla protezione dei suddetti dati (sia a livello interno che
internazionale). In Europa la protezione dei dati è iniziata negli anni ’70
con l’adozione di una normativa, da parte di alcuni Stati, finalizzata a
controllare il trattamento dei dati personali da parte delle Autorità
pubbliche e delle grandi imprese. Nell’ordinamento UE la protezione dei
135
dati è infatti riconosciuta come diritto fondamentale, distinto dal più
restrittivo concetto di “rispetto della vita privata”. Il diritto alla protezione
dei dati personali rientra a livello europeo nella disciplina dell’art. 8, che
garantisce il rispetto della vita privata e familiare, del domicilio, della
corrispondenza e stabilisce le condizioni alle quali tale diritto può essere
soggetto a restrizioni. Tuttavia va anche considerato che il rispetto della
vita privata non ha carattere assoluto e, qualora il suo esercizio possa
compromettere altri diritti, la Corte si adopera per trovare un equilibrio tra i
diversi interessi coinvolti. L’art. 7 della Carta disciplina il diritto di
ciascuno al rispetto della propria vita privata e familiare. Secondo i giudici
europei, in tale contesto anche le persone giuridiche possono invocare il
diritto in parola nell’art. 7. L’art. 8 della Carta prevede inoltre che ogni
individuo ha diritto alla tutela dei dati personali che lo riguardano. Si
intende per dati personali qualsiasi informazione concernente una persona
identificata o identificabile. A differenza che nell’articolo precedente,
nell’art.8 non è rinvenibile la previsione del diritto alla tutela in capo alle
persone giuridiche, ma soltanto alle persone fisiche. La disposizione
dell’art. 8 è modellata nel senso di porsi come valida erga omnes, ma non
appare come una prerogativa assoluta, in quanto va considerata in base alla
sua funzione sociale.
Ulteriormente e in senso limitativo l’art. 52 della Carta prevede che si
possano apportare limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà sanciti
dalla Carta stessa e di conseguenza all’esercizio del diritto alla protezione
dei dati personali, purché tali limitazioni: siano previste dalla legge,
rispettino il contenuto essenziale del diritto alla protezione dei dati, siano
necessarie nel rispetto del principio di proporzionalità e rispondano
effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’UE o
136
all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui. Lo stesso art. 52
statuisce nondimeno che, nel rispetto del principio di proporzionalità,
eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti fondamentali e delle libertà
riconosciuti dalla Carta possono essere apportate solo ove necessario. La
protezione dei dati è disciplinata, all’interno della UE, dal Regolamento
generale sulla protezione dei dati dell’Unione Europea. L’introduzione del
Regolamento scaturisce dalla necessità di garantire la certezza del diritto e
la trasparenza tra gli operatori economici, per poter assicurare un livello
coerente di protezione delle persone fisiche in tutta l’UE e prevenire
disparità che possano ostacolare la libera circolazione dei dati personali nel
mercato interno. Il Regolamento limita la trasferibilità dei dati qualora
l’interessato non abbia prestato il proprio consenso, al fine di garantire
l’accuratezza ed una protezione efficace, facilitando in tal modo il libero
flusso dei dati all’interno del territorio della UE. Il Regolamento prevede
inoltre che gli interessati debbano essere informati dell’esistenza di un
processo decisionale automatizzato, compresa la profilazione. Il diritto di
accesso ai dati personali trattati dal titolare del trattamento rimane
impregiudicato. Le informazioni non dovrebbero indicare solo che si
realizzerà la protezione preventiva o profilazione, ma dovrebbero altresì
contenere informazioni significative sulla logica utilizzata nella
profilazione stessa e sulle conseguenze previste per i soggetti del
trattamento. L’applicabilità del Regolamento in materia tributaria è
limitata. L’art. 23 del Regolamento permette espressamente restrizioni in
tale materia ed offre solo una protezione limitata per i dati fiscali delle
imprese. Tuttavia vi sono nondimeno effetti del Regolamento in materia
fiscale, sebbene a carattere embrionale e di principio, come dimostra
l’applicazione fatta dal Garante della privacy con diversi provvedimenti in
137
tema di “fatturazione elettronica” e “modelli predittivi”, delle disposizioni
del Regolamento.
Lo schema di decreto sul c.d. “anonimetro” prevede che l’Agenzia delle
entrate, una volta conferito un nome non autentico a specifici set di dati
contenuti nell’archivio dei rapporti finanziari, riesca a prevenire fenomeni
di insider trading e pertanto a proteggere i titolari privati del trattamento.
Permangono in via del tutto residuale alcune garanzie generiche quali:
l’esercizio dei diritti dell’interessato in relazione al trattamento dei dati
personali presenti nelle banche dati dell’Agenzia sulla base delle
disposizioni e in coerenza con le finalità per le quali ciascun dato è stato
raccolto, nonché il diritto dell’interessato di ottenere la rettifica dei dati
personali inesatti, in conformità alla disciplina che regola la raccolta di
ciascun dato. Il Garante ha chiesto la introduzione di alcune modifiche per
ridurre i rischi a carico dei contribuenti i cui dati sono in archivio e di
integrare lo schema di decreto con alcune specifiche garanzie per il
differimento del diritto di accesso dei contribuenti che, all’esito degli
accertamenti, saranno risultati in regola e di specificare nel dettaglio le
categorie di dati oggetto di limitazione e, nell’informativa, indicare nel
modo più trasparente le attività di protezione nei riguardi degli interessati.
Un altro diritto da considerare è il diritto di proprietà. Benché si tratti di un
diritto assoluto lo Stato può comunque esercitare la propria potestà
impositiva sui beni oggetto di tale diritto attraverso il prelievo tributario.
Tuttavia lo Stato non ha una discrezionalità assoluta, in quanto tenuto a
rispettare le regole dello Stato di diritto e della proporzionalità dell’azione.
Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia l’art. 1 del primo
protocollo della CEDU contiene le seguenti norme: la prima enuncia il
principio del pieno godimento della proprietà; la seconda concerne la
138
privazione della proprietà e la assoggetta a determinate condizioni; la terza
riconosce agli Stati il diritto di disciplinare l’uso dei beni in modo
conforme all’interesse generale. In relazione alla nozione di “bene oggetto
di proprietà” i giudici ritengono che si tratti di una nozione autonoma e
indipendente dalle qualificazioni formali dei diritti nazionali, che non
risulta limitata alla proprietà dei beni materiali. L’art. 17 della Carta
riconosce il libero godimento dei beni da parte delle persone fisiche e
giuridiche. La libertà di godimento può essere limitata solo per un fine di
utilità pubblica e se il fine sia previsto e disciplinato dalla legge. Tuttavia
per realizzare una legittima compressione del diritto di proprietà è
necessaria una legge che abbia il requisito della sostanzialità, cioè della
presenza dei requisiti di “accessibilità, precisione e prevedibilità” nonché il
requisito della proporzionalità il quale deve essere attuato considerando il
criterio della idoneità del mezzo utilizzato, il criterio della necessarietà e il
criterio della adeguatezza in base al quale deve essere perseguito il giusto
equilibrio nella comparazione tra l’interesse pubblico e le situazioni
soggettive private. In particolare la Corte di Giustizia ha focalizzato la
verifica sulla legittimità della compressione dei diritti patrimoniali del
ricorrente nel rispetto del principio di proporzionalità. Nel caso di specie,
ossia nella causa Gospodaria c. Moldavia, i giudici hanno riscontrato che il
soggetto ricorrente era stato tenuto all’oscuro delle indagini avviate; i
documenti notificati erano privi di ogni indicazione utile alla comprensione
delle accuse rivolte al soggetto, il quale era stato costretto ad affrontare il
processo senza poter preparare le proprie difese. La Corte ha quindi
decretato la violazione dell’art. 1 del Primo protocollo addizionale della
CEDU in particolare per il mancato rispetto del principio di
proporzionalità. Anche nella causa Sadocha c. Ucraina la Corte si è
pronunciata su una controversia avente ad oggetto la violazione del diritto
139
di proprietà a causa dell’irrogazione di una sanzione sproporzionata rispetto
alla gravità della violazione in cui il soggetto ricorrente era incorso. I
giudici di Strasburgo hanno riconosciuto che la sanzione irrogata al
ricorrente non era conforme al principio di proporzionalità.
Principio generale è infatti che le sanzioni irrogate da una Pubblica
Amministrazione statale devono rispettare i principi della CEDU, e che
quando vengono irrogate sanzioni non proporzionate e lo Stato prevede
istituti che consentono una riduzione delle sanzioni, i soggetti in causa
preferiscono optare per tali istituti e non esercitare il diritto di difesa. Infine
la sentenza in parola rafforza l’orientamento per cui i giudici di Strasburgo
richiedono lo svolgimento del contraddittorio endoprocedimentale tra il
soggetto e l’autorità pubblica, almeno nelle situazioni in cui si discorra di
irrogazione delle sanzioni. Se dunque l’ordinamento nazionale conferisce
ad una Autorità amministrativa il potere di irrogare sanzioni, lo stesso
ordinamento deve assicurare ai privati le garanzie procedurali adeguate
all’esercizio del diritto di difesa.
Per quanto riguarda altro diritto, cioè il diritto a non auto incriminarsi,
l’attribuzione di tale diritto tende ad evitare che un soggetto sia obbligato a
collaborare alla propria incriminazione e quindi a rilasciare in via forzata
dichiarazioni che ne provino la responsabilità penale. In altre parole tale
diritto implica che le Autorità statali debbano esercitare i propri poteri di
indagine senza ricorrere ad abusi o coercizioni della volontà del soggetto
imputato. Il diritto in parola deve, in ambito tributario, trovare applicazione
non solo in sede processuale ma anche per tutta la durata del procedimento
ed anteriormente all’emanazione dell’atto impositivo. La Corte di Giustizia
ha di recente evidenziato che il diritto in parola è al centro della nozione di
equo processo ed esclude che una persona fisica “imputata” venga
140
sanzionata a causa del suo rifiuto di fornire all’Autorità competente
risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito
amministrativo o penale.
Anche la Corte Costituzionale si è pronunciata in merito al diritto di non
“autoincriminarsi”, evidenziando un orientamento coerente con quello della
Corte di Strasburgo e ritenendo che il diritto in parola si fondi sull’art. 24
Cost., sull’art. 6 CEDU e sugli articoli 48 41 e 49 42 sempre della Carta. In
base a tale giurisprudenza, sia internazionale sia interna, prevale
l’orientamento in base al quale il diritto a non collaborare alla propria
incriminazione opera non solo nel caso di incriminazione penale, ma anche
a fronte del rischio di applicazione di una sentenza di altro tipo. A tal
riguardo sempre la Corte Costituzionale ha ritenuto che le singole garanzie
costituzionali previste per la materia penale debbano essere estese anche a
fattispecie di sanzioni amministrative. E’ tuttavia facilmente intuibile che i
contribuenti non possano invocare il diritto di non autoincriminazione per
sfuggire al loro obbligo di cooperare con le Autorità fiscali ai fini
dell’accertamento di un eventuale illecito tributario.
Infine è necessario considerare che i dati, le notizie, gli atti e i documenti
che non sono stati esibiti durante le indagini amministrative non possono
più essere utilizzati a favore del contribuente in sede amministrativa
processuale. Si produce pertanto una duplice limitazione: da una parte
41 . Ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente
provata. 2. Il rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato.
42 1. Nessuno può essere condannato per un'azione o un'omissione che, al momento in cui è stata
commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può
essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se,
successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l'applicazione di una pena più lieve, occorre
applicare quest'ultima. 2. Il presente articolo non osta al giudizio e alla condanna di una persona
colpevole di un'azione o di un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine
secondo i principi generali riconosciuti da tutte le nazioni. 3. Le pene inflitte non devono essere
sproporzionate rispetto al reato.
141
relativa alle facoltà difensive, dato che il contribuente non può utilizzare un
mezzo di prova se non è stato utilizzato durante le indagini; dall’altra
concernente la cognizione del giudice che non potrà utilizzare documenti
che, pur essendo stati ritualmente prodotti in giudizio non sono stati forniti
durante la fase amministrativa procedimentale.
Per continuare il discorso va detto che l’obbligo di garantire una efficace
riscossione delle risorse tributarie non esonera i giudici nazionali dal
rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta, nonché dei principi
generali del diritto europeo. Tali considerazioni devono ritenersi valevoli
anche per quanto attiene ai procedimenti penali avviati per i reati in materia
di IVA in quanto costituiscono attuazione del diritto dell’UE. Sempre a
livello di diritto penale il TFUE sancisce l’obbligo dell’UE e degli Stati
membri di combattere contro la frode e le altre attività illegali che ledono
gli interessi finanziari dell’Unione, ciò mediante misure dissuasive ed
efficaci considerando come “interessi finanziari dell’Unione” tutte le
entrate e le spese rientranti nel bilancio dell’UE e quelle facenti parte del
bilancio di altri organi o organismi istituiti dai Trattati, tra le quali rientrano
le entrate che provengono dall’applicazione di una aliquota uniforme agli
imponibili IVA armonizzati.
Recentemente la Corte di Giustizia ha dedicato maggiore attenzione ai casi
nei quali erano stati avviati procedimenti penali a carico di soggetti accusati
di aver commesso reati in materia di IVA o di dazi doganali. Sia nella
sentenza Fransson sia in precedenza la Corte di Giustizia aveva affermato
il generale principio secondo cui resta consentito alle Autorità e ai giudici
nazionali di applicare gli standard di tutela dei diritti fondamentali solo a
condizione che “tale applicazione non comprometta il livello di tutela
stabilito dalla Carta né il primato, l’unità o l’effettività del diritto
142
dell’Unione”. Allo stadio attuale il diritto dell’UE non stabilisce norme
relative alle modalità di assunzione delle prove ed al loro utilizzo
nell’ambito dei procedimenti penali in materia di IVA. Ne deriva che tale
ambito, in linea di principio ricade nella competenza degli Stati membri.
Questi ultimi hanno l’obbligo di contrastare le frodi e gli illeciti che ledono
gli interessi finanziari dell’UE e devono garantire che le norme di
procedura penale nazionali consentano una repressione effettiva dei reati
collegati a comportamenti illeciti. Nell’adempiere a tali obblighi i giudici
nazionali devono altresì rispettare i principi generali del diritto della UE,
tra i quali sempre il principio di legalità e dello Stato di diritto. I giudici da
una parte devono da una parte ribadire il valore e la preminenza del diritto
dell’UE sul diritto nazionale che giunge fino alla disapplicazione della
norma interna incompatibile con il diritto europeo; dall’altra sanciscono
che il principio di legalità è strettamente connesso a quello dello Stato di
diritto ed è posto dall’art. 2 43 TUE a fondamento dell’intero processo di
integrazione europeo.
Tornando a parlare dell’ambito penale, occorre dire che i suddetti diritti
fondamentali e i principi generali di livello europeo devono essere rispettati
non solo durante i procedimenti penali ma anche durante la fase delle
indagini preliminari, a decorrere dal momento in cui l’interessato è
accusato. In materia di frodi IVA, la consapevolezza è un tema
fondamentale su cui si fonda l’eventuale responsabilità del contribuente. Il
tema della responsabilità del contribuente che, con la propria attività, si
inserisce in una catena di operazioni fraudolente ai fini IVA ha costituito
oggetto di numerose pronunce. L’esigenza di contemperare da una parte, la
43 L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia,
dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone
appartenenti a minoranze.
143
tutela della certezza del diritto e del legittimo affidamento e dall’altra la
lotta all’evasione ed alle frodi fiscali ha indotto la Corte di Giustizia a
mutare il proprio orientamento circa l’irrilevanza dell’elemento soggettivo
ai fini della detrazione IVA. Secondo i giudici europei le operazioni che
rientrano nel campo di applicazione dell’IVA, devono essere assoggettate a
tale imposta “indipendentemente dall’intenzione di un operatore diverso
dal soggetto passivo che intervenga nella medesima catena di cessioni o
dall’eventuale natura fraudolenta, della quale il suddetto soggetto passivo
non aveva e non poteva avere conoscenza, di un’altra catena di cessioni,
precedente o successiva all’operazione realizzata dal soggetto passivo
interessato”. La citata posizione è stata adottata nuovamente dalla Corte in
una rilevante sentenza che, oltre a ribadire l’importanza di dimostrare, in
base ad elementi oggettivi la consapevole partecipazione del soggetto
passivo alla frode IVA, attribuisce fondamentali diritti ai soggetti
inconsapevoli nell’ambito della fase procedimentale.
A livello nazionale la Corte di Cassazione ha quindi affrontato la
problematica delle frodi IVA in termini di operazioni soggettivamente
inesistenti, data la discrasia tra la rappresentazione documentale
dell’operazione e la loro reale autenticità. La Corte di Cassazione ha in un
primo tempo applicato un’impostazione oggettiva, che considerava il
risultato dell’operazione, ossia una visione che tendeva a tutelare gli
interessi erariali e a minimizzare la rilevanza della buona fede in soggetti
non coinvolti in operazioni fraudolente. Corollario di tale rigida posizione
della Corte era il diniego incondizionato del diritto alla detrazione
indifferentemente rispetto alla eventuale buona fede da parte di uno o più
soggetti partecipanti alla operazione evasiva. Quindi per il riconoscimento
del diritto alla detrazione, l’onere di provare la regolarità dell’operazione
144
ricade sul contribuente, il quale deve fornire la documentazione che la
legge ritiene necessaria per attestare la legittimità delle operazioni
effettuate. Qualora invece, nonostante la regolarità della documentazione
prodotta dal contribuente, l’Amministrazione finanziaria abbia dei dubbi
ancora sulla regolarità della operazione, graverà su di essa l’onere di
provarne la irregolarità. Nell’eventualità che la Amministrazione fornisca
la prova della irregolarità, l’onere di provare il contrario tornerà a gravare il
contribuente. Secondo la giurisprudenza nazionale l’Amministrazione
finanziaria può assolvere all’onere probatorio nelle situazioni citate anche
mediante presunzioni semplici dotate dei requisiti di gravità, precisione e
concordanza. Spetta invece come detto al contribuente l’onere della prova
contraria. In altri termini solo se l’Amministrazione fornisce validi
elementi per affermare che, ad esempio alcune fatture sono state emesse
per operazioni anche solo parzialmente fittizie, sarà onere del contribuente
dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate.
In definitiva l’IVA risente della incisività dei principi europei,
caratterizzandosi per la disciplina prioritaria da parte dei principi di
neutralità e proporzionalità propri del sistema comune dell’IVA. In tale
contesto, l’obiettivo di regolare riscossione dell’IVA e di evitare ogni
possibile frode può giustificare severi obblighi posti a carico dei soggetti
passivi IVA i quali sono tenuti ad adottare tutte le misure che possono
essere loro ragionevolmente richieste al fine di assicurarsi che l’operazione
realizzata non li conduca a partecipare ad una frode. Tuttavia gli Stati
devono considerare che si è in presenza di un tributo armonizzato, che cioè
è disciplinato in maniera simile se non identica all’interno dell’UE, e
quindi l’attività di controllo su possibili evasioni deve necessariamente
essere conforme al rispetto dei diritti di libertà e di proporzionalità che
145
sono sanciti a livello europeo principalmente dal TUE. Se tutto ciò è vero si
giunge alla conclusione, caldeggiata dalla Corte di Giustizia, di valorizzare
il profilo soggettivo del contribuente che ha agito in buona fede ed ha
adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere, ossia ha tenuto un
comportamento diligente idoneo a dimostrare la sua estraneità ad una
eventuale frode ordita da terzi. La giurisprudenza nazionale, sulla scia di
tali orientamenti in sede europea, ha cercato di costruire un sistema di
cautele nell’applicazione dell’IVA in grado di perseguire efficacemente gli
intenti fraudolenti senza danneggiare i soggetti in buona fede e rallentare la
circolazione dei beni e dei servizi, nel rispetto dei principi di
proporzionalità, neutralità e certezza del diritto.
Un profilo di criticità può essere tuttavia ravvisato nelle modalità di
assolvimento dell’onere probatorio. Infatti da una parte l’Amministrazione
finanziaria può dimostrare l’inesistenza dell’operazione anche attraverso
indizi tali da suffragare la presunzione di fondatezza della pretesa, dall’altra
sarà il contribuente a dover dimostrare l’effettività dell’operazione, con la
conseguenza che, nella realtà l’onere in parola possa assai difficilmente
essere espletato. Generalmente si ritiene che la presenza di elementi
sospetti riconoscibili dall’operatore economico medio dovrebbero
ingenerare un “ragionevole sospetto” di esistenza di una frode fiscale. La
conseguenza immediata dovrebbe essere pertanto quella di astenersi dal
realizzare l’operazione, perché in caso contrario si parteciperebbe
consapevolmente all’evasione altrui. Ciò che emerge dalla giurisprudenza
nazionale ed europea è la necessità di attribuire rilevanza all’elemento
soggettivo della buona fede del contribuente, tutelando l’operatore che non
abbia partecipato alla frode in maniera consapevole ovvero abbia adottato
tutte le misure che si possono ragionevolmente richiedere al fine di
146
assicurarsi che le operazioni non facciano parte di un meccanismo
fraudolento.
Capitolo V
Cenni alla disciplina di tutela del contribuente in ambito
transnazionale
Nell’attuale contesto delle relazioni internazionali si verifica con molta
maggiore frequenza che in passato, il fenomeno economico per cui i redditi
prodotti dal contribuente hanno origine, in tutto o in parte, in altri Paesi, e
sono assoggettati a giurisdizioni differenti da quella di provenienza del
titolare del reddito. Vi sono perciò dei meccanismi, detti di “cooperazione
fiscale internazionale” che consentono a ciascuno degli Stati interessati –
cioè quello di cittadinanza del produttore di reddito e quello in cui il
reddito stesso è prodotto – di collaborare ai fini dell’accertamento e della
riscossione dei tributi. Lo strumento che maggiormente permette di
realizzare i testé nominati obiettivi è senza dubbio la già nominata forma di
collaborazione amministrativa reciproca che trova la sua regolamentazione
nelle fonti normative, europee e internazionali, in materia di scambio di
informazioni. A livello internazionale lo scambio di informazioni in
materia fiscale tra Stati trova la sua più compiuta disciplina nell’art. 26
44 Adeguamento alle direttive OCSE
in materia di documentazione dei prezzi di trasferimento 1. A fini di adeguamento alle direttive
emanate dalla Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico in materia
di documentazione dei prezzi di trasferimento ed ai principi di collaborazione tra contribuenti ed
amministrazione finanziaria,all'articolo 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, dopo
il comma 2-bis, è inserito il seguente: «2-ter. In caso di rettifica del valore normale dei prezzi di
trasferimento praticati nell'ambito delle operazioni di cui all' articolo 110, comma 7, del decreto
del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, da cui derivi una maggiore
imposta o una differenza del credito, la sanzione di cui al comma 2non si applica qualora, nel corso
dell'accesso, ispezione o verifica o di altra attività istruttoria, il contribuente consegni
all'Amministrazione finanziaria la documentazione indicata in apposito provvedimento del
Direttore dell'Agenzia delle entrate idonea a consentire il riscontro della conformità al valore normale
147
dei prezzi di trasferimento praticati. Il contribuente che detiene la documentazione prevista dal
provvedimento di cui al periodo precedente, deve darne apposita comunicazione
all'Amministrazione finanziaria secondo le modalità e i termini ivi indicati. In assenza di detta
comunicazione si rende applicabile il comma 2.».
2. Ai fini dell'immediata operatività delle disposizioni di cui al comma 1, il provvedimento del Direttore
dell'Agenzia delle entrate deve essere emanato entro sessanta giorni dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto. La comunicazione concernente periodi
d';imposta anteriori a quello in corso alla data di entrata in vigore del (( presente decreto, )) deve
essere comunque effettuata entro novanta giorni dalla pubblicazione del provvedimento del Direttore
dell'Agenzia delle entrate.
Riferimenti normativi - Si riporta il testo dell'articolo 1 del citato decreto legislativo n. 471 del
1997, come modificato dalla presente legge:
«Art. 1. (Violazioni relative alla dichiarazione delle
imposte dirette). - 1. Nei casi di omessa presentazione
della dichiarazione dei redditi, si applica la sanzione
amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento
dell'ammontare delle imposte dovute, con un minimo di lire
cinquecentomila. Se non sono dovute imposte, si applica la
sanzione da lire cinquecentomila a lire due milioni. Essa
può essere aumentata fino al doppio nei confronti dei
soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili.
2. Se nella dichiarazione e' indicato, ai fini delle
singole imposte, un reddito imponibile inferiore a quello
accertato, o, comunque, un'imposta inferiore a quella
dovuta o un credito superiore a quello spettante, si
applica la sanzione amministrativa dal cento al duecento
per cento della maggior imposta o della differenza del
credito. La stessa sanzione si applica se nella
dichiarazione sono esposte indebite detrazioni d'imposta
ovvero indebite deduzioni dall'imponibile, anche se esse
sono state attribuite in sede di ritenuta alla fonte.
2-bis. La misura della sanzione minima e massima di cui
al comma 2 elevata del 10 per cento nelle ipotesi di
omessa o infedele indicazione dei dati previsti nei modelli
per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini
dell' applicazione degli studi di settore, nonché nei casi
di indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità
degli studi di settore non sussistenti. La presente
disposizione non si applica se il maggior reddito d'impresa
ovvero di arte o professione, accertato a seguito della
corretta applicazione degli studi di settore, non è
superiore al 10 per cento del reddito d'impresa o di lavoro
autonomo dichiarato.
2-ter. In caso di rettifica del valore normale dei
prezzi di trasferimento praticati nell'ambito delle
operazioni di cui all'articolo 110, comma 7, del decreto
del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917,
da cui derivi una maggiore imposta o una differenza del
credito, la sanzione di cui al comma 2 non si applica
qualora, nel corso dell'accesso, ispezione o verifica o di
altra attività istruttoria, il contribuente consegni
all'Amministrazione finanziaria la documentazione indicata
in apposito provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle
Entrate idonea a consentire il riscontro della conformità
al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati. Il
contribuente che detiene la documentazione prevista dal
148
Modello OCSE. Tale articolo prevede che le Autorità degli Stati contraenti
dovranno scambiare tutte le informazioni rilevanti per l’applicazione della
normativa tributaria convenzionale o interna. Al paragrafo 2, sempre l’art.
26 del citato accordo internazionale, regola le modalità di gestione
dell’informazione ricevuta, imponendo l’obbligo di preservarne la
confidenzialità fino all’uso in sede giudiziale, tranne quando altrimenti
esplicitamente autorizzato dallo Stato che la fornisce. Lo scambio di
informazioni può essere spontaneo, automatico o su richiesta, essendo
quest’ultima la modalità più comune.
E’ previsto un regime rigoroso di riservatezza delle informazioni
scambiate. L’art. 26 al paragrafo 3 prevede ulteriori situazioni in cui non
sorge alcun obbligo di scambiare informazioni, in particolare nel caso in
cui tale obbligo, se previsto, possa comportare una lesione alla normativa di
uno o di entrambi gli Stati interessati, oppure se lo scambio potrebbe
rivelare segreti o essere contrario all’ordine pubblico.
La sunnominata e descritta attività di collaborazione si è determinata anche
in ambito Europeo attraverso la stipulazione di specifiche convenzioni tra
gli Stati membri. In tale ottica prosegue il processo di valorizzazione del
patrimonio informativo disponibile nonché lo sforzo per garantire una
provvedimento di cui al periodo precedente, deve darne
apposita comunicazione all'Amministrazione finanziaria
secondo le modalità e i termini ivi indicati. In assenza
di detta comunicazione si rende applicabile il comma 2.
3. Se le violazioni previste nei commi 1 e 2 riguardano
redditi prodotti all'estero, le sanzioni sono aumentate di
un terzo con riferimento alle imposte o alle maggiori
imposte relative a tali redditi.
4. Per maggiore imposta si intende la differenza tra
l'ammontare del tributo liquidato in base all'accertamento
e quello liquidabile in base alle dichiarazioni, ai sensi
degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente
della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 , recante
disposizioni comuni in materia di accertamento delle
imposte sui redditi.».
149
maggiore efficienza e trasversalità dei flussi informativi sulle attività
internazionali tra le strutture dell’Agenzia su cui tali attività impattano. In
particolare gli Stati cercano di intensificare i mezzi di natura preventiva
limitando quelli di natura repressiva e individuando alternative che possano
potenziare una maggiore trasparenza nel compimento della obbligazione
tributaria. Le attività di verifica congiunta si realizzano in base ad un
accordo che comporta il coinvolgimento dell’Autorità dello Stato membro
richiedente nello Stato membro interpellato per l’acquisizione delle
informazioni da trasmettere. L’Italia ha recepito la disciplina delle suddette
fattispecie con l’art. 31 bis, comma 6 del D.P.R. n. 600/1973. 45
45 1. L'Amministrazione finanziaria provvede allo scambio, con le altre autorità competenti degli Stati
membri dell'Unione europea, delle informazioni necessarie per assicurare il corretto accertamento delle
imposte di qualsiasi tipo riscosse da o per conto dell'amministrazione finanziaria e delle ripartizioni
territoriali, comprese le autorità locali. Essa, a tale fine, può autorizzare la presenza nel territorio dello
Stato di funzionari delle amministrazioni fiscali degli altri Stati membri.
2. L'Amministrazione finanziaria provvede alla raccolta delle informazioni da trasmettere alle predette
autorità con le modalità ed entro i limiti previsti per l'accertamento delle imposte sul reddito.
In sede di assistenza e cooperazione nello scambio di informazioni l'amministrazione finanziaria opera
nel rispetto dei termini indicati agli articoli 7, 8, 8-bis, 8 bis bis, 8 bis ter, 8 bis quater e 10 della direttiva
2011/16/UE del 15 febbraio 2011 del Consiglio, che ha abrogato la direttiva 77/799/CEE del 19 dicembre
1977 (1).
3. Le informazioni non sono trasmesse quando possono rivelare un segreto commerciale, industriale o
professionale, un processo commerciale o un'informazione la cui divulgazione contrasti con l'ordine
pubblico. La trasmissione delle informazioni può essere, inoltre, rifiutata quando l'autorità competente
dello Stato membro richiedente, per motivi di fatto o di diritto, non è in grado di fornire lo stesso tipo di
informazioni.
4. Le informazioni sono trattate e tenute segrete con i limiti e le modalità previsti dal CAPO IV,
condizioni che disciplinano la cooperazione amministrativa, e VI, relazioni con i Paesi terzi,
della direttiva 2011/16/UE.
5. Non è considerata violazione del segreto d'ufficio la comunicazione da parte dell'Amministrazione
finanziaria alle autorità competenti degli altri Stati membri delle informazioni atte a permettere il corretto
accertamento delle imposte sul reddito e sul patrimonio, nonché dell'imposta sul valore aggiunto e delle
altre imposte indirette.
In sede di assistenza e cooperazione per lo scambio di informazioni, la presenza negli uffici
amministrativi e la partecipazione alle indagini amministrative, anche attraverso l'uso di mezzi di
comunicazione elettronici, di funzionari delle amministrazioni fiscali degli altri stati membri dell'Unione
europea, e disciplinata dall'articolo 11 della direttiva 2011/16/UE del 15 febbraio 2011 del Consiglio.
Alla presenza dei funzionari dell'Amministrazione finanziaria, che esercitano il coordinamento delle
indagini amministrative, i funzionari esteri possono interrogare i soggetti sottoposti al controllo ed
esaminare la relativa documentazione, a condizione di reciprocità e previo accordo tra le autorità
150
La globalizzazione economica, il cambiamento della composizione dei
patrimoni e della concezione della ricchezza, l’aumento delle operazioni
transfrontaliere favorite dai progressi nel settore tecnologico, sono aspetti
che hanno indotto le Istituzioni europee ed internazionali a rendere più
incisiva la cooperazione tra Stati. In tale prospettiva, al fine di poter
ottenere una cooperazione internazionale equa in materia fiscale è
necessario considerare i diversi interessi giuridici coinvolti: da un lato
l’esigenza degli Stati firmatari di un accordo per realizzare un reciproco
scambio di informazioni al fine di contrastare l’elusione o l’evasione
fiscale; dall’altro l’interesse degli stessi contribuenti alla corretta
acquisizione delle notizie e dei dati, nonché alla riservatezza delle
informazioni scambiate e ad una tutela da uno scambio di informazioni
illegittimo.
richiedente e l'autorità interpellata. I funzionari dell'Amministrazione finanziaria utilizzano direttamente
le informazioni scambiate durante le indagini svolte all'estero.
6. Quando la situazione di uno o più soggetti di imposta presenta un interesse comune o
complementare con altri Stati membri, l'Amministrazione finanziaria può decidere di procedere a
controlli simultanei con le Amministrazioni finanziarie degli altri Stati membri, ciascuno nel
proprio territorio, allo scopo di scambiare le informazioni così ottenute quando tali controlli
appaiano più efficaci di un controllo eseguito da un solo Stato membro.
7. L'Amministrazione finanziaria individua, autonomamente, i soggetti d'imposta sui quali intende
proporre un controllo simultaneo, informando le autorità competenti degli altri Stati membri interessati
circa i casi suscettibili di un controllo simultaneo. A tale fine, essa indica, per quanto possibile, i motivi
per cui detti casi sono stati scelti e fornisce le informazioni che l'hanno indotta a proporli, indicando il
termine entro il quale i controlli devono essere effettuati.
8. Qualora l'autorità competente di un altro Stato membro proponga di partecipare ad un controllo
simultaneo, l'Amministrazione finanziaria comunica alla suddetta autorità l'adesione o il rifiuto ad
eseguire il controllo richiesto, entro sessanta giorni dal ricevimento della proposta, specificando, in
quest'ultimo caso, i motivi che si oppongono all'effettuazione di tale controllo.
9. Nel caso di adesione alla proposta di controllo simultaneo avanzata dall'autorità competente di un
altro Stato membro, l'Amministrazione finanziaria designa un rappresentante cui compete la direzione e il
coordinamento del controllo.
10. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica e l'Amministrazione competente provvede all'espletamento delle attività ivi previste con le
risorse umane strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente.
151
La normativa europea ed internazionale in materia di scambio di
informazioni risulta priva di specifiche disposizioni sui rapporti tra il
contribuente e le Autorità fiscali che risultano regolati da meccanismi e
procedure tipicamente di diritto interno. Per la definizione della posizione
giuridica del contribuente si rinvia, pertanto al diritto interno di ciascuno
Stato, secondo il principio di autonomia in ambito procedimentale. Tuttavia
i regimi nazionali non sono tra di loro omogenei e prevedono un differente
grado di ingerenza dei singoli Stati nella sfera privata del cittadino, quale
può essere quella relativa alla capacità tributaria. Quando la tutela
internazionale viene messa in atto, essa può svilupparsi su tre livelli di
protezione crescenti che prevedono:
- Il diritto del contribuente di ricevere la notifica di una
comunicazione preventiva;
- Il diritto del contribuente di essere ascoltato dall’Amministrazione
procedente prima della trasmissione delle informazioni che lo
riguardano;
- Il diritto di intervenire nel procedimento, che rappresenta il più alto
livello di tutela dei diritti del contribuente, poiché quest’ultimo ha la
possibilità di verificare la legittimità della richiesta di assistenza e la
correttezza delle informazioni che si intendono scambiare.
Nella normativa interna è presente l’art. 31 bis del D.P.R. n. 600/1973, in
tema di assistenza per lo scambio di informazioni tra le Autorità competenti
degli Stati membri dell’Unione Europea. Il nominato articolo prevede che
la trasmissione delle informazioni possa essere rifiutata dal potenziale Stato
mittente o ricevente qualora comporti la divulgazione di un segreto
commerciale, industriale o professionale oppure di una informazione la cui
divulgazione sarebbe contraria all’ordine pubblico.
152
In sintesi in Italia non vi è il diritto del contribuente di essere
preventivamente informato dello scambio che lo riguarda in relazione ad
una specifica richiesta, così come nel caso in cui le informazioni vengano
richieste a terzi. Inoltre non esiste in Italia per il contribuente, il diritto di
essere previamente ascoltato o il diritto di verificare le informazioni
ricevute da un altro Stato. La carenza di adeguati sistemi di tutela per i
contribuenti emerge altresì nelle situazioni patologiche, in particolare nei
casi in cui le Amministrazioni finanziarie acquisiscono illegalmente
documenti ed informazioni in territorio straniero per poi utilizzarle ai fini
dell’accertamento e trasmetterle ad altri Stati interessati attraverso i canali
ufficiali di scambio delle informazioni. Nell’ipotesi di un avviso di
accertamento basato su dati, notizie e prove illegittimamente acquisiti,
l’indirizzo europeo sembrerebbe essere nel senso che, laddove il transito
delle informazioni avvenga attraverso Autorità fiscali a ciò designate,
l’informazione si ha come validamente acquisita dallo Stato che la riceve e
pertanto è utilizzabile nell’avviso di accertamento.
In alcune pronunce i giudici della Cassazione hanno evidenziato che
l’Amministrazione finanziaria nell’attività di contrasto e accertamento della
evasione fiscale può, in linea di principio, avvalersi di qualsiasi elemento
con valore indiziario, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità
discenda da una specifica disposizione della legge tributaria o dal fatto di
essere stati acquisiti in violazione di diritti fondamentali di rango
costituzionale. Pertanto ogni elemento di prova acquisito anche in via
irrituale si ritiene pienamente utilizzabile ai fini dell’accertamento, fatta
salva la previsione di una specifica disposizione che ne sancisca in modo
espresso la inutilizzabilità. Tuttavia, nonostante la inesistenza nel processo
tributario di un principio generale che vieti l’utilizzabilità della prova
153
anche se illegittimamente acquisita, la sanzione della inutilizzabilità può
indirettamente essere ricavata in via interpretativa dal sistema, in
considerazione degli interessi sottesi alla disciplina in questione ed anche
in assenza di un divieto specifico. Occorrerebbe poi considerare come
limite alla ammissibilità di una prova, oltre al rispetto dei principi
fondamentali della Costituzione, anche la necessità che l’azione
amministrativa sia sempre improntata al rispetto dei principi contenuti
nell’art. 97 della Costituzione, nonché i principi contenuti negli artt. 3, 23,
53 della Costituzione. Infine si ritiene che il mero rituale svolgimento della
procedura non possa avere una funzione correttiva o sanante delle prove
ottenute in violazione della normativa nazionale.
In ambito europeo l’art. 47 della CEDU dispone che ogni individuo i cui
diritti siano stati in qualche modo violati dal diritto europeo, ha diritto ad
un ricorso effettivo per ottenere una tutela altrettanto effettiva nei settori
disciplinati dal diritto europeo. Ai sensi dell’articolo 52 della Carta le
limitazioni dei diritti e delle libertà riconosciuti da quest’ultima possono
essere apportate se esse siano previste dalla legge, nel rispetto dei diritti e
delle libertà e nel rispetto del principio di proporzionalità. Secondo
l’orientamento della Corte di Giustizia il diritto del contribuente ad un
ricorso effettivo contro una determinata misura può dirsi in ogni caso
soddisfatto allorché esistano uno o più rimedi giurisdizionali che gli
consentono di ottenere in via incidentale, un controllo giurisdizionale di
tale misura che garantisca il rispetto dei diritti che l’Unione Europea
attribuisce ad ogni cittadino. La Corte di Strasburgo ritiene, tuttavia, che
l’amministrazione, quando “procede alla raccolta di informazioni non è
tenuta ad informare il contribuente né a conoscere il suo punto di vista”. I
giudici europei considerano quindi inapplicabile la giurisprudenza in tema
154
di obbligatorietà del contraddittorio, poiché quest’ultimo riguarda solo il
processo e non il procedimento, che implica per l’appunto la fase della
raccolta delle informazioni. I giudici, pur affermando ancora che la
disciplina europea sullo scambio di informazioni non prevede nessuno
specifico obbligo in capo alle Autorità interessate, di sentire il contribuente,
ribadiscono che un soggetto destinatario della richiesta di informazioni da
parte di una Amministrazione finanziaria, ha comunque diritto ad ottenere
tutela da parte di un organo giurisdizionale. La Corte riconosce il diritto del
contribuente al sindacato giurisdizionale su tematiche inerenti lo scambio
di informazioni in ambito transnazionale e afferma che il diritto al
sindacato giurisdizionale esiste in relazione ad una sanzione in modo
analogo a ciò che si determina in una situazione interna (così la sentenza
Sabou). I giudici europei sono altresì pervenuti alla conclusione per cui i
soggetti destinatari della ingiunzione di fornire informazioni hanno il diritto
di agire in giudizio per appurare la legittimità della stessa ingiunzione ai
sensi dell’articolo 47 della Carta. Sempre i giudici della Corte di Giustizia
giungono a conclusioni opposte nel caso in cui il disposto della 47 sia
riferito al soggetto contribuente o a società terze, per i quali soggetti i
giudici riconoscono come applicabile l’art. 52 della CEDU. La situazione
del contribuente e delle società terze sarebbe infatti diversa da quella del
detentore delle informazioni di cui all’art. 47: non essendo infatti
destinatari della decisione che ingiunge di comunicare le informazioni,
sarebbe quindi legittima una compressione del rispettivo diritto di difesa
attraverso il divieto di agire in giudizio avverso la decisione ingiuntiva.
Inoltre il contribuente e i terzi (ad esempio le suddette società) non
sarebbero soggetti né ad un obbligo giuridico di comunicare le
informazioni, né ad esporsi all’irrogazione di sanzioni per dedurre in via
incidentale, l’illegittimità della decisione ingiuntiva, diversamente da ciò
155
che accadrebbe alla società richiesta. Il nucleo essenziale del diritto di
difesa consisterebbe quindi nella facoltà del diretto destinatario della
decisione di agire immediatamente e direttamente in giudizio contro di
essa, mentre i terzi, ossia le suddette società, interessati ma non
direttamente soggetti alla decisione, possono contestarla in via incidentale e
successiva in altri giudizi (in particolare per il contribuente, in occasione di
un ricorso avverso il conseguente avviso di rettifica mentre, per i terzi
interessati, nell’ambito di un successivo giudizio risarcitorio). Pertanto in
base alla disciplina differenziata posta in essere dalla Corte, vi sarebbe una
presunzione di maggior lesività della decisione ingiuntiva nei riguardi del
contribuente, anziché per quanto riguarda la sfera dei terzi, i quali
subirebbero le conseguenze della decisione solo mediatamente. Bisogna
infatti considerare che si realizzano differenti ed indipendenti ingerenze
nella sfera privata di un soggetto, le quali devono essere separate sul piano
giuridico. In particolare, da un lato si realizzano differenti e più tenui
ingerenze nei diritti fondamentali di un soggetto terzo, le quali devono
essere separate sul piano giuridico da quelle inerenti alla posizione del
contribuente, innanzitutto alla privacy (tutelata dagli art. 7 e 8 della
CEDU); in secondo luogo ai propri diritti costituzionalmente garantiti di
cui anche agli artt. 16 e 17 della Carta (ossia la libertà di impresa e il diritto
di proprietà).
Pertanto un ricorso giurisdizionale incidentale avverso una ingiunzione di
fornire i propri dati fiscali a carico del contribuente attraverso
l’impugnazione di un avviso di accertamento non costituisce una tutela
giurisdizionale effettiva ai sensi dell’art. 47 della Carta. Un rimedio
giurisdizionale come il ricorso contro la ingiunzione suddetta non può
impedire efficacemente l’ingerenza nella tutela dei dati personali, che si è
156
già realizzata con la raccolta dei dati. Un eventuale utilizzo successivo di
questi ultimi si limita a perpetuare la suddetta interferenza, quindi un
ricorso non può evitare l’incidenza stessa che è precedente ad esso ricorso.
Sulla base di tali considerazioni è evidente che non è condivisibile
l’orientamento della giurisprudenza europea che declina l’efficacia del
diritto di difesa in base alla categoria di soggetti (contribuente da un lato;
terzi soggetti dall’altro). Le richieste di informazioni dell’Amministrazione
finanziaria sono finalizzate a verificare se i contribuenti abbiano
partecipato alle spese pubbliche secondo la loro effettiva capacità
contributiva. In altri termini è illegittima la compressione del diritto di
difesa nei confronti del contribuente, ma in ulteriore e definitiva istanza,
anche dei terzi interessati e si considera necessario, sebbene effettuando le
opportune distinzioni, prevedere un’estensione del diritto ad un ricorso
effettivo e diretto a beneficio di tutti i soggetti immediatamente lesi dalla
procedura informativa.
La giurisprudenza della CEDU non segue quella dei giudici della Corte di
Giustizia, mostrando un atteggiamento maggiormente garantista per i
contribuenti, prevedendo per questi ultimi la possibilità di poter adire il
giudice nazionale in tutti i casi in cui ritengano di aver subito una lesione
dei propri diritti in seguito allo scambio di informazioni. Ciò implica che
per la CEDU, si prevede in tali ipotesi, il diritto di notifica e un diritto ad
un rimedio legale.
Per evitare sul nascere fenomeni, lesivi di diritti fondamentali, a carico del
contribuente europeo è previsto il requisito c.d. della “prevedibile
pertinenza”, atto ad evitare che gli Stati procedano con richieste di
informazioni superflue e non strettamente necessarie nei confronti del
contribuente. Pertanto le informazioni richieste devono innanzitutto
157
presentare una determinata pertinenza sostanziale rispetto all’imposta da
accertare nello Stato che richiede le informazioni. La valutazione della
“prevedibile pertinenza” delle informazioni spetta all’autorità richiedente,
in base alle circostanze specifiche ed in ragione della evoluzione del
procedimento e dell’esaurimento delle fonti di informazione tradizionali.
Dato che la Autorità tributaria interpellata spesso non è in grado di fornire,
alla corrispettiva Autorità dello Stato richiedente, le informazioni che a
quest’ultima necessitano, non può sostituire le proprie deduzioni a quelle
che l’Autorità richiedente intende formulare. Tuttavia è sempre necessario
che quest’ultima fornisca una adeguata motivazione in merito alla propria
richiesta di informazioni, per permettere al giudice nazionale di poter
esercitare un eventuale controllo sulla legittimità della richiesta. Pertanto
una motivazione che non evidenzi le ragioni, per le quali le informazioni
richieste siano rilevanti per il procedimento tributario nello Stato
richiedente, non si può ritenere che soddisfi tale requisito. Inoltre l’Autorità
richiedente deve indicare nella richiesta di informazioni i fatti su cui
intende indagare o almeno i sospetti concreti attinenti a tali fatti e la loro
rilevanza fiscale. Tali motivi devono consentire allo Stato interpellato di
giustificare, dinanzi ai propri giudici, l’ingerenza nei diritti fondamentali
dei soggetti interessati. Per realizzare tale controllo occorre tener conto di
diversi fattori, come per esempio l’oggetto dell’indagine dell’Autorità
richiedente, ma anche il precedente comportamento del contribuente. In
ultima istanza il requisito della “prevedibile pertinenza” si concretizza nel
requisito di non “apparente manifesta irrilevanza” dei dati richiesti rispetto
all’oggetto dell’indagine, da valutare secondo un ragionamento condotto
aprioristicamente. In particolare viene richiesto di fornire informazioni
relative a: identità del contribuente, il periodo cui l’indagine si riferisce,
l’identità dei soggetti cui la richiesta di informazione viene rivolta nel
158
tempo in cui l’indagine si svolge. In una recente pronunzia della Corte di
Giustizia in merito alla definizione di “prevedibile pertinenza”, la Corte
stabilisce che l’Autorità richiedente è tenuta a fornire una descrizione il più
possibile dettagliata e completa del gruppo di contribuenti oggetto della
verifica o indagine, e a specificare l’insieme comune di qualità e
caratteristiche distintive delle persone che del gruppo fanno parte in modo
da consentire alla Autorità interpellata di procedere alla loro
identificazione. Inoltre deve illustrare gli obblighi fiscali specifici che
gravano sul gruppo di contribuenti nello Stato richiedente e da quale
comportamento trae origine la richiesta, così come esponendo il motivo a
fondamento della presunta illiceità della condotta del gruppo. Il requisito
della prevedibile pertinenza così strutturato offre all’Amministrazione
richiedente la possibilità di reperire facilmente un ampio ventaglio di
informazioni, con l’unico limite della manifesta “irrilevanza” rispetto al
contribuente oggetto di indagini o al periodo di riferimento.
Tutti gli elementi cui si è fatto riferimento sono maggiormente idonei a
definire l’oggetto della richiesta che a consentire un controllo circa la
“prevedibile pertinenza” con l’oggetto dell’indagine tributaria.
L’enumerazione da parte dei giudici europei dei requisiti di validità dello
scambio di informazioni, integranti la nozione di “prevedibile pertinenza”,
non sembra in linea con il principio generale di divieto di “nozioni
generiche” che dovrebbe informare i rapporti tra Autorità richiedenti e Ente
oggetto della richiesta. Inoltre una lettura più restrittiva del requisito della
“prevedibile pertinenza” consentirebbe di individuare proprio nel
contribuente e nei terzi interessati, i soggetti più idonei, in quanto titolari
delle informazioni, a contestare l’assenza di legame tra i dati richiesti e le
finalità fiscali dell’indagine. Il diritto fondamentale di cui all’art. 47 della
CEDU risulta in questo modo vincolato, per il contribuente, all’esito
159
dell’indagine condotta dall’Amministrazione richiedente, a differenza del
detentore di informazioni il quale, anche se non incorre in provvedimenti di
correzione o rettifica, può da subito adire il giudice affinché si esprima in
merito alla fondatezza ed alla legittimità dell’ingiunzione di comunicare
quanto di sua conoscenza. Vi è pertanto, anche in relazione a tale requisito,
un “vulnus” a carico del contribuente cui sia stata intimata la decisione di
fornire informazioni su richiesta, non potendo opporsi direttamente alla
decisione dell’Autorità interpellata. Il pregiudizio è ancora maggiore se si
considera che spetta all’Autorità che pone in essere l’indagine, valutare le
informazioni da richiedere. Infatti la portata della verifica che
l’Amministrazione interpellata può svolgere sulla rilevanza delle
operazioni richieste risulta inevitabilmente limitata e considerando che, in
linea generale, essa deve avere “fiducia nell’Autorità richiedente e
presumere che la richiesta di informazioni sottopostale sia conforme al
diritto nazionale dell’autorità richiedente e necessaria ai fini dell’indagine.”
Tra i diritti del contribuente che rischiano di essere pregiudicati dallo
scambio di informazioni si annovera il diritto alla protezione dei dati di
carattere personale, nonché il diritto ad un trattamento dei suddetti dati in
misura conforme alle finalità della raccolta. Quindi le informazioni ricevute
attraverso lo scambio di informazioni devono essere accessibili soltanto
alle persone direttamente interessate alle operazioni di controllo ed
accertamento dei tributi. Il diritto di garantire una efficace riscossione delle
entrate fiscali non dovrebbe costituire una valida giustificazione per
realizzare delle ingerenze nella vita privata dei contribuenti, a meno che
esistano ragioni oggettive per farlo. A tale riguardo gli articoli 6, 7, 8 della
CEDU prevedono il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del
domicilio e della corrispondenza e della protezione dei dati. Sulla base di
quanto precedente va detto che qualsiasi interferenza nella vita pubblica di
160
un soggetto può avvenire: se è in conformità con la legge; nel caso in cui
sia necessaria; purché sia fondata su un motivo di carattere generale, ad
esempio il benessere economico della società. Oltre a ciò l’invio dei dati
personali dovrebbe avvenire solo rispettando: la reciprocità dello scambio
dei dati tra gli Stati, cioè sulla base di accordi; la riservatezza; la
proporzionalità. Quindi, realizzare uno scambio di informazioni all’interno
dell’UE purché lo scambio rispetti i principi suddetti non costituisce un
illecito ai sensi della CEDU. Inoltre ai sensi dell’art. 26, paragrafo 2, del
Modello OCSE, lo Stato destinatario è obbligato a trattare tutte le
informazioni che riceve nello stesso modo in cui tratta le informazioni
ottenute sulla base delle proprie leggi nazionali. La piena trasparenza dei
dati relativi ai contribuenti nei confronti dell’Amministrazione finanziaria
rappresenta un importante valore giuridico al fine di tutelare l’interesse
della Comunità Nazionale a realizzare un efficace contrasto ai fenomeni di
elusione ed evasione fiscale. Ovviamente l’accesso delle Autorità tributarie
a tali dati non ne implica la pubblica disponibilità, che è oggetto di
protezione da parte dell’art. 8 della CEDU.
In base alla Direttiva 2006/24/CE 46 , che consente la conservazione dei
46
Decreto Legislativo 30 maggio 2008, n. 109
Attuazione della direttiva 2006/24/CE riguardante la conservazione dei dati generati o trattati
nell'ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di reti
pubbliche di comunicazione e che modifica la direttiva 2002/58/CE
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 141 del 18 giugno 2008
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
161
Vista la legge 6 febbraio 2007, n. 13, recante disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti
dall'appartenenza dell' Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2006, ed in particolare l'articolo 1
e l'allegato B;
Vista la direttiva 2006/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, riguardante la
conservazione di dati generati o trattati nell'ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica
accessibili al pubblico o di reti pubbliche di comunicazione e che modifica la direttiva 2002/58/CE;
Visto il decreto legislativo 30 giugno 2003, n 196, e successive modificazioni, recante Codice in materia
di protezione dei dati personali;
Visto il decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n.
155, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale;
Sentito il Garante per la protezione dei dati personali;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 27 febbraio 2008;
Acquisito il parere della competente Commissione della Camera dei deputati;
Considerato che la competente Commissione del Senato della Repubblica non si è espressa nel termine
previsto;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 21 maggio 2008;
Sulla proposta del Ministro per le politiche europee e del Ministro per la pubblica amministrazione e
l'innovazione, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze,
dello sviluppo economico, dell'interno e della difesa;
Emana
il seguente decreto legislativo:
Art. 1.
Definizioni
1. Ai fini del presente decreto si intende:
a) per utente: qualsiasi persona fisica o giuridica che utilizza un servizio di comunicazione elettronica
accessibile al pubblico, senza esservi necessariamente abbonata;
b) per dati relativi al traffico: qualsiasi dato sottoposto a trattamento ai fini della trasmissione di una
comunicazione su una rete di comunicazione elettronica o della relativa fatturazione, ivi compresi i dati
necessari per identificare l'abbonato o l'utente;
c) per dati relativi all'ubicazione: ogni dato trattato in una rete di comunicazione elettronica che indica
la posizione geografica dell'apparecchiatura terminale dell'utente di un servizio di comunicazione
elettronica accessibile al pubblico, ivi compresi quelli relativi alla cella da cui una chiamata di telefonia
mobile ha origine o nella quale si conclude;
d) per traffico telefonico: le chiamate telefoniche, incluse le chiamate vocali, di messaggeria vocale, in
conferenza e quelle basate sulla trasmissione dati, purché fornite da un gestore di telefonia, i servizi
supplementari, inclusi l'inoltro e il trasferimento di chiamata, la messaggeria e i servizi multimediali,
inclusi i servizi di messaggeria breve, servizi mediali avanzati e servizi multimediali;
e) per chiamata senza risposta: la connessione istituita da un servizio telefonico accessibile al pubblico,
non seguita da un'effettiva comunicazione, in quanto il destinatario non ha risposto ovvero vi è stato un
intervento del gestore della rete;
f) per identificativo dell'utente: l'identificativo unico assegnato a una persona al momento
162
dell'abbonamento o dell'iscrizione presso un servizio di accesso internet o un servizio di comunicazione
internet;
g) per indirizzo di protocollo internet (IP) univocamente assegnato: indirizzo di protocollo (IP) che
consente l'identificazione diretta dell'abbonato o utente che effettua comunicazioni sulla rete pubblica.
2. Ai fini del presente decreto si applicano, altresì, le ulteriori definizioni, non ricomprese nel comma 1,
elencate nell'articolo 4 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e successive modificazioni, recante
codice in materia di protezione dei dati personali, di seguito denominato: «Codice».
Art. 2.
Modifiche all'articolo 132 del Codice
1. All'articolo 132 del Codice sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, dopo le parole: «ventiquattro mesi» sono inserite le seguenti: «dalla data della
comunicazione», le parole: «, inclusi quelli concernenti le chiamate senza risposta,» sono soppresse e le
parole: «sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «dodici mesi dalla data della comunicazione»;
b) dopo il comma 1 e inserito il seguente: «1-bis. I dati relativi alle chiamate senza risposta, trattati
temporaneamente da parte dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico
oppure di una rete pubblica di comunicazione, sono conservati per trenta giorni.»;
c) i commi 2, 4 e 4-bis sono abrogati;
d) il comma 5 e così modificato:
1) le parole: «ai commi 1 e 2» sono sostituite dalle seguenti: «al comma 1» e le parole:
«volti anche a» sono sostituite dalle seguenti: «volti a garantire che i dati conservati possiedano i
medesimi requisiti di qualità, sicurezza e protezione dei dati in rete, nonché»;
2) le lettere b) e c) sono soppresse;
3) alla lettera d) le parole: «ai commi 1 e 2» sono sostituite dalle seguenti: «al comma 1».
Art. 3.
Categorie di dati da conservare per gli operatori di telefonia e di comunicazione elettronica
1. Le categorie di dati da conservare per le finalità di cui all'articolo 132 del Codice sono le seguenti:
a) i dati necessari per rintracciare e identificare la fonte di una comunicazione:
1) per la telefonia di rete fissa e la telefonia mobile:
1.1 numero telefonico chiamante;
1.2 nome e indirizzo dell'abbonato o dell'utente registrato;
2) per l'accesso internet:
2.1 nome e indirizzo dell'abbonato o dell'utente registrato a cui al momento della comunicazione
sono stati univocamente assegnati l'indirizzo di protocollo internet (IP), un identificativo di utente o un
numero telefonico;
3) per la posta elettronica:
3.1 indirizzo IP utilizzato e indirizzo di posta elettronica ed eventuale ulteriore identificativo del
mittente;
3.2 indirizzo IP e nome a dominio pienamente qualificato del mail exchanger host, nel caso della
tecnologia SMTP ovvero di qualsiasi tipologia di host relativo ad una diversa tecnologia utilizzata per la
trasmissione della comunicazione;
4) per la telefonia, invio di fax, sms e mms via internet:
4.1 indirizzo IP, numero telefonico ed eventuale altro identificativo dell'utente chiamante;
4.2 dati anagrafici dell'utente registrato che ha effettuato la comunicazione;
b) i dati necessari per rintracciare e identificare la destinazione di una comunicazione:
1) per la telefonia di rete fissa e la telefonia mobile:
1.1 numero composto, ovvero il numero o i numeri chiamati e, nei casi che comportano servizi
supplementari come l'inoltro o il trasferimento di chiamata, il numero o i numeri a cui la chiamata è
trasmessa;
163
1.2 nome e indirizzo dell'abbonato o dell'utente registrato;
2) per la posta elettronica:
2.1 indirizzo di posta elettronica, ed eventuale ulteriore identificativo, del destinatario della
comunicazione;
2.2 indirizzo IP e nome a dominio pienamente qualificato del mail exchanger host (nel caso della
tecnologia SMTP), ovvero di qualsiasi tipologia di host (relativamente ad una diversa tecnologia
utilizzata), che ha provveduto alla consegna del messaggio;
2.3 indirizzo IP utilizzato per la ricezione ovvero la consultazione dei messaggi di posta
elettronica da parte del destinatario indipendentemente dalla tecnologia o dal protocollo utilizzato;
3) telefonia, invio di fax, sms e mms via internet:
3.1 indirizzo IP, numero telefonico ed eventuale altro identificativo dell'utente chiamato;
3.2 dati anagrafici dell'utente registrato che ha ricevuto la comunicazione;
3.3 numero o numeri a cui la chiamata e' trasmessa, nei casi di servizi supplementari come
l'inoltro o il trasferimento di chiamata;
c) i dati necessari per determinare la data, l'ora e la durata di una comunicazione:
1) per la telefonia di rete fissa e la telefonia mobile, data e ora dell'inizio e della fine
della comunicazione;
2) per l'accesso internet :
2.1 data e ora (GMT) della connessione e della disconnessione dell'utente del servizio di accesso
internet, unitamente all'indirizzo IP, dinamico o statico, univocamente assegnato dal fornitore di accesso
internet a una comunicazione e l'identificativo dell'abbonato o dell'utente registrato;
3) per la posta elettronica:
3.1 data e ora (GMT) della connessione e della disconnessione dell'utente del servizio di posta
elettronica su internet ed indirizzo IP utilizzato, indipendentemente dalla tecnologia e dal protocollo
impiegato;
4) per la telefonia, invio di fax, sms e mms via internet:
4.1 data e ora (GMT) della connessione e della disconnessione dell'utente del servizio utilizzato su
internet ed indirizzo IP impiegato, indipendentemente dalla tecnologia e dal protocollo usato;
d) i dati necessari per determinare il tipo di comunicazione:
1) per la telefonia di rete fissa e la telefonia mobile: il servizio telefonico utilizzato;
2) per la posta elettronica internet e la telefonia internet: il servizio internet utilizzato;
e) i dati necessari per determinare le attrezzature di comunicazione degli utenti o quello che si presume
essere le loro attrezzature:
1) per la telefonia di rete fissa, numeri telefonici chiamanti e chiamati;
2) per la telefonia mobile:
2.1 numeri telefonici chiamanti e chiamati;
2.2 International Mobile Subscriber Identity (IMSI) del chiamante;
2.3 International Mobile Equipment Identity (IMEI) del chiamante;
2.4 l'IMSI del chiamato;
2.5 l'IMEI del chiamato;
2.6 nel caso dei servizi prepagati anonimi, la data e l'ora dell'attivazione iniziale della carta e
l'etichetta di ubicazione (Cell ID) dalla quale è stata effettuata l'attivazione;
3) per l'accesso internet e telefonia, invio di fax, sms e mms via internet:
3.1 numero telefonico chiamante per l'accesso commutato (dial-up access);
3.2 digital subscriber line number (DSL) o un altro identificatore finale di chi e all'origine della
comunicazione;
f) i dati necessari per determinare l'ubicazione delle apparecchiature di comunicazione mobile:
1) etichetta di ubicazione (Cell ID) all'inizio della comunicazione;
2) dati per identificare l'ubicazione geografica della cella facendo riferimento alle loro etichette di
ubicazione (Cell ID) nel periodo in cui vengono conservati i dati sulle comunicazioni.
164
2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro delegato per la pubblica
amministrazione e l'innovazione, di concerto con i Ministri per le politiche europee, dello sviluppo
economico, dell'interno, della giustizia, dell'economia e delle finanze e della difesa, sentito il Garante per
la protezione dei dati personali, possono essere specificati, ove si renda necessario anche al fine
dell'adeguamento all'evoluzione tecnologica e nell'ambito delle categorie di dati di cui alle lettere
da a) ad f) del comma 1, i dati da conservare.
Art. 4.
Autorità di controllo ed informazioni di tipo statistico
1. All'articolo 154 comma 1, lettera a), del Codice, sono aggiunte, infine, le parole: «e con riferimento
alla conservazione dei dati di traffico».
2. I fornitori di servizi di cui al presente decreto entro il 30 giugno, inviano annualmente al Ministero
della giustizia, per il successivo inoltro alla Commissione europea, le informazioni relative:
a) al numero complessivo dei casi in cui sono state forniti i dati relativi al traffico telefonico o
telematico alle autorità competenti conformemente alla legislazione nazionale applicabile;
b) al periodo di tempo trascorso fra la data della memorizzazione dei dati di traffico e quella della
richiesta da parte delle autorità competenti;
c) ai casi in cui non è stato possibile soddisfare le richieste di accesso ai dati.
Art.5
Sanzioni
1. Dopo l'articolo 162 del Codice è inserito il seguente:
«Art. 162-bis. (Sanzioni in materia di conservazione dei dati di traffico). 1. Salvo che il fatto costituisca
reato e salvo quanto previsto dall'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo di recepimento della
direttiva 2006/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 marzo 2006, nel caso di violazione
delle disposizioni di cui all'art. 132, commi 1 e 1-bis, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da
10.000 euro a 50.000 euro, che può essere aumentata sino al triplo in ragione delle condizioni economiche
dei responsabili della violazione.».
2. Salvo che il fatto costituisca reato, l'omessa o l'incompleta conservazione dei dati ai sensi dell'articolo
132, commi 1 e 1-bis, del Codice, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad
euro 50.000 che può essere aumentata fino al triplo in ragione delle condizioni economiche dei
responsabili della violazione. Nel caso di assegnazione di indirizzo IP che non consente l'identificazione
univoca dell'utente o abbonato si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 50.000
euro, che può essere aumentata fino al triplo in ragione delle condizioni economiche dei responsabili della
violazione. Le violazioni sono contestate e le sanzioni sono applicate dal Ministero dello sviluppo
economico.
Art.6.
Disposizioni transitorie e finali
1. Dall'attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica.
2. I soggetti pubblici interessati provvedono agli adempimenti derivanti dall'attuazione del presente
decreto con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
3. La disposizione dell'articolo 132, comma 1-bis, del Codice, introdotta dall'articolo 2, comma 1,
lettera b), ha effetto decorsi tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
165
suddetti dati e permette alle Autorità nazionali l’accesso agli stessi,
censurata dai giudici di Strasburgo, non è prevista la previa informazione
del privato cui i dati si riferiscono, circa l’utilizzo dei dati stessi. Tuttavia in
ultima istanza la Corte ha ritenuto che la conservazione dei dati non era
tale da pregiudicare il contenuto essenziale del diritto al rispetto della vita
privata e alla protezione dei dati personali, comunque argomentando che la
Direttiva in parola si poneva in contrasto con il principio di proporzionalità,
il quale principio permette quindi di verificare se i meccanismi di
protezione previsti dagli Stati membri siano adeguati ovvero eccessivi per
ottenere i risultati che intendono perseguire. Inoltre i casi nei quali le
Autorità pubbliche degli Stati membri o terzi possono accedere ai dati
personali dell’UE devono essere disciplinate da regole chiare, precise e
prevedibili, nonché essere ammessi solo quando strettamente necessario.
Un ulteriore problema riguarda la compatibilità con l’art. 8 della CEDU
dell’obbligo di comunicazione alle Autorità finanziarie a carico di
intermediari finanziari e professionisti in relazione a possibili schemi di
pianificazione fiscale aggressiva, la quale deve essere oggetto di adozione
di misure dotate di impatto significativo sulla sfera di protezione personale
del contribuente. In conclusione una tutela anticipata del diritto alla
protezione dei dati personali dovrebbe essere assicurata con approccio “ex
ante”, attraverso la partecipazione del contribuente, piuttosto che attraverso
il riconoscimento del diritto ad ottenere un risarcimento per indebite
interferenze in base al danno che potrebbe essere provocato al soggetto. In
tale contesto i giudici europei hanno statuito che l’esigenza della protezione
4. L'articolo 6, comma 4, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla
legge 31 luglio 2005, n. 155, e abrogato.
5. I fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico che offrono servizi di accesso
a internet (Internet Acces Provider) assicurano la disponibilità e l'effettiva univocità degli indirizzi di
protocollo internet entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
166
dei dati e l’esigenza di accesso agli stessi da parte delle Autorità fiscali
nell’ambito della mutua assistenza possono essere contemperate garantendo
all’interessato il diritto di attivare un sindacato giurisdizionale ai sensi
dell’art. 47 della CEDU. E’ quindi evidente che, anche in tali situazioni,
emerge la necessità di bilanciare l’interesse generale della trasparenza
fiscale con i diritti dei contribuenti e, concretamente, con il diritto alla
protezione dei dati.
La tutela dei diritti del contribuente deve essere garantita non solo in
ambito nazionale, ma anche in ambito transfrontaliero. L’assenza di
riconoscimento a livello europeo o internazionale, di un minimum di
garanzie procedurali per i contribuenti, sottoposti a meccanismi di muta
assistenza amministrativa e la tenenza delle amministrazioni finanziarie ad
utilizzare segretamente le informazioni ricevute, tutto ciò produce un
rapporto tra Fisco e contribuente fortemente sbilanciato. Il rapporto tra
Stato e contribuente dovrebbe invece essere tendenzialmente paritetico.
Nell’attuale contesto economico, l’assenza di un siffatto rapporto comporta
una sovrapposizione di potestà impositive tra Stati e a fenomeni di doppia
tassazione. In tale contesto è quindi essenziale la costruzione di un rapporto
tra Fisco e contribuenti, basato sul dialogo, la fiducia reciproca e la
collaborazione. In tale contesto la tutela del contribuente deriverebbe dagli
artt. 26 del Modello OCSE e 16 e 17 della Direttiva in materia
cooperazione amministrativa. La cooperazione ossia la mutua assistenza tra
Stati in materia fiscale, risulta strutturata secondo il modello della tutela
differita, dato che il contribuente può lamentare la violazione dei suoi diritti
soltanto in un momento successivo rispetto alla conclusione del
procedimento ed alla formalizzazione della pretesa impositiva da parte
dell’ufficio procedente. In altri termini il contribuente può soltanto ed
eventualmente presentare un ricorso avverso il provvedimento impositivo
167
emesso al termine della procedura. Ciò si pone in contrasto non solo con
l’orientamento della Corte di Giustizia, ma anche con quello della Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo, che si è pronunciata sulla possibilità di
anticipare la tutela delle garanzie del contribuente ad una fase anteriore a
quella contenziosa. Vi è allora la esigenza di garantire la tutela dei diritti
del contribuente contro eventuali lesioni causate da un illegittimo esercizio
dei poteri istruttori e di accertamento nel momento della trasmissione delle
informazioni, ma anche nella fase precedente alla loro acquisizione. Inoltre
la mancanza di un diritto di informazione sull’avvio dello scambio non
consente, infatti, al contribuente, di esercitare un controllo sulla legittimità
della procedura, e di conseguenza di accertarsi che le condizioni previste
dalla disciplina (internazionale ed europea) siano state rispettate dalle
Autorità fiscali coinvolte. Si dovrebbe garantire ai contribuenti di avere
accesso almeno ad alcune informazioni minime relative alla richiesta di
informazioni inviata da una Autorità competente ad un’altra. Rendere
edotto il contribuente delle risultanze della attività procedimentale e
istruttoria, e permettere al contribuente di correggere eventuali errori
consentirebbe di evitare, da un lato, la violazione dei diritti degni di tutela
dell’interessato e dall’altra che l’attività istruttoria venga vanificata dalla
non conoscenza, comprensione e valutazione degli elementi assunti dallo
Stato interpellato. Generalmente, tuttavia il contribuente non ha diritto di
accedere alle informazioni che l’Autorità fiscale di uno Stato raccoglie
dalle Autorità fiscali di altro Stato e ciò soprattutto in relazione allo Stato di
provenienza, non avendo il contribuente un rapporto diretto con l’Autorità
fiscale di tale Stato, tutto ciò sempre al ricorrere di una fattispecie
transnazionale. Il problema della tutela giuridica dei contribuenti interessati
dallo scambio di informazioni può sorgere con riferimento a ciascuna
tipologia di scambio. In particolare sorgono problematiche specifiche
168
derivanti dalla circostanza che vengono trasmessi dati concernenti un
numero indefinito di contribuenti. Da ciò deriva che il diritto dei
contribuenti ad essere informati dovrebbe essere previsto anche nel caso in
cui vengano svolte le altre forme di comunicazione tra le Amministrazioni
fiscali, per garantire una effettuale tutela dei contribuenti stessi.
Occorrerebbe quindi massimamente tutelare il diritto alla privacy, il quale
dipenderebbe strettamente dalla capacità delle Autorità fiscali in sede
transnazionale di offrire adeguate garanzie di protezione dei dati del
contribuente in questione.
In particolare sarebbe opportuno da parte delle Autorità fiscali, elaborare
un catalogo “comune” contenente garanzie procedurali necessarie per
tutelare i contribuenti coinvolti in procedure di mutua assistenza fiscale tra
Stati, così da evitare una non completa conoscenza dei dati a detrimento
sempre del contribuente interessato.
Nondimeno il ruolo della giurisprudenza nazionale ed europea, nel contesto
poc’anzi considerato, è stato decisivo a rafforzare la posizione del
contribuente, attribuendo a quest’ultimo una serie di diritti, che dovrebbero
prevenire i danni cui potrebbe far luogo una collaborazione tra Stati in
materia fiscale senza essere essa collaborazione, temperata dal diritto alla
privacy del contribuente la cui situazione è oggetto dello scambio di
informazioni tra i predetti Stati.
In una economia globalizzata assume particolare importanza, per le
Amministrazioni finanziarie degli Stati coinvolti, oltre all’attività di
accertamento dei tributi, anche la loro riscossione ed esecuzione forzata a
livello transnazionale per garantire l’attuazione della pretesa tributaria. In
particolare la assistenza Amministrativa nella fase di riscossione
rappresenta una forma di collaborazione che consente ad uno Stato di
ottenere la soddisfazione della propria pretesa tributaria in un altro Stato.
169
La crescente integrazione dei mercati, l’acuirsi della evasione fiscale e il
maturare della consapevolezza che la collaborazione fra Stati in materia di
riscossione hanno rafforzato la tendenza alla collaborazione tra Stati
sempre in materia fiscale. Va anche detto che dal 2003 è stato inserito nel
Modello OCSE l’art. 27, che permette agli Stati contraenti di realizzare la
riscossione dei tributi dovuti in base ad accertamenti definitivi, nonché ad
adottare misure conservative del credito tributario alle stesse condizioni che
verrebbero praticate nel caso di svolgimento dell’attività di prelievo
all’interno di un solo Stato. Anche in ambito europeo è previsto che
l’assistenza tra le Amministrazioni tributarie degli Stati membri si estende
alla riscossione dei tributi. L’attuale regolamentazione della materia è
contenuta nella Direttiva 2010/24 47 , che non esclude l’applicazione di altri
47 DECRETO LEGISLATIVO 14 agosto 2012, n. 149
Attuazione della direttiva 2010/24/UE relativa all'assistenza reciproca in materia di recupero dei
crediti risultanti da dazi, imposte ed altre misure. (12G0170)
(GU n. 202 del 30-8-2012 - Suppl. Ordinario n. 177)
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
Vista l'articolo 8 della legge 15 dicembre 2011, n. 217;
Vista la direttiva 2010/24/UE del Consiglio, del 16 marzo 2010, sull'assistenza reciproca in materia di
recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte ed altre misure;
Visto il regolamento di esecuzione (CE) n. 1189/2011 della Commissione, del 18 novembre 2011;
Vista la Decisione C (2011) 8193 def. di esecuzione della Commissione, del 18 novembre 2011;
Visto l'articolo 23 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni ;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni ;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, e successive modificazioni;
170
Visto il decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46;
Visto il decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112;
Visto il decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 69;
Visto l'articolo 3 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2
dicembre 2005, n. 248;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 30 gennaio 2008, n. 43;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione dell'11 maggio 2012;
Preso atto che la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano, non ha espresso il parere nei termini prescritti, ai sensi dell' articolo 2, comma 3, del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
Acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 3 agosto 2012;
Sulla proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto
con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, delle politiche agricole alimentari e forestali e per gli
affari regionali, il turismo e lo sport;
Emana
il seguente decreto legislativo:
Art. 1
Ambito di applicazione
1. Il presente decreto fissa le norme di mutua assistenza per il recupero dei crediti sorti nel territorio
nazionale o in un altro Stato membro, nelle materie di cui al comma 2.
2. Le disposizioni del presente decreto si applicano ai crediti relativi: a) ai tributi e ai dazi, di qualsiasi
tipo, riscossi da uno Stato membro o dalle sue ripartizioni territoriali o amministrative, o per conto di essi,
comprese le autorità locali, ovvero per conto dell'Unione; b) le restituzioni, gli interventi e le altre misure
che fanno parte del sistema di finanziamento integrale o parziale del Fondo europeo agricolo di garanzia
(FEAGA) e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), ivi compresi gli importi da
riscuotere nel quadro di queste azioni; c) i contributi e gli altri dazi previsti nell'ambito
dell'organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero; d) penali, sanzioni, tasse e soprattasse
di natura amministrativa relative ai crediti di cui alle lettere a), b) e c), per i quali l'assistenza reciproca
può essere chiesta, irrogate dalle autorità amministrative competenti in materia di accertamento e di
riscossione o confermate da organi amministrativi o giudiziari su richiesta delle suddette autorità
amministrative; e) corrispettivi per il rilascio di certificati o documenti analoghi in relazione a procedure
amministrative che riguardano dazi o tributi; f) interessi e spese relativi ai crediti di cui alle lettere a), b),
c), d) ed e), per i quali l'assistenza reciproca può essere chiesta.
3. Le disposizioni del presente decreto non si applicano: a) ai contributi previdenziali obbligatori dovuti
ad uno Stato membro o ad una ripartizione dello stesso o ad organismi di previdenza sociale di diritto
pubblico; b) ai corrispettivi diversi da quelli di cui alla lettera e) del comma 2; c) ai diritti di natura
171
contrattuale quali corrispettivi per pubblici servizi; d) qualsiasi sanzione pecuniaria di natura penale
determinata dalla normativa vigente nello Stato membro in cui ha sede l'autorità adita.
Art. 2
Definizioni
1. Ai fini del presente decreto si intende per: a) autorità richiedente: un ufficio centrale di collegamento,
un ufficio di collegamento o un servizio di collegamento di uno Stato membro che presenta una domanda
di assistenza per uno dei crediti di cui all'articolo 1; b) autorità adita: un ufficio centrale di collegamento,
un ufficio di collegamento o un servizio di collegamento di uno Stato membro che riceve una domanda di
assistenza per uno dei crediti di cui all'articolo 1; c) ufficio centrale di collegamento: l'ufficio nazionale
responsabile principale dei contatti con la Commissione e con gli altri Stati membri ai fini dell'attività di
mutua assistenza; d) ufficio di collegamento; ufficio nazionale responsabile dei contatti con gli altri
Stati membri per l'attività di mutua assistenza relativa ai crediti di cui all'articolo 1, comma 2; e)
persona: 1) una persona fisica; 2) una persona giuridica; 3) una associazione di persone priva di
personalità giuridica alla quale è riconosciuta la capacità di compiere atti giuridici; 4) un istituto
giuridico di qualunque natura e forma, con o senza personalità giuridica, che possiede o gestisce beni
che, compreso il reddito da essi derivato, sono soggetti a uno dei tributi cui si applica il presente decreto;
f) titolo uniforme (UIPE): il titolo che riporta il contenuto del titolo iniziale emesso dallo Stato membro
richiedente e che consente l'esecuzione nello Stato membro adito. Esso costituisce l'unica base per le
misure di recupero e le misure cautelari adottate nello Stato membro adito e non e' oggetto di alcun atto di
riconoscimento, completamento o sostituzione in detto Stato membro; g) 'modulo standard di notifica
(UNF): il modulo che accompagna la richiesta di notifica formulata da uno Stato membro ad un altro
Stato membro e che contiene le informazioni sui documenti da notificare; h) per via elettronica:
mediante attrezzature elettroniche di trattamento, compresa la compressione digitale, e di memorizzazione
di dati e utilizzando fili, radio, mezzi ottici o altri mezzi elettromagnetici; i) rete CCN: la piattaforma
comune basata sulla rete comune di comunicazione (CCN) sviluppata dall'Unione europea per assicurare
tutte le trasmissioni con mezzi elettronici tra l'autorità richiedente di uno Stato membro e l'autorità adita
di un altro Stato membro nel settore della fiscalità.
Art. 3
Organizzazione
1. L'autorità competente per il territorio nazionale e il Direttore generale delle finanze.
2. Le autorità nazionali abilitate a formulare e ricevere una domanda di mutua assistenza per i crediti di
cui all'articolo 1, comma 2, sono: a) l'ufficio di collegamento dell'Agenzia delle entrate; b) l'ufficio di
collegamento dell'Agenzia delle dogane; c) l'ufficio di collegamento dell'Agenzia del territorio; d)
l'ufficio di collegamento del Dipartimento delle finanze.
3. Gli uffici di collegamento indicati al comma 2, ai fini dell'attività di mutua assistenza per i crediti di
cui all'articolo 1, comma 2, hanno le seguenti competenze: a) l'ufficio di collegamento dell'Agenzia delle
entrate è competente a formulare e ricevere una domanda di mutua assistenza per i crediti di cui
all'articolo 1, comma 2, relativi ai tributi rientranti nella propria competenza ai sensi dell'articolo 62 di cui
al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300; b) l'ufficio di collegamento dell'Agenzia delle dogane è
competente a formulare e ricevere una domanda di mutua assistenza per i crediti di cui all'articolo 1,
comma 2, relativi ai tributi rientranti nella propria competenza ai sensi dell'articolo 63 del decreto
legislativo 30 luglio 1999, n. 300; c) l'ufficio di collegamento dell'Agenzia del territorio è competente a
formulare e ricevere una domanda di mutua assistenza per i crediti di cui all'articolo 1, comma 2, relativi
ai tributi rientranti nella propria competenza ai sensi dell'articolo 64 del decreto legislativo 30 luglio
1999, n. 300; d) l'ufficio di collegamento del Dipartimento delle finanze è competente a formulare e
ricevere una domanda di mutua assistenza per i crediti di cui all'articolo 1, comma 2, relativi ai tributi
172
rientranti nella propria competenza ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 gennaio 2008,
n. 43.
4. Il Direttore generale delle finanze designa, con apposito provvedimento, l'ufficio centrale di
collegamento, nonché ufficio di collegamento di cui al comma 3, lettera d).
5. L'ufficio centrale di collegamento e gli uffici di collegamento indicati al comma 2 sono ricompresi
nell'ambito degli uffici già esistenti presso il Dipartimento delle finanze e le Agenzie fiscali.
Art. 4
Assistenza per le richieste di informazioni
1. Gli uffici di collegamento, ciascuno secondo le competenze previste dall'articolo 3, comma 3,
forniscono all'autorità richiedente dell'altro Stato membro tutte le informazioni utili per il recupero dei
crediti, utilizzando i dati e le notizie acquisiti ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 605. A tale fine, si avvalgono anche dei poteri previsti dall'articolo 32, primo comma,
numero 7), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dall'articolo 51,
secondo comma, numero 7), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, con le
modalità ed entro i limiti dagli stessi stabiliti. L'ufficio di collegamento di cui all'articolo 3, comma 3,
lettera d), si avvale dei suddetti poteri previa autorizzazione del Direttore generale delle finanze.
2. Le informazioni non sono fornite quando possono rivelare un segreto commerciale, industriale o
professionale, quando la loro divulgazione può pregiudicare la sicurezza o l'ordine pubblico ovvero
quando non possono essere ottenute per il recupero di crediti analoghi sorti nel territorio nazionale.
3. Gli uffici di collegamento informano l'autorità richiedente dell'altro Stato membro dei motivi che si
oppongono al soddisfacimento della domanda di informazioni.
4. Le richieste di informazioni da rivolgere agli altri Stati membri sono presentate dagli uffici di
collegamento secondo le competenze previste dall'articolo 3, comma 3.
Art. 5
Scambio di informazioni senza preventiva richiesta
1. Qualora un rimborso di dazi o imposte, diversi dall'imposta sul valore aggiunto, riguardi una persona
stabilita o residente in un altro Stato membro, gli uffici di collegamento possono informare detto altro
Stato membro del rimborso che deve essere effettuato.
Art. 6
Presenza negli Uffici dell'Amministrazione finanziaria di funzionari di altri Stati membri
1. Al fine di una più efficace assistenza reciproca può essere autorizzata, previo accordo e secondo le
modalità stabilite dall'Autorità competente italiana, la presenza di funzionari autorizzati dall'autorità
richiedente di un altro Stato membro presso gli uffici dell'amministrazione finanziaria nazionale e durante
le indagini amministrative e i procedimenti giurisdizionali.
2. I funzionari autorizzati dall'autorità richiedente di un altro Stato membro devono produrre, in qualsiasi
momento, un mandato scritto da cui risulti la loro identità e la loro qualifica ufficiale.
Art. 7
Assistenza per le richieste di notifica
173
1. L'autorità richiedente di uno Stato membro può chiedere l'assistenza per la notifica solo: a) se non sia
in grado di provvedere direttamente alla notifica conformemente alle norme che disciplinano la notifica
dei documenti in questione nello Stato membro in cui essa ha sede; b) qualora tale notifica dia luogo a
difficoltà eccessive.
2. La richiesta di notifica formulata da uno Stato membro ad un altro Stato membro e accompagnata dal
modulo standard di notifica contenente informazioni sui documenti da notificare, approvato dal
regolamento di esecuzione (CE) n. 1189/2011 della Commissione, del 18 novembre 2011.
3. Qualora si verifichino i presupposti di cui al comma 1, su domanda dell'autorità richiedente dell'altro
Stato membro, gli uffici di collegamento secondo le competenze previste dall'articolo 3, comma 3, e in
base alle norme di legge in vigore nel territorio nazionale, notificano, anche avvalendosi delle proprie
strutture territoriali, al destinatario tutti i documenti, anche di natura giudiziaria, concernenti i crediti di
cui all'articolo 1, comma 2, o il loro recupero, prodotti dallo Stato membro in cui ha sede l'autorità
richiedente, accompagnati dal modulo standard di notifica.
4. L'ufficio di collegamento indicato dall'articolo 3, comma 3, lettera d), per le notifiche pervenute
dall'autorità richiedente dell'altro Stato membro si avvale degli agenti della riscossione del Gruppo
Equitalia S.p.a., che eseguono l'attività di notifica secondo le disposizioni dell'articolo 26 del decreto del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e la effettuano, all'indirizzo indicato dal suddetto
ufficio, entro il termine indicato nel modulo standard di notifica.
5. In caso di omessa o tardiva notifica si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 euro a
1.000 euro. La sanzione non si applica quando la consegna, da parte dell'ufficio di collegamento, dei
documenti che devono essere notificati non sia avvenuta almeno due mesi prima della scadenza del
termine richiesto per la notifica.
All'irrogazione della sanzione amministrativa provvede l'ufficio del Dipartimento delle finanze, designato
dal Direttore generale delle finanze con il provvedimento di cui all'articolo 3, comma 4. Si applicano, in
quanto compatibili, le disposizioni previste dagli articoli 54, 55 e 56 del decreto legislativo 13 aprile
1999, n. 112.
6. Per le spese di notifica si applicano le previsioni di cui all'articolo 17, comma 7-ter, del decreto
legislativo 13 aprile 1999, n. 112. L'attività degli agenti della riscossione è remunerata con un compenso,
a carico dell'erario, pari a 12,81 euro per ciascuna notifica effettuata. Tale importo può essere aggiornato
con decreto del Ministro dell' economia e delle finanze. Gli importi relativi a ciascun anno sono corrisposti
entro il mese di gennaio dell'anno successivo a quello di espletamento delle notifiche. Con provvedimento
del Direttore generale delle finanze sono stabilite le modalità procedurali per l'affidamento all'agente
della riscossione territorialmente competente dell'attività di notifica, nonché per la rendicontazione di
tale attività da parte dello stesso agente.
7. Gli uffici di collegamento informano tempestivamente l'autorità richiedente circa il seguito dato alla
domanda di notifica e comunicano la data di notifica del documento al destinatario.
8. Le notifiche di tutti i documenti, anche di natura giudiziaria, concernenti i crediti di cui all'articolo 1,
comma 2, sono effettuate direttamente dagli uffici o organi nazionali secondo le norme di legge in vigore
nel territorio nazionale e, ove non previsto, per raccomandata o per posta elettronica.
9. Qualora si verifichino i presupposti di cui al comma 1, gli uffici di collegamento, secondo le
competenze previste dall'articolo 3, comma 3, effettuano la richiesta di notifica agli altri Stati membri.
Art. 8
Assistenza per il recupero dei crediti
174
1. L'autorità richiedente può formulare una domanda di recupero soltanto: a) se e fino a quando il credito
o il titolo che ne permette l'esecuzione non sono contestati nello Stato membro in cui essa ha sede, salva
l'espressa richiesta motivata di procedere comunque al recupero in caso di contestazione; b) quando essa
ha avviato, nello Stato membro in cui ha sede, le procedure di recupero, salvo che: 1) non vi siano beni
utili al recupero nello Stato membro richiedente o che le procedure di recupero non porteranno al
pagamento integrale del credito e l'autorità richiedente e in possesso di specifiche informazioni secondo
cui l'interessato dispone di beni nel territorio nazionale; 2) il ricorso alle procedure di recupero nello Stato
membro richiedente sarebbe eccessivamente difficoltoso.
2. Le domande di recupero dei crediti di cui all'articolo 1, comma 2, sono accompagnate dal titolo
uniforme che consente l'esecuzione nello Stato membro adito e costituisce l'unica base per le misure di
recupero e le misure cautelari. A tale fine, le autorità richiedenti utilizzano il modulo standard approvato
dal regolamento di esecuzione n. 1189/2011 della Commissione, del 18 novembre 2011. Il titolo uniforme
e compilato sulla base del contenuto del titolo esecutivo iniziale emesso dallo Stato membro richiedente.
Un unico titolo uniforme può riguardare anche crediti diversi.
3. Su domanda dell'autorità richiedente dell'altro Stato membro ed in forza del titolo uniforme, gli uffici
di collegamento, secondo le competenze previste dall'articolo 3, comma 3, dopo aver esaminato la
documentazione e la correttezza della richiesta, procedono, anche avvalendosi delle proprie strutture
territoriali, al recupero dei crediti di cui all'articolo 1, comma 2, affidando la riscossione delle somme
richieste, in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione a ruolo, in carico agli agenti della riscossione,
anche ai fini dell'esecuzione forzata, con le modalità determinate con provvedimento del Direttore
generale delle finanze e dei Direttori delle Agenzie delle entrate, delle dogane e del territorio di concerto
con il Ragioniere generale dello Stato.
4. Se il titolo uniforme riguarda crediti diversi, rientranti nella competenza di uffici di collegamento
diversi, si procede alla riscossione delle somme richieste mediante un unico affidamento all'agente della
riscossione per il tramite di un solo ufficio di collegamento, secondo quanto stabilito dal provvedimento
di cui al comma 3. Con il medesimo provvedimento e individuato il suddetto ufficio di collegamento.
5. L'agente della riscossione, con raccomandata semplice spedita all'indirizzo indicato dall'ufficio di
collegamento competente, informa il debitore di aver preso in carico le somme per la riscossione. Tale
comunicazione contiene in allegato il titolo uniforme.
6. In forza del titolo uniforme e senza la preventiva notifica della cartella di pagamento o di altra
intimazione, l'agente della riscossione procede, in qualsiasi momento, ad espropriazione forzata con i
poteri, le facoltà e le modalità previste dalle disposizioni che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo.
Sulla base dello stesso titolo, può essere iscritta l'ipoteca di cui all'articolo 77 del decreto del Presidente
della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.
7. Ai fini di cui al comma 6, l'esibizione dell'estratto del titolo uniforme, come trasmesso all'agente della
riscossione, con le modalita' determinate con il provvedimento di cui al comma 3, tiene luogo, a tutti gli
effetti, dell'esibizione dell'atto stesso in tutti i casi in cui l'agente della riscossione ne attesti la
provenienza.
8. All'agente della riscossione spetta il rimborso dei costi fissi, interamente a carico del debitore, ed il
rimborso delle spese relative alle procedure esecutive, previsti dall'articolo 17 del decreto legislativo 13
aprile 1999, n. 112.
9. Ai fini della procedura di riscossione stabilita dal presente articolo, i riferimenti contenuti in norme
vigenti al ruolo e alla cartella di pagamento si intendono effettuati al titolo uniforme ed i riferimenti alle
somme iscritte a ruolo si intendono effettuati alle somme affidate agli agenti della riscossione secondo le
previsioni del presente articolo. Per quanto non e regolato dal presente articolo si applicano le
disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, nel decreto
legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, e nel decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112.
175
10. Nel caso in cui viene richiesto il recupero di crediti relativi a tributi che non sono riscossi nel territorio
nazionale si applicano le disposizioni riguardanti le imposte sui redditi e il recupero e' affidato all'Agenzia
delle entrate.
11. Alle somme oggetto di recupero si applicano gli interessi di mora previsti dall'articolo 30 del decreto
del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, a partire dalla data di ricevimento della domanda di
recupero.
12. Per il pagamento delle somme dovute possono essere accordate al debitore dilazioni o rateazioni nei
limiti ed alle condizioni previste dalle vigenti disposizioni nazionali. Gli uffici di collegamento informano
l'autorità richiedente della concessione delle predette dilazioni o rateazioni.
13. I crediti di cui all'articolo 1, comma 2, non godono del grado di prelazione di crediti analoghi sorti nel
territorio nazionale, salvo diverso accordo con gli altri Stati membri.
14. Le somme riscosse a titolo di interessi di mora o a titolo di interessi per le dilazioni o le rateazioni
accordate vanno rimesse all'autorità richiedente.
Art. 9
Controversie
1. L'interessato che intende contestare il credito, il titolo iniziale che consente l'esecuzione nello Stato
membro richiedente o il titolo uniforme che consente l'esecuzione nello Stato membro adito nonche la
notifica effettuata dall'autorità competente dello Stato membro richiedente deve adire l'organo
competente dello Stato membro richiedente ai sensi delle leggi ivi vigenti. Tali informazioni sono
contenute nel titolo uniforme approvato dal regolamento di esecuzione (CE) n. 1189/2011.
2. Se nel corso della procedura di recupero, viene promossa un' azione di cui al comma 1 presso l'organo
competente nazionale, gli uffici di collegamento provvedono, su segnalazione dei competenti uffici od
organi nazionali, ad informare l'autorità adita della contestazione, indicando gli elementi del credito che
non sono oggetto di contestazione.
3. Gli uffici di collegamento che ricevono notizia dall'autorità richiedente o dal soggetto interessato
dell'avvenuta impugnazione presso l'organo competente in detto Stato membro richiedente, salva istanza
contraria formulata dalla stessa autorità richiedente, dispongono, anche tramite le proprie strutture
territoriali, la sospensione della procedura esecutiva fino alla decisione del predetto organo e ne danno
comunicazione, secondo le modalità stabilite dal provvedimento indicato nell'articolo 8, comma 3,
all'agente della riscossione, il quale procede in base alle disposizioni previste dalla normativa vigente.
4. Su domanda dell'autorità richiedente e, ove si ritenga necessario, gli uffici di collegamento, anche
tramite le proprie strutture territoriali, richiedono, ai sensi dell'articolo 22 del decreto legislativo 18
dicembre 1997, n. 472, l'adozione delle misure cautelari.
5. Qualora la procedura di recupero di un credito contestato sia stata comunque intrapresa a seguito della
richiesta motivata dell'autorita' richiedente di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), e l'esito della
contestazione risulti favorevole al debitore, l'autorita' richiedente e' tenuta alla restituzione dell'importo
recuperato unitamente ad ogni ulteriore somma dovuta secondo la legislazione dello Stato adito.
6. L'interessato che intende contestare la validità di una notifica effettuata dallo Stato membro adito e gli
atti della procedura esecutiva adottata dallo stesso Stato membro deve adire l'organo competente di detto
Stato, secondo le disposizioni normative in esso vigenti.
176
7. Qualora sia in corso una procedura amichevole con l'autorità competente dell'altro Stato membro
richiedente e l'esito della procedura può influire sull'ammontare e sull'esistenza del credito per il quale è
stata richiesta l'assistenza, gli uffici di collegamento, anche tramite le proprie strutture territoriali,
sospendono, a meno che si tratti di un caso di estrema urgenza per frode o insolvenza, le misure di
recupero fino alla conclusione della procedura, dandone comunicazione, secondo le modalità stabilite dal
provvedimento indicato nell'articolo 8, comma 3, all'agente della riscossione, il quale procede in base alle
disposizioni previste dalla normativa vigente. Qualora le misure di recupero siano sospese, si applicano le
disposizioni di cui al comma 4. Gli uffici di collegamento informano l'autorità richiedente dell'avvenuta
sospensione.
Art. 10
Modifica o ritiro della domanda di assistenza al recupero
1. Qualora si verifichi la necessità, su segnalazione degli uffici e degli organi nazionali competenti, di
modificare o di ritirare una domanda di recupero già presentata, gli uffici di collegamento ne danno
immediata comunicazione all'autorità adita, precisando i motivi della modifica o del ritiro.
2. Se la modifica della domanda è dovuta a una decisione emessa dall'organo competente a seguito del
ricorso ad esso presentato dal soggetto interessato ai sensi dell'articolo 9, comma 1, gli uffici di
collegamento trasmettono all'autorità adita la suddetta decisione insieme ad un nuovo titolo uniforme.
Qualora la modifica comporti un aumento dell'importo del credito, gli uffici di collegamento inoltrano
all'autorità adita anche una nuova richiesta.
3. Gli uffici di collegamento che vengono informati dall'autorità adita di una modifica della domanda
iniziale di assistenza che comporta una riduzione dell'importo del credito, procedono, anche tramite le
proprie strutture territoriali, sulla base del nuovo titolo uniforme, incaricando gli agenti della riscossione a
proseguire l'azione avviata per il recupero limitatamente all'importo residuo. A tal fine si applicano le
disposizioni dell'articolo 26 del decreto legislativo n. 112 del 1999. Se la modifica della domanda iniziale
di assistenza comporta un aumento dell'importo del credito, gli uffici di collegamento, anche tramite le
proprie strutture territoriali, procedono sulla base del nuovo titolo uniforme alla riscossione dell'ulteriore
importo. A tale fine affidano il carico agli agenti della riscossione sulla base del nuovo titolo. Si applicano
le disposizioni di cui agli articoli 8 e 9.
Art. 11
Misure cautelari
1. Gli uffici di collegamento, anche tramite le proprie strutture territoriali, richiedono, ai sensi dell'articolo
22 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, l'adozione delle misure cautelari per garantire il
recupero di un credito, su domanda dell'autorità richiedente dell'altro Stato membro, qualora il credito o il
titolo che consente l'esecuzione nell' altro Stato membro richiedente sia contestato al momento della
presentazione della domanda o qualora il credito non sia ancora oggetto di un titolo che consente
l'esecuzione nello Stato membro richiedente e a condizione che l'adozione di misure cautelari sia
consentita, in una situazione analoga, anche dalla legislazione nazionale e dalle prassi amministrative
vigenti nello Stato membro richiedente.
2. Le domande di misure cautelari sono accompagnate dal titolo che consente l'esecuzione nell'altro Stato
membro richiedente o dal documento redatto ai fini dell'adozione delle misure cautelari in detto altro
Stato. Tale documento ha diretta ed immediata efficacia nell'ordinamento interno.
3. La domanda di misure cautelari può essere corredata di altri documenti relativi al credito, emessi nello
Stato membro richiedente.
4. Gli uffici di collegamento informano l'autorità adita del seguito dato alla domanda di misure cautelari.
177
5. Gli uffici di collegamento effettuano la richiesta di adozione di misure cautelari, allegando il titolo
esecutivo o, nel caso in cui questo ultimo non sia stato emesso, il provvedimento o la sentenza che
legittimano la richiesta di adozione di misure cautelari.
6. Gli uffici di collegamento inviano all'autorità adita, non appena ne siano a conoscenza, ogni
informazione utile relativa al caso che ha motivato la richiesta.
7. Ai fini del presente articolo ogni credito per cui é stata presentata una domanda di misure cautelari é
trattato come un credito nazionale, salva diversa disposizione del presente decreto, e si applicano, in
quanto compatibili, gli articoli 8, comma 13, 9 e 10.
Art. 12
Esclusione dell'assistenza
1. L'assistenza per le richieste di informazioni, di notifica, per il recupero dei crediti e per l'adozione di
misure cautelari non ha luogo se il periodo intercorrente tra la data in cui il credito é divenuto esigibile
nello Stato membro richiedente e la data in cui viene fatta la domanda di assistenza é superiore a cinque
anni;
qualora i crediti o i titoli esecutivi siano oggetto di contestazione, tale periodo decorre dalla data in cui
nello Stato membro richiedente il credito o il titolo esecutivo non possono essere piu' oggetto di
contestazione.
2. Nei casi in cui nello Stato membro richiedente siano stati concessi una dilazione di pagamento o un
piano di pagamento rateale, il periodo di cinque anni decorre dalla data di scadenza del termine dell'intero
pagamento. Tuttavia, in tali casi, l'assistenza non ha luogo se il periodo intercorrente tra la data in cui il
credito é divenuto esigibile nello Stato membro richiedente e la data in cui viene fatta la domanda di
assistenza è superiore a dieci anni.
3. L'assistenza di cui al comma 1 non viene fornita quando l'importo totale del credito o dei crediti
indicati all' articolo 1, comma 2, é inferiore a 1500 euro.
4. Gli uffici di collegamento informano l'autorità richiedente dell'altro Stato membro dei motivi che
ostano all'accoglimento della domanda di assistenza.
Art. 13
Disposizioni varie
1. Le richieste di assistenza di cui agli articoli 4, 7, 8 e 11 e qualsiasi altra comunicazione sono inviate per
via elettronica, a meno che ciò risulti impossibile per motivi tecnici, utilizzando i moduli standard
approvati dalla Decisione di esecuzione della Commissione, del 18 novembre 2011, recante modalità di
applicazione in relazione a determinate disposizioni della direttiva 2010/24/UE del Consiglio
sull'assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte ed altre misure. Tali
moduli sono utilizzati, ove sia possibile, per tutte le comunicazioni successive relative alle suddette
richieste. Sono inviati per via elettronica anche il titolo uniforme che consente l'esecuzione nello Stato
membro adito, il documento che consente l'adozione di misure cautelari nello Stato membro richiedente,
nonché gli altri documenti relativi al credito.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano per le informazioni e la documentazione ottenute
tramite la presenza negli uffici dell'amministrazione finanziaria nazionale di funzionari autorizzati
dell'altro Stato membro.
3. Nei casi in cui le comunicazioni non siano effettuate per via elettronica o mediante i moduli standard
restano valide le informazioni ottenute e le misure adottate nell'esecuzione di una domanda di assistenza.
178
4. La prescrizione dei crediti é regolata dalle disposizioni vigenti nello Stato membro in cui sono sorti.
Agli effetti della sospensione e dell'interruzione dei termini di prescrizione, gli atti di recupero eseguiti
nello Stato membro al quale é stata rivolta la domanda di assistenza che hanno l'effetto di sospendere o
interrompere i termini di prescrizione secondo la legislazione vigente in detto Stato membro producono
gli stessi effetti nell'ordinamento nazionale a condizione che le disposizioni di diritto interno prevedano i
medesimi effetti. Qualora la sospensione o l'interruzione dei termini di prescrizione non sia prevista dalla
normativa interna dello Stato membro adito, gli atti di recupero eseguiti in tale Stato membro in
conformità della domanda di assistenza e che se fossero stati eseguiti dalle autorità nazionali avrebbero
avuto l'effetto di sospendere o interrompere i termini di prescrizione secondo le norme di diritto interno si
considerano, a tali effetti, posti in essere nell'ordinamento nazionale.
5. Le disposizioni di cui al comma 4 non pregiudicano il diritto di adottare provvedimenti di sospensione
o interruzione dei termini di prescrizione da parte degli uffici di collegamento, anche tramite le proprie
strutture territoriali, secondo la legislazione vigente nell'ordinamento interno.
6. L'autorità richiedente e l'autorità adita si informano a vicenda di qualsiasi provvedimento che
interrompe o sospende i termini di prescrizione del credito per il quale sono chieste le misure di recupero
o le misure cautelari.
7. Il presente decreto non pregiudica gli obblighi derivanti dagli accordi o dalle convenzioni bilaterali o
multilaterali resi esecutivi nel territorio nazionale che prevedono un'assistenza reciproca più ampia, anche
in materia di atti di notifica degli atti giudiziari o extragiudiziari. Ai fini dell'applicazione delle
disposizioni previste dai suddetti accordi o convenzioni si utilizzano le procedure stabilite dal presente
decreto.
8. Il Dipartimento delle finanze comunica annualmente alla Commissione europea il numero delle
domande di informazioni, di notifica, di recupero e di misure cautelari inviate e ricevute nel corso
dell'anno, l'importo dei crediti e l'ammontare di quelli recuperati.
Art. 14
Regime linguistico
1. Le domande di assistenza, i moduli standard per la notifica e i titoli uniformi sono inviati o corredati
della traduzione nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro adito. La validità
dei suddetti documenti o la validità della procedura non viene pregiudicata qualora alcune parti dei
documenti medesimi siano redatte in una lingua diversa dalla lingua ufficiale o da una delle lingue
ufficiali dello Stato membro adito, a condizione che gli Stati membri interessati abbiano concordato
l'adozione di detta altra lingua.
2. I documenti per i quali e necessaria una notifica a norma dell'articolo 7 possono essere trasmessi
all'autorità adita in lingua italiana.
3. Se una richiesta è corredata di documenti diversi da quelli di cui ai commi 1 e 2, gli uffici di
collegamento possono, ove necessario, chiedere all'autorità richiedente la traduzione di tali documenti in
lingua italiana o in un'altra lingua concordata con l'altro Stato membro richiedente.
Art. 15
Segreto d'ufficio e uso delle informazioni
1. Le informazioni trasmesse in qualsiasi forma dagli altri Stati membri ai sensi del presente decreto sono
coperte dal segreto di ufficio e godono della protezione accordata alle informazioni di analoga natura dalla
legislazione interna. Tali informazioni sono utilizzate ai fini dell'applicazione di misure esecutive o
179
cautelari relative ai crediti previsti dall'articolo 1, comma 2, nonché per l'accertamento e il recupero dei
contributi previdenziali obbligatori.
2. Le persone debitamente accreditate dalla autorità di accreditamento in materia di sicurezza della
Commissione europea possono accedere alle suddette informazioni solo nella misura in cui ciò sia
necessario per l'assistenza, la manutenzione e lo sviluppo della rete CCN.
3. L'autorità competente nazionale autorizza l'utilizzazione delle informazioni trasmesse ad un altro Stato
membro per uno scopo diverso da quelli indicati nel comma 1 nei casi in cui sia prevista nell'ordinamento
interno un'analoga utilizzazione.
4. Qualora l'autorità richiedente o l'autorità adita ritengano che le informazioni ottenute ai sensi del
presente decreto possano essere utili ai fini di cui al comma 1 a un terzo Stato membro, in tale caso le
stesse possono trasmetterle a detto terzo Stato membro, purché la trasmissione sia conforme alle norme e
procedure previste dal presente decreto. Esse informano lo Stato membro di origine delle informazioni
dell'intenzione di condividere le suddette informazioni con un terzo Stato membro. Lo Stato membro di
origine delle informazioni può opporsi a tale condivisione entro dieci giorni lavorativi dalla data in cui ha
ricevuto la comunicazione dallo Stato membro che desidera condividere le informazioni.
5. Nei casi di trasmissione delle informazioni a un terzo Stato membro ai sensi del comma 4,
l'autorizzazione per l'utilizzo delle informazioni per uno scopo diverso da quelli previsti dal comma 1 può
essere concessa solo dallo Stato membro di origine delle informazioni.
6. Le informazioni ricevute in qualsiasi forma ai sensi del presente decreto possono essere utilizzate dalle
Autorità amministrative o giudiziarie nazionali nello stesso modo in cui sono utilizzate le informazioni
analoghe acquisite nell'ambito dell'ordinamento interno.
Art. 16
Spese
1. Gli agenti della riscossione recuperano i crediti dal debitore e trattengono ogni spesa connessa con la
procedura di recupero in conformità delle disposizioni vigenti nell'ordinamento interno.
2. Qualora il recupero dei crediti presenti una difficoltà particolare o l'importo delle spese sia molto
elevato o l'operazione rientri nell'ambito della lotta contro le organizzazioni criminali, l'autorità
richiedente e l'autorità adita possono convenire, caso per caso, modalità specifiche di rimborso. A tal
fine, gli uffici di collegamento procedono ad apposite intese con autorità richiedente.
3. Lo Stato membro in cui ha sede l'autorità richiedente resta responsabile, nei confronti dello Stato
membro in cui ha sede l'autorità adita, delle spese e delle perdite conseguenti ad azioni riconosciute
infondate, quanto all'esistenza del credito o alla validità del titolo emesso dall'autorità richiedente. Il
Direttore generale delle finanze, su indicazione dell'ufficio di collegamento interessato, rappresenta il
caso alle autorità competenti dell' altro Stato membro e chiede il rimborso delle spese sostenute,
documentando la richiesta.
Art. 17
Decorrenza
1. Le disposizioni del presente decreto si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2012. Resta fermo che le
sanzioni previste dal medesimo decreto sono applicabili a decorrere dalla data in cui lo stesso entra in
vigore. Per le richieste di assistenza inviate da un altro Stato membro dal 1° gennaio 2012 le disposizioni
180
strumenti che permettano modalità più ampie di assistenza. L’esercizio
dell’Assistenza può concretarsi: in uno scambio di informazioni in
funzione strumentale alla riscossione; la notifica degli atti della riscossione;
l’attuazione dell’assistenza nel recupero dei crediti.
del presente decreto si applicano anche se dette richieste si riferiscono a crediti che costituiscono oggetto
di un titolo esecutivo emesso dall'altro Stato membro prima del 1° gennaio 2012.
Art. 18
Disposizioni transitorie
1. Alle procedure di recupero e di adozione delle misure cautelari avviate anteriormente al 1° gennaio
2012 continuano ad applicarsi le disposizioni previste dal decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 69.
2. Per le richieste di recupero pervenute prima del 1° gennaio 2012 per le quali non sia stata avviata entro
il 31 dicembre 2011 la procedura di riscossione, gli uffici di collegamento hanno facoltà di invitare
l'autorità richiedente a rinnovare la richiesta accompagnata da un titolo uniforme ovvero di provvedere
alla formazione diretta di un titolo uniforme su espressa autorizzazione e sotto la responsabilità
dell'autorità richiedente.
Art. 19
Disposizioni finanziarie
1. Dall'attuazione delle disposizioni del presente decreto non possono derivare nuovi o maggiori oneri a
carico della finanza pubblica e le amministrazioni interessate provvedono all'attuazione dello stesso con
le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi
della Repubblica italiana. E fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a Roma, addì 14 agosto 2012.
NAPOLITANO
Monti, Presidente del Consiglio dei Ministri
Moavero Milanesi, Ministro per gli affari europei
Grilli, Ministro dell'economia e delle finanze
Terzi di Sant'Agata, Ministro degli affari esteri
Severino, Ministro della giustizia
Catania, Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali
Gnudi, Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport
Visto, il Guardasigilli: Severino
181
I giudici europei si sono pronunciati in merito alla corretta applicazione
delle disposizioni della Direttiva 2010/24. In particolare con la Sentenza 26
Aprile 2018. In particolare tale Sentenza dispone che ove l’Autorità fiscale
chieda il recupero di un credito fondato su una decisione che non è stata
notificata all’interessato, la decisione in parola è in contraddizione con la
direttiva 2010/24, e la richiesta della Autorità fiscale non può essere
soddisfatta. Tale pronunciamento della Giurisprudenza europea trova
conferma nell’art. 47 della CEDU.
Più di recente i giudici europei si sono pronunciati sull’interpretazione
dell’art. 16, par.1della Direttiva 2010/24. La questione consisteva nel
chiarire se un giudice di uno Stato membro, nel pronunciarsi su una
domanda di misure cautelari presentata dall’Amministrazione fiscale di un
altro Stato, potesse valutare egli stesso i mezzi di prova dedotti a sostegno
di tale domanda e stabilire se fossero soddisfatti i presupposti per
l’adozione di misure cautelari o se lo stesso giudice fosse tenuto a basarsi
sulle valutazioni del giudice dello Stato richiedente. Per quanto, più nello
specifico, concerne l’interpretazione dell’art. 16 della succitata Direttiva, si
può osservare che l’art. 14 prevede una ripartizione delle competenze tra
gli organi dello Stato membro richiedente e quelli dello Stato adito per
giudicare delle controversie concernenti da un lato il credito; dall’altro le
misure esecutive adottate nello Stato adito. Pertanto in forza dell’art. 14
qualsiasi contestazione del credito deve essere promossa dinanzi agli organi
giurisdizionali dello Stato richiedente e non dello Stato adito. Per passare
all’art. 18 della Direttiva 2010/24, esso articolo elenca alcuni casi specifici
in cui lo Stato membro adito può rifiutare di concedere l’assistenza
reciproca prevista dalla Direttiva. Altra disposizione di rilievo contenuta
nella Direttiva è quella che limita la applicazione dell’art. 16 della Direttiva
solo ove vi sia pericolo che la domanda di assistenza possa essere lesiva
182
dell’ordine pubblico dello Stato membro in cui opera la Autorità adita. Per
concludere sull’articolo 16, la Direttiva 2010/24 si fonda sul principio della
“fiducia reciproca”, il quale, insieme al principio del “mutuo
riconoscimento, riveste una importanza fondamentale nel Diritto dell’UE,
dato che consente la creazione di uno spazio senza frontiere interne. In base
all’art. 16, si può concludere che i giudici dello Stato membro adito che
statuiscono su una domanda di misure cautelari, sono vincolati dalla
valutazione relativa all’osservanza, in fatto e in diritto, dei presupposti per
l’applicazione di tali misure effettuata dalle Autorità dello Stato membro
richiedente.
Sempre la Direttiva 2010/24 statuisce che l’Autorità interpellata procede
come se agisse per conto proprio o su richiesta di un’altra Autorità del
proprio Stato membro. Ciò sta a significare però, che se questa è la
disciplina di operatività dell’Amministrazione fiscale all’interno di uno
Stato membro, quando però si verificano interrelazioni tra Autorità fiscali
di altri Stati, le cose diventano più problematiche, in quanto il contribuente
non è considerato un soggetto i cui diritti debbano trovare tutela anche in
ambito sovranazionale.
A questo proposito va ricordato però che se a livello nazionale vi sono
lacune o incoerenze, nel sistema di accertamento e di prelievo fiscale,
quelle stesse imperfezioni possono essere utilizzate da chi non vuol
sottoporsi a prelievo, per rendere quest’ultimo inoperante. E’ da ciò che
deriva la necessità di collaborazione e coordinamento tra Amministrazioni
nazionali in materia fiscale. Detto ciò va detto che ove la richiesta di
collaborazione non dia risultati, bisogna che il contribuente possa
beneficiare quanto meno di una buona Amministrazione fiscale nel proprio
ordinamento di riferimento. A livello internazionale poi, occorre adottare
183
gli stessi principi di armonizzazione che nel singolo Stato, e in particolare
bisogna che si instaurino meccanismi per dirimere le controversie fiscali
che tutelino, essi meccanismi, non solo gli interessi dello Stato ma anche i
diritti dei contribuenti, al fine di instaurare un rapporto paritetico tra ambito
nazionale e internazionale, a beneficio del contribuente. A questo punto del
discorso potrebbe sorgere una domanda: quali sono gli strumenti
internazionali per la risoluzione delle controversie fra stati, “anche” a
carattere fiscale? La risposta mi pare essere che esistono due differenti
categorie di mezzi di risoluzione delle controversie a livello internazionale:
mezzi diplomatici e mezzi arbitrali o giurisdizionali. I primi sfociano
nell’adozione di un atto non vincolante tra le parti, in quanto si tratta di
mezzi che tendono a favorire un accordo tra le parti in lite e sono: il
negoziato, quando la controversia è tra due sole entità statali; i buoni
uffici, la mediazione, la conciliazione e l’inchiesta quando sono coinvolti
più che due soggetti. I secondi possono configurarsi come sentenze o lodi
arbitrali che vincolano entrambe le parti.
Restando nell’ambito degli strumenti di risoluzione delle controversie
tributarie, l’art. 25 del Modello OCSE prevede una procedura amichevole
volta alla risoluzione delle controversie che possono sorgere in relazione
alla applicazione delle Convenzioni sulle doppie imposizioni. Le
convenzioni fiscali hanno di solito ad oggetto tre tipi di procedura
amichevole: la procedura amichevole in senso stretto; la procedura di
consultazione; la procedura integrativa. La versione del 2008 del Modello
OCSE modifica l’art. 25 che privilegia il ricorso all’arbitrato. L’OCSE ha
già in passato elencato i vantaggi dell’arbitrato, rappresentati dalla
riduzione dell’incertezza, e dalla possibilità per i contraenti di partecipare e
di presentare prove, incrementando la qualità della decisione contenuta
184
nell’atto relativo. L’arbitrato è in effetti un metodo di risoluzione delle
controversie attraverso un tribunale o una commissione arbitrale, alle cui
decisioni si adeguano gli Stati interessati dalla pronuncia: si tratta di una
situazione in cui la volontà di un terzo soggetto risolve un eventuale
conflitto tra le parti. Il disposto del nuovo articolo 25 del Modello OCSE
come più sopra delineato ha il merito di aver rafforzato le modalità di
partecipazione del singolo contribuente alla fattispecie impositiva che
emerge dal procedimento e dal processo tributario. Per fare tutto ciò, tra i
differenti modi di composizione delle controversie fiscali, l’art. 25
privilegia il ricorso all’arbitrato.
Giunti a questo punto del discorso si può a buon diritto citare la
Convenzione arbitrale 90/436/CEE, la quale si applica quando uno Stato
contraente sottopone a tassazione l’utile di un’attività economica avente
sede al di fuori del suo territorio, cioè all’estero. Lo scopo della
Convenzione è quindi evitare la doppia imposizione, quanto meno a livello
di UE. Quando sorga un contrasto tra due entità statuali in materia di
procedimento tributario, la suddetta Convenzione consente l’attivazione
della già nominata “procedura amichevole” che può estendere il tempo
utile per la propria approvazione da parte degli interessati con un limite
massimo di due anni.
Merita senz’altro qualche cenno la Direttiva 1852/2017 48 che è stata
48 DIRETTIVA (UE) 2017/1852 DEL CONSIGLIO del 10 ottobre 2017 sui meccanismi di risoluzione
delle controversie in materia fiscale nell'Unione europea
IL CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA,
visto il trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in particolare l'articolo 115, vista la proposta della
Commissione europea, previa trasmissione del progetto di atto legislativo ai parlamenti nazionali, visto il
parere del Parlamento europeo ( 1 ), visto il parere del Comitato economico e sociale europeo ( 2 ),
deliberando secondo una procedura legislativa speciale, considerando quanto segue: (1) Le situazioni in
cui diversi Stati membri interpretano o applicano in modo non uniforme le disposizioni degli accordi e
delle convenzioni fiscali bilaterali o della convenzione relativa all'eliminazione delle doppie imposizioni
in caso di rettifica degli utili di imprese associate (90/436/CEE) ( 3 ) («convenzione sull'arbitrato
dell'Unione»), possono creare seri ostacoli fiscali per le imprese che operano a livello transfrontaliero.
Essi creano un onere fiscale eccessivo per le imprese e possono provocare distorsioni economiche e
185
inefficienze e avere un impatto negativo sugli investimenti transfrontalieri e la crescita. (2) Per questo è
necessario che nell'Unione esistano meccanismi che garantiscano l'effettiva risoluzione delle controversie
relative all'interpretazione e all'applicazione di tali accordi o convenzioni fiscali bilaterali e della
convenzione sull'arbitrato dell'Unione, in particolare di quelle che risultano in doppie imposizioni. (3) I
meccanismi attualmente previsti dagli accordi o convenzioni fiscali bilaterali e dalla convenzione
sull'arbitrato dell'Unione non sempre potrebbero consentire l'effettiva risoluzione di tali controversie in
maniera tempestiva. L'attività di controllo condotta nel quadro dell'attuazione della convenzione
sull'arbitrato dell'Unione ha evidenziato alcune importanti lacune, in particolare per quanto riguarda
l'accesso, la durata e l'effettiva conclusione della procedura. (4) Al fine di creare un contesto fiscale più
equo, è necessario potenziare le norme in materia di trasparenza e rafforzare le misure anti-elusione. Allo
stesso tempo, nello spirito di un sistema fiscale equo, è necessario assicurare che i meccanismi di
risoluzione delle controversie siano completi, efficaci e sostenibili. È inoltre 14.10.2017 IT Gazzetta
ufficiale dell'Unione europea L 265/1 ( 1 ) Parere del 6 luglio 2017 (non ancora pubblicato nella Gazzetta
ufficiale). ( 2 ) Parere del 22 febbraio 2017 (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale). ( 3 ) GU L
225 del 20.8.1990, pag. 10. necessario migliorare i meccanismi di risoluzione delle controversie per far
fronte al rischio che aumenti il numero di controversie in materia di doppia o multipla imposizione con
importi potenzialmente elevati, per il fatto che le amministrazioni fiscali hanno posto in essere pratiche di
controllo più regolari e mirate. (5) È fondamentale introdurre un quadro efficace ed efficiente per la
risoluzione delle controversie in materia fiscale che garantisca la certezza del diritto e un ambiente
favorevole alle imprese per gli investimenti, al fine di realizzare sistemi fiscali equi ed efficienti
all'interno dell'Unione. I meccanismi di risoluzione delle controversie dovrebbero inoltre creare un quadro
armonizzato e trasparente per risolvere le controversie e, in tal modo, offrire vantaggi a tutti i
contribuenti. (6) La risoluzione delle controversie dovrebbe applicarsi alla diversa interpretazione e
applicazione degli accordi o convenzioni fiscali bilaterali e della convenzione sull'arbitrato dell'Unione
specie alla diversa interpretazione e applicazione che risultano in doppie imposizioni. Ciò dovrebbe
essere conseguito attraverso una procedura che preveda, come primo passo, la presentazione del caso alle
autorità fiscali degli Stati membri interessati, al fine di risolvere la controversia utilizzando una procedura
amichevole. Gli Stati membri dovrebbero essere incoraggiati a ricorrere a forme alternative non
vincolanti di risoluzione delle controversie, come ad esempio la mediazione o la conciliazione, durante le
fasi finali del periodo coperto dalla procedura amichevole. Se entro un determinato periodo di tempo non
viene raggiunto un accordo, il caso dovrebbe essere oggetto di una procedura di risoluzione delle
controversie. La scelta del metodo per la risoluzione delle controversie dovrebbe essere flessibile tale da
consentire il ricorso a strutture ad hoc o a strutture più permanenti. Le procedure di risoluzione delle
controversie potrebbero assumere la forma di una commissione consultiva, composta da rappresentanti
delle autorità fiscali interessate e personalità indipendenti, o potrebbero assumere la forma di una
commissione per la risoluzione alternativa delle controversie (la quale garantirebbe la flessibilità nella
scelta dei metodi per la risoluzione delle controversie). Inoltre, se del caso, gli Stati membri potrebbero
scegliere, mediante accordo bilaterale, al fine di risolvere la controversia in modo vincolante, di far
ricorso a un'altra procedura di risoluzione delle controversie come la procedura arbitrale con «offerta
finale» (altrimenti nota come arbitrato sulla «migliore ultima offerta»). Le autorità fiscali dovrebbero
adottare una decisione finale vincolante in riferimento al parere di una commissione consultiva o di una
commissione per la risoluzione alternativa delle controversie. (7) Il meccanismo migliorato di risoluzione
delle controversie dovrebbe basarsi sui sistemi esistenti nell'Unione, compresa la convenzione
sull'arbitrato dell'Unione. Tuttavia, l'ambito di applicazione della presente direttiva dovrebbe essere più
ampio rispetto a quello della convenzione sull'arbitrato dell'Unione, che si limita alle controversie in
materia di prezzi di trasferimento e di attribuzione degli utili alle stabili organizzazioni. La presente
direttiva dovrebbe applicarsi a tutti i contribuenti che sono soggetti a imposte sul reddito e sul capitale
contemplate dagli accordi o convenzioni fiscali bilaterali e dalla convenzione sull'arbitrato dell'Unione.
Nel contempo, i privati, le microimprese e le piccole e medie imprese dovrebbero avere minori oneri
amministrativi quando utilizzano la procedura di risoluzione delle controversie. Oltre a quanto precede, è
opportuno rafforzare la fase di risoluzione delle controversie. In particolare, è necessario prevedere un
limite di tempo per la durata della procedura di risoluzione delle controversie in materia di doppia
imposizione e stabilire i termini e le condizioni della procedura per i contribuenti. (8) Al fine di garantire
condizioni uniformi di esecuzione della presente direttiva, è opportuno attribuire alla Commissione
competenze di esecuzione. Tali competenze dovrebbero essere esercitate conformemente al regolamento
(UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio ( 1 ). (9) La presente direttiva rispetta i diritti
fondamentali e osserva i principi riconosciuti, segnatamente, dalla Carta dei diritti fondamentali
186
dell'Unione europea. Essa è volta in particolare a garantire il pieno rispetto del diritto a un processo equo
e la libertà d'impresa. (10) Poiché l'obiettivo della presente direttiva, vale a dire la creazione di una
procedura efficace ed efficiente per risolvere le controversie nel contesto del corretto funzionamento del
mercato interno, non può essere conseguito in misura sufficiente dagli Stati membri ma, a motivo della
portata e degli effetti dell'azione, può essere conseguito meglio a livello di Unione, quest'ultima può
intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall'articolo 5 del trattato sull'Unione europea. La
presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio
di proporzionalità enunciato nello stesso articolo. (11) È opportuno che la Commissione riesamini
l'applicazione della presente direttiva dopo un periodo di cinque anni e che gli Stati membri sostengano la
Commissione fornendo il contributo necessario a tal fine, L 265/2 IT Gazzetta ufficiale dell'Unione
europea 14.10.2017 ( 1 ) Regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16
febbraio 2011, che stabilisce le regole e i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte degli
Stati membri dell'esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione (GU L 55 del
28.2.2011, pag. 13). HA ADOTTATO LA PRESENTE DIRETTIVA: Articolo 1 Oggetto e ambito di
applicazione La presente direttiva stabilisce le norme relative a un meccanismo per risolvere le
controversie tra Stati membri che emergono dall'interpretazione e applicazione di accordi e convenzioni
che prevedono l'eliminazione della doppia imposizione del reddito e, ove applicabile, del capitale.
Stabilisce inoltre i diritti e gli obblighi dei soggetti interessati quando emergono tali controversie. Ai fini
della presente direttiva, per «questione controversa» si intende la questione che ha dato luogo alla
controversia. Articolo 2 Definizioni 1. Ai fini della presente direttiva si intende per: a) «autorità
competente», l'autorità di uno Stato membro designata come tale dallo Stato membro interessato; b)
«tribunale competente», l'organo giurisdizionale o altro organo di uno Stato membro designato come tale
dallo Stato membro interessato; c) «doppia imposizione», l'applicazione da parte di due o più Stati
membri delle imposte contemplate da un accordo o convenzione di cui all'articolo 1 sullo stesso reddito o
capitale imponibile, qualora comporti i) un onere fiscale aggiuntivo, ii) un aumento delle imposte dovute
oppure iii) l'annullamento o la riduzione delle perdite che potrebbero essere utilizzati per compensare gli
utili imponibili; d) «soggetto interessato», qualsiasi persona, incluso un privato, residente in uno Stato
membro a fini fiscali e la cui imposizione è direttamente interessata in una questione controversa. 2. I
termini non definiti nella presente direttiva, a meno che il contesto non richieda un'altra interpretazione,
hanno il significato loro attribuito in quel momento dal relativo accordo o dalla relativa convenzione di
cui all'articolo 1 che si applica alla data di ricevimento della prima notifica dell'azione che ha comportato
o comporterà una questione controversa. In assenza di una definizione ai sensi di tale accordo o
convenzione, un termine indefinito ha il significato attribuitogli in quel momento dal diritto dello Stato
membro interessato ai fini delle imposte cui si applica detto accordo o convenzione, tenendo presente che
qualsiasi significato attribuito dalle leggi fiscali applicabili di tale Stato membro prevale sul significato
attribuito al termine da altre leggi dello stesso Stato membro. Articolo 3 Reclamo 1. I soggetti interessati
hanno il diritto di presentare un reclamo relativo a una questione controversa a ciascuna autorità
competente di ciascuno degli Stati membri interessati chiedendone la risoluzione. Il reclamo va presentato
entro tre anni dal ricevimento della prima notifica dell'azione che ha comportato o comporterà la
questione controversa, indipendentemente dal fatto che i soggetti interessati utilizzino i mezzi di
impugnazione previsti dal diritto nazionale di uno degli Stati membri interessati. I soggetti interessati
presentano simultaneamente il reclamo con le medesime informazioni a ciascuna autorità competente e
indicano nel reclamo gli altri Stati membri interessati. I soggetti interessati garantiscono che ciascuno
Stato membro interessato riceva il reclamo in almeno una delle seguenti lingue: a) una delle lingue
ufficiali dello Stato membro in questione, conformemente al diritto nazionale; o b) qualsiasi altra lingua
che lo Stato membro in questione accetti a tal fine. 2. Ciascuna autorità competente accusa ricevuta del
reclamo entro due mesi dal suo ricevimento. Entro lo stesso termine ciascuna autorità competente
comunica il ricevimento del reclamo anche alle autorità competenti degli altri Stati membri interessati. Le
autorità competenti si informano anche l'un l'altra contestualmente sulla o sulle lingue che intendono
utilizzare nelle loro comunicazioni durante le relative procedure. 14.10.2017 IT Gazzetta ufficiale
dell'Unione europea L 265/3 3. Il reclamo è accettato solo se, come primo passo, i soggetti interessati che
lo presentano forniscono alle autorità competenti di ciascuno degli Stati membri interessati le seguenti
informazioni: a) il (i) nome(i), l'(gli) indirizzo(i), il (i) numero(i) di identificazione fiscale e altre
informazioni necessarie all'identificazione dei soggetti interessati che hanno presentato il reclamo alle
autorità competenti e di qualsiasi altra persona interessata; b) i periodi d'imposta interessati; c)
informazioni particolareggiate per illustrare i fatti e le circostanze del caso (compresi i dettagli relativi
alla struttura dell'operazione e alle relazioni tra i soggetti interessati e le altre parti interessate alle
187
operazioni in questione, nonché i fatti stabiliti in buona fede in un accordo reciprocamente vincolante tra i
soggetti interessati e le amministrazioni fiscali) e, più specificamente, la natura e la data delle azioni che
hanno dato luogo alla questione controversa (compresi, se del caso, i dettagli dello stesso reddito
percepito nell'altro Stato membro e dell'inclusione di tale reddito nel reddito imponibile nell'altro Stato
membro, e informazioni particolareggiate delle imposte riscosse o che saranno riscosse relativamente a
tale reddito nell'altro Stato membro), nonché i relativi importi nelle valute degli Stati membri interessati,
con una copia di eventuali documenti giustificativi; d) il riferimento alle norme nazionali applicabili e
all'accordo o convenzione di cui all'articolo 1; laddove siano applicabili più di un accordo o convenzione,
i soggetti interessati che presentano il reclamo specificano quale accordo o convenzione è interpretato in
relazione alla pertinente questione controversa. Tale accordo o convenzione rappresenta l'accordo o la
convenzione applicabile ai fini della presente direttiva; e) le seguenti informazioni fornite dai soggetti
interessati che hanno presentato il reclamo alle autorità competenti, unitamente a copie degli eventuali
documenti giustificativi: i) una spiegazione del motivo per cui i soggetti interessati ritengano che vi sia
una questione controversa; ii) i dettagli di eventuali cause e ricorsi avviati dai soggetti interessati in
merito alle operazioni in questione ed eventuali sentenze degli organi giurisdizionali relative alla
questione controversa; iii) l'impegno da parte dei soggetti interessati a rispondere nel modo più completo
e rapido possibile a tutte le richieste appropriate formulate da un'autorità competente e a fornire la
documentazione necessaria su richiesta delle autorità competenti; iv) una copia della decisione finale
dell'amministrazione fiscale nella forma di un avviso di accertamento, del verbale di constatazione fiscale
o di altro documento equivalente da cui risulti la questione controversa e di una copia di qualsiasi altro
documento rilasciato dalle autorità fiscali in merito alla questione controversa, ove pertinente; v)
informazioni relative a eventuali reclami presentate dai soggetti interessati nell'ambito di un'altra
procedura amichevole o di un altra procedura di risoluzione delle controversie di cui all'articolo 16,
paragrafo 5, e un espresso impegno da parte dei soggetti interessati ad attenersi alle disposizioni
dell'articolo 16, paragrafo 5, ove applicabile; f) eventuali informazioni supplementari specifiche richieste
dalle autorità competenti che siano ritenute necessarie per procedere all'analisi sostanziale del caso
specifico. 4. Le autorità competenti di ciascuno degli Stati membri interessati possono chiedere le
informazioni di cui al paragrafo 3, lettera f), entro tre mesi dal ricevimento del reclamo. Possono
presentare ulteriori richieste di informazioni nel corso della procedura amichevole ai sensi dell'articolo 4,
qualora le autorità competenti lo ritengano necessario. Si applicano le legislazioni nazionali relative alla
protezione delle informazioni e alla protezione dei segreti commerciali, aziendali, industriali o
professionali o delle procedure commerciali. I soggetti interessati che ricevono una richiesta a norma del
paragrafo 3, lettera f), rispondono entro tre mesi dal ricevimento della richiesta. Una copia della risposta è
trasmessa contemporaneamente anche alle autorità competenti degli altri Stati membri interessati. 5. Le
autorità competenti di ciascuno degli Stati membri interessati adottano una decisione in merito
all'accettazione o al rigetto del reclamo entro sei mesi dal ricevimento dello stesso o, se posteriore, entro
sei mesi dal ricevimento delle informazioni di cui al paragrafo 3, lettera f). Le autorità competenti
informano senza indugio i soggetti interessati e le autorità competenti degli altri Stati membri della loro
decisione. Entro sei mesi dal ricevimento di un reclamo o, se posteriore, entro sei mesi dal ricevimento
delle informazioni di cui al paragrafo 3, lettera f), un'autorità competente può decidere di risolvere la
questione controversa su base unilaterale senza coinvolgere le altre autorità competenti degli Stati membri
interessati. In tal caso l'autorità competente in questione ne dà immediata notifica ai soggetti interessati e
alle altre autorità competenti degli Stati membri interessati ponendo così termine alle procedure di cui alla
presente direttiva. L 265/4 IT Gazzetta ufficiale dell'Unione europea 14.10.2017 6. Qualora i soggetti
interessati intendano ritirare un reclamo, trasmettono contemporaneamente una notifica scritta del ritiro a
tutte le autorità competenti degli Stati membri interessati. Tale notifica pone termine, con effetto
immediato, a tutte le procedure di cui alla presente direttiva. Le autorità competenti degli Stati membri
che ricevono tale notifica informano senza indugio le altre autorità competenti degli Stati membri
interessati della conclusione delle procedure. Se per qualsiasi motivo una questione controversa cessa di
esistere, tutte le procedure di cui alla presente direttiva si concludono con effetto immediato e le autorità
competenti degli Stati membri interessati informano senza indugio i soggetti interessati di tale situazione
e dei suoi motivi generali. Articolo 4 Procedura amichevole 1. Qualora le autorità competenti degli Stati
membri interessati accettino un reclamo, si adoperano per risolvere la questione controversa mediante
procedura amichevole entro due anni a partire dall'ultima notifica di una decisione di uno degli Stati
membri in merito all'accettazione del reclamo. Il termine di due anni di cui al primo comma può essere
prorogato fino a un massimo di un anno, su richiesta di un'autorità competente di uno Stato membro
interessato a tutte le altre autorità competenti degli Stati membri interessati, se l'autorità competente
188
richiedente fornisce una giustificazione scritta. 2. Una volta che le autorità competenti degli Stati membri
hanno raggiunto un accordo su come risolvere la questione controversa entro il termine di cui al paragrafo
1, l'autorità competente di ciascuno degli Stati membri interessati notifica, senza indugio, l'accordo al
soggetto interessato in una decisione vincolante per l'autorità e applicabile dal soggetto interessato, a
condizione che quest'ultimo accetti la decisione e rinunci al diritto ad altri mezzi di impugnazione, ove
applicabile. Qualora le procedure relative a tali altri mezzi di impugnazione siano già iniziate, la decisione
diventa vincolante e applicabile non appena il soggetto interessato abbia dimostrato alle autorità
competenti degli Stati membri interessati di aver adottato misure per porre termine a dette procedure. Le
prove in tal senso sono fornite entro 60 giorni dalla data in cui la decisione è stata notificata al soggetto
interessato. La decisione è quindi attuata immediatamente, a prescindere da eventuali termini previsti dal
diritto nazionale degli Stati membri interessati. 3. Qualora le autorità competenti degli Stati membri
interessati non abbiano raggiunto un accordo su come risolvere la questione controversa entro il termine
di cui al paragrafo 1, l'autorità competente di ciascuno degli Stati membri interessati informa il soggetto
interessato indicando i motivi generali del mancato raggiungimento dell'accordo. Articolo 5 Decisione
dell'autorità competente in merito al reclamo 1. L'autorità competente di uno Stato membro interessato
può decidere di rigettare un reclamo entro il termine di cui all'articolo 3, paragrafo 5, se: a) il reclamo non
riporta le informazioni richieste ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 3 (comprese le informazioni richieste ai
sensi dell'articolo 3, paragrafo 3, lettera f), che non siano state trasmesse entro il termine di cui all'articolo
3, paragrafo 4); b) non vi è alcuna questione controversa; o c) il reclamo non è stata presentato entro il
periodo di tre anni di cui all'articolo 3, paragrafo 1. Nell'informare il soggetto interessato ai sensi delle
disposizioni dell'articolo 3, paragrafo 5, l'autorità competente fornisce i motivi generali del suo rigetto. 2.
Qualora un'autorità competente di uno Stato membro interessato non abbia adottato una decisione in
merito al reclamo entro il termine di cui all'articolo 3, paragrafo 5, il reclamo si considera accolto da tale
autorità competente. 14.10.2017 IT Gazzetta ufficiale dell'Unione europea L 265/5 3. Il soggetto
interessato ha il diritto di presentare ricorso avverso la decisione delle autorità competenti degli Stati
membri interessati in conformità delle norme nazionali nel caso in cui tutte le autorità competenti degli
Stati membri interessati abbiano rigettato il reclamo. Un soggetto interessato che eserciti tale diritto di
presentare ricorso non può formulare una richiesta ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera a): a) finché
la decisione è ancora oggetto di ricorso conformemente al diritto dello Stato membro interessato; b) se la
decisione di rigetto può ancora essere ulteriormente impugnata nell'ambito della procedura di ricorso
degli Stati membri interessati; o c) quando una decisione di rigetto è stata confermata nell'ambito della
procedura di ricorso di cui alla lettera a), ma non è possibile derogare alla decisione del tribunale
competente o altro organo giurisdizionale di uno degli Stati membri interessati. Qualora sia stato
presentato ricorso, la decisione del tribunale competente o altro organo giurisdizionale è considerata ai
fini dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera a). Articolo 6 Risoluzione delle controversie da parte della
commissione consultiva 1. Su richiesta presentata dal soggetto interessato alle autorità competenti degli
Stati membri interessati, dette autorità competenti istituiscono una commissione consultiva
(«commissione consultiva») a norma dell'articolo 8 se: a) il reclamo presentato dal soggetto interessato è
stato rigettato ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 1, da almeno una, ma non dalla totalità, delle autorità
competenti degli Stati membri interessati; o b) le autorità competenti degli Stati membri interessati
avevano accolto il reclamo presentato dal soggetto interessato, ma non erano riuscite a raggiungere un
accordo su come risolvere la questione controversa mediante procedura amichevole entro il termine di cui
all'articolo 4, paragrafo 1. Il soggetto interessato può formulare una tale richiesta soltanto se,
conformemente alla normativa nazionale applicabile avverso la decisione di rigetto di cui all'articolo 5,
paragrafo 1: non può essere presentato alcun ricorso; nessun ricorso è pendente; o il soggetto interessato
ha formalmente rinunciato a presentare ricorso. La richiesta include una dichiarazione a tal fine. Il
soggetto interessato formula la richiesta per iscritto di istituire una commissione consultiva entro 50
giorni dalla data di ricevimento della notifica ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 5, o dell'articolo 4,
paragrafo 3, o entro 50 giorni dalla data della pronuncia della decisione del tribunale competente o organo
giurisdizionale ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 3, a seconda dei casi. La commissione consultiva è
istituita entro 120 giorni dal ricevimento della richiesta e, una volta istituita, il suo presidente ne informa
senza indugio il soggetto interessato. 2. La commissione consultiva istituita nel caso di cui al paragrafo 1,
lettera a), adotta una decisione sull'accettazione del reclamo entro sei mesi dalla data della sua istituzione.
Essa notifica la propria decisione alle autorità competenti entro 30 giorni dall'adozione della stessa.
Qualora la commissione consultiva abbia confermato che sono stati soddisfatti tutti i requisiti di cui
all'articolo 3, su richiesta di una delle autorità competenti è avviata la procedura amichevole di cui
all'articolo 4. L'autorità competente interessata comunica detta richiesta alla commissione consultiva, alle
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altre autorità competenti interessate e al soggetto interessato. Il termine di cui all'articolo 4, paragrafo 1,
decorre dalla data della notifica della decisione adottata dalla commissione consultiva sull'accettazione
del reclamo. Se nessuna delle autorità competenti ha chiesto l'avvio della procedura amichevole entro 60
giorni dalla data della notifica della decisione della commissione consultiva, quest'ultima fornisce un
parere su come risolvere la questione controversa conformemente all'articolo 14, paragrafo 1. In tal caso,
ai fini dell'articolo 14, paragrafo 1, la commissione consultiva si considera istituita alla data in cui è
scaduto detto termine di 60 giorni. 3. Nel caso di cui al paragrafo 1, primo comma, lettera b), del presente
articolo, la commissione consultiva esprime un parere su come risolvere la questione controversa a norma
dell'articolo 14, paragrafo 1. L 265/6 IT Gazzetta ufficiale dell'Unione europea 14.10.2017 Articolo 7
Nomine da parte dei tribunali competenti o dell'organo di nomina nazionale 1. Se una commissione
consultiva non è istituita entro il termine di cui all'articolo 6, paragrafo 1, gli Stati membri dispongono
che il soggetto interessato possa chiedere a un tribunale competente o a qualsiasi altro organo o persona
designati nel diritto nazionale per l'espletamento di tale funzione (organo di nomina nazionale) di istituire
la commissione consultiva. Se l'autorità competente di uno Stato membro non ha nominato almeno una
personalità indipendente e un sostituto, il soggetto interessato può chiedere al tribunale competente o
all'organo di nomina nazionale in detto Stato membro di nominare una personalità indipendente e un
sostituto dall'elenco di cui all' articolo 9. Se le autorità competenti di tutti gli Stati membri interessati
hanno omesso di farlo, il soggetto interessato può chiedere ai tribunali competenti o all'organo di nomina
nazionale di ciascuno Stato membro di nominare le due personalità indipendenti dall'elenco di cui
all' articolo 9. Tali personalità indipendenti nominano il presidente mediante sorteggio dall'elenco di
personalità indipendenti ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 3. I soggetti interessati presentano la propria
richiesta di nomina delle personalità indipendenti e dei loro sostituti a ciascuno dei rispettivi Stati di
residenza, se è coinvolto nella procedura più di un soggetto interessato, o agli Stati membri le cui autorità
competenti hanno omesso di nominare almeno una personalità indipendente e un sostituto, se è coinvolto
un solo soggetto interessato. 2. La nomina di personalità indipendenti e dei loro sostituti a norma del
paragrafo 1 del presente articolo è comunicata a un tribunale competente di uno Stato membro o a un
organo di nomina nazionale solo dopo la fine del periodo di 120 giorni di cui all'articolo 6, paragrafo 1,
ed entro 30 giorni dalla fine di tale periodo. 3. Il tribunale competente o l'organo di nomina nazionale
adotta una decisione a norma del paragrafo 1 e la notifica al richiedente. La procedura applicata dal
tribunale competente per nominare le personalità indipendenti, quando gli Stati membri hanno omesso di
farlo, è uguale alla procedura ai sensi delle disposizioni nazionali in materia di arbitrato civile e
commerciale che si applica quando i tribunali o gli organi di nomina nazionali nominano gli arbitri poiché
le parti non sono riuscite a trovare un accordo al riguardo. Il tribunale competente o l'organo di nomina
nazionale dello Stato membro informa l'autorità competente dello Stato membro in questione, che a sua
volta informa senza indugio l'autorità competente degli altri Stati membri interessati. L'autorità
competente dello Stato membro che ha inizialmente omesso di nominare la personalità indipendente e il
suo sostituto può presentare ricorso avverso la decisione del tribunale o dell'organo di nomina nazionale
nello Stato membro in questione, purché l'autorità competente sia autorizzata a farlo conformemente al
diritto nazionale. In caso di rigetto, il richiedente può presentare ricorso avverso la decisione del tribunale
conformemente alle norme procedurali nazionali. Articolo 8 Commissione consultiva 1. La commissione
consultiva di cui all'articolo 6 è così composta: a) un presidente; b) un rappresentante di ciascuna autorità
competente interessata. Previo accordo delle autorità competenti, il numero di tali rappresentanti può
essere aumentato a due per ciascuna autorità competente; c) una personalità indipendente nominata da
ciascuna autorità competente degli Stati membri interessati dall'elenco di cui all'articolo 9. Previo accordo
delle autorità competenti, il numero di tali personalità nominate può essere aumentato a due per ciascuna
autorità competente. 2. Le regole per la nomina delle personalità indipendenti sono concordate tra le
autorità competenti degli Stati membri interessati. Per ciascuna delle personalità indipendenti nominate è
nominato un sostituto, conformemente alle regole per la nomina delle personalità indipendenti, per i casi
in cui le personalità indipendenti non possano esercitare le proprie funzioni. 14.10.2017 IT Gazzetta
ufficiale dell'Unione europea L 265/7 3. Se le regole per la nomina delle personalità indipendenti non
sono state concordate conformemente al paragrafo 2, tali persone sono nominate mediante sorteggio. 4.
Tranne quando le personalità indipendenti sono state nominate dal tribunale competente o dall'organo di
nomina nazionale a norma dell'articolo 7, paragrafo 1, l'autorità competente di uno degli Stati membri
interessati può opporsi alla nomina di una particolare personalità indipendente per qualsiasi ragione
preventivamente concordata tra le autorità competenti interessate o per una delle seguenti ragioni: a) detta
personalità appartiene a una delle amministrazioni fiscali interessate oppure esercita delle funzioni per
conto di una di tali amministrazioni o si è trovata in tale situazione in qualsiasi momento nel corso dei tre
190
anni precedenti; b) in qualsiasi momento nel corso degli ultimi 5 anni precedenti la data della sua nomina,
detta personalità detiene o ha detenuto una sostanziale partecipazione o il diritto di voto oppure è o è stata
dipendente o consulente di un interessato; c) detta personalità non offre sufficienti garanzie di obiettività
per la risoluzione della controversia o delle controversie in questione; d) detta personalità è impiegata
presso un'impresa che fornisce consulenza fiscale, o presta altrimenti consulenza fiscale a titolo
professionale o si è trovata in tale situazione in qualsiasi momento nel corso di un periodo di almeno tre
anni prima della sua nomina. 5. L'autorità competente di uno degli Stati membri interessati può chiedere a
una personalità nominata a norma dei paragrafi 2 o 3 o al suo sostituto di comunicare qualsiasi interesse,
relazione o altra questione che possa incidere sull'indipendenza o imparzialità di tale personalità o che
possa ragionevolmente dare adito a un sospetto di parzialità nel procedimento. Per un periodo di dodici
mesi dalla pronuncia della decisione della commissione consultiva, una personalità indipendente che è
parte della commissione consultiva non deve trovarsi in una situazione che avrebbe indotto unautorità
competente a opporsi alla sua nomina a norma del presente comma se si fosse trovata in tale situazione al
momento della nomina presso la stessa commissione consultiva. 6. I rappresentanti delle autorità
competenti e le personalità indipendenti nominate a norma del paragrafo 1 del presente articolo nominano
un presidente dall'elenco delle personalità di cui all'articolo 9. Salvo diversamente convenuto dai
rappresentanti di ciascuna autorità competente e dalle personalità indipendenti, il presidente è un giudice.
Articolo 9 Elenco delle personalità indipendenti 1. L'elenco delle personalità indipendenti si compone di
tutte le personalità indipendenti nominate dagli Stati membri. A tal fine, ogni Stato membro nomina
almeno tre persone che siano competenti e indipendenti e in grado di operare con imparzialità e integrità.
2. Ciascuno Stato membro notifica alla Commissione i nomi delle personalità indipendenti che ha
nominato. Ciascuno Stato membro fornisce inoltre alla Commissione informazioni complete e aggiornate
sui titoli accademici e professionali di tali persone, le loro competenze, la loro esperienza e i conflitti di
interesse che possono avere. Gli Stati membri possono specificare nella notifica quale di tali persone può
essere nominata presidente. 3. Gli Stati membri comunicano senza indugio alla Commissione eventuali
modifiche dell'elenco delle personalità indipendenti. Ciascuno Stato membro istituisce procedure per
rimuovere qualsiasi persona da esso nominata dall'elenco delle personalità indipendenti che cessi di
essere indipendente. Qualora, tenendo conto delle pertinenti disposizioni del presente articolo, uno Stato
membro abbia ragionevole motivo di sollevare obiezioni alla permanenza di una personalità indipendente
nell'elenco summenzionato per ragioni di mancanza di indipendenza, esso ne informa la Commissione e
fornisce prove idonee a sostegno dei propri timori. A sua volta la Commissione informa lo Stato membro
che ha nominato tale personalità in merito alle obiezioni e prove a sostegno. Sulla base di tali obiezioni e
prove a sostegno, quest'ultimo Stato membro adotta entro sei mesi le misure necessarie a istruire il
reclamo e decide se mantenere o rimuovere la personalità dall'elenco. Lo Stato membro ne dà quindi
immediata notifica alla Commissione. L 265/8 IT Gazzetta ufficiale dell'Unione europea 14.10.2017
Articolo 10 Commissione per la risoluzione alternativa delle controversie 1. Le autorità competenti degli
Stati membri interessati possono concordare di istituire una commissione per la risoluzione alternativa
delle controversie («commissione per la risoluzione alternativa delle controversie») al posto di una
commissione consultiva per esprimere un parere su come risolvere la questione controversa a norma
dell'articolo 14. Le autorità competenti degli Stati membri possono altresì concordare di istituire una
commissione per la risoluzione alternativa delle controversie sotto forma di un comitato di natura
permanente («comitato permanente»). 2. A eccezione delle regole sull'indipendenza dei propri membri di
cui all'articolo 8, paragrafi 4 e 5, la commissione per la risoluzione alternativa delle controversie può
essere diversa dalla commissione consultiva per quanto riguarda la sua composizione e forma. Una
commissione per la risoluzione alternativa delle controversie può applicare, se del caso, procedure o
tecniche di risoluzione delle controversie per risolvere la questione controversa in modo vincolante. In
alternativa al tipo di procedura di risoluzione delle controversie applicato dalla commissione consultiva ai
sensi dell'articolo 8, vale a dire la procedura con parere indipendente, qualsiasi altro tipo di procedura di
risoluzione delle controversie, compresa la procedura arbitrale con «offerta finale» (altrimenti nota come
arbitrato sulla «migliore ultima offerta»), può essere concordato dalle autorità competenti degli Stati
membri interessati ai sensi del presente articolo e applicato dalla commissione per la risoluzione
alternativa delle controversie. 3. Le autorità competenti degli Stati membri interessati decidono le norme
di funzionamento conformemente all'articolo 11. 4. Gli articoli 12 e 13 si applicano alla commissione per
la risoluzione alternativa delle controversie, salvo diversamente concordato nelle norme di funzionamento
di cui all'articolo 11. Articolo 11 Norme di funzionamento 1. Gli Stati membri dispongono che, entro il
periodo di 120 giorni di cui all'articolo 6, paragrafo 1, l'autorità competente di ciascuno degli Stati
membri interessati notifica ai soggetti interessati i seguenti aspetti: a) le norme di funzionamento della
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commissione consultiva o della commissione per la risoluzione alternativa delle controversie; b) la data
entro la quale è adottato il parere sulla risoluzione della questione controversa; c) i riferimenti alle
disposizioni giuridiche applicabili nel diritto nazionale degli Stati membri e agli accordi o convenzioni
applicabili. 2. Le norme di funzionamento sono concordate tra le autorità competenti degli Stati membri
coinvolti nella controversia. Le norme di funzionamento includono in particolare: a) la descrizione e le
caratteristiche della questione controversa; b) il mandato concordato dalle autorità competenti degli Stati
membri per quanto riguarda le questioni di diritto e di fatto da risolvere; c) la forma dell'organismo per la
risoluzione delle controversie, ovvero commissione consultiva o commissione per la risoluzione
alternativa delle controversie, nonché il tipo di procedura per la risoluzione alternativa delle controversie,
se la procedura differisce dalla procedura con «parere indipendente» applicata da una commissione
consultiva; d) il calendario della procedura di risoluzione delle controversie; e) la composizione della
commissione consultiva o della commissione per la risoluzione alternativa delle controversie (compresi il
numero e i nomi dei membri, i particolari relativi alle loro competenze e qualifiche e la comunicazione
dei loro conflitti di interesse); f) le regole che disciplinano la partecipazione del soggetto interessato (dei
soggetti interessati) e di terzi alla procedura, gli scambi di memorie, informazioni e prove, le spese, il tipo
di procedura di risoluzione della controversia da utilizzare e altre pertinenti questioni procedurali od
organizzative; g) gli aspetti logistici relativi ai procedimenti svolti dalla commissione consultiva e alle
modalità con cui quest'ultima esprime il suo parere. 14.10.2017 IT Gazzetta ufficiale dell'Unione europea
L 265/9 Se una commissione consultiva è istituita per esprimere un parere ai sensi dell'articolo 6,
paragrafo 1, primo comma, lettera a), nelle norme di funzionamento sono riportate solo le informazioni di
cui all'articolo 11, paragrafo 2, secondo comma, lettere a), d), e) e f). 3. La Commissione stabilisce,
mediante atti di esecuzione, norme di funzionamento standard sulla base delle disposizioni del paragrafo
2, secondo comma, del presente articolo. Tali norme di funzionamento standard si applicano nei casi in
cui le norme di funzionamento sono incomplete o non sono notificate ai soggetti interessati. Tali atti di
esecuzione sono adottati secondo la procedura di cui all'articolo 20, paragrafo 2. 4. Qualora le autorità
competenti non abbiano notificato le norme di funzionamento ai soggetti interessati conformemente ai
paragrafi 1 e 2, le personalità indipendenti e il presidente completano le norme di funzionamento in base
alle norme standard di cui al paragrafo 3 e le trasmettono ai soggetti interessati entro due settimane dalla
data in cui è stata istituita la commissione consultiva o la commissione per la risoluzione alternativa delle
controversie. Qualora le personalità indipendenti e il presidente non siano d'accordo sulle norme di
funzionamento o non le abbiano notificate ai soggetti interessati, questi ultimi possono adire un tribunale
competente di uno degli Stati membri interessati al fine di ottenere l'ingiunzione ad attuare le norme di
funzionamento. Articolo 12 Costi della procedura 1. Tranne nei casi di cui al paragrafo 2 e salvo che le
autorità competenti degli Stati membri interessati non abbiano concordato diversamente, i seguenti costi
sono ripartiti equamente tra gli Stati membri: a) le spese sostenute dalle personalità indipendenti, che
devono essere di importo equivalente alla media dell'importo di norma rimborsato agli alti funzionari
degli Stati membri interessati; e b) i compensi versati alle personalità indipendenti, ove applicabile, che
devono essere limitati a 1 000 EUR a persona al giorno per ogni giorno di riunione in cui si riuniscono la
commissione consultiva o la commissione per la risoluzione alternativa delle controversie. Le spese
sostenute dal soggetto interessato non sono a carico degli Stati membri. 2. Qualora il soggetto interessato
abbia presentato: a) una notifica del ritiro del reclamo ai sensi dell'articolo 3, paragrafo6; o b) una
richiesta ai sensi delle disposizioni dell'articolo 6, paragrafo 1, in seguito a un rigetto deciso a norma
dell'articolo 5, paragrafo 1, e la commissione consultiva abbia deciso che le autorità competenti
interessate hanno rigettato il reclamo a giusto titolo, e, previo accordo delle autorità competenti degli Stati
membri interessati, tutte le spese di cui al paragrafo 1, lettere a) e b), sono a carico del soggetto
interessato. Articolo 13 Informazioni, prove e udienze 1. Ai fini della procedura di cui all'articolo 6, i
soggetti interessati possono, previo accordo delle autorità competenti degli Stati membri interessati,
fornire alla commissione consultiva o alla commissione per la risoluzione alternativa delle controversie le
informazioni, le prove o i documenti che possono essere rilevanti ai fini della decisione. I soggetti
interessati e le autorità competenti degli Stati membri interessati forniscono le informazioni, le prove o i
documenti su richiesta della commissione consultiva o della commissione per la risoluzione alternativa
delle controversie. Tuttavia, tali autorità competenti possono rifiutare di fornire informazioni alla
commissione consultiva nei seguenti casi: a) per ottenere le informazioni è necessario applicare misure
amministrative contrarie al diritto nazionale; b) le informazioni non possono essere ottenute nel rispetto
del diritto nazionale dello Stato membro interessato; c) le informazioni riguardano segreti commerciali,
aziendali, industriali o professionali o procedure commerciali; d) la divulgazione delle informazioni è
contraria all'ordine pubblico. L 265/10 IT Gazzetta ufficiale dell'Unione europea 14.10.2017 2. I soggetti
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interessati possono, dietro loro richiesta e previo accordo delle autorità competenti degli Stati membri
interessati, comparire o essere rappresentati dinanzi a una commissione consultiva o alla commissione per
la risoluzione alternativa delle controversie. I soggetti interessati compaiono o sono rappresentati dinanzi
alla commissione consultiva o alla commissione per la risoluzione alternativa delle controversie dietro
richiesta di queste ultime. 3. Le personalità indipendenti o qualsiasi altro membro sono soggetti agli
obblighi del segreto professionale conformemente al diritto nazionale di ciascuno degli Stati membri
interessati in relazione alle informazioni che ricevono in qualità di membri da una commissione
consultiva o dalla commissione per la risoluzione alternativa delle controversie. I soggetti interessati e, se
del caso, i loro rappresentanti si impegnano a trattare con riservatezza le informazioni (compresi i
documenti) che ricevono durante tali procedimenti. I soggetti interessati e i loro rappresentanti presentano
una dichiarazione in tal senso alle autorità competenti degli Stati membri interessati, se così richiesto nel
corso dei procedimenti. Gli Stati membri adottano le sanzioni opportune per le violazioni degli obblighi
di riservatezza. Articolo 14 Parere della commissione consultiva o della commissione per la risoluzione
alternativa delle controversie 1. Entro sei mesi dalla data in cui è stata istituita, una commissione
consultiva o la commissione per la risoluzione alternativa delle controversie esprime il proprio parere alle
autorità competenti degli Stati membri interessati. Qualora la commissione consultiva o la commissione
per la risoluzione alternativa delle controversie ritenga che la formulazione di un parere sulla questione
controversa richieda più di sei mesi, tale periodo può essere prorogato di tre mesi. La commissione
consultiva o la commissione per la risoluzione alternativa delle controversie informa le autorità
competenti degli Stati membri interessati e i soggetti interessati di tali eventuali proroghe. 2. La
commissione consultiva o la commissione per la risoluzione alternativa delle controversie fonda il proprio
parere sulle disposizioni del relativo accordo o convenzione di cui all'articolo 1, nonché sulle eventuali
norme nazionali applicabili. 3. La commissione consultiva o la commissione per la risoluzione alternativa
delle controversie adotta il parere a maggioranza semplice dei propri membri. Se non può essere
raggiunta una maggioranza, il voto del presidente determina il parere definitivo. Il presidente comunica
alle autorità competenti il parere della commissione consultiva o della commissione per la risoluzione
alternativa delle controversie. Articolo 15 Decisione finale 1. Le autorità competenti interessate danno il
loro accordo su come risolvere la questione controversa entro sei mesi dalla notifica del parere della
commissione consultiva o della commissione per la risoluzione alternativa delle controversie. 2. Le
autorità competenti possono adottare una decisione che si discosta dal parere della commissione
consultiva o della commissione per la risoluzione alternativa delle controversie. Tuttavia, se non
raggiungono un accordo su come risolvere la questione controversa, esse sono vincolate da tale parere. 3.
Ciascuno Stato membro provvede affinché la sua autorità competente notifichi senza indugio al soggetto
interessato la decisione finale sulla risoluzione della questione controversa. In mancanza di tale notifica
entro 30 giorni della decisione che è stata adottata, il soggetto interessato può presentare ricorso nel suo
Stato membro di residenza conformemente alle norme nazionali applicabili al fine di ottenere la decisione
finale. 4. La decisione finale è vincolante per gli Stati membri interessati e non costituisce un precedente.
La decisione finale è attuata a condizione che i soggetti interessati accettino la decisione finale e
rinuncino al diritto ai mezzi di impugnazione interni entro 60 giorni dalla data della notifica della
decisione finale, ove applicabile. Tranne nei casi in cui il tribunale competente o altro organo giudiziario
di uno Stato membro interessato decida, conformemente alle norme nazionali applicabili sui mezzi di
impugnazione e in applicazione dei criteri di cui all'articolo 8, che vi è stata mancanza di indipendenza, la
decisione finale è attuata a norma del diritto nazionale degli Stati membri 14.10.2017 IT Gazzetta
ufficiale dell'Unione europea L 265/11 interessati che, a seguito della stessa, modificano la loro
imposizione, a prescindere da eventuali termini previsti dal diritto nazionale. Qualora la decisione finale
non sia stata attuata, il soggetto interessato può chiedere al tribunale competente dello Stato membro che
non ha provveduto all'attuazione della decisione finale affinché ne imponga l'attuazione. Articolo 16
Interazione con procedimenti e deroghe nazionali 1. Il fatto che l'azione di uno Stato membro che ha dato
luogo alla questione controversa sia diventata definitiva conformemente al diritto nazionale non
impedisce ai soggetti interessati di ricorrere alle procedure previste nella presente direttiva. 2. La
presentazione della questione controversa nell'ambito della procedura amichevole o della procedura di
risoluzione delle controversie ai sensi, rispettivamente, degli articoli 4 e 6 non impedisce a uno Stato
membro di avviare o di continuare procedimenti giudiziari o procedimenti per sanzioni amministrative e
penali in relazione alle stesse questioni. 3. I soggetti interessati possono avvalersi dei mezzi di
impugnazione esperibili previsti dal diritto nazionale degli Stati membri interessati. Tuttavia, qualora il
soggetto interessato abbia avviato procedimenti volti a esperire tali mezzi di impugnazione, i termini di
cui, rispettivamente, all'articolo 3, paragrafo 5, e all'articolo 4, paragrafo 1, iniziano a decorrere dalla data
193
in cui una sentenza emessa nell'ambito dei procedimenti sia divenuta definitiva o dalla data in cui i
procedimenti siano stati altrimenti conclusi in via definitiva, o qualora i procedimenti siano stati sospesi.
4. Qualora una decisione su una questione controversa sia stata pronunciata dal tribunale competente o
altro organo giurisdizionale di uno Stato membro e il diritto nazionale dello Stato membro in questione
non gli consenta di derogare alla decisione detto Stato membro può prevedere quanto segue: a) prima che
le autorità competenti degli Stati membri interessati raggiungano un accordo secondo la procedura
amichevole di cui all'articolo 4 sulla questione controversa, l'autorità competente dello Stato membro in
questione deve notificare alle altre autorità competenti degli Stati membri interessati la decisione del
tribunale competente o altro organo giurisdizionale e deve essere posto termine alla procedura suddetta a
decorrere dalla data di tale notifica; b) prima che il soggetto interessato abbia presentato una richiesta ai
sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, le disposizioni dell'articolo 6, paragrafo 1, non si applicano se la
questione controversa è rimasta irrisolta nel corso dell'intera procedura amichevole di cui all'articolo 4,
nel qual caso l'autorità competente dello Stato membro in questione deve informare le altre autorità
competenti degli Stati membri interessati in merito agli effetti della decisione del tribunale competente o
altro organo giurisdizionale; c) deve essere posto termine alla procedura di risoluzione delle controversie
di cui all'articolo 6 se la decisione del tribunale competente o altro organo giurisdizionale è stata
pronunciata in un qualsiasi momento dopo che un soggetto interessato ha presentato una richiesta ai sensi
dell'articolo 6, paragrafo 1, ma prima che la commissione consultiva o la commissione per la risoluzione
alternativa delle controversie abbia espresso il suo parere alle autorità competenti degli Stati membri
interessati ai sensi dell'articolo 14, nel qual caso l'autorità competente dello Stato membro interessato in
questione deve informare le altre autorità competenti degli Stati membri interessati e la commissione
consultiva o la commissione per la risoluzione alternativa delle controversie in merito agli effetti della
decisione del tribunale competente o altro organo giurisdizionale. 5. La presentazione di un reclamo a
norma dell'articolo 3 pone fine a qualsiasi altro procedimento in corso nell'ambito della procedura
amichevole o procedura di risoluzione delle controversie in virtù di un accordo o convenzione interpretati
o applicati in relazione alla medesima questione controversa. È posto fine a tale altro procedimento in
corso in relazione alla medesima questione controversa a decorrere dalla data del primo ricevimento del
reclamo da parte di una delle autorità competenti degli Stati membri interessati. 6. In deroga all'articolo 6,
uno Stato membro interessato può rifiutare l'accesso alla procedura di risoluzione delle controversie a
norma dello stesso articolo nei casi in cui siano state irrogate sanzioni nello Stato membro in questione in
relazione al reddito o al capitale rettificato per frode fiscale, dolo e grave negligenza. Qualora siano stati
avviati procedimenti giudiziari o amministrativi che potrebbero dar luogo a tali sanzioni e detti
procedimenti si svolgano simultaneamente a uno dei procedimenti di cui alla presente direttiva,
un autorità competente può sospendere i procedimenti a norma della presente direttiva a decorrere dalla
data di accoglimento del reclamo fino alla data dell'esito finale dei procedimenti in questione. 7. Uno
Stato membro può rifiutare, caso per caso, l'accesso alla procedura di risoluzione delle controversie di cui
all'articolo 6 se una questione controversa non comporta doppie imposizioni. In tal caso, l'autorità
competente di detto Stato membro informa senza indugio il soggetto interessato e le autorità competenti
degli altri Stati membri interessati. L 265/12 IT Gazzetta ufficiale dell'Unione europea 14.10.2017
Articolo 17 Disposizioni speciali per privati e imprese più piccole Nel caso in cui il soggetto interessato:
a) sia una persona fisica; o b) non sia una grande impresa e non faccia parte di un grande gruppo (ai sensi
della direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio ( 1 )), il soggetto interessato può
presentare i reclami, le risposte a una richiesta di informazioni supplementari, i ritiri e le richieste di cui,
rispettivamente, agli articoli 3, paragrafi 1, 4 e 6, e 6, paragrafo 1 («comunicazioni»), in deroga a tali
disposizioni, esclusivamente all'autorità competente dello Stato membro in cui il soggetti interessato
risiede. Entro due mesi dal ricevimento di tali comunicazioni l'autorità competente di tale Stato membro
ne dà simultanea notifica alle autorità competenti di tutti gli altri Stati membri interessati. Una volta
effettuata tale notifica, si ritiene che il soggetto interessato abbia presentato la comunicazione a tutti gli
Stati membri interessati dalla data della notifica. Nel caso di informazioni supplementari ricevute a norma
dell'articolo 3, paragrafo 4, l'autorità competente dello Stato membro che ha ricevuto le informazioni
supplementari ne trasmette una copia contemporaneamente alle autorità competenti di tutti gli altri Stati
membri interessati. Una volta trasmesse, si ritiene che tali informazioni supplementari siano state ricevute
da tutti gli Stati membri interessati alla data di tale ricevimento delle informazioni. Articolo 18 Pubblicità
1. Le commissioni consultive e le commissioni per la risoluzione alternativa delle controversie emettono i
propri pareri per iscritto. 2. Le autorità competenti possono convenire di pubblicare integralmente le
decisioni finali di cui all'articolo 15, previo consenso di ciascuno dei soggetti interessati. 3. Qualora le
autorità competenti interessate o il soggetto interessato non diano il consenso alla pubblicazione integrale
194
introdotta per rendere più agevoli le decisioni di investimento all’interno
del perimetro europeo, offrendo maggiore certezza e prevedibilità agli
investitori in relazione alla neutralizzazione dei costi aggiuntivi derivanti
dalla doppia imposizione. L’art. 1 della Direttiva in parola prevede che essa
direttiva debba risolvere le controversie tra Stati UE, che emergono
dall’interpretazione ed applicazione di accordi e Convenzioni relativi
all’eliminazione della doppia imposizione, qualora sia il reddito che il
della decisione finale, le autorità competenti pubblicano una sintesi della decisione finale. Tale sintesi
contiene una descrizione del problema e l'oggetto, la data, i periodi d'imposta in questione, la base
giuridica, il settore industriale e una breve descrizione del risultato finale. È inclusa inoltre una
descrizione del metodo arbitrale utilizzato. Le autorità competenti trasmettono al soggetto interessato le
informazioni da pubblicare a norma del primo comma prima della pubblicazione. Entro 60 giorni dal
ricevimento delle informazioni, il soggetto interessato può chiedere alle autorità competenti di non
pubblicare informazioni relative a qualsiasi segreto commerciale, aziendale, industriale o professionale o
procedura commerciale oppure contrarie all'ordine pubblico. 4. La Commissione predispone moduli
standard per la comunicazione delle informazioni di cui ai paragrafi 2 e 3 del presente articolo mediante
atti di esecuzione. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura di cui all'articolo 20,
paragrafo 2. 5. Le autorità competenti notificano senza indugio alla Commissione le informazioni da
pubblicare a norma del paragrafo 3. Articolo 19 Ruolo della Commissione e assistenza amministrativa 1.
La Commissione tiene aggiornato l'elenco delle autorità competenti e l'elenco delle personalità
indipendenti di cui all'articolo 8, paragrafo 4, e li mette a disposizione online. Nell'elenco figurano solo i
nomi di tali persone. 2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione le misure che hanno adottato al
fine di sanzionare qualsiasi violazione dell'obbligo di riservatezza di cui all'articolo 13. La Commissione
ne informa gli altri Stati membri. 3. La Commissione tiene un registro centrale in cui le informazioni
pubblicate a norma dell'articolo 18, paragrafi 2 e 3, sono archiviate e rese disponibili online. 14.10.2017
IT Gazzetta ufficiale dell'Unione europea L 265/13 ( 1 ) Direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativa ai bilanci d'esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative
relazioni di talune tipologie di imprese, recante modifica della direttiva 2006/43/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio e abrogazione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio (GU L 182
del 29.6.2013, pag. 19). Articolo 20 Procedura di comitato 1. La Commissione è assistita dal comitato per
la risoluzione delle controversie. Esso è un comitato ai sensi del regolamento (UE) n. 182/2011. 2. Nei
casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applica l'articolo 5 del regolamento (UE) n.
182/2011. Articolo 21 Riesame Entro il 30 giugno 2024 la Commissione valuta l'attuazione della presente
direttiva e presenta una relazione al Consiglio. Tale relazione è accompagnata, se del caso, da una
proposta legislativa. Articolo 22 Recepimento 1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 30
giugno 2019. Essi comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali disposizioni. Le
disposizioni adottate dagli Stati membri contengono un riferimento alla presente direttiva o sono
corredate di tale riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono decise
dagli Stati membri. 2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni
fondamentali di diritto interno che adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva. Articolo 23
Entrata in vigore La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione
nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea. Essa si applica a qualsiasi reclamo presentato a decorrere dal
1o luglio 2019 sulle questioni controverse riguardanti il reddito o il capitale percepito in un esercizio
fiscale che ha inizio il 1o gennaio 2018 o in data successiva. Le autorità competenti degli Stati membri
interessati possono tuttavia convenire di applicare la presente direttiva in relazione a un reclamo
presentato prima di tale data o di esercizi fiscali precedenti. Articolo 24 Destinatari Gli Stati membri sono
destinatari della presente direttiva. Fatto a Lussemburgo, il 10 ottobre 2017 Per il Consiglio Il presidente
T. TÕNISTE
195
capitale abbiano carattere sovranazionale. La Direttiva in parola non abroga
la Convenzione d’Arbitrato, ma la integra in modo tale da produrre alcune
sovrapposizioni parziali, di modo che gli attori economici sono liberi di
scegliere tra i due strumenti, ossia Convenzione e Direttiva, e sopportare le
conseguenze della propria decisione.
Un altro tassello per la risoluzione delle controversie tributarie a carattere
transfrontaliero è l’atto negoziale che prende il nome di Multilateral
instrument, in ottemperanza al quale sono stati conclusi un certo numero di
trattati internazionali, il quale è potenzialmente, anche se non del tutto
implementato, in grado di dare automatica attuazione ai frammentari
accordi bilaterali in materia di imposizione, eliminando la necessità di
operazioni di recezione interna a carattere multilaterale da parte degli Stati
contraenti, e cioè ponendo in essere una automatica estensione degli effetti
di accordi bilaterali in maniera multilaterale, tra Paesi interessati dalla
materia procedimentale tributaria.
La necessità di un intervento coordinato ha trovato propulsione in
particolare nel progetto BEPS. Con riferimento a quest’ultimo, la c.d.
Azione 14, relativa alla risoluzione delle controversie attraverso
meccanismi più efficaci; e la c.d. Azione 15 concernente l’elaborazione di
una Convenzione multilaterale tendono entrambe a sostituire la rete delle
Convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni. Prima dell’opera
realizzata dal progetto BEPS, vi è stata quella della Mutual Agreement
Procedure (MAP) la quale però aveva natura soltanto programmatica, e
quindi tale da ritardare il processo di realizzazione di una effettiva
multilateralità. In tale contesto rimane comunque sullo sfondo la tutela dei
diritti dei contribuenti, i quali invece dovrebbero sempre avere la possibilità
di partecipare ai meccanismi internazionali di risoluzione delle controversie
196
fiscali. E anche ove tale partecipazione venga realizzata, vi sarebbe
comunque l’assenza di una disciplina delle forme di coinvolgimento del
contribuente. Se si passa poi ad analizzare la Direttiva n. 1852/2017,
quest’ultima, nei suoi “Considerando”, attribuisce piena tutela ai diritti del
contribuente in quanto dotato della cittadinanza europea, e quindi anche il
diritto ad un giusto processo, ed anche in ottica tributaria. Nella Direttiva
citata e nel D.lgs. 49/2020 che le dà attuazione in Italia emerge che la MAP
resta la base di risoluzione delle controversie internazionali a livello fiscale.
Tuttavia vi sono anche altri strumenti a tutela dei diritti del contribuente,
come per esempio il Manual on Effective Mutual Agreement Procedures,
elaborato in ambito OCSE, che riconosce al contribuente il diritto ad essere
informato dalla Autorità competente sullo stato della procedura e prevede il
diritto sempre del contribuente ad essere ascoltato in merito alla
controversia.
Per tornare a parlare della Direttiva sopra citata, quest’ultima ha introdotto
elementi di novità che sono costituiti ad esempio dall’attribuzione al
contribuente di un ruolo maggiormente attivo all’ interno del procedimento.
Attraverso la Direttiva in parola si concede ai contribuenti un buon numero
di garanzie oltreché di diritti: il diritto di ricevere notifiche durante la
procedura ovvero fornire informazioni, prove e documenti che possono
essere rilevanti per la decisione. In altri termini solo la Direttiva conferisce
ai soggetti interessati un rimedio giuridico effettivo contro gli Stati
coinvolti nella controversia fiscale transfrontaliera, proprio in virtù del fatto
che sempre la Direttiva conferisce una tutela dei diritti che trova protezione
nella giurisdizione della Corte di Giustizia. Ai sensi dell’art. 8 del D.lgs. n.
49/2020 e conformemente allo spirito della Direttiva è prevista da parte
degli interessati la facoltà di presentare ricorso avverso l’eventuale
197
decisione di rigetto dell’istanza di procedura amichevole, consentendo in
questo modo una tutela a beneficio dei contribuenti a che la procedura si
svolga correttamente. In particolare il meccanismo di risoluzione di una
procedura può essere attivato anche se la pretesa tributaria è diventata
definitiva a seguito della omessa impugnazione dell’avviso di accertamento
da parte della Amministrazione fiscale o per effetto della definizione
dell’imposta in sede di accertamento con adesione o di mediazione.
Nel caso in cui la Agenzia delle Entrate disponga, a conclusione della
procedura di risoluzione, la riscossione delle imposte dovute l’art. 19,
comma tre del nominato D.lgs. n. 49/2020 prevede, a salvaguardia del
contribuente, la non applicabilità delle sanzioni sulle “eventuali maggiori
imposte” dovute, nel caso in cui le stesse siano già state definite in sede
“agevolata secondo le norme vigenti”. Il testo normativo del Decreto citato
prevede il rimborso al contribuente delle somme versate a titolo di sanzioni
anche nell’ipotesi in cui la pretesa erariale in sede di accertamento sia stata
“integralmente” annullata. Tuttavia il contribuente può accedere a queste
forme di tutela “solo” se invitato dalle Autorità fiscali competenti oppure
per decisione della Commissione.
E’ altresì opportuno osservare che le divergenze esistenti tra le diverse
procedure previste per la risoluzione della controversia, spesso possono
generare disuguaglianze tra contribuenti di più Stati. Tuttavia sulla base
della già ricordata MAP, vanno risolte di comune accordo tutte le
controversie a carattere internazionale. Ove poi la MAP si trovi in una
situazione di stallo o di inerzia, il contribuente può richiedere all’Agenzia
delle Entrate e alle omologhe Autorità di altri Stati coinvolti nella
attuazione della MAP, l’istituzione di una Commissione consultiva, avente
198
il compito di esprimersi su come risolvere la controversia fiscale con parere
“indipendente”.
In sostanza e a conclusione del presente Capitolo mi verrebbe da avanzare
alcune considerazioni relative a quanto nello stesso Capitolo si è detto.
Ossia la globalizzazione ha indirizzato in qualche modo il diritto tributario
verso l’adozione di misure atte a garantire una tutela del contribuente che
sia a carattere internazionale. Ove sorga una controversia che coinvolga i
profili personali dei contribuenti, questi ultimi per una esigenza di equità
soprattutto, devono essere posti in grado di intervenire attivamente a tutela
dei propri diritti. Tutti coloro che sono assoggettati al provvedimento
fiscale e alla successiva instaurazione del procedimento, devono essere
considerati “parti” del procedimento di risoluzione delle controversie
fiscali che li riguardano e ciò anche dal punto di vista internazionale.
E’possibile prevedere delle limitazioni all’accesso ad un tribunale ma
queste ultime devono essere “giustificate”. Tuttavia, sebbene i singoli
contribuenti partecipino al procedimento fiscale in quanto “Parti”,
nondimeno i diritti e i poteri di cui, sempre in ambito internazionale,
dispongono le Autorità fiscali non sono equivalenti e della stessa natura di
quelli previsti per i contribuenti il cui coinvolgimento è soltanto limitato e
ausiliario. Ovviamente su un piano “assiologico” o de jure condendo, la
partecipazione del contribuente al procedimento tributario non solo a
carattere nazionale, ma anche transnazionale, dovrebbe essere “sostanziale”
quindi anche “propositiva”, e non solo limitata a fornire assistenza alle
Autorità competenti. Sono ovviamente necessari dei correttivi per rendere
nel tempo più efficace il sistema di risoluzione delle controversie: infatti
anche se la Direttiva 1852/2017 prevede una maggiore partecipazione del
contribuente nella fase probatoria e rafforza la tutela del contribuente
199
rispetto alle altre procedure, il suo ruolo rimane ancillare rispetto a quello
delle Autorità competenti. Si ritiene in definitiva che l’accesso ai tribunali
nazionali non garantisca l’efficacia risolutiva del contenzioso fiscale
internazionale, dato che in tale ambito le controversie richiedono la
partecipazione di due Stati (almeno) coinvolti e del contribuente
interessato, affinché quest’ultimo possa avere una tutela piena ed effettiva
e non un “cumulo” di tutele parziali, considerando anche che gli esiti
internazionali della procedura a carattere tributario potrebbero essere tra
loro contrastanti.
Capitolo VI
Ulteriori cenni ai rapporti tra Fisco e contribuente
Parte della dottrina ritiene che, con riferimento alla situazione attuale dei
rapporti tra Amministrazione fiscale e cittadino, cittadino cui incombe
l’onere contributivo, non siano da considerare come intercorrenti tra
soggetti distinti, ma piuttosto come tra enti posti in una condizione di
parità. Detto ciò va anche detto che lo Stato, nell’ottica imprescindibile del
contribuente, deve collaborare alla formazione della capacità contributiva
del cittadino, così conseguendo, attraverso l’imposizione, un maggiore
progresso economico e sociale, con conseguente ritorno delle somme
versate all’Erario. Per ottenere tutto ciò però, occorre che lo Stato e il
cittadino siano chiamati ad una leale collaborazione sulla base del disposto
dell’art. 2 Cost. In tale ordine di idee, l’imposizione non è più guardata
come l’attributo della sovranità, ma appare il mezzo necessario perché lo
Stato possa prestare i pubblici servizi. Appare quindi necessario rafforzare
la tesi in virtù della quale il cittadino contribuisca alle spese statali e di
contro possa vantare diritti nei confronti dello Stato, nel pieno rispetto dei
200
principi costituzionali. Da quanto detto discende che se il contribuente
partecipa alla spesa pubblica, dichiarando e versando le imposte dovute,
parimenti parrebbe necessario riconoscere al medesimo il diritto di
partecipare alla fase istruttoria dell’attività amministrativa di accertamento
delle imposte. La posizione della Pubblica amministrazione richiede quindi
la indefettibile partecipazione del cittadino. Ciò è confermato dall’ingresso
nel testo costituzionale del principio di sussidiarietà in forza di una
differente interpretazione dell’art. 118 Cost 49 . In tale ottica il procedimento
amministrativo si presenta come lo spazio entro il quale il potere e
l’interesse legittimo dialogano fra loro al fine di pervenire all’emanazione
di un atto finale migliore e, se possibile, almeno in parte, condiviso rispetto
a quanto potrebbe derivare da una azione unilaterale della P.A.
Con l’introduzione della Legge n. 241/90, già citata nel presente lavoro, si
assiste ad un tramonto della concezione di supremazia della P.A. e inizia un
processo di istituzionalizzazione del diritto di partecipazione, che muta
radicalmente la posizione del cittadino, il quale da mero “spettatore”,
diviene protagonista, contribuendo alla formazione dell’atto finale. La
legge in parola stabilisce all’art. 1 che “l’attività amministrativa persegue i
fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia,
di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste
dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli
procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario”. In tale
prospettiva il Legislatore ha previsto a favore del contribuente un diritto di
accesso ai documenti che lo riguardano, presso la Pubblica
Amministrazione, attraverso due provvedimenti: il D.lgs. n. 33/2013 e il
49 Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario,
siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza.
201
D.lgs. n. 97/2016. Il primo ha previsto a carico delle PP. AA. l’obbligo di
pubblicare numerose informazioni concernenti l’organizzazione, il
personale e l’attività svolta. Il secondo dei provvedimenti citati ha
riconosciuto il diritto di chiunque a conoscere le informazioni detenute
dalle PP. AA. tributarie, in riferimento alla propria posizione fiscale. Per
passare alla disamina di un procedimento più recente, cioè il Decreto
Crescita del 30 aprile 2019, n. 34, convertito in Legge 28 giugno 2019, n.
58, va detto che con tale provvedimento si è introdotto l’art. 5 ter al D.lgs.
n. 218/97 prescrivendo l’obbligo a carico dell’Ufficio di notificare la
contribuente un invito al contraddittorio, la cui mancata attivazione
determina una nullità “condizionata” alla dimostrazione da parte del
contribuente delle ragioni che in concreto avrebbe potuto far valere se il
contraddittorio fosse stato avviato. Peraltro è indubbio che se il
contraddittorio fosse avviato in via anticipata, esso contraddittorio
rappresenterebbe non soltanto uno strumento di distensione e di recupero di
un migliore rapporto con il contribuente, ma sarebbe anche utile alla
realizzazione del risultato più fedele alla effettiva capacità contributiva del
soggetto sottoposto a controllo, consentendo di addivenire ad una
imposizione corretta, proporzionale e ragionevole. L’Amministrazione
finanziaria riveste in tale ottica il compito istituzionale di curare
l’applicazione della legge tributaria in forza dell’art. 23 Cost., tutto ciò
però con un correlativo affievolimento dei poteri autoritativi della predetta
Amministrazione. Altresì con riferimento allo Statuto del Contribuente, di
cui ho già parlato più su nel presente lavoro, l’Amministrazione finanziaria
è tenuta ad adottare idonee iniziative volte a consentire la completa e
agevole conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative vigenti
in materia tributaria; e di assicurare l’effettiva cognizione da parte del
contribuente degli atti a lui destinati, consentendo sempre al contribuente di
202
assolvere ai propri obblighi tributari con il minor numero di adempimenti e
nelle forme meno costose e più agevoli, evitando di richiedere atti e
documenti già in possesso di altre PP. AA. Quanto detto è ricavabile
dall’art. 18 della legge 241/90.
Sempre in riferimento al rapporto tra Amministrazione finanziaria e
contribuente i giudici della Cassazione hanno affermato quanto segue: “si
tratta di una responsabilità che prende forma alla violazione degli obblighi
derivanti da detto rapporto e che pertanto va ricondotta allo schema della
responsabilità relazionale o da contatto sociale qualificato, da inquadrare
nell’ambito della responsabilità contrattuale [artt.1337 50 e 1338 51 cod. civ.];
con l’avvertenza che tale inquadramento, come segnalato da autorevole
dottrina, non si riferisce al contratto come atto ma al rapporto obbligatorio,
pur quando esso non abbia fonte in un contratto”.
Per passare ad altro, sempre in materia di regolarità dell’imposta e di tutela
dei diritti procedimentali del contribuente, è stato istituito un organo
collegiale indipendente, presso ogni Direzione Regionale della Agenzia
delle Entrate, denominato “Garante dei diritti del contribuente”. Il Garante
opera in piena autonomia e indipendenza, assolvendo alla funzione di
“protezione” del contribuente da eventuali disfunzioni o irregolarità
commesse dall’Ufficio. L’istituzione di un soggetto garante risponde alla
esigenza di accorciare le distanze tra le parti del rapporto fiscale,
prevedendo appunto, l’istituzione di un soggetto unico, al quale il
contribuente possa rivolgersi nel caso sussistano delle disfunzioni o
scorrettezze da parte dell’Ufficio. Tuttavia il garante non è dotato di poteri
50 “Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi
secondo buona fede.”
51 “La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa d'invalidità del contratto, non
ne ha dato notizia all'altra parte é tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza
sua colpa, nella validità del contratto.”
203
repressivi ma solo di indirizzo e di richiamo al corretto agire
Amministrativo.
In materia di procedimento di accertamento da parte delle Amministrazioni
a seguito di dichiarazione non del tutto corretta da parte del contribuente,
l’art. 6 dello Statuto del Contribuente, statuisce quanto segue:” prima di
procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi
risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti
della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il
contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire
i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine
congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della
richiesta”. Sempre in riferimento al procedimento tributario, l’art. 36 ter,
D.P.R. n. 600/73 garantisce un livello più intenso di partecipazione del
contribuente al procedimento imponendo all’Ufficio l’obbligo di
attivazione del contraddittorio endoprocedimentale prima della
comunicazione dell’esito del controllo formale, dovendo invitare il
contribuente a fornire chiarimenti in ordine ai dati contenuti nella
dichiarazione e ad eseguire o trasmettere ricevute di versamento e altri
documenti non allegati alla dichiarazione o difformi dai dati forniti da terzi.
Come è stato correttamente affermato, l’azione impositiva si articola in atti
e attività per lo più di natura pubblicistica dirette al perseguimento del fine
pubblico di attuazione del prelievo fiscale. Il procedimento di accertamento
non è altro che una applicazione del procedimento amministrativo e, come
già detto, governato dalle disposizioni della Legge n. 241/90. L’atto che
conclude il procedimento di accertamento tributario è un atto autoritativo,
produttivo di effetti giuridici lesivi della sfera giuridica del contribuente,
che consente all’Amministrazione finanziaria di recuperare a tassazione le
204
somme dovute e non versate. Il provvedimento di accertamento tributario è
disciplinato dall’art. 42 del D.P.R. n. 600/73, secondo il quale “gli
accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a
conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti
dal capo dell’Ufficio o da altro impiegato alla carriera direttiva da lui
delegato”. Riguardo alla struttura, il provvedimento di accertamento si
compone di una parte dispositiva e di una motivazionale. Nella prima parte
è individuato l’an ed il quantum, l’imponibile o gli imponibili accertati, le
aliquote applicate e le imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni,
le ritenute d’acconto e i crediti di imposta. L’altro elemento strutturale del
provvedimento di accertamento è la motivazione che ha la funzione di
salvaguardare ed assicurare la realizzazione di una azione efficace ed
effettiva. Sulla base della motivazione non solo è definito il thema
decidendum e probandum dell’eventuale giudizio successivo di
impugnazione, ma si valuta anche il corretto operare della
Amministrazione. E’ da notare che l’ordinamento giuridico riconosce
anche la motivazione per relationem che consente all’Amministrazione
finanziaria di motivare un provvedimento richiamando un altro atto ad esso
collegato. Sulla natura dell’atto di accertamento sono enucleabili in ambito
dottrinale due teorie. La prima considera il provvedimento in parola come
espressione di una manifestazione autoritativa dell’Amministrazione
pubblica. La seconda teoria attribuisce al provvedimento di accertamento
una efficacia costitutiva nei rapporti di imposta, poiché gli atti avrebbero
una efficacia costitutiva ex novo di un rapporto obbligatorio non
preesistente che originerebbe dall’atto impositivo.
L’attività di controllo del corretto adempimento degli obblighi fiscali dei
contribuenti nei confronti del Fisco rientra tra i compiti istituzionali
205
dell’Agenzia delle Entrate ed è finalizzata a favorire l’adempimento
spontaneo del contribuente. Occorre ora parlare di due tipologie “atipiche”
di procedimento: il procedimento di accertamento parziale e il
procedimento integrativo. La prima tipologia consente alla
Amministrazione finanziaria di limitarsi ad accertare il reddito o il maggior
reddito imponibile. La seconda tipologia è configurabile qualora
sopraggiunga la conoscenza di nuovi elementi che vanno ad integrare gli
elementi già raccolti in precedenza. I metodi di accertamento si distinguono
anche a seconda che il soggetto sottoposto a verifica sia una persona fisica
oppure una persona giuridica. Per le persone fisiche l’Ufficio potrà
procedere tramite accertamento analitico, analitico – induttivo, sintetico
puro, sintetico e redditometrico, e d’ufficio in caso di omessa o nulla
dichiarazione. Per le persone giuridiche si distinguono i provvedimenti di:
accertamento analitico – induttivo e accertamento induttivo extracontabile.
Con il metodo analitico l’Ufficio ricostruisce le singole categorie reddituali
e le specifiche componenti con riferimento a ciascuna fonte produttiva di
reddito. In altri termini l’Amministrazione, partendo dalla dichiarazione
può controllare i singoli elementi e verificare il reddito complessivo voce
per voce, ad esempio l’accertamento analitico contabile dei redditi di
impresa è eseguito mediante la determinazione ovvero la rettifica delle
singole componenti positive o negative di reddito. Sempre per quanto
riguarda le imprese, la Amministrazione finanziaria è legittimata a
procedere all’accertamento analitico – induttivo quando vi è da parte della
impresa una condotta “antieconomica”, la quale può assurgere a “indizio
qualificato” della non verosimiglianza del reddito dichiarato. Le
presunzioni poste alla base dell’attività di accertamento devono essere
qualificate, atteso che deve essere garantita la libertà di scelta e di iniziativa
economica del contribuente di cui all’art. 41 52 Cost. e 1322 53 c.c. Il comma
206
1 dell’art. 39 del D.P.R. 600/73 attribuisce all’Ufficio la facoltà di avvalersi
di presunzioni semplici, purché munite dei requisiti di gravità precisione e
concordanza. La sanzione eventualmente derivante dall’attività di
accertamento rappresenta una conseguenza alla violazione del principio di
correttezza e buona fede che permea i rapporti tra Amministrazione e
contribuente. Per tornare alle tipologie di accertamento, rimane da
considerare l’accertamento induttivo extracontabile, il quale è reperibile in
quattro circostanze: quando il reddito di impresa non è stato indicato nella
dichiarazione; qualora dal verbale di ispezione risulti che il contribuente
non abbia tenuto o abbia comunque sottratto all’ispezione una o più
scritture contabili prescritte; quando non siano reperibili le scritture
contabili per causa di forza maggiore; quando le irregolarità nelle scritture
sono così gravi e numerose da rendere le stesse scritture inattendibili; infine
quando il contribuente non abbia dato seguito agli inviti disposti dagli
Uffici. Sempre in tema di inesattezze nelle scritture si distingue tra
“irregolarità contabili” e “contraddizioni contabili”: le prime sono riferibili
a situazioni di oggettiva carenza di analiticità delle scritture; le seconde
implicano la scarsa adeguatezza di alcuni valori di bilancio rispetto ai dati
ravvisati durante il controllo.
Per quanto ancora riguarda gli strumenti di cui l’Amministrazione
finanziaria dispone in tema di accertamento, un cenno va fatto ai cc. dd.
“studi di settore” i quali consistono nella ricostruzione statistica dei ricavi e
compensi delle imprese e dei professionisti elaborata sulla base del settore
economico di appartenenza, sicché il contribuente che risulti coerente e
congruo con gli studi di settore è considerato “fiscalmente attendibile”. Il
52 L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da
recare danno alla salute, all'ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
53 Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge e dalle
norme corporative.
207
soggetto passivo ovviamente deve essere messo nella condizione di
contestare l’esattezza e la pertinenza dello studio di settore rispetto alla
propria situazione fiscale, nonché le ragioni in punto di fatto che
giustificano lo scostamento del volume di affari dichiarato rispetto a quello
risultante dallo studio di settore. Qualora tuttavia il contribuente non si
presenti o non giustifichi lo scostamento, l’Ufficio potrà riferirsi ai soli
studi di settore. Gli studi di settore possono fondare l’accertamento solo se:
lo studio di settore è stato elaborato con validi criteri statistici applicabili ai
settori produttivi di appartenenza del contribuente, che devono essere
conoscibili anche all’interessato; gli scostamenti tra ricavi dichiarati e
ricavi risultanti dallo studio di settore devono essere supportati da prove
documentali o comunque presunzioni gravi precise e concordanti; lo studio
di settore deve essere rappresentativo della attività effettivamente svolta dal
contribuente.
A partire dal 31 dicembre del 2008 gli studi di settore sono stati sostituiti
definitivamente dagli indici sintetici di affidabilità fiscale, con l’obiettivo
da parte del Legislatore di implementare il dialogo tra contribuenti e
Amministrazione finanziaria. Gli indici in parola assolvono a diversi
obiettivi: favorire l’emersione spontanea delle basi imponibili; sollecitare
l’adempimento dell’obbligazione tributaria da parte del contribuente;
favorire l’interazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente.
Per tornare al procedimento di accertamento sintetico, bisogna dire che
esso consiste in un ragionamento “a ritroso” rispetto alla logica delle altre
tipologie di controllo sostanziale, in quanto il reddito imputabile al
contribuente viene determinato non considerando le fonti di produzione del
reddito stesso, bensì la spesa che il contribuente ha sostenuto nel periodo di
imposta per consumi e/o investimenti. Due sono i presupposti che devono
208
ricorrere per l’applicazione dell’accertamento sintetico: il reddito netto
accertabile deve discostarsi di almeno un quinto da quello dichiarato e tale
scostamento qualificato deve manifestarsi per almeno una annualità di
imposta. Ovviamente tutto ciò richiede una tutela da parte degli Uffici della
privacy dei contribuenti, cui peraltro è preposta una apposita Authority il
cui compito è quello di verificare se la gestione dei dati avviene in
conformità con quanto dichiarato, nel rispetto del principio di “riservatezza
dei dati personali”. Ai sensi poi, del D.L. n. 78/2010, “l’ufficio che
procede alla determinazione sintetica del reddito complessivo ha l’obbligo
di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di
rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento
e, successivamente di avviare il procedimento di accertamento con
adesione ai sensi dell’art. 5 del D.lgs. 19/06/1997, n. 218”. Affinché il
contraddittorio così definito possa dirsi effettivo è necessario che venga
rispettato innanzitutto il principio di leale collaborazione. Il dialogo tra
Amministrazione e contribuente consente di valutare con maggiore
chiarezza tutti gli elementi su cui si basa l’obbligazione tributaria , nella
prospettiva di una maggiore partecipazione del contribuente al
procedimento amministrativo tributario, tale per cui il contraddittorio si
presenta come strumento di personalizzazione del rapporto obbligatorio.
L’art. 38. D.P.R. n. 600/73 prevede un accertamento sintetico “reddito-
metrico” che consente di ricostruire i redditi dei contribuenti partendo dalle
spese sostenute, considerando le modalità attraverso cui la spesa è stata
usata per il mantenimento di un certo tenore di vita, considerando gli ultimi
cinque anni.
Sempre a fini accertativi da parte dell’Amministrazione tributaria, occorre
parlare della collaborazione tra Enti impositori e Istituti bancari, la quale
209
collaborazione deve ritenersi da contemperare con il segreto bancario, ossia
con la tutela da parte degli Istituti di credito, dei dati finanziari del
contribuente. E’ con la Legge n. 825/1971 54 che iniziano a manifestarsi da
54
La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno
approvato;
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
PROMULGA
la seguente legge:
Art. 1.
Il Governo della Repubblica é delegato ad emanare le disposizioni
occorrenti per le seguenti riforme del sistema tributario secondo i
principi costituzionali del concorso di ognuno in ragione della
propria capacità contributiva e della progressività e secondo i
principi, i criteri direttivi e i tempi determinati dalla presente
legge:
I. - istituzione dell'imposta sul reddito delle persone fisiche,
dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche e dell'imposta
locale sui redditi e contemporanea abolizione: a) delle imposte sul
reddito dominicale dei terreni, sul reddito agrario, sul reddito dei
fabbricati e sui redditi di ricchezza mobile, dell'imposta speciale
sul reddito dei fabbricati di lusso delle relative sovraimposte
erariali e locali; b) dell'imposta complementare progressiva sul
reddito complessivo, dell'imposta sulle società e dell'imposta sulle
obbligazioni; c) dell'imposta comunale sulle industrie, i commerci,
le arti e le professioni e della relativa addizionale provinciale; d)
delle imposte comunali di famiglia, di patente e sul valore locativo
e del contributo per la manutenzione delle opere di fognatura; e) del
contributo speciale di cura, delle contribuzioni speciali sui
pubblici spettacoli e della tassa di musica applicati nelle stazioni
di cura, di soggiorno e di turismo; f) delle imposte camerali
previste dall'articolo 52, lettere c) e d) del regio decreto 20
settembre 1934, n. 2011; g) delle addizionali erariali e locali agli
indicati tributi;
II. - istituzione dell'imposta sul valore aggiunto e
contemporanea abolizione: a) dell'imposta generale sull'entrata e
delle relative addizionali; b) dell'imposta corrispondente
all'imposta sull'entrata e dell'imposta di conguaglio dovute per il
fatto obiettivo dell'importazione; c) delle tasse di bollo sui
documenti di trasporto e delle tasse erariali sui trasporti, della
tassa di bollo sulle carte da gioco, della tassa di radiodiffusione
sugli apparecchi telericeventi e radioriceventi e della imposta sui
dischi fonografici ed altri supporti atti alla riproduzione del
suono; d) delle imposte di fabbricazione sui filati delle varie fibre
tessili naturali, artificiali, sintetiche e di vetro, sugli oli e
grassi animali aventi punto di solidificazione non superiore a trenta
gradi centigradi, sugli oli vegetali liquidi con punto di
solidificazione non superiore a dodici gradi centigradi comunque
ottenuti dalla lavorazione di oli e grassi vegetali concreti, sugli
210
parte del Legislatore delle caute aperture che si concretizzano nella Legge
n. 463/1982 55 , la quale consente all’Ente impositore di accedere ai
acidi grassi di origine animale e vegetale aventi punto di
solidificazione inferiore a quarantotto gradi centigradi nonché
sulle materie grasse classificabili ai termini della tariffa doganale
come acidi grassi, sugli organi di illuminazione elettrica e sui
surrogati di caffe', delle corrispondenti sovrimposte di confine e
dell'imposta erariale sul consumo del gas; e) dell'imposta di consumo
sul sale; f) dell'imposta sul consumo di cartine e tubetti per
sigarette; g) delle imposte comunali di consumo, compreso il diritto
speciale sulle acque da tavola; h) dell'imposta erariale sulla
pubblicità i) della tassa sulle anticipazioni o sovvenzioni contro
deposito o contro pegno; l) del diritto speciale sull'ammontare lordo
dei pedaggi autostradali; m) dell'imposta sulle utenze telefoniche;
III. - istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di
valore degli immobili e contemporanea abolizione dell'imposta
sull'incremento di valore delle aree fabbricabili e dei contributi di
miglioria;
IV. - revisione della disciplina delle imposte di registro, di
bollo e ipotecarie, dei tributi catastali, delle tasse sulle
concessioni governative e dei diritti erariali sui pubblici
spettacoli;
V. - revisione del regime tributario delle successioni e delle
donazioni.
Nell'esercizio della delega saranno anche emanate disposizioni
relative all'accertamento, alla riscossione, alle sanzioni e al
contenzioso, all'ordinamento e al funzionamento dell'amministrazione
finanziaria ed alle entrate tributarie dei comuni, delle province e
delle regioni.
55 95.15.33 - D.P.R. 15 luglio 1982, n. 463.
Disposizioni integrative e correttive dei decreti del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e
29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, concernenti istituzione e disciplina dell'imposta
sul valore aggiunto e disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi.
(G.U. 23 luglio 1982, n. 201)
Art. 1.
All'art. 32 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive
modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
Nel primo comma i numeri 2), 5) e 7) sono sostituiti dai seguenti:
"2) invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti
per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento nei loro confronti anche relativamente ai
rapporti con altri soggetti, che hanno dato luogo alle operazioni annotate nei conti, la cui copia sia stata
acquisita a norma del successivo n. 7), o rilevate a norma dell'art. 33, secondo comma. I singoli dati ed
211
elementi risultanti dai conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38,
39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito
soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti
come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto
beneficiario, i prelevamenti annotati negli stessi conti e non risultanti dalle scritture contabili. Le richieste
fatte e le risposte ricevute devono risultare da verbale sottoscritto anche dal contribuente o dal suo
rappresentante; in mancanza deve essere indicato il motivo della mancata sottoscrizione. Il contribuente
ha diritto ad avere copia del verbale;
5) richiedere alle pubbliche amministrazioni, agli enti pubblici, alle società ed enti di assicurazione ed
agli enti e società che effettuano istituzionalmente riscossioni e pagamenti per conto di terzi, la
comunicazione, anche in deroga a contrarie disposizioni legislative, statutarie o regolamentari, di dati e
notizie relativi a soggetti indicati singolarmente e per categorie. Alle società ed enti di assicurazione, per
quanto riguarda i rapporti con gli assicurati del ramo vita, possono essere richiesti dati e notizie attinenti
esclusivamente alla durata del contratto di assicurazione, all'ammontare del premio e alla individuazione
del soggetto tenuto a corrisponderlo. Le informazioni sulla categoria devono essere fornite, a seconda
della richiesta, cumulativamente o specificamente per ogni soggetto che ne fa parte. Questa disposizione
non si applica all'Istituto centrale di statistica, agli ispettorati del lavoro per quanto riguarda le rilevazioni
loro commesse dalla legge, e, salvo il disposto del n. 7), all'Amministrazione postale, alle aziende e
istituti di credito per quanto riguarda i rapporti con i clienti inerenti o connessi all'attività di raccolta del
risparmio e all'esercizio del credito effettuati ai sensi della legge 7 marzo 1938, n. 141;
7) richiedere, nei soli casi di deroga al segreto bancario indicati dall'art. 35 e con le modalità ivi
previste, alle aziende e istituti di credito per quanto riguarda i rapporti con i clienti e all'Amministrazione
postale per quanto attiene ai dati relativi ai servizi dei conti correnti postali, ai libretti di deposito ed ai
buoni postali fruttiferi, copia dei conti intrattenuti con il contribuente con la specificazione di tutti i
rapporti inerenti o connessi a tali conti, comprese le garanzie prestate da terzi; ulteriori dati e notizie di
carattere specifico relativi agli stessi conti possono essere richiesti - negli stessi casi e con le medesime
modalità - con l'invio alle aziende e istituti di credito e all'Amministrazione postale di questionari redatti
su modello conforme a quello approvato con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il
Ministro del tesoro;
Nell'ultimo comma dopo le parole inferiore a quindici giorni sono aggiunte le parole ovvero per il
caso di cui al n. 7) a sessanta giorni. Il termine può essere prorogato per un periodo di trenta giorni su
istanza dell'azienda o istituto di credito, per giustificati motivi, dal competente ispettore
compartimentale.
Nell'art. 52 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive
modificazioni, il primo comma è sostituito dal seguente:
Se i documenti trasmessi a norma dell'art. 32, primo comma, n. 7), e le certificazioni rilasciate a
norma dell'art. 34 non rispondono al vero o sono incompleti si applica la pena pecuniaria da L. 500.000 a
L. 5.000.000 a carico dell'azienda o istituto di credito e la pena pecuniaria da L. 100.000 a L. 1.000.000 a
carico di coloro che hanno sottoscritto le risposte e le certificazioni. La pena a carico della azienda o
istituto di credito si applica anche nel caso di omissione dell'invio dei documenti o del rilascio della
certificazione. Si considera omesso l'invio o il rilascio oltre i termini di cui agli articoli 32, ultimo comma,
e 34
Nell' art. 53 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive
modificazioni, al n. 2) del primo comma dopo le parole dei questionari previsti al n.
212
All'art. 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive
modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
Il secondo e terzo comma sono sostituiti dai seguenti:
Gli uffici delle imposte hanno facoltà di disporre l'accesso di propri impiegati muniti di apposita
autorizzazione presso le pubbliche amministrazioni e gli enti indicati al n. 5) dell'art. 32 allo scopo di
rilevare direttamente i dati e le notizie ivi previste e, nei casi e con le modalità di cui all'art. 35, presso le
aziende e istituti di credito e l'Amministrazione postale allo scopo di rilevare direttamente i dati e le
notizie relative ai conti la cui copia sia stata richiesta a norma del n. 7) dello stesso art. 32 e non trasmessa
entro il termine previsto nell'ultimo comma di tale articolo o allo scopo di rilevare direttamente la
completezza o la esattezza, allorché l'ufficio abbia fondati sospetti che le pongano in dubbio, dei dati e
notizie contenuti nella copia dei conti trasmessa, rispetto a tutti i rapporti intrattenuti dal contribuente con
l'azienda o istituto di credito o l'Amministrazione postale.
La Guardia di finanza coopera con gli uffici delle imposte per l'acquisizione e il reperimento degli
elementi utili ai fini dell'accertamento dei redditi e per la repressione delle violazioni delle leggi sulle
imposte dirette procedendo di propria iniziativa o su richiesta degli uffici secondo le norme e con le
facoltà di cui all' art. 32 e al precedente comma. Essa inoltre, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria
in relazione alle norme che disciplinano il segreto istruttorio, utilizza e trasmette agli uffici delle imposte
documenti, dati e notizie acquisiti nei confronti dell';imputato nell'esercizio dei poteri di polizia giudiziaria
e valutaria.
L'ultimo comma è sostituito dai seguenti:
Gli uffici finanziari e i comandi della Guardia di finanza, per evitare la reiterazione di accessi, si
devono dare immediata comunicazione dell'inizio delle ispezioni e verifiche intraprese. L'ufficio o il
comando che riceve la comunicazione può richiedere all'organo che sta eseguendo l'ispezione o la verifica
l'esecuzione di specifici controlli e l'acquisizione di specifici elementi e deve trasmettere i risultati dei
controlli eventualmente già eseguiti o gli elementi eventualmente già acquisiti, utili ai fini
dell'accertamento. Al termine delle ispezioni e delle verifiche l'ufficio o il comando che li ha eseguiti
deve comunicare gli elementi acquisiti agli organi richiedenti.
Gli accessi previsti nel secondo e nel terzo comma debbono essere eseguiti da funzionari
dell'Amministrazione finanziaria della carriera direttiva con qualifica non inferiore a quella di direttore
aggiunto di prima classe e da ufficiali della Guardia di finanza di grado non inferiore a capitano,
ricompresi in elenchi approvati ogni anno con decreto del Ministro delle finanze. Con decreto del
Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, sono determinate le modalità di esecuzione
degli accessi con particolare riferimento al numero massimo dei funzionari e degli ufficiali da impegnare
per ogni accesso; al rilascio e alle caratteristiche dei documenti di riconoscimento e di autorizzazione; alle
condizioni di tempo, che non devono coincidere con gli orari di sportello aperto al pubblico, in cui gli
accessi possono essere espletati e alla redazione dei processi verbali..
Il decreto di cui all'ultimo comma dell'art. 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 600, come modificato dal presente articolo, deve essere emanato entro trenta giorni dall'entrata in
vigore del presente decreto e le relative disposizioni possono essere modificate ed integrate con successivi
decreti.
Art. 3.
L'art. 35 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive
modificazioni, è sostituito dal seguente:
213
L'ufficio delle imposte dirette può richiedere i documenti, i dati e le notizie indicati al n. 7) dell'art. 32
su conforme parere dell'ispettorato compartimentale delle imposte dirette, previa autorizzazione del
presidente della commissione tributaria di primo grado territorialmente competente e può accedere presso
le aziende e istituti di credito e l'Amministrazione postale a norma del secondo comma dell'art. 33 previa
autorizzazione del competente ispettore compartimentale nelle seguenti ipotesi:
a) quando il contribuente non ha presentato la dichiarazione dei redditi e l'ufficio è in possesso di
elementi dai quali risulta che nel periodo d'imposta ha conseguito ricavi o altre entrate o ha acquistato
beni mobili o immobili per ammontare superiore a lire cento milioni;
b) quando da elementi certi in possesso dell'ufficio risulta che il contribuente ha conseguito nel
periodo d'imposta ricavi o altre entrate, rilevanti per la determinazione dell'imponibile ed analiticamente
individuati per ammontare superiore al quadruplo di quelli dichiarati, sempre che la differenza sia
superiore a lire cento milioni;
c) quando il reddito complessivo fondatamente attribuibile al soggetto, in base ad elementi e a
circostanze di fatto certi, ai sensi del quarto comma dell'art. 38 e salva la facoltà di cui al successivo
quinto comma dello stesso articolo, non è inferiore a lire cento milioni ed al quadruplo di quello
dichiarato per lo stesso periodo di imposta;
d) quando il contribuente non ha tenuto le scritture contabili prescritte dagli articoli 14, 18, 18-bis, 19 e
20 o quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del primo comma dell'art. 39
sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per
mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica; la disposizione non si applica se dagli
elementi in possesso dell'ufficio non risultano ricavi o altre entrate per ammontare superiore a lire cento
milioni;
e) quando ricorre l'ipotesi prevista dalla lettera d) dell'art. 51-bis del decreto del Presidente della
Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
La richiesta può riguardare anche i conti successivi al periodo o ai periodi di imposta cui si riferiscono
i fatti indicati nel precedente comma e può essere estesa ai conti intestati al coniuge non legalmente ed
effettivamente separato ed ai figli minori conviventi. Nel caso previsto dalla precedente lettera e), se le
fatture sono state emesse o utilizzate da una società che esercita l'attività di cui agli articoli 2135 e 2195
del codice civile, la richiesta può essere estesa ai conti intestati ai soci delle società di fatto nonché agli
amministratori delle società in nome collettivo e in accomandita semplice in carica nel periodo o nei
periodi di imposta in cui le fatture sono state emesse o utilizzate.
Con le richieste e nel corso degli accessi indicati nel primo comma non possono essere rilevati dagli
uffici documenti, dati e notizie relativi a soggetti diversi dal contribuente. Tali documenti, dati e notizie
sono tuttavia utilizzabili ai fini fiscali se forniti dal contribuente o, autonomamente, dalle aziende e istituti
di credito.
L'ispettore compartimentale delle imposte dirette deve esprimersi sulla richiesta di autorizzazione
all'accesso formulata dagli uffici entro il termine di giorni quindici dalla richiesta stessa.
Si applicano le disposizioni di cui al secondo comma dell'art. 34
Art. 4.
All'art. 51 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive
modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
214
Nel secondo comma i numeri 2) e 5) sono sostituiti dai seguenti:
2) invitare i soggetti che esercitano imprese, arti o professioni, indicandone il motivo, a comparire di
persona o a mezzo di rappresentanti per esibire documenti e scritture, ad esclusione dei libri e dei registri,
o per fornire dati, notizie e chiarimenti rilevanti ai fini degli accertamenti nei loro confronti anche
relativamente alle operazioni annotate nei conti, la cui copia sia stata acquisita a norma del successivo n.
7), o rilevate a norma dell'art. 52, ultimo comma. I singoli dati ed elementi risultanti dai conti sono posti a
base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 54 e 55 se il contribuente non dimostra che
ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili; i prelevamenti
annotati negli stessi conti, se il contribuente non ne indica il beneficiario, sono considerati relativi ad
acquisti, soggetti, ai fini dell'applicazione della pena pecuniaria di cui al quarto comma dell'art. 41,
all'aliquota prevalentemente applicata o che avrebbe dovuto essere applicata con riferimento
all'ammontare complessivo degli acquisti e delle importazioni del periodo d'imposta. Le richieste fatte e
le risposte ricevute devono essere verbalizzate a norma del sesto comma dell'art. 52. Nei confronti degli
esercenti arti o professioni può essere richiesta l'esibizione anche di libri e registri;
5) richiedere la comunicazione di dati e notizie alla Guardia di finanza, agli uffici doganali e ad ogni
altra pubblica amministrazione; richiedere agli enti pubblici, alle società che effettuano istituzionalmente
riscossioni e pagamenti per conto di terzi, la comunicazione, anche in deroga a contrarie disposizioni
legislative, statutarie o regolamentari, di dati e notizie relativi a soggetti indicati singolarmente e per
categorie. Alle società ed enti di assicurazione, per quanto riguarda i rapporti con gli assicurati del ramo
vita, possono essere richiesti dati e notizie attinenti esclusivamente alla durata del contratto di
assicurazione, all'ammontare del premio e alla individuazione del soggetto tenuto a corrisponderlo. Le
informazioni sulla categoria devono essere fornite, a seconda della richiesta, cumulativamente o
specificamente per ogni soggetto che ne fa parte. Questa disposizione non si applica all'Istituto centrale di
statistica e agli ispettorati del lavoro per quanto riguarda le rilevazioni loro commesse dalla legge, e, salvo
il disposto del n. 7), all'Amministrazione postale, alle aziende e istituti di credito, per quanto riguarda i
rapporti con i clienti inerenti o connessi alla attività di raccolta del risparmio e all'esercizio del credito
effettuati ai sensi della legge 7 marzo 1938, n. 141;
Nel secondo comma è aggiunto il seguente n. 7):
"7) richiedere, nei soli casi di deroga al segreto bancario indicati dall'art. 51-bis e con le modalità ivi
previste, alle aziende e istituti di credito per quanto riguarda i rapporti con i clienti e all'Amministrazione
postale per quanto attiene ai dati relativi ai servizi dei conti correnti postali, ai libretti di deposito e ai
buoni postali fruttiferi, copia dei conti intrattenuti con il contribuente con la specificazione di tutti i
rapporti inerenti o connessi a tali conti comprese le garanzie prestate da terzi; ulteriori dati e notizie di
carattere specifico relativi agli stessi conti possono essere richiesti - negli stessi casi e con le medesime
modalità - con l'invio alle aziende e istituti di credito e all'Amministrazione postale di questionari redatti
su modello conforme a quello approvato con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il
Ministro del tesoro.
L'ultimo comma è sostituito dal seguente:
Gli inviti e le richieste di cui al precedente comma devono essere fatti a mezzo di raccomandata con
avviso di ricevimento fissando per l'adempimento un termine non inferiore a quindici giorni ovvero, per il
caso di cui al n. 7), non inferiore a sessanta giorni. Il termine può essere prorogato per un periodo di trenta
giorni su istanza dell'azienda o istituto di credito, per giustificati motivi dal competente ispettore
compartimentale. Si applicano le disposizioni dell'art. 52 del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni.
Art. 5.
215
Dopo l'art. 51 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive
modificazioni, è aggiunto il seguente:
Art. 51-bis. - Gli uffici dell'imposta sul valore aggiunto, possono richiedere i documenti, i dati e le
notizie indicati al n. 7) dell'art. 51 su conforme parere dell'ispettorato compartimentale delle tasse e
imposte indirette sugli affari previa autorizzazione del presidente della commissione tributaria di primo
grado territorialmente competente e possono accedere presso le aziende e istituti di credito e
l'Amministrazione postale a norma dell'ultimo comma dell'art. 52 previa autorizzazione dello stesso
ispettore compartimentale nelle seguenti ipotesi:
a) quando il contribuente non ha presentato la dichiarazione di cui all'art. 28 e l'ufficio è in possesso di
elementi dai quali risulta che nell'anno di competenza ha effettuato operazioni imponibili, non imponibili,
non soggette o esenti da imposta per corrispettivi superiori a lire cento milioni;
b) quando dagli atti e documenti di cui all'art. 54, terzo comma, ovvero da altri elementi certi in
possesso dell'ufficio risulta che il contribuente ha effettuato nel corso di un anno solare le operazioni
indicate nella lettera a) per corrispettivi superiori al quadruplo di quelli dichiarati, sempre che la
differenza sia superiore a lire cento milioni;
c) quando, in ordine all'osservanza degli adempimenti contabili, ricorrono le ipotesi di cui al secondo
comma, numeri 1) e 3), dell'art. 55; la disposizione non si applica se dagli elementi in possesso degli
uffici non risultano corrispettivi per operazioni di importo superiore a lire cento milioni;
d) quando risulta che il contribuente ha emesso o utilizzato fatture per operazioni inesistenti;
e) quando dagli elementi in possesso dell'ufficio risulta che l'ammontare dell'imposta detraibile o
rimborsabile indicato nella dichiarazione annuale è superiore di oltre un decimo a quella spettante e la
differenza è superiore a lire cento milioni.
La richiesta può riguardare anche i conti successivi all'anno o agli anni cui si riferiscono i fatti indicati
nel precedente comma e può essere estesa ai conti intestati al coniuge non legalmente ed effettivamente
separato ed ai figli minori conviventi. Nel caso previsto dalla precedente lettera d), se le fatture sono state
emesse o utilizzate da una società che esercita l'attività di cui agli articoli 2135 e 2195 del codice civile, la
richiesta può essere estesa ai conti intestati ai soci delle società di fatto nonché agli amministratori delle
società in nome collettivo e in accomandita semplice in carica nel periodo o nei periodi di imposta in cui
le fatture sono state emesse o utilizzate.
Con le richieste e nel corso degli accessi indicati nel primo comma non possono essere rilevati dagli
uffici documenti, dati e notizie relativi a soggetti diversi dal contribuente. Tali documenti, dati e notizie
sono tuttavia utilizzabili a fini fiscali se forniti dal contribuente o, autonomamente, dalle aziende e istituti
di credito.
L'ispettore compartimentale delle tasse e delle imposte indirette sugli affari deve esprimersi sulla
richiesta di autorizzazione all'accesso formulata dagli uffici entro il termine di giorni quindici dalla
richiesta stessa.
Si applicano le disposizioni di cui al secondo comma dell'art. 34 del decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni.
Art. 6.
216
documenti finanziari e bancari del contribuente a fini accertativi. Infine la
Legge n. 413/1991 56 ha definitivamente abolito il segreto bancario, ed è
Nell'art. 52 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive
modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
Dopo l'ultimo comma è aggiunto il seguente:
Gli uffici dell'imposta sul valore aggiunto hanno facoltà di disporre l'accesso di propri impiegati
muniti di apposita autorizzazione presso le pubbliche amministrazioni e gli enti indicati al n. 5) dell'art.
51 allo scopo di rilevare direttamente i dati e le notizie ivi previste e, nei casi e con le modalità di cui
all'art. 51-bis, presso le aziende e istituti di credito e l'Amministrazione postale allo scopo di rilevare
direttamente i dati e le notizie relativi ai conti la cui copia sia stata richiesta a norma del numero 7) dello
stesso art. 51 e non trasmessa entro il termine previsto nell'ultimo comma di tale articolo o allo scopo di
rilevare direttamente la completezza o la esattezza dei dati e notizie, allorché l'ufficio abbia fondati
sospetti che le pongano in dubbio, contenuti nella copia dei conti trasmessa, rispetto a tutti i rapporti
intrattenuti dal contribuente con le aziende e istituti di credito e la Amministrazione postale. Si applicano
le disposizioni dell'ultimo comma dell'art. 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 600, e successive modificazioni.
Nell'art. 54, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e
successive modificazioni, le parole nell'art. 51" sono sostituite dalle parole negli articoli 51 e 51-bis
Art. 7. Nell'art. 63 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive
modificazioni, il primo comma è sostituito dal seguente:
La Guardia di finanza coopera con gli uffici dell'imposta sul valore aggiunto per l'acquisizione e il
reperimento degli elementi utili ai fini dell'accertamento dell'imposta e per la repressione delle violazioni
del presente decreto, procedendo di propria iniziativa o su richiesta degli uffici, secondo le norme e con le
facoltà di cui agli articoli 51-bis e 52, alle operazioni ivi indicate e trasmettendo agli uffici stessi i relativi
verbali e rapporti. Essa inoltre, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria in relazione alle norme che
disciplinano il segreto istruttorio, utilizza e trasmette agli uffici documenti, dati e notizie acquisiti nei
confronti dell'imputato nell'esercizio dei poteri e facoltà di polizia giudiziaria e valutaria.
Art. 8.Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
56 La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
PROMULGA:
la seguente legge:
Art. 1.
1. Al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.
600, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti
modificazioni:
a) il secondo comma dell'articolo 2 è sostituito dai seguenti:
La dichiarazione deve inoltre contenere l'indicazione dei
seguenti dati e notizie indicativi di capacità contributiva,
relativi alla disponibilità, in Italia o all'estero, da parte del
contribuente e delle altre persone di cui al primo comma, di:
217
1) aeromobili da turismo, navi e imbarcazioni da diporto,
autoveicoli, altri mezzi di trasporto a motore oltre i 250 centimetri
cubi e roulottes; cavalli da equitazione o da corsa;
2) residenze principali e secondarie;
3) collaboratori familiari ed altri lavoratori addetti alla
casa o alla famiglia;
4) riserve di caccia e di pesca;
5) assicurazioni di ogni tipo, limitatamente alla indicazione
degli istituti o imprese di assicurazione e ai dati identificativi
delle polizze, escluse le assicurazioni relative alla responsabilità
civile per la circolazione di veicoli a motore e quelle sulla vita
contro gli infortuni e le malattie;
6) utenze di telefono limitatamente alla indicazione delle
società ed enti erogatori e dei dati identificativi delle utenze.
Con decreto del Ministro delle finanze, da pubblicare nella
Gazzetta Ufficiale, dovranno essere modificati ed integrati i dati e
le notizie di cui al comma precedente e dovranno essere altresì
esclusi dall'obbligo della indicazione i dati e le notizie indicati
nel presente articolo che l'Amministrazione finanziaria e' in grado
di acquisire direttamente.
b) il quarto comma dell'articolo 38 é sostituito dai seguenti:
L'ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai
commi precedenti e dall'articolo 39, può, in base ad elementi e
circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito
complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto
induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito
complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da
quello dichiarato. A tal fine, con decreto del Ministro delle
finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sono stabilite le
modalità in base alle quali l'ufficio può determinare
induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione agli
elementi indicativi di capacità contributiva di secondo e terzo
comma dell'articolo 2, quando il reddito dichiarato non risulta
congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di
imposta.
Qualora l'ufficio determini sinteticamente il reddito
complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi
patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria,
con redditi conseguiti, in quote costanti, nell'anno in cui é stata
effettuata e nei cinque precedenti
2. Il decreto del Ministro delle finanze previsto dal quarto comma
dell'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600, come sostituito dal comma 1, lettera b), del
presente articolo, deve essere emanato entro sei mesi dalla data di
entrata in vigore della presente legge.
AVVERTENZA:
Il testo delle note qui pubblicato e' stato redatto ai
sensi dell' art. 10. commi 2 e 3, del testo unico approvato
con decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre
1985, n. 1092, al solo fine di facilitare la lettura delle
disposizioni di legge modificate o alle quali e operato il
rinvio. Restano invariati il valore e l'efficacia degli
atti legislativi qui trascritti.
Note all'articolo 1:
- Si riporta il testo dell'art. 2 del D.P.R. n. 600/1973
(Disposizioni comuni in materia di accertamento delle
218
imposte sui redditi), così come modificato dalla presente
legge:
Art. 2 (Contenuto della dichiarazione delle persone
fisiche). - La dichiarazione delle persone fisiche, oltre
quanto stabilito nel secondo comma dell'art. 1, deve
indicare le generalità, il comune di iscrizione anagrafica
e, se diverso, quello di domicilio fiscale, l'indirizzo e
lo stato civile del contribuente nonché la denominazione
della ditta se il contribuente e imprenditore e il luogo o
i luoghi in cui sono tenute e conservate le scritture
contabili prescritte dal presente decreto e da altre
disposizioni. Gli stessi elementi devono essere indicati
anche per le persone i cui redditi sono imputati al
contribuente o per le quali competono deduzioni o
detrazioni ai sensi degli artt. 10, 15 e 16 del D.P.R. 29
settembre 1973, n. 597 e dell'art. 7 del D.P.R. 29
settembre 1973, n. 599.
La dichiarazione deve inoltre contenere l'indicazione
dei seguenti dati e notizie indicativi di capacità
contributiva, relativi alla disponibilità, in Italia o
all'estero, da parte del contribuente e delle altre persone
di cui al primo comma di:
1) aeromobili da turismo, navi e imbarcazioni da
diporto, autoveicoli, altri mezzi di trasporto a motore
oltre i 250 centimetri cubi e roulottes; cavalli da
equitazione o da corsa;
2) residenze principali o secondarie;
3) collaborazioni familiari ed altri lavori addetti
alla casa o alla famiglia;
4) riserve di caccia e di pesca;
5) assicurazioni di ogni tipo, limitatamente alla
indicazione degli istituti o imprese di assicurazione e ai
dati identificativi delle polizze, escluse le assicurazioni
relative alla responsabilità civile per la circolazione di
veicoli a motore e quelle sulla vita, contro gli infortuni
e le malattie;
6) utenze di telefono limitatamente alla indicazione
delle società ed enti erogatori e dei dati identificativi
delle utenze.
Con decreto del Ministro delle finanze, da pubblicare
nella Gazzetta Ufficiale, dovranno essere modificati ed
integrati i dati e le notizie di cui al comma precedente e
dovranno essere altresì esclusi dall'obbligo della
indicazione i dati e le notizie indicanti nel presente
articolo che l'Amministrazione finanziaria é in grado di
acquisire direttamente.
Devono inoltre essere indicati i canoni per i fabbricati
dati in locazione e ogni altro elemento richiesto nel
modello di dichiarazione di cui al successivo art. 8
- Si riporta il testo dell'art. 38 del succitato D.P.R.
n. 600/1973 come modificato dalla presente legge:
Art. 38 (Rettifica delle dichiarazioni delle persone
fisiche). - L'ufficio delle imposte procede alla rettifica
delle dichiarazioni presentate dalle persone fisiche quando
il reddito complessivo dichiarato risulta inferiore a
quello effettivo o non sussistono o non spettano, in tutto
o in parte, le deduzioni dal reddito o le detrazioni
219
quindi oggi possibile che l’Ente impositore abbia accesso ai documenti
fiscali e finanziari che si trovano presso tutti coloro che svolgono attività in
ambito bancario e creditizio. Oltre a ciò e grazie alla abolizione del segreto
d'imposta indicate nella dichiarazione.
La rettifica deve essere fatta con unico atto, agli
effetti dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e
dell'imposta locale sui redditi delle varie categorie di
cui all'art. 6 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597.
L'incompletezza, la falsità e l'inesattezza dei dati
indicati nella dichiarazione, salvo quanto stabilito
nell'art. 39, possono essere desunte dalla dichiarazione
stessa e dai dati allegati, dal confronto con le
dichiarazioni relative ad anni precedenti e dai dati e
dalle notizie di cui all'articolo precedente anche sulla
base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi,
precise e concordanti.
L'ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate
dai commi precedenti e dall'articolo 39, può, in base ad
elementi e circostanze di fatto certi, determinare
sinteticamente il reddito complessivo netto del
contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali
elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto
accertabile si discosta per almeno un quarto da quello
dichiarato. A tal fine, con decreto del Ministro delle
finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sono
stabilite le modalità in base alle quali l'ufficio può
determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito
in relazione agli elementi indicativi di capacità
contributiva di cui al secondo e terzo comma dell'articolo
2, quando il reddito dichiarato non risulta congruo
rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di
imposta.
Qualora l'ufficio determini sinteticamente il reddito
complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi
patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova
contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti,
nell'anno in cui è stata effettuata e nei cinque precedenti.
Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima
della notificazione dell'accertamento, che il maggior
reddito determinato o determinabile sinteticamente e
costituito in tutto o in parte da reddito esenti o da
redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta.
L'entità di tali redditi e la durata del loro possesso
devono risultare da idonea documentazione.
Dal reddito complessivo determinato sinteticamente non
sono deducibili gli oneri di cui all'art. 10 del decreto
indicato nel secondo comma. Agli effetti dell'imposta lo-
cale sui redditi il maggior reddito accertato
sinteticamente e considerato reddito di capitale salva la
facoltà del contribuente di provarne l'appartenenza ad
220
bancario, è stato dal Legislatore disposto che il controllo presso banche può
essere disposto ove i prelievi bancari superino la soglia dei 1000 euro
giornalieri o dei 5000 euro mensili. Tuttavia affinché l’attività
dell’Amministrazione finanziaria sia considerata legittima è necessario che
venga assicurata la tutela della riservatezza dei rapporti bancari, la quale si
fonda, oltreché sui poteri del Garante per la protezione dei dati personali,
anche sulla procedura che deve essere seguita per l’emanazione di un
provvedimento di accertamento avulso da vizi di legittimità; procedura che
non può prescindere dal rilascio di una autorizzazione in ordine all’attività
di accertamento fiscale presso istituti bancari. Per quanto concerne gli
aspetti funzionali e strutturali dell’autorizzazione, si tratta di un atto
strumentale alla rimozione di un limite legale all’esercizio di un diritto, che
è quello degli ispettori o verificatori; si tratta altresì di un atto
strutturalmente composito in quanto deve indicare i requisiti di legittimità e
di merito, nonché la rilevanza della richiesta ai fini dell’indagine.
L’autorizzazione rappresenta la motivazione per relationem di cui all’art.
7 dello Statuto del contribuente, che consente di motivare un atto in
relazione ad altro atto, purché l’atto richiamato sia conosciuto, notificato o
allegato all’atto di imposizione; in assenza di autorizzazione il
provvedimento di accertamento sarà illegittimo.
E’ indubbio che nell’ipotesi di accertamento bancario rivesta una
particolare importanza la dialettica tra Amministrazione e contribuente, il
cui rapporto deve essere orientato dai principi di correttezza e buona fede.
Nello specifico il riconoscimento di un contraddittorio endoprocedimentale
trova giustificazione nella sussistenza di una fase istruttoria di raccolta di
dati e elementi, utile a ricostruire la posizione del contribuente, il quale
dovrà dimostrare che le movimentazioni sono correlate ad accadimenti
221
economici che trovano preciso riscontro nella contabilità ovvero che non
hanno rilevanza ai fini della determinazione del reddito imponibile. Un
aspetto che merita di essere considerato in materia di inammissibilità dei
controlli bancari sui conti correnti dei terzi è che generalmente il
Legislatore, quando riconosce la possibilità di richiedere agli istituti di
credito e agli intermediari finanziari i dati contenuti nei rapporti con i loro
clienti, estende implicitamente il potere di effettuare le verifiche sia sui
conti correnti dei contribuenti sia sui conti intestati a terzi. L’Ufficio
dunque può imputare al contribuente le movimentazioni riscontrate su un
conto intestato ad un terzo, spettando al contribuente l’onere di fornire la
prova contraria. L’Ufficio non è tenuto ad eseguire un controllo
indiscriminato, poiché deve sussistere un motivo per ritenere che i conti
suddetti siano connessi ed inerenti al reddito del contribuente. E’ necessario
che l’Ufficio provi che le movimentazioni in parola sono riconducibili al
professionista. A sua volta il contribuente professionista non deve fornire
una prova generica, ma analitica con indicazione della riferibilità di ogni
versamento bancario, al fine di dimostrare come ciascuna delle singole
operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili. E’ ammissibile
l’accertamento su conti correnti bancari del coniuge del professionista
sottoposto a verifica, a condizione che l’Ufficio dimostri la riferibilità del
rapporto sostanziale al professionista, sebbene il rapporto risulti
formalmente intestato al coniuge.
Una più particolareggiata analisi dei poteri istruttori della Amministrazione
finanziaria si desume dall’art. 12 della Legge n. 212/2000, che disciplina il
procedimento di accertamento c.d. “in senso stretto”, il quale consta di tre
fasi: l’accesso, l’ispezione e la verifica fiscale. L’accesso è un atto
autoritativo reale, consistente nell’ingresso dei funzionari dell’Ufficio,
222
muniti di opportune autorizzazioni, all’interno dei locali in cui il
contribuente esercita la propria attività. Esso è funzionale all’esercizio del
successivo potere di ispezione, riscontrabile nella ricerca di informazioni
utili e documenti rilevanti ai fini della rideterminazione della pretesa e
avente ad oggetto i libri, i registri, i documenti e le scritture contabili di cui
il contribuente ha l’obbligo di conservazione. L’obbligo di regolare tenuta
delle scritture contabili è a carico anche di quei contribuenti che rientrino
nel regime di contabilità semplificata ex art. 2214 57 c.c. Tutte le scritture
contabili devono essere formalmente corrette e tenute, come previsto
dall’art. 2219 58 c.c., nel rispetto delle regole di una ordinata contabilità. Le
scritture devono essere tenute anche in modalità informatica ai sensi
dell’art. 2215 bis 59 del Codice civile. Successivamente alla ispezione v’è il
57 (Libri obbligatori e altre scritture contabili).
L'imprenditore che esercita un' attività commerciale deve tenere il
libro giornale e il libro degli inventari.
Deve altresì tenere le altre scritture contabili che siano
richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa e conservare
ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei
telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere,
dei telegrammi e delle fatture spedite.
Le disposizioni di questo paragrafo non si applicano ai piccoli
imprenditori.
58 Tutte le scritture devono essere tenute secondo le norme di un'ordinata contabilità, senza spazi in
bianco, senza interlinee e senza trasporti in margine. Non vi si possono fare abrasioni e, se è necessaria
qualche cancellazione, questa deve eseguirsi in modo che le parole cancellate siano leggibili.
59 (Documentazione informatica).
I libri, i repertori, le scritture e la documentazione la cui
tenuta e' obbligatoria per disposizione di legge o di regolamento o
che sono richiesti dalla natura o dalle dimensioni dell'impresa
possono essere formati e tenuti con strumenti informatici.
Le registrazioni contenute nei documenti di cui al primo comma
debbono essere rese consultabili in ogni momento con i mezzi messi a
disposizione dal soggetto tenutario e costituiscono informazione
primaria e originale da cui e possibile effettuare, su diversi tipi
223
momento della verifica, consistente nella valutazione degli elementi
raccolti e delle risultanze dell’ispezione, che saranno formalizzate, poi
all’interno di un atto denominato “processo verbale di verifica” . Al
termine di tutte le operazioni, l’organo procedente redige il “processo
verbale di constatazione” (pvc) sottoscritto dal contribuente, contenente la
descrizione di tutte le attività svolte, nonché delle relative risultanze. In
ragione della sua natura endoprocedimentale, il pvc è solo
“potenzialmente” lesivo in quanto non arreca un pregiudizio diretto nella
sfera giuridico – patrimoniale del destinatario e pertanto non è
immediatamente impugnabile dal contribuente. Il pvc è fondamentale per la
correttezza del procedimento amministrativo tributario, caratterizzato da
una sequenza procedimentale, tale che ogni atto si presenta come
presupposto di un altro atto. Il pvc costituisce il presupposto per
l’emanazione del successivo provvedimento di accertamento. Conclusa
l’attività di verifica l’amministrazione finanziaria procede, ove ve ne siano
i presupposti, all’emanazione dell’avviso di accertamento. Ove invece non
di supporto, riproduzioni e copie per gli usi consentiti dalla legge.
((Gli obblighi di numerazione progressiva e di vidimazione previsti
dalle disposizioni di legge o di regolamento per la tenuta dei libri,
repertori e scritture sono assolti, in caso di tenuta con strumenti
informatici, mediante apposizione, almeno una volta all'anno, della
marcatura temporale e della firma digitale dell'imprenditore o di
altro soggetto dal medesimo delegato.
Qualora per un anno non siano state eseguite registrazioni, la
firma digitale e la marcatura temporale devono essere apposte
all'atto di una nuova registrazione e da tale apposizione decorre il
periodo annuale di cui al terzo comma)).
I libri, i repertori e le scritture tenuti con strumenti
informatici, secondo quanto previsto dal presente articolo, hanno
l'efficacia probatoria di cui agli articoli 2709 e 2710 del codice
civile.
((Per i libri e per i registri la cui tenuta è obbligatoria per
disposizione di legge o di regolamento di natura tributaria, il
termine di cui al terzo comma opera secondo le norme in materia di
conservazione digitale contenute nelle medesime disposizioni)).
224
sia emerso in fase di pvc alcun elemento rilevante ai fini dell’accertamento,
il procedimento si concluderà con l’atto di archiviazione. Meritano poi di
essere menzionate due tipologie di accesso “speciali”: l’accesso “presso
terzi” e le ispezioni “privacy”. Il primo consente all’ Amministrazione di
accedere ai locali in disponibilità di terzi per l’effettuazione delle ispezioni,
i cui effetti si produrranno solo nei confronti del contribuente sottoposto a
verifica. Le seconde consistono nell’attuazione di una sinergia tra Garante e
Guardia di Finanza e consentono alle autorità di presentarsi presso la
reception dell’azienda e chiedere l’esibizione della documentazione e delle
informazioni che ritiene opportuno acquisire. Le ispezioni in parola durano
dai tre ai cinque giorni consecutivi, nel corso dei quali vengono effettuate
verifiche sull’organizzazione aziendale, sui sistemi informatici e
sull’attività svolta.
Gli artt. 32 del D.P.R. n. 600/73 e 52 del D.P.R. n. 633 prevedono tre
ipotesi per l’esercizio di accessi, ispezioni e verifiche:
- Un accesso ai locali destinati all’esercizio delle attività, da effettuarsi
previa autorizzazione rilasciata dal capo dell’ufficio;
- L’accesso ai locali che siano adibiti anche ad abitazione, da
effettuarsi previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica;
- L’accesso ad altri eventuali locali da effettuarsi previa autorizzazione
del Presidente della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di
violazioni allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed
altre prove di violazione.
L’Autorità giudiziaria, prima di decidere se concedere o meno la
autorizzazione alle attività ispettive deve effettuare una valutazione di
legittimità della richiesta, sicché non può essere rilasciata l’autorizzazione
225
qualora l’accesso risulti privo di utilità per l’attività di verifica.
L’autorizzazione del Pubblico Ministero deve essere specificamente
motivata in ordine alla sussistenza dei gravi indizi e dall’autorizzazione
devono risultare i motivi dai quali si evinca che l’accesso domiciliare sia
indispensabile ai fini della attività impositiva. Il contribuente ha comunque
diritto di adire, ai sensi dell’art. 9 c.p.c 60 . la giurisdizione ordinaria anche in
via cautelare onde ottenere la sospensione dell’accesso. Va anche ricordato
che l’azione amministrativa, e quindi anche in sede di accertamento, deve
essere improntata al principio di proporzionalità, adeguatezza e minor
sacrificio nel senso di arrecare il minor pregiudizio possibile al
contribuente sottoposto a verifica.
Oltre a quanto poc’anzi rilevato circa i poteri dell’Amministrazione
finanziaria nei confronti dei contribuenti, e cioè accessi, ispezioni e
verifiche fiscali, la stessa Amministrazione può invitare i contribuenti a
comparire per fornire dati e notizie ovvero per esibire o trasmettere atti o
documenti; inviare questionari per l’acquisizione di dati e notizie;
richiedere a soggetti terzi dati e notizie per singoli soggetti o per categoria;
avviare, previa apposita autorizzazione, indagini finanziarie nei confronti di
soggetti preventivamente individuati, attraverso specifiche richieste da
inoltrare agli intermediari finanziari. La condotta del contribuente che
ometta di rispondere ai questionari e agli inviti della Amministrazione è
idonea a far sorgere dubbi sull’attendibilità delle scritture; essa rende grave
60 “Salvo che la legge disponga altrimenti, qualora sia convenuta una persona giuridica, è competente il
giudice del luogo dove essa ha sede. È competente altresì il giudice del luogo dove la persona giuridica ha
uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda.
Ai fini della competenza, le società non aventi personalità giuridica, le associazioni non riconosciute e i
comitati di cui agli articoli 36 e seguenti del codice civile hanno sede dove svolgono attività in modo
continuativo.”
226
la presunzione di attività non dichiarate desumibili dal confronto tra le
percentuali di ricarico applicate e quelle medie del settore. Ciò legittima
l’ufficio ad operare mediante accertamento induttivo qualora il
contribuente abbia omesso di esibire i documenti richiesti, in tal modo
ostacolando di fatto l’attività di accertamento della Agenzia delle Entrate.
Detto ciò, va anche evidenziato che nell’attività di accertamento tributario,
l’Ufficio deve compiere una faticosa attività di bilanciamento degli
interessi in gioco, tra cui l’interesse del privato a non subire limitazioni alle
proprie libertà personali e quello fiscale di non pregiudicare l’efficacia dei
controlli. Il riferimento costituzionale a tale bilanciamento si può rinvenire
nell’art. 2 Cost., che sancisce il principio di solidarietà sociale, e in base al
quale è verificabile la necessità di un contemperamento dell’attività fiscale
con il rispetto dei diritti “inviolabili” del singolo contribuente in quanto
“cittadino”, prima che contribuente. Il bilanciamento in parola è dunque
fondato su base costituzionale e rimesso dall’art. 23 Cost. alla legge,
attraverso la previsione di una riserva in tal senso. Peraltro la norma che
autorizza i poteri istruttori in capo alla Amministrazione finanziaria, può
essere rinvenuta nell’art. 53 Cost., che legittima l’azione della Pubblica
amministrazione al recupero del quantum debeatur da ciascun contribuente
in base alla propria capacità contributiva. Per quanto riguarda nello
specifico le posizioni soggettive del contribuente che inevitabilmente
l’accertamento tributario va a comprimere, si può innanzitutto citare quelle
previste dall’art. 13 Cost., il quale prevede il seguente: “ non è ammessa
alcuna forma di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né
qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato
dell’Autorità Giudiziaria e nei soli casi e modi stabiliti dalla Legge”. A tale
norma si aggiunge il disposto dell’art. 14 Cost. secondo il quale “non vi si
227
possono eseguire ispezioni o perquisizioni e sequestri se non nei casi e
modi stabiliti dalla Legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della
libertà personale […] gli accertamenti e le ispezioni per fini economici e
fiscali sono regolate da leggi speciali”. Va anche citato l’art. 15 Cost., il
quale dispone che “la libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni
altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può
avvenire soltanto per atto motivato della Autorità Giudiziaria”.
Il legislatore, il quale come detto è titolare di una riserva normativa in
merito al bilanciamento dei rapporti tra Fisco e contribuente, ha previsto
una serie di garanzie per il contribuente durante la fase istruttoria del
procedimento tributario. Innanzitutto il contribuente ha diritto di essere
informato delle ragioni che hanno giustificato la verifica e sull’oggetto che
la riguarda, e ha la facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato
alla difesa innanzi agli organi di giustizia tributaria, nonché gli obblighi e i
diritti che sono riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche;
tutto ciò ai sensi anche dell’ art. 12 dello Statuto del Contribuente. Oltre a
tali diritti attribuiti al contribuente, il disposto dello Statuto fa riferimento
alla predisposizione di un termine a carico della Amministrazione in tema
di accertamento, ossia dato l’obbligo per l’Ente accertatore di non
comprimere oltre misura i diritti sanciti dagli articoli della Costituzione più
sopra citati, il legislatore dispone un termine di trenta giorni alla
permanenza dei verificatori presso i locali del soggetto passivo. Tuttavia
tale termine è prorogabile di altri trenta giorni nel caso in cui si abbia una
“particolare complessità dell’indagine”, la cui motivazione e
individuazione sono affidate al Dirigente dell’Ufficio. La proroga deve
essere quindi motivata e comunicata al contribuente ai fini della tutela della
posizione soggettiva di quest’ultimo. Tuttavia, posto che l’atto emanato
228
dall’Ente accertatore, atto che introduce alla fase del contraddittorio, deve
essere emanato nel rispetto dei termini di cui si è detto poc’anzi, si discute
se l’atto adottato fuori dai termini sia nullo o annullabile. L’adesione
all’una o all’altra alternativa è fondamentale per qualificare la fattispecie e
stabilire la disciplina da applicare. Aderendo alla tesi della annullabilità, va
detto che l’atto sarebbe in ipotesi “convalidabile”, mentre la più grave
conseguenza della nullità non potrebbe dar luogo ad alcuna ipotesi di
sanatoria o convalida. Al fine di capire se e quale delle qualifiche suddette
debba investire l’atto in questione è fondamentale il contraddittorio
endo/procedimentale, cioè precedente alla vera e propria fase istruttoria.
A parte il contraddittorio, il Legislatore ha previsto diverse forme di
risoluzione alternativa delle controversie: una prima modalità è data dalla
adesione al pvc da parte del contribuente, con conseguente beneficio per
quest’ultimo in termini di sanzioni. La Guardia di Finanza può inserire nel
pvc le dichiarazioni acquisite da soggetti terzi che saranno pienamente
utilizzabili dalla Amministrazione finanziaria in sede extra processuale. Lo
stesso potere di introdurre nel processo dichiarazioni di terzi è attribuito
anche al soggetto passivo del rapporto di imposta, ossia sempre il
contribuente. Sempre a fini informativi nei riguardi del contribuente, il
dettato dell’art. 5 bis D.lgs. n. 218/1997 attribuisce al soggetto che è
sottoposto a verifica il diritto di essere assoggettato al pvc allo scopo di
poter definire il rapporto fiscale in una fase endo/procedimentale, a
prescindere dalla contestazione o meno di rilievi da parte della
Amministrazione finanziaria. L’adesione al pvc deve essere manifestata
entro un termine di trenta giorni a partire dal momento della consegna del
processo verbale di constatazione (pvc). Ove adesione vi sia stata, il
contribuente non può più revocare la procedura, potendo tuttavia sindacare
229
l’adesione qualora la stessa contenga errori che l’abbiano irrimediabilmente
viziata. Il merito della pretesa non può essere ridiscusso se il contribuente
ha sottoscritto l’accordo con l’Ufficio e ha eseguito il pagamento senza
sollevare nella immediatezza alcuna contestazione.
Per continuare va detto che risponde ad una finalità accelerativa e
all’esigenza di incentivare la dialettica tra le parti anche il procedimento di
accertamento con adesione, mediante il quale si giunge ad un atto di
accertamento concordato con il contribuente. L’origine dell’istituto in
parola si colloca nel disposto del regolamento n. 4022/1877, in materia di
applicazione dell’imposta di ricchezza mobile, che all’art. 40 prevedeva la
possibilità di concordare le somme di reddito netto con i contribuenti.
L’istituto può essere esperito mediante procedimento di adesione attivabile
ex officio o su istanza di parte. Nella prima ipotesi l’Amministrazione
propone al contribuente la definizione concordata del rapporto tributario,
precedente alla notifica di un avviso di accertamento. Nella seconda ipotesi
la parte interessata può attivare l’accertamento con adesione con apposita
istanza in carta libera da proporre entro il termine di impugnazione
dell’avviso di accertamento, così che entro 15 giorni dalla ricezione
dell’istanza, l’Ufficio notifica l’invito a comparire al contribuente. Una
volta attivato il procedimento in questione si può concludere con un
provvedimento di archiviazione recante la formula del non luogo a
procedere o con atto di adesione, se il contribuente intende definire la
propria posizione. Con l’atto di adesione il contribuente manifesta la
volontà di aderire alla quantificazione dell’imponibile effettuata dall’Ente
impositore ed entro 20 giorni dalla redazione dell’atto di adesione, deve
procedere al versamento delle somme concordate nell’atto di definizione
agevolata. E’ quanto mai opportuno precisare che qualora le parti
230
pervengano ad un accordo, quest’ultimo non può essere contestato dal
contribuente, perché esso ha validità di atto pubblico e pertanto, una volta
divenuto definitivo non è né integrabile né modificabile da parte
dell’Ufficio, salvo i casi espressamente e tassativamente previsti. Né il
contribuente può presentare ricorso, poiché l’adesione costituisce una
forma di transazione che risolve la controversia: il ricorso sarà perciò
affetto da inammissibilità. Tutto ciò salvo che vi siano delle discrepanze tra
gli importi indicati nell’atto cui il contribuente ha aderito e gli importi
indicati nell’atto di definizione. Un aspetto che va considerato è la
motivazione c.d. “rafforzata”, dato che in mancanza di accordo di adesione,
l’avviso di accertamento deve essere specificamente motivato in relazione
ai chiarimenti forniti e ai documenti prodotti dal contribuente nel corso del
contraddittorio, nonché delle ragioni per cui sono stati disattesi i
chiarimenti forniti all’ ufficio dal contribuente. L’aspetto più interessante
del procedimento con adesione è l’instaurazione di un dialogo tra le parti.
A tal riguardo l’intervento del privato non si atteggia a mera
contrapposizione ma è funzionale alla determinazione della somma da
versare in ragione della effettiva capacità contributiva; il vantaggio va
ravvisato nella “giusta imposizione” che si realizza attraverso l’attivazione
di un iter collaborativo.
Altro tipo di procedimento è quello di “reclamo/mediazione” in fase
amministrativa, con l’introduzione del quale il Legislatore ha tentato di
deflazionare il contenzioso tributario. La disciplina è contenuta nell’art. 17
bis, del D.lgs. n. 546/92 che prescrive la obbligatorietà della mediazione
tributaria per le controversie di valore non superiore a 50 mila euro. Il
procedimento in parola ha suscitato problemi di legittimità costituzionale,
risolti dalla Corte, la quale ha dichiarato non manifestamente infondata la
231
questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 bis, ammettendo la
sussistenza di un aperto contrasto con gli artt. 3, 24 e 113 Cost 61 . Si è giunti
così ad una nuova formulazione dell’articolo, la quale prevede che “il
ricorso non è processabile fino alla scadenza del termine di novanta giorni
dalla data di notifica.
E’ opportuno in via preliminare evidenziare la diversità e la sostanziale
autonomia del procedimento di reclamo da quello di mediazione. Il primo
prevede che la proposizione del ricorso debba essere preceduta dalla
presentazione di una istanza di annullamento, totale o parziale dell’atto,
alla competente struttura della Agenzia delle Entrate. Tale istanza, che è in
definitiva il reclamo, deve contenere la domanda rivolta al giudice e le
ragioni che la sorreggono, il che significa che al reclamo si applicano le
norme relative al contenuto, al modo e al termine di presentazione del
ricorso. Attraverso il procedimento di “reclamo/mediazione”
l’Amministrazione finanziaria è chiamata a svolgere la funzione di riesame
giudiziale dell’atto impositivo oggetto di reclamo. L’Agenzia delle Entrate
alla quale è demandato l’esame del reclamo deve valutare l’”eventuale
incertezza delle questioni controverse”, il “grado di sostenibilità della
pretesa” e il “principio di economicità dell’azione amministrativa”. Se il
reclamo rappresenta l’istanza ad ottenere l’annullamento totale o parziale
dell’atto, la mediazione è una proposta eventuale, formulata dal
contribuente per ottenere la rideterminazione dell’ammontare della pretesa
61 “Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e
degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela
giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate
categorie di atti.
La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione
nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa.”
232
tributaria. Effetto principale della proposta di mediazione, che in teoria può
essere avanzata anche dalla Amministrazione, è la sospensione del
procedimento per un termine di 90 giorni, decorsi i quali il soggetto passivo
dell’imposizione non può che costituirsi in giudizio nel termine di trenta
giorni iscrivendo la causa a ruolo. L’Agenzia delle Entrate ha infine
evidenziato che “la procedura di mediazione deve ritenersi sostanzialmente
finalizzata ad evitare il rinvio ai giudici tributari delle contestazioni che
possono essere risolte in sede amministrativa, tenuto conto della situazione
di fatto e di diritto sottesa alla singola fattispecie.”
Altra figura di risoluzione delle controversie in ambito extra – processuale
è il “verbale di conciliazione”, disciplinato dagli articoli 48 e 48 bis del D.
Lgs. n. 546/92. Esso procedimento viene attivato mediante una proposta
conciliativa avanzata dalla parte interessata. Se si raggiunge l’accordo si
procede alla redazione di un verbale che costituisce titolo per la riscossione
delle somme dovute, in unica soluzione o in forma rateale, dal quale
risultino le somme dovute per imposte, sanzioni e interessi.
Vi è poi una seconda tipologia di conciliazione nella quale le parti
presentano una istanza di conciliazione totale o parziale della controversia,
e cioè la conciliazione giudiziale, laddove in corso di udienza la
Commissione tributaria inviti le parti alla conciliazione rinviando
eventualmente la causa alla successiva udienza per il perfezionamento
dell’accordo conciliativo. Se l’accordo si raggiunge viene redatto processo
verbale in doppia copia, il quale è soggetto alle disposizioni previste in
caso di imposta di registro. Il mancato pagamento di una sola delle rate
concordate dalle parti rende, peraltro, esigibile il credito tributario. Sempre
nel caso di pagamento rateale il versamento della prima rata va effettuato
entro venti giorni dalla sottoscrizione dell’accordo di conciliazione fuori
233
udienza o di redazione del processo verbale di conciliazione in udienza. Il
Legislatore ha espressamente previsto che il verbale di conciliazione abbia
efficacia esecutiva per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma
specifica e costituisca titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Il verbale
di conciliazione al pari della sentenza costituisce titolo esecutivo e deve
rivestire la forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata.
Il recente D.L. 119/2018 convertito in Legge n. 136/2018 ha infine
prescritto una serie di misure che riconoscono la possibilità per i
contribuenti di regolarizzare la propria posizione fiscale in maniera
agevolata. E’ riconosciuta la possibilità, ai fini della definizione della
fattispecie in maniera agevolata, per il contribuente di presentare apposita
domanda, con la quale il contribuente si impegna a rinunciare ai giudizi
relativi ai carichi che intende definire, ma tale impegno si estingue solo se
la definizione agevolata riguardi l’intera pretesa. Se riguarda una parte
soltanto, il giudizio prosegue per la parte non definita. Il contribuente può
definire la fattispecie impositiva in maniera agevolata, anche nel corso del
procedimento, in contraddittorio aderendo al relativo invito e versando le
somme dovute.
Tra le misure di definizione delle pendenze tributarie si pone anche il
condono, di cui all’art. 16, l. n. 289/2002, che consente la chiusura delle liti
fiscali pendenti dinnanzi alle Commissioni tributarie o al giudice ordinario
in ogni grado del giudizio ed anche a seguito del rinvio su domanda del
soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio con il pagamento
di una somma predeterminata.
Nell’ottica di un potenziamento e uno snellimento dei rapporti tra P.A. e
contribuente il D. Lgs. n. 128/2015 ha introdotto l’istituto del c.d.
234
“adempimento collaborativo”, in virtù del quale la P.A. instaura un dialogo
cooperativo con il contribuente, ciò operando sia dal punto di vista
dell’assistenza al contribuente, ossia dell’adempimento, sia da quello del
contrasto all’evasione fiscale, tale da affievolire il senso di ingiustizia
avvertito dai contribuenti di fronte a fenomeni di evasione che
disincentivano il senso di collaborazione leale e volontario nei confronti del
Fisco. Tutto ciò attraverso uno scambio di informazioni tra le parti del
rapporto tributario, così da instaurare un senso di collaborazione che
tendenzialmente dovrebbe portare ad una semplificazione degli
adempimenti fiscali anche mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici
sempre più moderni e con controlli non più ex post, ma preventivi. Al fine
di incentivare sempre più l’adempimento spontaneo, l’Amministrazione
finanziaria riconosce misure premiali di riduzione delle sanzioni da versare
in favore di quei contribuenti che si attivano anche tardivamente per sanare
eventuali violazioni commesse, aumentando anche i termini entro cui il
contribuente può ravvedersi. La citata disciplina mira dunque a favorire la
diffusione di una “giusta”, “corretta” e “proporzionale” pretesa tributaria,
che stimoli un sempre maggior numero di contribuenti all’assolvimento
spontaneo dei propri obblighi fiscali.
In tale prospettiva va collocato anche l’istituto dell’interpello, il quale
comporta l’instaurazione di un preventivo confronto per effetto del quale il
contribuente può rivolgersi direttamente all’Amministrazione finanziaria
per ottenere chiarimenti sul significato da attribuire ad una norma
(interpello ordinario) ovvero sulla disciplina da applicare ad una data
fattispecie (interpello qualificatorio).
Su quanto abbiamo detto in merito all’implementazione della
collaborazione tra P.A. e contribuente si è pronunciata più volte la Corte di
235
Cassazione, la quale ha raggiunto, dopo vari pronunciamenti, un importante
arresto nella sentenza Ispas, che fa riferimento ad un vero e proprio
“diritto di accesso” alle informazioni e ai documenti che vengono prodotti
durante il rapporto pregiudiziale ovvero giudiziale tra contribuenti e
Amministrazione tributaria. Su tale indirizzo si colloca anche la sentenza
Glencore, che ha previsto il riconoscimento del diritto di accesso
preventivo a tutti gli elementi e le informazioni di cui sia venuta a
conoscenza l’Amministrazione finanziaria. Ciò al fine di consentire al
soggetto passivo di presentare osservazioni prima dell’adozione del
provvedimento finale.
Tuttavia occorre considerare che lo Statuto dei diritti del contribuente,
nonostante alcuni importanti passi in avanti sulla linea poc’anzi
considerata, ha lasciato una lacuna normativa nel mancato riconoscimento
di una piena partecipazione del contribuente al procedimento di
accertamento, in quanto esso Statuto ha circoscritto l’applicazione del
contraddittorio endoprocedimentale ai soli procedimenti caratterizzati
dall’accesso della Guardia di Finanza all’interno dei locali in cui il
contribuente svolge la propria attività con conseguente inammissibilità di
una interpretazione estensiva, considerata la natura “speciale” della norma
tributaria. Desta inoltre particolare attenzione, l’assenza di un principio
generale del contraddittorio all’interno dello Statuto. Sarebbe pertanto utile
che il Legislatore tributario istituzionalizzasse la partecipazione del
contribuente fin dal momento della raccolta di notizie e documenti
disciplinando in modo dettagliato le conseguenze della omissione della
stessa, dato che un intervento ex post sarebbe più vicino all’idea di
processo che di procedimento. Non sembra infatti sufficiente che il
contribuente intervenga quando la Amministrazione finanziaria abbia già
236
raccolto elementi a suo carico, essendo necessario privilegiare una
partecipazione ab origine, che sia funzionale al risultato da perseguire,
informando il contribuente dell’attivazione di un procedimento. Va
aggiunto infine che attraverso lo Statuto dei diritti del contribuente, si è
cercato di favorire una fiscalità condivisa e finalizzata al raggiungimento di
uno scopo comune, ossia la determinazione della giusta imposta che può
avvenire solo mediante il riconoscimento di un diritto di partecipazione del
contribuente al procedimento di accertamento in conformità con il disposto
dell’art. 53 Cost. che attribuisce al contribuente un ruolo attivo nell’ambito
della vita pubblica. La distinzione tra tributi armonizzati e non armonizzati,
cioè tra tributi riconosciuti o introdotti dalla normativa europea e recepiti
nell’ordinamento nazionale, e tributi adottati soltanto a livello nazionale,
appare non più sostenibile alla luce dei principi dell’ordinamento
comunitario, che prevede il contraddittorio in materia di procedimento
tributario. Sarebbe dunque necessaria una uniformazione dell’attività di
normazione uniforme a entrambi i livelli.
Capitolo VII
Cenni alla disciplina della partecipazione del contribuente alla
verifica fiscale
Con riferimento alle fasi della verifica fiscale cui partecipa il contribuente,
si può considerare come prodromico ad un nuovo tipo di interazione tra
contribuente e Amministrazione finanziaria nella attività di verifica fiscale,
il provvedimento legislativo, più sopra descritto e che è generalmente
conosciuto come “Statuto dei diritti del contribuente”. Lo Statuto non
costituisce tuttavia un corpus normativo solido e inattaccabile. Sono infatti
frequenti le ipotesi in cui esso viene disatteso, esplicitamente o meno.
237
Tuttavia lo Statuto ha impresso una svolta, innanzitutto sul piano culturale.
Più ampiamente le norme che disciplinano la partecipazione del
contribuente alle verifiche e all’istruttoria tributaria non sono rinvenibili in
un sistema di norme coordinato e uniforme ma la prospettiva coagulante
dei principi dello Statuto è innegabile.
La dialettica tra doveri di contribuzione e diritti del cittadino rivela criticità
maggiori nel procedimento di accertamento e particolarmente nelle fasi di
questo in cui appare maggiormente evidente il rischio di una compressione
delle libertà più importanti.
Se è vero quanto detto, allora è possibile ripartire l’attività di verifica
fiscale in tre fasi e momenti: la modalità più elementare ed immediata sarà
di tipo meramente conoscitivo; la modalità ulteriore è di tipo collaborativo
tra contribuente e Amministrazione finanziaria; infine la terza modalità
consiste nella partecipazione “difensiva” mediante la quale il contribuente,
con uno sforzo più intenso introduce nella fase accertativa elementi
valutativi più articolati nonché argomentazioni in diritto, precedenti
giurisprudenziali e punti di vista della dottrina, al fine di convincere
l’Amministrazione della correttezza del proprio comportamento.
La giurisprudenza considera la partecipazione del contribuente in sede di
verifica e accertamento, nelle modalità sopra elencate, talvolta facoltative,
talvolta inopportune e quindi vietate, e altre volte obbligatorie. Ad esempio
nelle ipotesi di accertamento compiuto mediante l’uso di parametri o studi
di settore, ambito nel quale la formazione delle prove avviene attraverso un
confronto dialettico che costituisce elemento determinante per adeguare
alla realtà economica del singolo contribuente, l’ipotesi dello studio di
238
settore i cui risultati devono essere indicati nella motivazione dell’atto,
oppure nel caso delle procedure doganali.
Il passaggio dal sistema previgente allo Statuto, caratterizzato da una
subordinazione “funzionale” dell’apporto del contribuente all’attività di
accertamento della P.A., ha determinato l’instaurazione di un rapporto più
equo tra contribuente e P.A. finanziaria, che si è concretizzata nell’istituto
della “richiesta di chiarimenti”.
A tal proposito l’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente, si
configura come lo strumento generale approntato dall’ordinamento per
garantire ai soggetti sottoposti a verifiche fiscali la tutela del diritto al
contraddittorio. La norma contiene una elencazione delle modalità, delle
procedure e dei limiti cui l’attività accertativa della P.A. deve conformarsi,
tutto ciò in ottemperanza all’art. 97 Cost., nonché dell’art. 24 Cost., il quale
propriamente disciplinala garanzia del diritto di difesa – del contribuente
nel caso di specie – a fronte della pervasività dei poteri
dell’Amministrazione.
Oltre alla considerazione dello Statuto dei diritti del contribuente, occorre
parlare, in secondo momento, del modo in cui l’ordinamento comunitario,
ossia nella fattispecie della CEDU, e delle modalità che quest’ultima
contiene in ordine alla disciplina del rapporto tra contribuente e Ente
impositore in sede di verifica fiscale. Recentemente l’UE e i principali Stati
aderenti alla Convenzione hanno dato attuazione all’art. 59 della CEDU.
Inizialmente si era affermato l’orientamento per cui l’art. 6 par. 1 della
CEDU veniva ritenuto non applicabile al processo tributario. Tale
orientamento era stato primariamente inaugurato dalla sentenza Ferrazzini
c. Italia del 12 luglio 2001, in cui la Corte di Strasburgo, giunse alla
239
conclusione che l’Attività di verifica della P.A. poiché parte della potestà di
imperio statale, non poteva essere disciplinata dal diritto tributario, ma dal
diritto civile e penale. Tuttavia la Corte ritornò sui propri passi nella
sentenza Ravon c. Francia del 21 febbraio 2008, sentenza nella quale la
Corte riconobbe l’applicabilità dell’art. 6 in parola alle cause tributarie in
considerazione del fatto che la tutela giurisdizionale richiesta non
riguardava stricto sensu il rapporto di imposta quanto la garanzia di un
diritto soggettivo dell’individuo alla libera disponibilità e alla tutela del
domicilio.
Detto ciò va ripetuto che l’istruttoria tributaria può essere considerata come
la fase del procedimento in cui l’Amministrazione finanziaria controlla
avvalendosi di poteri di indagine l’esatto adempimento degli obblighi
formali e sostanziali posti in capo al contribuente, raccogliendo prove e
fatti rilevanti per l’accertamento del tributo. Con la riforma fiscale dei
primi anni ’70 e la legge 9 ottobre 1971 n. 825, il Legislatore ha previsto
l’emanazione di norme in tema di accertamento, riscossione e sanzioni,
tutte finalizzate a facilitare l’individuazione dei contribuenti e la
rilevazione della materia imponibile, nonché ad assicurare la prevenzione e
la repressione dell’evasione e, non ultima, la tutela del contribuente.
E’ stato altresì affermato che i singoli atti del procedimento tributario non
si seguono l’un l’altro come elementi costitutivi di una unitaria fattispecie,
ma sono autonomi e rilevanti per sé, considerati nella prospettiva della
pubblica funzione della imposizione e che ogni atto si prospetta in
relazione a fattispecie soggettive, proprie di soggetti diversi che le pongono
in essere. Ma ciascun atto non produce degli effetti definibili come
prodromici rispetto all’effetto finale bensì pone in essere effetti preparatori
o meglio strumentali, con riferimento alla situazione creata dall’atto stesso
240
e che nello stesso tempo costituiscano il presupposto per il compimento di
altri atti. Detto ciò va aggiunto che l’attenzione deve essere accentrata
sull’atto impositivo, ovvero sulla circostanza che questa si fondi su
risultanze istruttorie che siano legittime. Infatti a causa della loro incisività
i poteri devono essere esercitati nei limiti e nel rispetto dei principi e delle
norme di legge, così da evitare lesioni non necessarie agli interessi del
cittadino.
A questo punto bisogna trattare nello specifico le garanzie che la Nostra
Costituzione offre nei riguardi del cittadino a fronte della pretesa
impositiva. Innanzitutto l’art. 13 Cost. dopo aver solennemente sancito che
la libertà dell’individuo è inviolabile, afferma che nessuna forma di
detenzione, ispezione o perquisizione personale né qualsiasi altra
restrizione della libertà personale, è ammessa se non per atto motivato
dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. Il
successivo art. 14 Cost., nel dettare la inviolabilità del domicilio, richiama
il dettato dell’articolo precedente. Anche l’art. 15 Cost., nel sancire
l’inviolabilità della libertà e della segretezza della corrispondenza deve
avvenire solo entro limiti di legge e previa autorizzazione degli organi
giurisdizionali. L’art. 97 è stato poi arricchito dalla Legge 7 agosto 1990, n.
241che ha introdotto i noti parametri di efficacia, efficienza, economicità e
trasparenza dell’attività amministrativa.
Per tornare alla potestà ispettiva della Amministrazione finanziaria, si
possono individuare tre ambiti di attività: quelle preordinate a funzioni di
natura accessiva, ispettiva, e verificativa; richieste di informazioni o
documenti finalizzati ad acquisire elementi utili ai fini dell’accertamento
fiscale; poteri di convocare il contribuente presso le sedi fiscali perché
fornisca elementi utilizzabili ai fini dell’accertamento nei suoi confronti.
241
In tema di imposte dirette la potestà di verifica e accertamento della
Amministrazione finanziaria implicano la facoltà degli uffici di: invitare i
contribuenti a comparire; invitare i contribuenti a esibire atti o trasmettere
documenti rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti; inviare ai
contribuenti questionari relativi a dati e notizie di specifico carattere
rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti nonché nei confronti di
altri contribuenti con i quali abbiano intrattenuto rapporti. Se 9il
contribuente non ottempera alle indicazioni potestative della
Amministrazione, esso contribuente, oltre alla sanzione amministrativa,
non è legittimato a valersi nel corso del successivo giudizio di notizie non
addotte, dati e documenti non esibiti, a meno che dimostri di non aver
adempiuto alle richieste dell’Ufficio per causa a lui non imputabile.
E’ importante aggiungere che in ambito tributario non esiste un istituto
analogo a quello dell’autotutela dell’interesse legittimo come definibile in
ambito meramente amministrativo e le ragioni di questa differenza sono
diverse. Le valutazioni da parte della P.A. finanziaria in ordine
all’annullamento dell’atto impositivo sono infatti incentrate su una serie di
parametri che prescindono in buona parte dalla posizione giuridica del
contribuente, diversamente dalla tutela accordata dall’art. 24 Cost. al
portatore di un diritto violato o di un interesse legittimo non realizzato.
Tuttavia l’interesse pubblico sotteso all’esercizio del potere di autotutela
può essere osservato in ambito tributario, in diverse maniere. Nel caso di
atto non definitivo esso può rispondere alla salvaguardia degli interessi
erariali, ove l’Amministrazione finanziaria intenda prevenire la possibile
soccombenza in un giudizio instaurato evitando il pagamento delle spese;
tale interesse può corrispondere all’esigenza di assicurare certezza e
definitività ai rapporti tributari. Sempre in caso di istanza di autotutela da
242
parte del contribuente, l’Amministrazione finanziaria ha l’obbligo anche
alla luce dei canoni desumibili dalla legge generale sul procedimento
amministrativo, di fornire riscontro motivato, sia esso di accoglimento che
di rigetto dell’istanza. Dopo aver riconosciuto, a partire dal 2005, la
giurisdizione del giudice tributario nelle controversie concernenti il diniego
di autotutela, la Cassazione ha riconosciuto l’impugnabilità del diniego
espresso o tacito di autotutela, precisando e delimitando tale sindacato.
Si pone in via ulteriore il problema dell’eventuale rifiuto opposto dal
contribuente alle richieste di esibizione da parte degli accertatori, rifiuto
che può avere conseguenze anche piuttosto gravi, sia sotto il profilo
sanzionatorio diretto che sotto il profilo dell’utilizzabilità della
documentazione stessa nella successiva fase precontenziosa e giudiziale,
oltre che offrire all’Amministrazione finanziaria la possibilità di procedere
alla ricostruzione della base imponibile con metodi diversi da quello basato
sulle risultanze delle scritture contabili.
Secondo quanto espressamente disciplinato dall’art. 6, comma 4 dello
Statuto, l’Amministrazione non può richiedere al contribuente documenti e
informazioni già in possesso suo o di altre Amministrazioni pubbliche, ma
deve procedere all’acquisizione degli stessi esclusivamente sulla base delle
norme afferenti il procedimento amministrativo ed il diritto di accesso ai
documenti amministrativi. In ordine ad un eventuale rifiuto di esibizione di
documenti da parte del soggetto accertato, tale rifiuto non può essere
contestato dal giudice amministrativo se il contribuente provi che i
documenti non esibiti sono stati omessi a causa di caso fortuito o forza
maggiore e quindi non possono essere prodotti in giudizio dalla
Amministrazione finanziaria.
243
Per quanto invece riguarda gli “atti istruttori”, essi sono ragionevolmente
definibili come quegli atti che concretizzano le operazioni e le attività della
fase prodromica dell’accertamento. Gli “atti di autorizzazione” sono invece
quegli atti che costituiscono presupposto necessario per l’esercizio di alcuni
poteri istruttori, rimuovendo i vincoli che il Legislatore pone al loro
esercizio. Il rapporto tra la prima categoria di atti e la seconda si potrebbe
definire come relazione biunivoca e direttamente proporzionale; infatti
maggiore è la rilevanza del potere istruttorio, in relazione al diritto del
contribuente che viene inevitabilmente compresso, maggiore sarà la cautela
di cui la legge impone il rispetto prima di emanare l’atto di autorizzazione.
Tra le tipologie di autorizzazioni rilasciate dai verificatori in ordine
all’accertamento, si possono evidenziare tre categorie: autorizzazioni
rilasciate dal capo dell’Ufficio o dalla Guardia di Finanza; autorizzazioni
rilasciate da un organo sovraordinato rispetto a quello che conduce
l’attività ispettiva; autorizzazioni rilasciate dal Procuratore della
Repubblica; autorizzazioni necessarie per procedere a perquisizioni
personali e ad atti che incidono sulla sfera strettamente personale del
soggetto all’accertamento. Tra il primo e l’ultimo tipo di tali accertamenti è
individuabile una scala di “ingerenza” crescente nella sfera del
contribuente.
Sul punto pare utile richiamare una sentenza della Cassazione in ordine alla
legittimità di un accesso esteso all’autovettura del amministratore della
società sottoposta a verifica. Nella fattispecie la Corte ha precisato che
l’autovettura deve essere considerata quale mezzo dell’impresa, in q uanto
l’utilizzatore della stessa autovettura è colui il quale ricopre funzioni
direttive all’interno dell’azienda sottoposta a verifica. In quanto mezzo di
impresa l’autovettura deve essere giuridicamente collocata nel novero dei
244
“locali diversi” cui fa cenno la relativa disciplina, cioè quella contenuta
nell’articolo 52 comma 2 del D.P.R. n. 633 del 1972.
Ad ogni modo e a prescindere dalla enunciazione di fattispecie concrete, è
principio generale che il vincolo della necessarietà e proporzionalità cui è
subordinato l’accesso alla sfera personale del contribuente, previsto
dall’art. 12 dello Statuto è subordinato ad esigenze effettive di indagine e
controllo sul luogo. La disposizione appena citata impone alla P.A. di
comunicare all’accertato il diritto in capo a questi di farsi assistere un
professionista abilitato e il diritto di essere informato delle ragioni che sono
alla base dell’accertamento.
L’accesso alla sfera privata del contribuente può essere eseguito previa
autorizzazione dal Procuratore della Repubblica, solo in caso di gravi indizi
di violazioni e ove ricorra lo scopo di reperire libri, registri, documenti,
scritture ed altre prove della violazione. L’accesso può inoltre avvenire solo
al verificarsi di tre presupposti:come già detto, la preventiva autorizzazione
del Procuratore; la sussistenza di gravi indizi di violazioni, i quali
consistono in circostanze di fatto astrattamente atte a convertire la mera
ipotesi di evasione o elusione fiscale in un giudizio sul possibile verificarsi
di questa; una ragionevole presunzione che nei luoghi assoggettati ad
ispezione vi sia la possibilità di reperire prove di avvenute violazioni.
L’obbligo motivazionale che pure sussiste in capo all’ente accertatore, è
assolto nel caso in cui risultino indicate la nota e l’autorità richiedente, con
la specificazione che il provvedimento trova causa e giustificazione
nell’esistenza di gravi indizi di violazione della legge fiscale, la cui
valutazione deve essere effettuata ex ante con prudente apprezzamento. Da
quanto detto emerge che l’autorizzazione del magistrato è sindacabile dal
245
giudice tributario. Esso giudice può essere chiamato non soltanto a
controllare l’esistenza del decreto del P.M. e la sussistenza di requisiti di
legge, ma anche ad investigare profili di legittimità sostanziale. Il suo
controllo è preceduto dalla verifica di rilevanti elementi indiziari.
La partecipazione del contribuente peraltro, per poter essere effettiva deve
trovare adeguata rappresentazione nei documenti che contengono gli esiti
della verifica. Il contribuente infatti, secondo quanto ritiene parte della
dottrina, può partecipare attivamente alla verifica sin dalle sue prime fasi,
in un ottica partecipativa e finanche difensiva. Il contribuente ha facoltà di
prendere parte all’attività ispettiva posta in essere dalla Amministrazione
finanziaria, in fieri, presentando il proprio punto di vista in relazione
all’attività svolta e al comportamento tenuto dai verificatori, nonché
richiedere chiarimenti in relazione alle proprie eventuali contestazioni che
potrebbero orientare il comportamento dei verificatori in un senso a lui
favorevole. Tra le pronunce di legittimità esistono diversi orientamenti in
ordine al valore probatorio da riconoscersi alle dichiarazioni del
contribuente in sede di verifica. In particolare la Corte di Cassazione in più
pronunciamenti ha rilevato che l’assenza di contestazioni da parte del
contribuente verificato, equivale ad una completa accettazione delle istanze
avanzate dai verificatori ai sensi dell’art. 2730 c.c. Tuttavia in altre
sentenze si riconosce che l’assenza di contestazioni da parte del
contribuente, ovviamente relative a fatti materiali e non consistenti in
considerazioni giuridiche o tecniche, non può configurare una fattispecie di
accettazione tacita dei rilievi avanzati dall’organo certificatore.
L’orientamento più recente della Corte di Cassazione è nel senso di
riconoscere, non al silenzio del verificato ma alle sue eventuali
dichiarazioni in sede di verifica, valore di confessione stragiudiziale. La
246
fase di verifica è ovviamente diversa da quella, successiva ed eventuale
dell’emanazione dell’atto impositivo e la richiesta di chiarimenti da parte
del contribuente è posta a presidio delle prerogative di esso contribuente
indipendentemente dal fatto che questi abbia già presentato le sue prime
osservazioni in sede di verifica o addirittura nel termine successivo alla
chiusura della verifica offerto dallo Statuto del contribuente. Laddove la
richiesta di chiarimenti non esistesse ovvero anche fosse stata adottata in
forma non consona al perseguimento degli scopi previsti dalla legge, non
sarebbe applicabile, neppure analogicamente, la norma che attribuisce
efficacia sanante dei vizi procedimentali, la quale prevede la sanzione della
annullabilità quando un atto è adottato in violazione delle norme di legge.
In merito poi all’avviso di inizio del procedimento, gli artt. 7 e 8 della
legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo prevedono che l’avvio
del procedimento sia comunicato al soggetto destinatario personalmente,
mediante un atto che deve avere un contenuto specifico. La richiesta di
chiarimenti rappresenta in ultima istanza un valore fondamentale nell’ottica
della valorizzazione del contraddittorio nella fase procedimentale
dell’accertamento: quella di delimitare l’oggetto preciso di tale
procedimento. Per questo motivo il Legislatore, comminando
espressamente la sanzione più grave della nullità in caso di mancata
richiesta di chiarimenti da parte della Amministrazione ha attribuito a tale
omissione un valore maggiore rispetto ad una mera violazione procedurale,
ritenendo evidentemente il contraddittorio quale elemento essenziale per
giungere ad una equa determinazione dell’atto conclusivo del
procedimento.
I veri e propri vincoli all’esercizio della attività ispettiva sono costituiti
dalle prescrizioni che impongono alla parte pubblica di operare con
247
modalità tali da arrecare la minima turbativa possibile allo svolgimento
delle attività del contribuente nonché alle relazioni commerciali e
professionali del medesimo. Una evidente e agevole modalità di
misurazione dell’intensità della attività di verifica, e dunque del suo grado
di tollerabilità e invasività nella sfera privata dell’accertato, risiede nella
durata della modifica stessa. L’articolo 12, comma 5 dello Statuto pone un
limite temporale alla presenza degli operatori presso la sede del
contribuente, che è computato nella durata di trenta giorni oltre i quali la
presenza dei verificatori presso la sede del verificato non è accettabile in
quanto configgente con l’assunto, contenuto nello Statuto, che
l’accertamento non arrechi al contribuente un disturbo eccessivo. Il
Legislatore ha aggiunto all’art. 12 dello Statuto, nel comma 5, un terzo
periodo il quale recita nel modo seguente: “Il periodo di permanenza presso
la sede del contribuente di cui al primo periodo così come l’eventuale
proroga ivi prevista, non può essere superiore a quindici giorni lavorativi
contenuti nell’arco di non più di un trimestre, in tutti i casi in cui ola
verifica sia svolta presso la sede di imprese in contabilità semplificata e
lavoratori autonomi”. Va rilevato che l’inciso del comma come citato
prevede un limite massimo di quindici giorni, anche non continuativi, solo
per categorie “minori” di contribuenti, mentre se per i contribuenti
maggiori non è stata prevista una riduzione del termine, che è sempre di
trenta giorni, si è stabilito che la permanenza presso il verificato non possa
essere non continuativa. Tuttavia per quanto riguarda il limite dei trenta
giorni una proroga di ulteriori trenta è prevista in via eccezionale “nei casi
di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente
dell’Ufficio”. La proroga deve essere motivata e notificata al contribuente.
La stessa proroga è prevista per quanto riguarda il termine di quindici
giorni a carico dei contribuenti in precedenza connotati come “minori” in
248
via di interpretazione del disposto normativo. Al termine del periodo di
permanenza i verificatori possono tornare nei locali di cui il contribuente ha
la disponibilità solo in due ipotesi circoscritte: per esaminare le richieste
eventualmente presentate dal contribuente dopo le operazioni di verifica e
il rilascio del verbale di constatazione; previa autorizzazione da parte del
dirigente dell’Ufficio per specifiche ragioni.
Per tornare alla descrizione del processo verbale di accertamento, come
intrapresa più su nel presente lavoro, appare opportuno darne una
definizione. Il pvc è l’atto conclusivo della fase ispettiva nella quale
l’Amministrazione riscontra, con i mezzi e le garanzie previste
dall’ordinamento, la correttezza della dichiarazione presentata dal
contribuente. L’atto in parola scaturisce da due attività prevalenti, ossia una
di tipo ricognitivo e l’altra di tipo elaborativo. La prima precede sempre
quella elaborativa e consiste nella acquisizione di atti e documenti, durante
la quale non può essere escluso il contribuente. Quest’ultimo vi può
partecipare con diversa intensità a differenza di quanto accade nella
seconda che, invece è formalmente riservata ai verificatori. Spetta ad essi
trarre le conclusioni dai rilievi effettuati. Le finalità che la prassi ha
attribuito al pvc sono le seguenti: documentare in maniera organica i
controlli svolti e le metodologie adottate nonché esplicitare i rilievi
formulati al contribuente; consentire al contribuente di avere piena
conoscenza di quanto sopra affinché sia posto in grado di difendere la
propria posizione, sia all’esito della attività di verifica sia eventualmente in
sede contenziosa; permettere agli uffici finanziari di avviare le procedure,
ove necessarie, per la rettifica della dichiarazione, l’accertamento e la
liquidazione delle imposte dovute, nonché per l’irrogazione di una
eventuale sanzione. Il pvc deve essere redatto nella forma di atto pubblico
249
mentre il suo contenuto deve soddisfare i seguenti requisiti: l’indicazione
delle modalità con le quali l’operazione di verifica è stata condotta;una
sintetica descrizione dell’attività svolta dal contribuente verificato; una
descrizione dei controlli documentali e sostanziali effettuati; indicazione
delle richieste rivolte al contribuente e delle risposte dallo stesso fornite;
eventuali osservazioni o rilievi del contribuente o del professionista che lo
assiste.
Va aggiunto che il processo verbale non si sostituisce alla decisione del
giudice che deve ratificarlo ma è invece soltanto finalizzato ad indicare le
prove cui sempre il giudice in sede processuale possa far riferimento. In
tale ottica si pone il provvedimento di motivazione per relationem. Tale
procedimento consente al giudice di far riferimento ad un atto quale il pvc
riconoscendo la veridicità di quanto in esso attestato da parte dell’organo
giudicante, il quale sulla base dell’atto richiamato in tale maniera, giunga
alla decisione del processo tributario. La condizione di validità della
motivazione per relationem è che il contribuente sia posto nella condizione
di conoscere l’atto cui l’accertatore o il giudice fa riferimento sulla base
dell’atto impositivo, il quale a sua volta richiami altro atto, sempre
utilizzando lo stesso meccanismo, cioè il riferimento per relationem.
Il rilascio del verbale di constatazione segna un momento essenziale della
attività istruttoria, definendo il passaggio dalla formale conclusione delle
indagini all’inizio della eventuale fase accertativa. All’atto della
conclusione delle indagini emergono tra le facoltà del contribuente
accertato tre distinte situazioni, ciascuna collegata alle altre: il diritto di
comunicare osservazioni o richieste; l’obbligo degli uffici di valutare le
anzidette allegazioni; l’obbligo per gli stessi uffici di motivare l’avviso di
accertamento con specifico riferimento alle osservazioni e alle richieste del
250
contribuente. A proposito del termine entro il quale si riconosce al
contribuente la facoltà di accedere alle situazioni suddette, occorre
considerare il disposto due filoni giurisprudenziali. Secondo il primo, la
violazione dell’art. 12, comma 7, dello Statuto, non determina la nullità
dell’atto impositivo tenuto conto della natura vincolata dell’atto rispetto al
verbale di constatazione. Al contribuente resterebbe comunque garantito il
diritto di difesa in via amministrativa e giurisdizionale. Secondo un opposto
sistema interpretativo il termine dilatorio di trenta giorni è perentorio in
quanto funzionale alla difesa del contribuente nonché al contraddittorio tra
le parti, garantendo a quella privata la possibilità di interagire con la
Amministrazione prima che essa pervenga all’emissione di un atto
impositivo. Un ulteriore orientamento dottrinale valorizza alcune pronunce
della Corte costituzionale, poi riprese nel contenuto dalla Cassazione. In
sostanza si ritiene da più parti nell’ambito giurisprudenziale che l’atto di
accertamento deve essere motivato e che se detto atto è carente di
motivazione ciò costituisce motivo di illegittimità ai sensi degli artt. 24 e
111 Cost. Ove poi l’atto venga adottato prima della scadenza dei termini
occorre che l’anticipazione sia giustificata dalla menzione nell’atto delle
cause di urgenza, altrimenti l’atto è viziato da annullabilità.
Riprendendo la nozione di verifica fiscale dalla prassi è possibile affermare
che essa si sostanzia in una attività di carattere amministrativo estesa alle
situazioni più significative della posizione fiscale di un contribuente che
hanno effetto ai fini della determinazione della base imponibile e/o ai fini
della qualificazione dell’imposta, nonché del corretto adempimento degli
obblighi fiscali. E’ quindi evidente che nel momento in cui il contribuente
sia sottoposto ad una attività istruttoria devono essere assicurate a
quest’ultimo le garanzie previste dallo Statuto, le quali non possono
251
dipendere dalle determinazioni dell’Ufficio nello scegliere una determinata
modalità di controllo.
Infine l’art. 37 bis del D.P.R. n. 600/1973 prevede ai commi 4 e 5 una
procedura rafforzata, da rispettare a pena di nullità dell’atto in tutte quelle
ipotesi in cui sia contestata l’elusività di una operazione inclusa nel comma
3. In particolare l’Amministrazione deve far precedere all’atto di
accertamento una “richiesta di chiarimenti” in cui devono essere indicati i
motivi che rendono applicabile la norma antielusiva, e ovviamente il
contribuente ha facoltà di rispondere a tale richiesta. Si tratta di un
microprocedimento che può essere sintetizzato come segue: prima
dell’emissione dell’atto, a pena di nullità dello stesso, l’Amministrazione
deve inviare al contribuente interessato una richiesta di chiarimenti da
redigere per iscritto; il contribuente ha la facoltà di rispondere mediante
invio delle eventuali sue osservazioni nel termine di sessanta giorni dalla
richiesta; l’Amministrazione se ritiene di dover formulare l’atto impositivo
deve motivare specificamente a pena di nullità in relazione alle
osservazioni avanzate dal contribuente.
Capitolo VIII
Breve commento alla disciplina penalistica degli illeciti tributari.
Il Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74.
Come tutti i provvedimenti di legislazione che rientrano nella potestà
legislativa del Governo, a ciò quest’ultimo delegato dal Parlamento, anche
il Decreto oggetto della intitolazione del presente Capitolo vede la
promulgazione, di esso Decreto, ad opera del Presidente della Repubblica,
il quale, e cito, “Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione; Visto l’articolo
252
9 della legge 25 giugno 1999, n. 205, che delega il Governo ad emanare,
entro otto mesi dall’entrata in vigore della stessa legge, un decreto
legislativo recante la nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui
redditi e sul valore aggiunto in conformità dei principi e dei criteri direttivi
stabiliti dal medesimo articolo, procedendo all’abrogazione del titolo I del
decreto – legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla
legge 7 agosto 1982, n. 516, e delle altre norme vigenti incompatibili con la
nuova disciplina;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella
riunione del 5 gennaio 2000;
Acquisito il parere delle competenti commissioni permanenti della Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica, previsto dall’articolo 17 della
predetta legge n. 205 del 1999;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del
3 marzo 2000;
Sulla proposta del Ministro delle finanze e del Ministro della giustizia;
Emana
il seguente decreto legislativo:”
Tralasciando il Titolo I, che reca una serie di definizioni inerenti la materia
tributaria e che sono inserite nel Decreto in parola al fine di chiarire il
disposto degli artt. successivi; vorrei focalizzare l’attenzione sugli articoli
successivi, così da poterne estrapolare i contenuti non resi espliciti nella
lettera della normativa di cui al Decreto in commento. Vorrei pertanto
iniziare dal Capo I del Titolo II, intitolato ai “Delitti in materia di
253
dichiarazione”, e in particolare dall’art. 2 del Titolo in oggetto, il quale è
rubricato “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false o altri
documenti per operazioni inesistenti”. Il disposto del primo comma
prevede la imputabilità ed eventualmente la punibilità di tutti coloro che,
qualificati come contribuenti, al fine di evadere le imposte sui redditi, ossia
le imposte che vengono definite come aventi ad oggetto direttamente la
capacità contributiva della persona fisica o giuridica, in quanto produttrice
di ricchezza; o di evadere altrimenti le imposte indirette, cioè le imposte
che il contribuente paga in quanto ultimo “anello” di una serie di
adempimenti che iniziano ad opera del produttore e che, passando per i
rivenditori all’ingrosso di beni, giungono al consumatore finale, cioè per
l’appunto, il contribuente come poc’anzi descritto; avvalendosi di fatture o
altri documenti per operazioni inesistenti indica in una dichiarazione dei
redditi ai fini fiscali elementi passivi fittizi. Cosa vuol dire “elementi
passivi fittizi”? A mio modo di vedere per elementi passivi fittizi devono
essere intesi quegli elementi contabili che vengono ad arte falsificati dal
contribuente inserendo nel bilancio della propria posizione reddituale o
societaria, indicatori di passività, e quindi non soggetti ad imponibilità, ma
anzi in alcuni casi a detrazioni di imposta, per avvalersi delle agevolazioni
che l’Autorità finanziaria prevede in tali casi. Insomma la fattispecie
delineata richiede, ai fini della configurazione dell’illecito, che il
contribuente dissimuli nella propria dichiarazione, la titolarità di redditi che
vengono occultati al Fisco attraverso dichiarazioni mendaci al fine di
sottrarsi alle conseguenze dell’evasione sul proprio bilancio, ciò
aumentando le passività e riducendo le attività, che se in tutto o in parte
dichiarate, determinerebbero un maggiore imponibile e quindi
l’impossibilità di accedere ad esempio ad una detrazione di imposta o ad
una deduzione o comunque sia ad un “credito di imposta”.
254
L’art. 3 del Decreto in parola stabilisce, in tema di dichiarazione
fraudolenta, che fuori dei casi previsti nell’articolo precedente, sono altresì
puniti coloro che emettono dichiarazioni volutamente inesatte, ove
ricorrano i seguenti due presupposti: l’imposta evasa è superiore a 75.000
euro; l’ammontare complessivo degli elementi di bilancio occultati è
superiore al 5% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati
in dichiarazione e comunque superiori a 1,5 milioni di euro.
L’art. 4, fuori dei casi previsti dai precedenti articoli, punisce coloro che
redigono e sottopongono all’Amministrazione finanziaria una dichiarazione
infedele, al ricorrere di due requisiti: l’imposta evasa è superiore a 100.000
euro; l’ammontare degli elementi attivi non dichiarati è superiore al 10%
del complessivo ammontare degli elementi attivi indicati nella
dichiarazione o comunque è superiore a 2.000.000 di euro.
L’art. 5 prevede invece un caso diverso di comportamento illecito da parte
del contribuente, ossia la fattispecie della “omessa dichiarazione”. La
fattispecie si realizza allorché chiunque, al fine di evadere le imposte sui
redditi, cioè dirette, o sul valore aggiunto, cioè indirette; non presenta una
delle dichiarazioni annuali che debbono essere portate a conoscenza della
Amministrazione finanziaria al fine della determinazione dell’imponibile,
se il totale delle imposte evase è superiore a 75.000 euro.
L’articolo 6 prevede che i reati di cui agli articoli precedenti non sono
punibili a titolo di tentativo, anche perché, se mi è concesso dire, il
tentativo sarebbe difficilmente configurabile.
L’art. 7, a differenza degli articoli che lo precedono, introduce nel disposto
del Capo I del Titolo II del presente Decreto, alcune agevolazioni a favore
255
del contribuente in tema di dichiarazione infedele. E’ cioè disposto che, se
il contribuente redige una dichiarazione dei redditi inesatta, ma allo stesso
tempo tale inesattezza debba considerarsi “non voluta” sulla base della
considerazione delle modalità di redazione, che sono uguali a quelle dei
periodi di imposta precedenti, allora tali circostanze non danno luogo ad un
fatto punibile. E non danno luogo a fatti punibili le valutazioni estimative
che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10% da
quelle corrette.
Il Capo II del Decreto in parola contiene quattro articoli, e cioè 8, 9, 10 e
11. Il primo degli articoli citati punisce il rilascio di fatture false o altri
documenti per operazioni inesistenti. Per comprendere il disposto del
presente articolo mi pare doveroso introdurre un breve excursus sulla
fattispecie delle “fatture false”. Il fenomeno in parola, assai dannoso ad una
corretta attività della Amministrazione finanziaria, si verifica soprattutto
nelle grandi aziende, a maggior ragione se si tratti di s.p.a. o altre società di
capitali, laddove il capitale sociale è rappresentato da azioni oggetto di
scambi nei mercati regolamentati di borsa. Dato che l’andamento dei titoli
di riferimento di una s.p. a. quotata è assai soggetto a movimenti che, sulla
base delle informazioni disponibili, non possono essere previsti, si verifica
la circostanza per cui una società di capitali subisca perdite patrimoniali
anche esse non previste. Per fare fronte a tali perdite, dette società
dovrebbero ridurre il capitale azionario in ragione delle perdite subite, ma
così facendo priverebbero gli azionisti di una percentuale del capitale
incorporato in ciascuna azione, esponendosi al risentimento di coloro che
hanno investito in azioni della stessa ipotetica società, i quali non
accetterebbero di buon grado né una riduzione del capitale sociale, né un
ridimensionamento dell’attività economica della società in parola. Ed ecco
256
che in tale contesto può verificarsi la fattispecie di reato prevista
dall’articolo in parola, e cioè l’emissione di fatture che contengono importi
maggiori rispetto al valore reale delle operazioni effettuate, così da
consentire alla nostra ipotetica società di capitali di rimanere sul mercato
attraverso una “finzione” consistente nel lasciare formalmente intonso il
valore di ogni singola azione, sebbene ciascuna azione contenga, a seguito
dell’operazione evasiva, un valore inferiore “di fatto” a quello che aveva
prima della “crisi di borsa”.
L’art. 9 sanziona il concorso di persone in materia di utilizzazione di fatture
o altri documenti per operazioni inesistenti, il quale concorso viene
dichiarato non punibile ai sensi dell’art. 2 e dell’art. 8 del presente decreto.
Anche a questo punto del discorso mi pare doveroso un piccolo excursus,
questa volta in materia di concorso di persone in un reato. Come può essere
definito il concorso di persone nel reato? L’art. 110 c.p. sanziona allo
stesso modo, in caso di più persone che commettono lo stesso reato, tutti
coloro che partecipano alla commissione del reato, applicando la stessa
pena a ciascuno dei compartecipi. L’art. 9 si pone in deroga all’art. 110 c.p.
stabilendo la non punibilità a titolo di concorso nel reato di coloro che
emettano fatture o altri documenti falsi. La ratio della deroga mi pare
essere quella della minore gravità della fattispecie e del principio della
personalità dell’obbligo contributivo.
Tralasciando gli artt. 10 e 11 del Titolo II, e focalizzando l’attenzione sul
Titolo III, rileva innanzitutto l’art. 13, il quale prevede uno sconto di pena,
ove il contribuente si impegni ad estinguere o direttamente estingua il
debito tributario attraverso il pagamento degli importi dovuti, ciò
257
costituendo una circostanza attenuante, che quindi andrà ad incidere sul
regime di pena in senso favorevole al reo.
Altra circostanza attenuante è prevista dall’art. 14 in tema di riparazione
dell’offesa nel caso di estinzione per prescrizione del debito tributario. Ove
i debiti di cui al precedente articolo siano estinti, l’imputato può chiedere di
essere ammesso a pagare una somma da lui indicata ai fini della estinzione
dei residui debiti.
Ulteriore garanzia nei confronti del contribuente è prevista dall’art. 15, il
quale contiene l’inciso per cui non sono punibili le violazioni della Legge
tributaria laddove esse violazioni si siano verificate in dipendenza da
obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione
delle norme violate.
Assai interessante mi pare essere il disposto dell’art. 16, il quale stabilisce
che non dà luogo a fatto punibile chi, sulla base dell’art. 21, commi 9 e 10,
della Legge 30 dicembre 1991, n. 413, si è uniformato ai pareri del
Ministero delle finanze o del Comitato consultivo per l’applicazione delle
norme antielusive, pareri previsti dalle predette disposizioni, ovvero ha
compiuto le operazioni esposte nell’istanza sulla quale si è formato il
silenzio assenso.
Una disciplina della prescrizione dei delitti previsti dal Decreto in
commento è contenuta nell’art. 17 il quale dispone che i delitti di cui agli
articoli precedenti vedono interrompersi la prescrizione che li riguarda, ad
opera oltre che dell’art. 160 del c.p., del verbale di constatazione o dall’atto
di accertamento delle relative violazioni.
258
Tralasciando l’art. 18 del Titolo III, il quale detta i criteri di individuazione
della competenza per territorio, vorrei passare a una breve nota concernente
il Titolo IV, che all’art. 19 pone il principio di specialità, per cui quando
uno stesso illecito contributivo è punito sia da uno degli articoli del Titolo
II del presente Decreto, sia sulla base di una disposizione amministrativa, si
applica la normativa di specie, che prevale sulla normativa di principio.
Passando oltre, il penultimo articolo del Decreto, cioè l’art. 24, sostituisce
l’art. 2 della legge 26 gennaio 1983, n. 18 62 , il cui nuovo ottavo comma
dispone nel senso di una depenalizzazione di alcune fattispecie di illeciti
contributivi. 63
62 All'accertamento delle violazioni provvedono la Guardia di finanza e gli
uffici dell'imposta sul valore aggiunto. Le relative sanzioni sono applicate
dall';ufficio dell'imposta sul valore aggiunto nella cui circoscrizione si
trova il domicilio fiscale del contribuente tenuto ad emettere lo scontrino
fiscale.
Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque manomette o comunque altera
gli apparecchi misuratori previsti nell'articolo 1 o fa uso di essi allorché
siano stati manomessi o alterati o consente che altri ne faccia uso al fine di
eludere le disposizioni della presente legge e' punito con la sanzione
amministrativa pecuniaria da lire due milioni a lire quindici milioni. Con la
stessa sanzione è punito, salvo che il fatto costituisca reato, chiunque,
allo stesso fine, forma in tutto o in parte stampati, documenti o registri
prescritti dai decreti indicati nell'articolo 1 o li altera e ne fa uso o
consente che altri ne faccia uso; nonché chiunque, senza avere concorso nella
falsificazione, fa uso degli stessi stampati, documenti o registri.
(Comma abrogato).
(Comma abrogato).
63 Relazione illustrativa li decreto legislativo, suddiviso nel Titolo I, dedicato alla riforma dei reati
tributari, e nel TitoloII, dedicato alla modifica dell'impianto sanzionatorio amministrativo, dà attuazione
alle previsioni contenute nell'articolo 8 della legge delega per la riforma del sistema fiscale Il legislatore
della legge delega ha individuato, tra le priorità da garantire in sede di riforma, una revisione del sistema
sanzionatorio volta essenzialmente a dare attuazione ai principi di effettività, proporzionalità e certezza
della risposta sanzionatoria dell'ordinamento di fronte a condotte illecite, rilevanti tanto in sede
amministrativa quanto in sede penale, Nel rafforzamento della competitività del Paese a livello
internazionale, che la legge delega persegue nel suo complesso ed a cui tende come obiettivo finale di
lungo periodo, riveste, infatti, un ruolo centrale la stabilità del quadro giuridico di riferimento, da
intendersi riferita non solo alla disciplina sostanziale dei singoli tributi o alla trasparenza e
semplificazione del rapporto fiscale, ma anche alla predeterminazione delle condotte illecite, alla certezza
della misura sanzionatoria, alla rapidità dei tempi di irrogazione della sanzione ed al1a percezione della
pena come risposta adeguata, non vessatoria né di carattere espropriativo. 11 legislatore, codificando i
criteri di delega contenuti all'articolo 8, in altri termini, ha inteso soddisfare le aspettative, apprezzabili
anche nella prospettiva economico-sociale sopra citata, di . tutti gli attori coinvolti, ossia tanto dei
259
contribuenti, interessati a conoscere anticipatamente le conseguenze, in termini soprattutto di rischio, dei
propri comportamenti, quanto dello Stato, preoccupato di presidiare correttamente gli obblighi fiscali con
sanzioni che non siano percepite dal destinatario, potenziale investitore, nazionale o straniero, come
sproporzionate e disincentivanti dì nuove possibili scelte di investimento Tenendo presente questi
interessi, l'articolo g ha dettato importanti linee guida di revisione del sistema, finalizzate, da un lato, ad
articolare meglio i rapporti tra sistema sanzionatorio penale e sistema sanzionatorio amministrativo,
regolati, come noto, dal principio di specialità, e, dall'altro, a ridurre l'area di intervento della sanzione
punitiva per eccellenza· quella penale. ai soli casi connotali da un particolare disvalore giuridico, oltre che
etico e sociale, identificati, in particolare, nei comportamenti artificiosi, fraudolenti e simulatori,
oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ritenuti insidiosi anche rispetto all'attività di controllo, La
riduzione delle fattispecie penali, operata anche attraverso un ripensamento ed una rimodulazione delle
soglie di punibilità e l'individuazione di nuove ipotesi dì non punibilità, nelle intenzioni del legislatore, è
destinata a garantire una più efficace risposta della magistratura ai fatti di reato e, nello stesso tempo, a
riservare all'impianto sanzionatorio amministrativo la repressione dì quelle condotte che si connotano, in
linea di principio, per un disvalore diverso e minore, rispetto al quale, tuttavia, la stessa legge delega detta
uHeriorÌ criteri di revisione. In tal senso, infatti, lo stesso articolo 8 menziona la necessità di attribuire
rilevanza a l'efficacia attenuante o esimente dell'adesione alle forme di comunicazione e di cooperazione
rafforzata a procedere alla revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio
amministrativo al fine di meglio correlare le sanzioni all' effettiva gravità dei comportamenti, tenendo
presente, a tal fine, gli interventi realizzati nel decreto legislativo n. 74 del 2000 ed ancora alla possibilità
di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi previsione che si articola nella individuazione di una
serie 1 di circostanze (dalle condotte proattive del contribuente, ai ritardi lievi fino agli errori sulla
imputazione temporale dei componenti di reddito, per menzionare solo alcune) ritenute- ex sé meritevoli
di trattamenti sanzionatori più lievi. TITOLO I Revisione del sistema sanzionatorio penale tributario Il
presente Titolo intende dare attuazione ai criteri di delega di cui all' articolo 8 della legge n, 23 del 2014,
ai sensi del quale il Governo è stato «delegato a procedere [ ... ] alla revisione del sistema sanzionatorio
penale tributario secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei
comportamenti. La circostanza che la legge di delegazione parli di «revisione», e non già di
«riforma) o di «riscrittura» del diritto penale tributario, lascia intendere come l'intervento debba
comunque muoversi entro le coordinate di fondo del sistema vigente, delineate dal decreto legislativo
marzo 2000, n. 74, a cominciare da quelle della preminente focalizzazione della risposta repressi va sul
momento dell’auto accertamento del debito di imposta, ossia della dichiarazione. Ciò posto, l'analisi
complessi va dei principi e criteri direttivi dettati dal citato articolo 8 rivela come l'operazione affidata al
legislatore delegato debba essere effettuata secondo due principali linee-guida. Come emerge dal primo
dei criteri direttivi in questione, un'attenzione preminente - che prelude ad un tendenziale rafforzamento
della tutela - deve essere rivolta ai «comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e
all'utilizzo di documentazione falsa»: e cioè, in sostanza, ai fatti connotati da una fraudolenza in senso
oggettivo, che si estrinseca nel ricorso ad artificiatti ad ostacolare o a sviare l'azione di accertamento o
esecutiva dell'amministrazione finanziaria. A tali fatti deve essere dato rilievo «tenuto conto di adeguate
soglie di punibilità», tramite la configurazione di fattispecie di reato punibili «con la pena detentiva
compresa fra un minimo di sei mesi e un massimo di sei anni», rimanendo altresì esclusa la possibilità di
ridurre le pene minime previste dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del decreto-legge
13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148». AI
riguardo, occorre peraltro osservare che la legislazione vigente prevede già diverse figure criminose
riconducibili al paradigma considerato; tali, in specie, la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture
o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000), la
dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (articolo 3 del decreto legislativo n. 74 del 2000),
l'emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 8 del decreto legislativo n, 74
del 2000), la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (articolo Il, comma l, del decreto legislativo
n. 74 del 2000), l'esibizione o la trasmissione di falsa documentazione, punita, unitamente all'ipotesi
alternativa delle risposte non veritiere, dalla norma di cui all'articolo Il del decreto-legge 6 dicembre
2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Profili di fraudolenza
in senso oggettivo potrebbero essere riscontrati anche nel delitto di indebita compensazione (articolo 10-
quater del decreto legislativo n. 74 del 2000), che postula la sottrazione del contribuente al pagamento
delle somme dovute tramite l'astensione di credili non spettanti a inesistenti. A fronte di ciò, si è
ritenuto che l'indicazione del legislatore delegante debba trovare attuazione tramite una calibrata
estensione della fattispecie generale della dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (articolo 3 del
260
decreto legislativo), la cui attuale configurazione risulta eccessivamente restrittiva tanto sul versante
soggettivo (trattandosi di reato proprio dei soli soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili), che
su quello oggettivo (stante la particolare complessità dell'architettura del tipo criminoso, a struttura
trifasica). Per quanto attiene, invece, ai fatti privi di connotati di fraudolenza in senso oggettivo, i criteri
di delega chiamano il legislatore delegato ad interventi di segno tendenzialmente mitigatore, tramite la
previsione della «possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni
amministrative anziché penali, tenuto conto anche di adeguate soglie di punibilità». In attuazione dì
siffatto criterio, è stata introdotta una soglia di punibilità dei fatti di omesso versamento di ritenute
certificate (art. 18·bis del d.lgs. n. 74 del 2000) e di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto
(articolo 10·ter del d. lgs. n. 74 del 2000), al dì sotto della quale il ricorso a misure sanzionatorie di tipo
amministrativo - peraltro già previste dalla legislazione vigente - appare proporzionato alle caratteristiche
dell'illecito. AI Governo è stato, altresì, richiesto, in modo specifico, di procedere alla «revisione del
regime della dichiarazione infedele [ ...] al fine di meglio correlare, nel rispetto del principio di
proporzionali, le sanzioni all'effettiva gravità dei comportamenti». Si è ritenuto, in particolare, che - anche
alla luce dei lavori preparatori della legge delega e proprio in un'ottica di garanzia della certezza del
diritto - detta revisione debba essere ispirata al preminente fine di escludere la rilevanza penale delle
operazioni di ordine classificatorio aventi ad oggetto elementi attivi o passivi effettivamente esistenti, in
modo da limitare tendenzialmente la sfera applicativa della figura criminosa - priva di connotati di
fraudolenza - al solo mendacio su dati oggettivi e reali, Passando all'esame delle singole disposizioni,
l'articolo 1 del decreto modifica l'art. I del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, dedicato alle norme
definitorie, volte a fornire opportuni chiarimenti in ordine alla valenza dei termini impiegati nei titoli
successivi, nella duplice ottica di prevenire dubbi interpretativi e di rendere più asciutta e meglio
leggibile, grazie all'uso di espressioni contratte, la formulazione dei singoli prescritti normativi, viene
chiarita ed integrata la portata delle stesse, prevedendo: nella lettera b) dell'articolo l, che reca una
espressione di sintesi (elementi attivi o passivi) valevole, in particolare, riguardo alle fattispecie
criminose concernenti la dichiarazione - atta a comprendere tutte le voci, comunque costituite o
denominate, che concorrono, in senso positivo o negativo, alla determina7jone del reddito o delle basi
imponibili rilevanti ai fini dell'applicazione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, le componenti
che incidono sulla determinazione dell'imposta dovuta (si pensi, ai crediti d'imposta ed alle ritenute). Ciò
ad evitare rischi in termini di incertezze interpretative e di possibili lacune; . nella lettera cl, che reca la
definizione di dichiarazione, sono state inserite anche le dichiarazioni presentate dal sostituto d'imposta,
in accoglimento della condizione di cui alla lettera a) del parere reso dalle Commissioni riunite (Giustizia)
e (Finanze) della Camera dei deputati, con l'ulteriore specificazione nei casi previsti dalla legge - alla
lettera f) che fornisce la definizione dì imposta evasa, laddove è previsto che deve considerarsi tale la
differenza fra l'imposta effettivamente dovuta e quella che è stata indicata in 3 dichiarazione, ovvero
l'intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al net10 delle somme che il contribuente, od
altri in sua vece (nella veste, segnatamente, di sostituito d'imposta), abbiano versato a qualunque titolo
(acconto, ritenuta, ecc.) in pagamento dell'imposta prima della presentazione della dichiarazione o della
scadenza del relativo termine, viene specificato che non si considera imposta evasa quella teorica
collegata sia ad una rettifica in diminuzione di perdite dell'esercizio che all'utì1izzo di perdite pregresse
spettanti e utilizzabili. Non si è ritenuto di aderire all'osservazione di cui alla lettera a) del parere reso
dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze e tesoro del Senato della Repubblica non avendo
attinenza con le finalità della lettera c) dell'art. 1 del presente decreto dopo la lettera g) vengono
aggiunte due definizioni; alla lettera g-bis), viene chiarito che per operazioni simulate oggettivamente o
soggettivamente si intendono le operazioni poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in
parte ovvero le operazioni apparenti, diverse da quelle disciplinate dall'art. 10-bis della legge n. 212 del
2000 (in accoglimento della condizione di cui alla lettera c) del parere reso dalle Commissioni riunite Il
(Giustizia) e VI (Finanze) della Camera dei deputati le parole non integranti originariamente contenute
nel testo, sono state sostituite con le parole diverse riferite a soggetti fittiziamente interposti. In
accoglimento della condizione di cui alla lettera b) del parere reso Commissioni riunite II (Giustizia) e VI
(Finanze) della Camera dei deputati, nella definizione delle operazioni simulate oggettivamente e
soggettivamente, è stata dunque valorizzata l'apparenza della situazione oggettiva caratterizzante la
simulazione. Alla lettera g, ter) vengono, invece, definiti i mezzi fraudolenti, intendendosi per tali le
condotte artificiose che determinano una falsa rappresentazione della realtà; l'elemento materiale può
consistere sia in condotte attive, sia in condotte omissive; in questo ultimo caso, però, l'obbligo dì agire
deve essere imposto da una specifica norma giuridica. Non si è ritenuto, invece, di accogliere
l'osservazione di cui alla lettera b) del parere reso dalle Commissioni riunite 2 Giustizia e 6 Finanze e
261
tesoro del Senato della Repubblica, in quanto per espressa previsione dellart. 1, comma 5, del decreto
legislativo 5 agosto 2015, n. 128, le disposizioni di cui all'art. 10-bis della legge n. 212 del 2000, hanno
efficacia a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla data di entrata in vigore del citato decreto
legislativo n. 128 del 2015 (fissata al 2 settembre 2015), ossia dall’ ottobre 2015 e si applicano anche alle
operazioni poste in essere in data anteriore alla loro efficacia per le quali, alla stessa dam, non sia stato
notificato il relativo atto Impositivo; si ritiene, pertanto, che il riferimento al predetto art. 10-bis della
legge n. 212 del 2000, sotto il profilo evidenziato, possa permanere. L'articolo 2 del decreto modifica l'art,
2, comma l, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, nel senso dì ampliare il novero delle
dichiarazioni rilevanti al fine del reato ivi previsto, attraverso la soppressione del riferimento alla
annualità delle stesse. L'articolo 3 modifica la norma incriminatrice della dichiarazione fraudolenta
mediante altri artifici (articolo 3 del decreto legislativo n, 74 del 2000), dilatandone i confini applicativi in
linea con le indicazioni della legge delega. Alla luce dell' attuale descrizione normativa, la condotta
costitutiva del delitto presenta, infatti, un carattere complesso, articolandosi in una sorta di catena
fraudolentacomposta da tre segmenti distinti: la inveritiera dichiarazione del redditi o, ai finì
dell'imposta sul valore aggiunto, uria "falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie" che
serva di base» al predetto mendacio e l'utilizzazione di «(mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne
l'accertamento». 4 Con la modifica del comma l del citato articolo 3, la struttura dell'illecito viene
semplificata, tramite l'eliminazione dell'elemento della «falsa rappresentazione nelle scritture contabili
obbligatorie». In tal modo, la sfera operativa della figura criminosa risulta ampliata tanto sul versante
soggettivo che su quello oggettivo. Da un lato, infatti, il delitto si trasforma da reato proprio dei soli
contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili - quale è attualmente - in reato ascrivibile a
qualunque soggetto tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi o a fini dell'imposta sul valore
aggiunto, con conseguente rimozione di un limite soggettivo di operatività apparso privo di sufficiente
giustificazione. Dall'altro lato, la condotta incriminata cessa di essere trifasica, per divenire bifasica
(mezzi fraudolenti falsa dichiarazione); correlativamente, i «mezzi fraudolenti», che trovano un primo
arricchimento contenutistico nella lettera g-ter) dell'articolo 1 sopra illustrata, devono esprimere la loro
natura fraudolenta nella capacità di ostacolare l'accertamento (non più della falsa rappresentazione
contabile, ma in modo diretto delle indicazioni in veritiere contenute nella dichiarazione) quanto nella
capacità di ingannare l'amministrazione finanziaria, requisito indefettibile di ogni condotta fraudolenta in
ambito tributario; non si è ritenuto di accogliere la condizione di cui alla lettera d) del parere reso dalle
Commissioni riunite II Giustizia e VI Finanze della Camera dei deputati in quanto l'induzione in errore è
coerente con la natura fraudolenta del mezzo adoperato. Con le modifiche, pertanto, viene eliminato uno
degli imprescindibili e separati elementi costitutivi della condotta (ossia la falsa rappresentazione nelle
scritture contabili obbligatorie), circostanza che impone un ampliamento dei potenziali autori del reato,
ormai realizzabile dai soggetti tenuti alla presentazione della dichiarazione dei redditi anche se non
vincolati alla tenuta delle scritture contabili obbligatorie. L'elemento soppresso, ad ogni modo, non pare
affatto aver perso ogni rilievo, comunque, ai fini della nuova configurazione del reato, essendo possibile,
adesso considerare che documenti falsi valgono ad integrare la condotta del reato in quanto sono
registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti
dell'amministrazione finanziaria (comma 2). L'alternativa (segnalata dalla congiunzione disgiuntiva
ovvero) tra operazioni simulate e l'utilizzo di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad
ostacolare l'accertamento testimonia l'equipollenza di tali elementi (operazioni simulate, documenti
falsi e altri mezzi fraudolenti) c la autosufficienza di ciascuno di essi ad integrare la condotta del delitto,
in parte innovando rispetto al precedente necessario collegamento e coordinamento teleologico dei singoli
elementi. La descrizione degli artifici di supporto della dichiarazione fraudolenta ricalca le previsioni
della prima parte dell'articolo 8, comma I, della legge delega, mutandone semplicemente l'ordine
(operazioni simulate, uso di documenti falsi, altri mezzi fraudolenti: quest'ultimo è, in effetti, il genus che
abbraccia le precedenti species, la cui menzione preliminare giova, peraltro, ad illuminare la valenza del
concetto di (fraudolenza). Al riguardo, è parso preferibile continuare ad impiegare la formula «mezzi
fraudolenti», anziché «comportamenti fraudolenti) (come nella legge delega), anche per garantire la
continuità con gli approdi interpretati vi al riguardo raggiunti nell'ormai significativo periodo di vigenza
del decreto legislativo n. 74 del 2000. Fermi restando gli altri elementi, viene rivista la soglia di punibilità
in riferimento all'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione che deve essere
superiore ad un milione cinquecentomila curo ed introdotta la soglia rapportata all'ammontare
complessivo 5 dei crediti e delle ritenute fittizi in diminuzione dell'imposta superiore al cinque per cento
dell'ammontare dell'imposta medesima o comunque a euro trentamila. Il nuovo comma 2 dell'articolo 3
del decreto legislativo n, 74 del 2000 riprende, mutatis mutandis, l'indicazione già contenuta nel comma 2
262
dell'articolo 2 del medesimo decreto a proposito del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di
fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, precisando in quali casi il fatto si considera commesso
avvalendosi di documenti falsi (ciò avviene, in specie, quando tali documenti sono registrati nelle
scritture contabili obbligatorie o sono comunque detenuti a fini di prova nei confronti
dell'amministrazione finanziaria). Si tratta di precisazione resa necessaria dal fatto che il delitto si
consuma con la presentazione della dichiarazione, alla quale, in base alla disciplina tributaria in vigore,
non deve essere allegata alcuna documentazione. II successivo comma 3 chiarisce, per altro verso, che
non rientra tra i «mezzi fraudolenti», presi di mira dalla norma incriminatrice, la mera violazione degli
obblighi di fatturazione o di emissione di altri documenti di rilievo probatorio analogo (scontrini fiscali,
documenti di trasporto, ecc.) e di annotazione dei corrispettivi nelle scritture contabili, o la mera
indicazione nelle fatture o nei documenti ovvero nelle annotazioni di corrispettivi inferiori a quelli reali.
Non si è ritenuta accoglibile la condizione di cui alla lettera e) del parere reso dalle Commissioni riunite Il
Giustizia e VI Finanze della Camera dei deputati, in quanto non pienamente conforme al principio
contenuto nella legge delega, secondo il quale deve essere dato rilievo a comportamenti fraudolenti,
simulatori o finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa (art. 8, comma 1, legge n. 23
del 2014). mentre nella specie trattasi di sola indicazione di elementi attivi inferiori a quelli reali, non
accompagnata da elementi fraudolenti. Una volta venuto meno il riferimento alla falsa rappresentazione
contabile, quale requisito dì fattispecie aggiuntivo rispetto ali 'utilizzo di mezzi fraudolenti, la
giurisprudenza potrebbe essere indotta li ricondurre le suddette violazioni a quest' ultimo concetto: e ciò
soprattutto nel caso di indicazione di corrispettivi inferiori a quelli effettivi nelle fatture
(sottofatturazione) o nelle annotazioni nelle scritture, potendosi in tal caso ipotizzare che si sia di fronte
alla creazione (e al conseguente utilizzo a supporto della dichiarazione) di documenti ideologicamente
falsi. In questo modo, si determinerebbe, peraltro, un effetto decisamente inopportuno, anche in rapporto
alle esigenze di deflazione del settore penale tributario. Nei confronti dei contribuenti tenuti alla
fatturazione e alla tenuta delle scritture contabili, i fatti di evasione attualmente qualificabili come
dichiarazione (semplicemente) infedele si trasformerebbero. per la gran parte, in fatti di dichiarazione
fraudolenta, peraltro con soglie di punibilità notevolmente più basse. L'estensione del campo applicativo
dell'articolo 3 del decreto legislativo n, 74 del 2000 costituisce, dunque, puntuale attuazione del principio
dell'articolo 8 della legge delega, secondo cui va dato rilievo ai comportamenti fraudolenti, simulatori o
finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa, L'articolo 4 aggiunge all'articolo 4 del
decreto legislativo n, 74 del 2000 nuovi commi, che implicano una significativa modifica della disciplina
penalistica della dichiarazione infedele. AI riguardo, va rilevato che le risultanze dei lavori parlamentari
relative alla legge delega appaiono univoche nel senso che la prefigurata revisione di detta disciplina deve
attuarsi nella direzione dell’ "alleggerimento" della situazione attuale. Dalla stessa relazione alla proposta
di legge n. 282/C (e, prima ancora. dalla relazione al disegno di legge n. 5291/C della scorsa legislatura,
che 6 ne costituisce il diretto antecedente) emerge, in particolare, come ì1legislatore delegante abbia visto
con sfavore il fatto che l'attuale descrizione del fatto incriminato - la quale, per un verso, prescinde da
comportamenti fraudolenti e, per altro verso, rende penalmente rilevanti non solo le omesse o mendaci
indicazioni di dati oggettivi, ma anche l'effettuazione di valutazioni giuridico-tributarie difformi da quelle
corrette - comporti la creazione di una sorta di rischio penale; a carico del contribuente, correlato agli
ampi margini di opinabilità e di incertezza che connotano i risultati di dette valutazioni: rischio penale
non sufficientemente circoscritto dalla previsione di un dolo specifico di evasione (nella relazione alla
proposta di legge n. 282/e si prospetta, cosi, l'esempio del contribuente portato a giudizio
unicamente per aver imputato un costo o un ricavo fuori competenza,»). Come è stato da più parti
evidenziato, il fenomeno ora indicato è foriero di conseguenze pregiudizievoli anche in termini
macroeconomici. Sul piano della "competizione tra ordinamenti", esso rischia, infatti, di tradursi in un
disincentivo alla allocazione delle imprese sul territorio italiano, stante la prospettiva che una semplice
divergenza di vedute tra contribuente e organi dell'accertamento fiscale in ordine agli esiti delle
operazioni valutati ve considerate porti, con inesorabile automatismo, all'avvio di un procedimento
penale. In questa prospettiva, il nuovo comma l-bis dell'articolo 4 del decreto legislativo prevede che, ai
finì della configurabilità del delitto di dichiarazione infedele, non si debba tenere conto della non corretta
classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i
criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati in bilancio o in altra documentazione
rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della
non inerenza e della non deducibilità di elementi passivi reali. Il nuovo comma l ter stabilisce, inoltre, che
non danno comunque luogo a fatti punibili a titolo di dichiarazione infedele le valutazioni che
singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette e che degli
263
importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di
punibilità previste dal comma J, lettere a) e b). Tale ultima previsione dispone che degli impartì
compresi entro lo «scarto tollerato) non dovrà tenersi conto (anche quando lo scarto complessivo
eccedesse il limite del dieci per cento) nella verifica del superamento delle soglie di punibilità del delitto
concernente la dichiarazione infedele. In accoglimento della condizione di cui alla lettera h) del parere
reso dalle Commissioni riunite Il Giustizia e VI Finanze della Camera dei deputati, le parole in ogni
caso, contenute nella originaria formulazione del comma l ter, SODO state sostituite dalle seguenti:
Fuori dai casi di cui al comma l-bis al fine di distinguere le due diverse fattispecie. Viene anche
modificata la soglia di punibilità indicata nell'articolo 4, comma l, lettera a), corrispondente alla soglia di
imposta evasa, elevata da cinquantamila a centocinquantamila euro nonché quella del valore degli
elementi annui sottratti a imposizione, elevata da due a tre milioni di euro. Il nuovo limite appare
congruo ad evitare una proliferazione eccessiva del rischio penale e mantenere al contempo un adeguato
livello di sanzionabilità. In accoglimento della condizione di cui alla lettera g) del parere reso dalle
Commissioni riunite Il Giustizia e VI Finanze della Camera dei deputati, è stata inserita al comma l
dell'articolo 4, del presente decreto la lettera d) al fine di sostituire la parola fittizi, ovunque presente
nell'art. 4 del decreto legislativo n. 74 del 2000, con la parola inesistenti. Non 51 il ritenuto, invece, di
aderire all'osservazione di cui alla lettera c) del parere reso dalle Commissioni riunite 2 Giustizia e 6
finanze e tesoro del Senato della Repubblica, dato 7 il rischio di incertezza nell'applicazione della norma
penale che tale intervento potrebbe generare. L'osservazione di cui alla lettera d) del citato parere reso
dalle Commissioni riunite Giustizia e finanze e tesoro del Senato della Repubblica risulta, invece,
assorbita dall'accoglimento della condizione di cui alla lettera h) del parere resto dalle Commissioni
riunite n Giustizia e VI Finanze della Camera dei Deputati. Non si è ritenuta l'opportunità di innalzare le
pene previste dagli articoli 3 (Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) e 4 (Dichiarazione
Infedele) del decreto legislativo n. 74 del 2000, in relazione all’osservazione di cui al n. 3) del parere reso
dalle Commissioni riunite II Giustizia e VI Finanze della Camera dei Deputati in quanto le stesse sono
state considerate adeguate alla gravità dei rispettivi reati. Con l'articolo S del decreto, allo scopo di punire
le condotte dei sostituti d'imposta che non presentano, essendovi obbligati, la dichiarazione di sostituto
d'imposta, è stata introdotta all'art. 5 del decreto legislativo n, 74/2000 la relativa fattispecie delittuosa che
si configura quando l'ammontare delle ritenute non versate è superiore a cinquantamila euro. La
fattispecie è punita con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni (l'originario comma l-bis è stato
modificato in accoglimento della condizione di cui alla lettera i) del parere reso dalle Commissioni riunite
II Giustizia e VI Finanze della Camera dei deputati). In accoglimento dell'osservazione di cui alla lettera
e) del parere reso dalle Commissioni riunite 2A Giustizia e 6" Finanze e tesoro del Senato della
Repubblica, si è provveduto a modificare Il comma 2 dell'art. 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000 al
fine di estendere l'ambito oggettivo della disposizione anche alla previsione di cui al comma l-bis,
introdotto dall'art. S, comma 1, lett. a) del presente decreto (vedi comma l, letto b dell'art. 5 in
commento). Non si è ritenuto, invece, di accogliere lo condizione di cui alla lettera f) del parere reso dalle
Commissioni riunite II Giustizia e VI Finanze della Camera dei deputati finalizzato all'individuazione,
con riferimento ai reati di omessa dichiarazione (art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000), di omesso versamento di
ritenute certificate (art. 10-hls d.lgs. n. 74 del 2000) e di omesso versamento IVA (art. 10-ter d.lgs. n. 74
del 2000), di una più idonea qualificazione delle condotte omissive di versamenti o di ritenute e delle
relative pene, laddove qualificate da strategie fraudolente non riconducibili a reali situazioni di crisi
aziendale, trattandosi di condotte rientranti in diverse e già previste ipotesi di reato (art. 2 - Dichiarazione
fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti - e art 3 - Dichiarazione
fraudolenta mediante altri artifici). Con l'articolo 6 è stato modificato l'art. 10 del decreto legislativo n. 74
del 2000 prevedendo un innalzamento della pena (da un anno e sei mesi fino a sei anni di reclusione) per
chi al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l'evasione a terzi,
occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la
conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. E' stata
inoltre chiarita, con l'articolo 7, la portata dell'omesso versamento di ritenute dovute sulla base della
dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti di cui all'articolo 10 bis (mediante
l'aggiunta del riferimento alle ritenute dovute sulla base della 8 dichiarazione) ed è stata innalzata la
soglia di non punibilità da cinquantamila euro a centocinquantamila, per ciascun periodo d'imposta per
chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto
di imposta le ritenute risultanti quali dovute sulla base della dichiarazione o della certificazione rilasciata
ai sostituiti. In accoglimento dell'osservazione di cui alla lettera f) del parere reso dalle Commissioni
riunite II Giustizia e VI Finanze e tesoro del Senato della Repubblica, si il proceduto ad integrare la
264
rubrica del novellato art. IO-bis del decreto legislativo n. 74 del 2000, in materia di omesso versamento di
ritenute certificate, tenendo conto delle modifiche introdotte e, in particolare, dell'estensione del
comportamento omissivo non più alle sole ritenute certificate ma anche a quelle dovute sulla base
della dichiarazione annuale del sostituto d'imposta. Dando seguito al criterio direttivo che demanda al
Governo di applicare per \e fattispecie meno gravi «sanzioni amministrative anziché penali», articolo 8
del decreto introduce una soglia di punibilità per il delitto di omesso versamento dell'imposta sul valore
aggiunto (articolo 10-ter del decreto legislativo n, 74 del 2000). pari ad euro duecentocinquantamila per
ciascun periodo d'imposta, In rapporto ai fatti di omesso versamento dell'IVA al di sotto della soglia si
sono ritenute, pertanto, sufficienti le sanzioni amministrative già comminate dall'articolo 13 del decreto
legislativo 18 dicembre 1997, n, 471: sanzioni che, in base al corrente orientamento della giurisprudenza
di legittimità, si cumulano alla pena prevista dall'articolo 10-ter del decreto legislativo n, 74 del 2000,
Non si è ritenuto di accogliere la condizione dì cui alla lettera j) che, con riferimento ai reati di omesso
versamento di ritenute certificate (art. 10 d.lgs. n. 14 del 2000, come modificato dall'articolo 7 del
presente decreto) e omesso versamento IVA (art. 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000, come modificato
dall'articolo 8 del presente decreto) richiede l'uniformazione delle soglie di punibilità rapportando anche
la soglia di non punibilità relativa all'omesso versamento IVA a 150.000 euro, ritenendosi la
differenziazione delle soglie più rispondente al principio di adeguatezza delle soglie di punibilità alla
gravità della condotta sancito dall'art. 8, comma 1, della legge n. 23 del 2014. L'intervento di cui
all'articolo 9 del decreto sostituisce l'art, 10-quater del decreto legislativo n, 74 del 2000. prevedendo la
reclusione da sei mesi a due anni per chi non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai
sensi dell'articolo 17, del d.lgs, 9 luglio 1997, n.24, crediti non spettanti. per un importo annuo superiore
ai cinquantamila curo, Una nuova disposizione punisce la fattispecie estremamente offensiva dell'utilizzo
in compensazione, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n, 241, di crediti
inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro, con la reclusione da un anno e
sei mesi a sei anni. L'osservazione di cui alla lettera g) del parere reso dalle Commissioni riunite
Giustizia e: Tesoro del Senato della Repubblica non necessita di recepimento per i motivi di
seguito esposti. 9 Il discrimen definitorio tra la nozione di crediti non spettanti e quello dì crediti
inesistenti è contenuto nell'articolo 15, comma I, lettera o) del decreto, che modifica l'articolo 13 del
d.lgs. n. 471 del 1997, laddove è stata inserita, tra l'altro, la disciplina dell'utilizzo in compensazione di un
credito inesistente prima contenuta nel D.L. 185 del 2008 che la medesima disposizione definisce come il
credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e III cui inesistenza
non sia riscontrabile mediante controlli automatizzati di cui agli articoli 36·bis, 36·ter del D.P.R. 29
settembre 1973, n. 600, 54-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972. n. 633. La stessa relazione illustrativa
chiarisce che devono, pertanto, escludersi dall'ambito applicativo della disposizione tutte quelle ipotesi in
cui l'inesistenza del credito emerga direttamente da detti controlli operati dall'Amministrazione nonché
quelle ipotesi di utilizzazione di crediti in violazione di regole di carattere procedurale non prescritte a
titolo costitutivo del credito stesso. L'articolo 10 del decreto ha carattere solo in parte innovativo,
limitandosi a fornire una collocazione normativa più adeguata alla disposizione indefinita in tema di
confisca obbligatoria per delitti tributari, anche nella forma per equivalente, recata dall'articolo l, comma
143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244. La disposizione - che avrebbe dovuto essere comunque
ritoccata; dal presente decreto, in relazione alla prevista abrogazione di una delle fattispecie delittuose
da essa richiamate (quella relativa all'omesso versamento dell'IVA) - viene inserita all'interno del decreto
legislativo n. 74 del 2000, tra le «Disposizioni comuni», come nuovo articolo 12-bis. Nell'occasione, al
fine di una più immediata leggibilità, la nonna è stata riformulata senza modificarne la portata,
sostituendo l'attuale rinvio all'articolo 322·ter del codice penale con una diretta esplicitazione del
comando legislativo. Il contenuto della condizione di cui alla lett. k) del parere reso dalle Commissioni
riunite Il Giustizia e VI Finanze della Camera dei deputati appare condivisibile nelle motivazioni fornite
dalla Commissione, ma la formulazione andrebbe modificata. Il comma 2 dell'articolo 10, capoverso e art.
12 bis presenta una formulazione suscettibile di ingenerare dubbi applicativi, prevedendo che «la confisca
non opera per la parte che può essere restituita all'Erario». La perplessità nasce, come afferma la stessa
Commissione, dall'impiego del verbo modale “potere”, che autorizza un' interpretazione in forza della
quale ai giudice sarebbe preclusa la possibilità di disporre la confisca Il seguito della sentenza di
condanna nei casi nei quali il quantum di imposta evasa “possa” essere restituito all'Erario e dunque: non
sia già stato restituito, Situazione che esporrebbe al consistente rischio di vanificare da un lato
l'efficienza della risposta sanzionatoria e, dall'altro, di spingere l'agente a non restituire le somme dovute.
Allo scopo di evitare incertezze applicative, volendo prendere in considerazione anche le fattispecie nelle
quali sia in atto un sequestro per equivalente prodromico alla confisca e si volesse, tuttavia, consentire al
265
contribuente di utilizzare quanto in sequestro per provvedere alla restituzione all’Erario, ovvero quando,
comunque, sussista un impegno alla restituzione delle somme e sia previsto che in caso di mancata
restituzione la confisca è sempre disposta, la previsione è stata modificata prevedendo che la confisca
non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all'erario anche in presenza di sequestro.
Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta 10 Le ossenra2!ioni di cui alle lettere h) e
i) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze e tesoro del Senato della Repubblica
risultano assorbite dalla riformulazione del comma 2, in accoglimento della condizione di cui alla lettera
k) del parere reso dalle Commissioni riunite II e VI della Camera dei deputati. Con l'articolo 11 si
sostituisce l'attuale art. 13 del decreto legislativo n. 74 del 2000 - che ora è rubricato Causa di non
punibilità. Pagamento del debito tributario. Una prima novità é rappresentata dalla disposizione che
prevede la non punibilità dei reati di omesso versamento delle ritenute certificate, di omesso versamento
di IVA, di indebita compensazione (limitatamente all'ipotesi di cui al comma l dell'articolo 10 quater)
qualora i debiti tributari. comprensivi di sanzioni e interessi, siano stati integralmente pagati prima
dell'apertura dei dibattimento. Per tale tipologia di reati la causa di non punibilità trova la sua
giustificazione politico criminale nella scelta di concedere al contribuente la possibilità di eliminare la
rilevanza penale della propria condotta attraverso una piena soddisfazione dell'erario prima del processo
penale: in questi casi infatti il contribuente ha correttamente indicato il proprio debito risultando in
seguito inadempiente; il successivo adempimento. pur non spontaneo, rende sufficiente il ricorso alle
sanzioni amministrative. Il comma 2, prevede la non punibilità dei reati di dichiarazione infedele c
omessa dichiarazione nel caso in cui i debiti tributari, comprensivi di sanzioni e interessi, siano stati
integralmente pagati per effetto del ravvedimento operoso, ovvero la dichiarazione omessa sia presentata
entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo, purché
l'interessato non sia a conoscenza di accessi, ispezioni e verifiche già avviati dall'amministrazione
finanziaria, ovvero procedimenti penali: si tratta in questo caso di situazioni nelle quali la spontaneità
della resipiscenza del contribuente, in uno con l'estinzione tempestiva dei debiti giustifica senza bisogno
di ulteriori sanzioni amministrative fa rinuncia alla pena da parte dello Stato. Non si è ritenuta accoglibile
la condizione di cui alla lett. b) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze del
Senato della Repubblica per i motivi di seguito esposti. Le fattispecie previste dal
art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000, presentano profili di diversità che non appaiono idonei a giustificare il
differente tenore delle stesse disposizioni. In particolare, la previsione della non punibilità dei reati di
omesso versamento delle ritenute certificate, di omesso versamento IVA, di indebita compensazione
(limitatamente all'ipotesi di cui al comma l dell'articolo 10-quater) qualora i debiti tributari siano stati
integralmente pagati prima dell'apertura del dibattimento, trova la sua giustificazione politico criminale
nella scelta di concedere al contribuente che abbia correttamente indicato il proprio debito tributario,
risultando in seguito inadempiente, la possibilità di eliminare la rilevanza penale della propria condotta
attraverso la piena soddisfazione dell'erario prima del processo penale. In presenza, pertanto, del
successivo adempimento viene ritenuto sufficiente il ricorso alle sanzioni amministrative. In relazione,
invece, alla previsione recante la non punibilità dei reati di dichiarazione infedele e omessa dichiarazione
nel caso in cui I debiti tributari siano stati integralmente pagati per effetto del ravvedimento operoso,
ovvero nel casi in cui la dichiarazione omessa sia presentata entro il termine di presentazione della
dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo, sempre che l'interessato non sia a conoscenza di
accessi, ispezioni e verifiche già avviati dall'amministrazione finanziaria, ovvero di procedimenti penali,
al tini della rinuncia alla 11 pena da parte dello Stato viene ritenuta necessaria la spontaneità della
resipiscenza del contribuente, in uno con l'estinzione tempestiva dei debiti; Con riguardo alla condizione
prospettata in subordine, secondo la quale l'art. 13, comma l dovrebbe essere riformulato In modo da
introdurre una previsione transitoria ad hoc che consenta una più ampia operatività della causa di
esclusione della punibilità rispetto ai procedimenti pendenti, si rappresenta chetale operatività, a seguito
dell'abrogazione del comma l dell'articolo 31, costituisce una naturale conseguenza dell'entrata in vigore
delle disposizioni di cui all'articolo 13. Nel caso in cui il contribuente, prima dell'apertura del
dibattimento di primo grado, stia provvedendo all’estinzione del debito tributario mediante rateizzazione,
anche ai fini dell'applicabilità delle disposizioni dì cui all'articolo 13·bis (Circostanze del reato), è data la
possibilità allo stesso contribuente di pagare il debito residuo entro tre mesi, termine che può essere
prorogato per ulteriori tre mesi dal giudice una sola volta. ferma restando la sospensione della
prescrizione (comma 3). L'articolo Il inserisce l'art. relativo nel citato decreto legislativo n. 74 del 2000,
prevedendo la diminuzione fino alla metà delle sanzioni, senza applicazione delle pene accessorie, nel
caso in cui il debito tributario è stato estinto mediante pagamento integrale prima dell'apertura del
dibattimento di primo grado, anche a seguito speciali procedure conciliative e di adesione spontanea.
266
accertamento previste dalle norme tributarie. Il comma 2 prevede che per i delitti di cui al presente
decreto l'applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale può essere
chiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma l. nonché il ravvedimento operoso,
fatte salve le ipotesi di cui all'articolo 13, comma 2. Se il reato è commesso dal compartecipe
nell'esercizio dell'attività di consulenza fiscale, esercitata da un professionista o da un intermediario
finanziario o bancario attraverso l'elaborazione di modelli di evasione fiscale (l'originario comma 3 è stato
modificato in accoglimento della condizione di cui alla lettera l) del parere reso dalle Commissioni riunite
II Giustizia e VI Finanze della Camera dei deputati), le pene stabilite per il Titolo II del decreto
legislativo n. 74 del 2000 sono aumentate della metà (comma 3). Non si è, invece, ritenuto di accogliere
la condizione di cui alla lettera c) del parere reso dalle Commissioni riunite II Giustizia e VI Finanze c
tesoro del Senato della Repubblica per i motivi di seguito esposti. In relazione alla previsione di cui
all'articolo 13·bis, comma 3, del decreto legislativo n. 74 del 2000, viene rappresentato che la stessa
risulta in eccesso di delega nella parte In cui consente il superamento del massimo edittale di sei anni,
previsto dal comma 1 dell'articolo 8 della legge delega n. 23 del 2014 (il che avverrebbe per i delitti di cui
agli articoli 2, 3, 8, 10 e 10-quater, comma 2, del decreto legislativo n. 74). Viene precisato che sul punto
deve, infatti, ritenersi che la previsione di delega sia formulata in modo tale da imporre esplicitamente che
la punibilità dei reati tributari considerati sia compresa fra un minimo di sei mesi ed un massimo di sei
anni e che da ciò debba conseguire che il legislatore delegato non possa configurare nuove circostanze
aggravanti· ad e!Tetto ordinario ovvero speciale come nel caso in questione - che determinino un
superamento dei predetti limiti edittali. 12 Al riguardo si osserva che l'ipotesi di aggravante ad effetto
speciale di cui alla citata disposizione implica, cosi come anche in relazione alle circostanze comuni,
come efficacemente osservato dalla dottrina e confermato dalla giurisprudenza (Cass. pen. Sez. Unite,
sent. 24 febbraio 2011, n. 20798), un giudizio che si articola in due momenti: nella prima fase il giudice
procede alla quantificazione della pena entro i limiti edittali ai sensi dell'art. 133 c.p.; quindi, sulla pena
determinata per il reato base, opera l'aumento connesso alla circostanza. Dal punto di vista tecnico
formale, le circostanze devono essere oggetto, come nel caso di specie, di una specifica previsione
legislativa, in quanto accedono ad una fattispecie incriminatrice già costituita nei suoi elementi essenziali
e comportano, rispetto ad essa, una variazione di pena in modo proporzionale (come nel caso di specie) o
indipendente rispetto alla pena prevista per il reato base cui le circostanze accedono. Quale che sia il
sistema di variazione, proporzionale o indipendente, le circostanze hanno, comunque, efficacia
extraedittale, atteso che sono idonee Il condurre la sanzione oltre i tetti di pena fissati dalla comminatoria
edittale cui, nel caso di specie, fa riferimento l'articolo 8 della legge n, 23 del 2014. Per i motivi sopra
esposti, si ritiene che, ai fini della verifica della compatibilità con la legge delega, I1 Governo è
delegato alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di predeterminazione
e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, prevedendo: la punibilità con la pena
detentiva compresa fra un minimo di sei mesi e un massimo di sei anni, occorra tenere conto delle
pene edittali previste per il reato semplice c non di quelle previste per il reato circostanziato. Peraltro, se
cosi non fosse, sia nella determinazione delle pene edittali minime che in quella delle pene massime, che
rientrano sempre tra le pene in concreto Irrogabili dal giudice, si potrebbe teorizzare che occorrerebbe
tenere conto anche della possibilità di una eventuale diminuzione o maggiorazione della pena base per
l'applicazione, a seguito del cd. giudizio di bilanciamento, delle eventuali attenuanti e delle aggravanti
comuni e generiche. Non appare, inoltre, condivisibile l'osservazione di cui alla lettera I), primo periodo,
del parere reso dalle Commissioni riunite del Senato della Repubblica in quanto incoerente con la
necessità che Il debito sia estinto mediante integrale pagamento delle somme dovute. Non si è ritenuto,
altresì, di aderire all'osservazione di cui alla lettera n) del parere reso dalle Commissioni riunite
del Senato della Repubblica in quanto in contrasto con le finalità di cui all'art. 13 del decreto legislativo n.
74 del 2000 (Cause di non punibilità. Pagamento del debito tributario), come modificato dall'art. II del
presente decreto. Dando attuazione al criterio direttivo di cui all'ultima parte dell'articolo 8, comma l,
della legge delega, l'articolo 13 prevede - tramite l'inserimento di un nuovo articolo t8-bis nel decreto
legislativo n. 74 del 2000 - che i beni sequestrati nell'ambito dei provvedimenti penali relativi ai delitti
previsti da detto decreto e ad ogni altro delitto tributario. diversi dal denaro e dalle disponibilità
finanziarie, possano essere affidati dall'autorità giudiziaria in custodia giudiziale agli organi
dell'amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative. Vengono fatte
espressamente salve le disposizioni dell'articolo 61, comma 23, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e 13 dell'articolo 2 del decreto-legge 16
settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, in materia di
affluenza al «Fondo unico giustizia» delle somme di denaro sequestrate e dei proventi derivanti dai beni
267
confiscati. L'articolo 14 del decreto provvede alle ulteriori abrogazioni espresse. Oltre al comma 143
dell'articolo I della legge n. 244 del 2007, in tema di confisca trasfuso, come detto, nel nuovo articolo l2-
bis del decreto legislativo n. 74 del 2000 -, viene abrogato l'articolo 7 del decreto legislativo 10 marzo
2000, n. 174, recante disposizioni in materia di «Rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio». Dette
disposizioni - riferite specificamente ai delitti in dichiarazione di cui agli articoli 3 e 4 e qualificate dalla
relazione al decreto legislativo n. 74 del 2000 come «regole di esclusione, con presunzione iuris et de
iure, del dolo di evasione» - miravano ad attenuare gli effetti dell'attribuzione di rilievo penale ad
operazioni contabili 8. carattere lato sensu valutativo, costituente una delle principali novità della riforma
penale tributaria del 2000. A tali fini, si prevedeva che la violazione dei criteri di determinazione
dell'esercizio di competenza non desse luogo a fatto punibile quando fosse espressione di metodi costanti
di impostazione contabile; si negava rilievo all'inosservanza delle regole extrapenali che presiedono alle
rilevazioni e alle stime, allorché i criteri concretamente applicati fossero stati comunque indicati in
bilancio; si introduceva, infine, una franchigia penale per le valutazioni estimative che, singolarmente
considerate, differissero in misura inferiore al dieci per cento da quelle corrette. La nuova disciplina della
dichiarazione infedele prevede che, ai fini della configurabilità del delitto di dichiarazione infedele, non si
debba tenere conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi
oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati in
bilancio o in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione
dell'esercizio di competenza, della non inerenza e della non deducibilità di elementi passivi reali e il
comma l ter dell'articolo 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, in tema di Valutazioni rende in ogni caso, non
punibili le valutazioni che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al dieci per cento
da quelle corrette; inoltre, degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del
superamento delle soglie dì punibilità previste per la configurazione del reato dì dichiarazione infedele. In
sostanza, il legislatore ha voluto mantenere una visione di favore in relazione a valori corrispondenti a
non corrette valutazioni (secondo i parametri tributari) di elementi attivi e passivi, purché oggettivamente
esistenti e nella misura in cui esse esistano in rerum natura. Per una diversa ragione, si è peraltro ritenuto
che, in rapporto al delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, di cui al nuovo articolo 3 del
decreto legislativo n. 74 del 2000 (rispetto al quale le valutazioni conservano invece rilievo), le suddette
regole di garanzia siano prive di adeguata giustificazione. La circostanza che il contribuente supporti la
violazione dei criteri di rilevazione contabile con manovre a carattere fraudolento, idonee ad ostacolarne
l'accertamento, fa apparire, in effetti, inopportuno e, almeno per certi versi, contraddittorio il
mantenimento delle predette regole di esclusione del dolo dì evasione, ferma restando la possibilità, per il
giudice, di pervenire alla conclusione dell'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato sulla base delle
peculiarità dei singoli casi concreti. Viene abrogato, infine, l'articolo 16 del decreto legislativo n. 74 del
2000, che sancisce la non punibilità, ai sensi del medesimo decreto, di chi si sia uniformato al parere del
Comitato 14 consultivo per l'applicazione delle norme antielusive, previsto dall'art 21 della legge 30
dicembre 1991, n, 413, Come si evidenzia nella relazione al decreto, lo scopo della nonna era
semplicemente quello di introdurre una scusante correlata ad un caso codificato di ignoranza inevitabile
della legge penale (articolo 5 del codice penale, come manipolato dalla Corte costituzionale con la
sentenza n. 364 del 1988), stante il naturale affidamento del contribuente nell'avviso espresso da un
organo tecnico particolarmente qualificato. Dì fatto, tuttavia, proprio dalla previsione normativa in
questione la giurisprudenza di legittimità ha tratto, da contrario senso, uno dei principali argomenti per
sostenere la rilevanza penalistica dell'elusione fiscale. Una volta esclusa in modo espresso quest'ultima,
secondo quanto disposto dal comma 13 dell'articolo 10·bis della legge n. 212 del 2000, introdotto
dall'articolo l, comma I del decreto legislativo recante disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti
tra fisco e contribuente, la previsione normativa in questione resta priva di significato. Relativamente alle
osservazioni di cui alle lettere o) e p) del parere reso dalle Commissioni riunite II Giustizia e VI Finanze e
tesoro del Senato della Repubblica, trattasi di ulteriori modifiche al decreto legislativo n. 74 del 2000, non
attinenti a quelle già introdotte con il presente decreto che, al momento, non possono essere prese in
considerazione. TITOLO H Revisione del sistema sanzionatorio amministrativo tributario Il Capo I .
Sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione
dei tributi - dà attuazione all'articolo 8, comma l, della legge n. 23 del 2014, di revisione del sistema
sanzionatorio. In particolare, con l'articolo 15, comma l, vengono apportate modifiche al D.Lgs. 18
dicembre 1997. n. 471, recante riforma delle sanzioni tributarie in materia di imposte dirette, di imposta
sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi. Un intervento comune all'intero corpo normativa consiste,
innanzitutto nella conversione dell';ammontare delle sanzioni, originariamente espresse in lire, in euro
nonché in una generale attualizzazione delle stesse e di quelle di nuova introduzione. Perciò si è ritenuto
268
di accogliere la condizione di cui alla lettera d) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e
Finanze del Senato della Repubblica in quanto lo graduazione delle sanzioni amministrative tributarie nel
senso Indicato dalla Commissione. in ragione della maggiore insidiosità delle stesse, anche alla luce, ove
possibile, dell'elemento soggettivo alle stesse riferibile risulta sostanzialmente già attuata con le
modifiche proposte dall'articolo 15 dello schema di decreto legislativo. Ciò emerge, in particolare, nella
nuova disciplina della dichiarazione infedele ai fini delle imposte dirette, dell'Iva, nonché del sostituto
d'imposta che dispone i) l'aggravante dell'aumento della metà della sanzione base in presenza di
condotte fraudolente del contribuente, ovvero l'utilizzo di documentazione falsa o per operazioni
inesistenti, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente; ii) sanzioni analoghe a quelle
attuali per le ipotesi dì evasione ordinaria (caratterizzate dall'elemento della colpevolezza e non
costruite attraverso condotte di particolare insidiosità per l'amministrazione); iii) una riduzione di un terzo
della sanzione base, applicabile in sede di accertamento, nell'ipotesi in cui la maggiore imposta o il minore
credito accertato siano complessivamente inferiori al 3% rispetto all'imposta e al credito dichiarato,
ovvero l'infedeltà della dichiarazione derivi da errori sull'imputazione dei costi per competenza temporale
di elementi positivi o negativi di reddito; iv) che distingue, all'interno delle ipotesi ordinarie di infedeltà,
specifici casi, non connotati dalla frode, ritenuti meritevoli di una risposta sanzionatoria più lieve (quali le
ipotesi di scarso o Inesistente danno erariale, le ipotesi di errori contabili). Non si è ritenuta inoltre
accoglibile l'osservazione di cui al punto l) del parere reso dalle Commissioni Il Giustizia e VI Finanze
della Camera dei Deputati, in quanto rientra nelle valutazioni di politica sanzionatoria e comporta
comunque maggiori oneri. Comma l, lettera a) In particolare, il comma l, letto a), sostituisce l'articolo l
del D.lgs. n. 471 del 1997, relativo alle violazioni in materia dì dichiarazione delle imposte sui redditi,
introducendo vi, tra le altre, la disciplina sanzionatoria delle violazioni in materia di IRAP, prima
contenuta dell'articolo 32 del D.Lgs. n. 446 del 1997. Il nuovo comma I dell'articolo 1 contiene una
peculiare disciplina per la violazione di omessa presentazione della dichiarazione, poiché la sanzione
viene proporzionata all'eventuale ritardo nell'adempimento. In particolare, se la dichiarazione omessa è
presentata dopo 90 giorni dalla scadenza del termine di presentazione ma entro il termine di presentazione
della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo, la sanzione base (dal 120 al 240 per cento,
con un minimo di euro 250) è ridotta della metà. Ciò purché non abbia avuto inizio nessuna attività
amministrativa di accertamento di cui il contribuente abbia avuto formale conoscenza. Pertanto, nella
fattispecie considerata, si applica la sanzione dal 60 al 120 per cento delle imposte dovute, con un minimo
di euro 200; se non sono dovute imposte, si applica la sanzione. in misura fissa, da un minimo di euro 150
ad un massimo di euro 500. Se la dichiarazione è presentata oltre il suddetto termine, trova applicazione
la sanzione in misura piena. Tale sanzione é dovuta in misura fissa, da euro 250 a euro 1.000, se non sono
dovute imposte. Tale riduzione sanzionatoria è volta a distinguere, in un ottica di maggiore
proporzionalità, la condotta di chi omette tout court la dichiarazione da quella di chi la presenta
tardivamente oltre i novanta giorni, prima che sia intervenuta un'attività di controllo relativa all'annualità
da parte dell'Amministrazione. Nei commi 2, 3 e 4 dell'articolo I è stata modificata la disciplina per la
violazione di infedele dichiarazione, attraverso una graduazione della sanzione base, secondo la gravità
del comportamento tenuto dal contribuente. In particolare: al comma 2, è stato inserito il riferimento al
valore della produzione ai fini IRAP; inoltre è stato espressamente previsto che la sanzione, compresa tra
il 90 e il 180 per cento, è commisurata alla maggiore imposta dovuta o alla differenza del credito
utilizzato; al comma 3, viene introdotta l'aggravante dell'aumento della metà della sanzione base in
presenza di condotte fraudolente del contribuente. Tale aggravante segue la logica posta a base della
delega, avente ad oggetto la necessità di punire gravemente le condotte che si siano caratterizzate da
particolare insidiosità e che sì estrinsechino attraverso comportamenti oggettivamente fraudolenti, Tale
modifica è, inoltre, finalizzata a raccogliere c a colpire in via amministrativa in modo più severo le
fattispecie di dichiarazione fraudolenta che, per effetto delle modifiche apportate nel D.Lgs. n. 74 del
2000 non risultano più penalmente rilevanti. A tale fine, l'aggravante prevista per 16 la dichiarazione
infedele ai fini dell'applicazione della sanzione amministrativa corrisponde, nella sostanza, alla fattispecie
della frode rilevante penalmente; al comma 4, viene prevista una riduzione di un terzo della sanzione
base, applicabile in sede di accertamento, nell'ipotesi in cui la maggiore imposta o il minore credito
accertato siano complessivamente inferiori al 3 per cento rispetto all'imposta e al credito dichiarato. Tale
soglia percentuale è individuata calcolando il rapporto tra l'ammontare complessivo del quantum
dichiarato e quello del quantum accertato. La riduzione non si applica in caso di condotte fraudolente e di
superamento della soglia di euro 30.000. La previsione di tale tetto in misura fissa rappresenta un
correttivo volto a scongiurare l'introduzione di una franchigia di evasione proporzionale all'ammontare
dichiarato, inevitabilmente più alta per i soggetti di grandi dimensioni. Un ulteriore ipotesi di riduzione,
269
che rimane alternativa a quella sopra richiamata, è prevista per la specifica fattispecie di errori
sull'imputazione temporale di elementi positivi o negativi di reddito. Per beneficiare di tale riduzione è,
però, necessario che il componente positivo sia stato erroneamente imputato e, quindi, abbia concorso alla
determinazione del reddito nell'annualità in cui interviene l'attività di accertamento o in una precedente.
Con riferimento al componente negativo è necessario che lo stesso non sia stato dedotto più volte.
Nell' ipotesi in cui l'errore sull'imputazione temporale di elementi positivi o negativi di reddito non abbia
determinato alcun tipo di danno per l'erario, la sanzione è applicata in misura fissa per un ammontare pari
ad euro 250. Si tratta esclusivamente delle ipotesi in cui l'anticipazione o la posticipazione dell'elemento
reddituale non abbia prodotto alcun vantaggio nei confronti del contribuente. Si pensi, ad esempio,
all'ipotesi in cui il contribuente anticipi un elemento positivo di reddito in un' annualità in perdita, cosi
riducendo la perdita di periodo. Va da sé che, laddove tale elemento positivo, nell'annualità di corretta
imputazione, determini una maggiore imposta dovuta, deve ritenersi sussistente danno erariale, con la
conseguenza che la sanzione dovrà essere applicata nella misura proporzionale, sebbene ridotta. Entrambe
le ipotesi di riduzione non si applicano in caso di condotte fraudolente. Nel comma 7 è stata ricondotta
una specifica ipotesi di omessa o infedele indicazione de! canone derivante dalla locazione di immobili ad
uso abitativo assoggettati a cedolare secca, prima disciplinata all'articolo 3, comma 5, del d.lgs. n. 23 del
2011, che prevede il raddoppio delle rispettive sanzioni base. Si ricorda che l'inasprimento sanzionatorio
trova giustificazione nella circostanza che la cedolare secca costituisce un regime impositivo opzionale,
alternativo rispetto a quello ordinario, utilizzabile al fine di contenere il prelievo fiscale. In un ottica di
maggiore proporzionalità e di rimozione delle sanzioni improprie dal sistema sanzionatorio, sono state
eliminate le aggravanti previste nei commi 2-bis e 2-bis 1 per le violazioni relative al contenuto e alla
presentazione dei modelli per gli studi di settore. Comma 1, lettera b) Il comma l, lett. b), modifica
l'articolo 2 del D.Lgs. n. 471 del 1997 che disciplina le violazioni di omessa e di infedele presentazione
della dichiarazione del sostituto di imposta. Alcune delle novità introdotte nella disposizioni sono
analoghe a quelle previste per le violazioni di omessa e di infedele presentazione della dichiarazione ai
fini delle imposte sui redditi e dell' IRAP. Anche per tali fattispecie si è intervenuto, quindi, sul quantum
della sanzione, introducendo un principio di proporzionalità della stessa in base all' eventuale ritardo
nell'adempimento, nel caso di omessa presentazione della dichiarazione, prevedendosi una sanzione più
lieve nel caso dì tardività 17 contenuta nell'effettuazione dell'adempimento, sempreché non siano già
iniziate attività di controllo. Parimenti, vengono riproposte le graduazioni sanzionatorie già inserite
nellinfedele dichiarazione ai fini delle imposte dirette, connaturate al disvalore del comportamento tenuto
dal sostituto che realizzi la violazione mediante l'utilizzo di documentazione falsa, mediante artifici o
raggiri, condotte simulatorie o fraudolente. Nel comma 4-bis dell'articolo 2 viene estesa ai sostituti
di imposta la definizione di base di commisurazione della sanzione già prevista con riferimento alla
dichiarazione infedele ai fini delle imposte sui redditi. h\ particolare, si precisa che per ritenute non
versate si intende la differenza tra l'ammontare delle ritenute accertate e quelle liquidabili in base alla
dichiarazione, ai sensi degli artt. 36-bis e 36-ter del D.P.R. n, 600 del 1973, Tale intervento è volto ad
evitare che la base di commisurazione della sanzione per infedele dichiarazione nei confronti dei sostituti
possa eventualmente comprendere anche le maggiori imposte liquidabili ai sensi degli art. 36-bis e 36-ter
del D,P.R. n, 600 del 1973, relativamente alle quali resta applicabile la sanzione prevista dall' articolo 13,
comma l, del D,Lgs, n, 471 del 1997, Per ragioni di coerenza con la disciplina dettata ai fini delle imposte
sui redditi. il nuovo comma 4 ter dell' articolo 2 prevede, anche per i sostituiti d'imposta, l'esclusione
dell'applicazione della sanzione per infedele dichiarazione in caso di rettifica del valore normale dei
prezzi di trasferimento praticati nell'ambito delle operazioni di cui all'articolo 10, comma 7, del TUIR. In
particolare, se l' errore consiste nell' applicazione delle ritenute convenzionali In misura inferiore rispetto a
quelle che si sarebbero dovute applicare per effetto della rettifica del valore normale, la sanzione per
infedele dichiarazione non si applica se il sostituto presenta all' Amministrazione finanziaria il Master file
e la documentazione nazionale richiesti ai fini del “transfer pricing”. Comma l, lett. cl La disposizione
modifica le misure sanzionatorie presenti nell' articolo 3 del d.lgs. n, 471 del 1997 che prevede
l'applicazione di una sanzione amministrativa in caso di omessa denuncia, nel termine previsto per legge,
delle situazioni che danno luogo a variazioni in aumento del reddito dominicale e del reddito agrario dei
terreni - convertendo in euro (da euro 250 a euro 2.000) la sanzione prima prevista da lire
cinquecentomila a lire quattro milioni. Comma l, lett. d) Viene abrogato l'articolo 4 del D. Lgs. n. 471 del
1997. originariamente inserito per disciplinare, in via transitoria, il regime sanzionatorio delle
dichiarazioni incomplete previste dall' articolo 46, secondo e terzo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973
(articolo abrogato a decorrere dal I aprile 1998), comma I, lettera e) Viene modificato l'articolo 5 del D.
Lgs. n. 471 del 1997, relativo alle violazioni riguardanti la dichiarazione dell'imposta sul valore aggiunto.
270
Alcune delle novità introdotte nella disposizioni sono analoghe a quelle previste per le violazioni di
omessa e di infedele presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e della IRAP.
Pertanto, anche per tali fattispecie si è intervenuto sul quantum della sanzione, introducendo una
maggiore proporzionalità della stessa in base all'eventuale ritardo nell'adempimento, nel caso di omessa
presentazione della dichiarazione, prevedendosi una sanzione più lieve nel caso di tardività contenuta
nell'effettuazione dell'adempimento sempreché non siano già iniziate attività di controllo, Parimenti,
vengono riproposte le graduazioni sanzionatorie già inserite nell'articolo l e nell'articolo 2, connaturate al
disvalore del comportamento tenuto dal contribuente, nell'ipotesi di infedele dichiarazione, Anche nel
comma 4-quater dell'articolo 5 viene definito il concetto di imposta dovuta ai fini della commisurazione
della sanzione per infedeltà, intendendosi per tale la differenza tra l'ammontare del tributo liquidato in
sede di accertamento e quello liquidabile in base alla dichiarazione, ai sensi dell'articolo 54-bis del D.P.R.
26 ottobre 1972, n. 633, Ciò al fine di evitare che la base di commisurazione della sanzione per infedele
dichiarazione ai fini IVA possa comprendere anche la maggiore imposta liquidabile mediante controllo
automatizzato, relativamente alla quale è applicabile la sanzione prevista dall'articolo 13, comma l, del D.
Lgs. n. 471 del 1997. Analogamente alla fattispecie sanzionatoria dell'infedele dichiarazione ai fini delle
imposte dirette, risultano eliminate le aggravanti previste nei commi 4-bis e 4-ter per le violazioni relative
al contenuto e alla presentazione dei modelli per gli studi di settore. Nel comma 5 dell'articolo 5 è stata
riformulata la disciplina sanzionatoria della richiesta di rimborso dell'impesta in difformità rispetto al
contenuto della dichiarazione, in linea con le diverse modalità con cui viene effettuata la richiesta di
rimborso dell'eccedenza detraibile. Quando la richiesta di rimborso IVA era presentata direttamente al
concessionario della riscossione, indipendentemente dalla presentazione della dichiarazione o da quanto
in essa esposto, la mera richiesta del rimborso in assenza dei presupposti veniva colpita con una sanzione
particolarmente grave, dal cento al duecento per cento dell'ammontare della somma non spettante. Con la
modifica al meccanismo di richiesta dei rimborsi IVA, attualmente effettuata in sede dichiarativa, in cui è
possibile l'immediato riscontro tra la richiesta di rimborso e quanto esposto nella dichiarazione venuta
meno la necessità del presidio sanzionatorio cosi grave, è stata introdotta una specifica sanzione
proporzionale, pari al 30 per cento dell’ ammontare del credito rimborsato, in caso di richiesta di
rimborso dell'eccedenza detraibile risultante dalla dichiarazione in assenza dei presupposti individuati
dall'articolo 30 del D.P.R. n. 633 del 1973. Sebbene non si proceda al recupero del rimborso erogato
laddove l'eccedenza sia maturata - rimane fermo il recupero degli interessi, nella misura prevista
dall'articolo 3-bis, comma 9, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1976, n. 633, dal
giorno successivo alla data dì erogazione fino alla data del pagamento, nonché degli interessi
eventualmente corrisposti al soggetto passivo in sede di erogazione del rimborso. Nel comma 6
dell'articolo 5 sono stati compiuti due interventi di adeguamento: il primo attraverso l'inserimento, nel
primo periodo, delrichiamo all'articolo 35-ter del D.P.R. n. 633 del 1972; il secondo, consistente in un
adeguamento della disciplina già introdotta dal D.Lgs. n. 42 del 2015 - c.d. mini sportello unico (MOSS) -
attraverso il richiamo alle comunicazioni di cui all'articolo 74-quinquies, comma 4, del decreto del D.P.R.
n. 633 del 1972, al fine dì consentire l'applicazione della sanzione per mancata presentazione di una delle
dichiarazioni di inizio, variazione o cessazione di attività, oltre che alla richiesta di registrazione MOSS,
anche alla incompleta o inesatta presentazione delle successive comunicazioni. 19 Comma l, lett. I) Il
comma l, lett. I), effettua diversi interventi puntuali nell'articolo 6 del D.Lgs. n. 471 del 1997 recante la
disciplina sanzionatoria relativa all'inosservanza degli obblighi di documentazione, registrazione e
individuazione delle operazioni rientranti nell'ambito applicativo dell' IVA, anche intracomunitaria. Al
comma l dell'articolo 6 - che disciplina le ipotesi di violazioni degli obblighi di fatturazione e
registrazione (di fatture o corrispettivi) relative ad operazioni imponibili - è stata prevista: - una riduzione
della sanzione base, fissata tra il 90 e il 180 per cento dell'imposta relativa all'imponibile non
correttamente documentato o registrato nel corso dell' esercizio; - una ulteriore ipotesi di riduzione della
sanzione - che rimane alternativa a quella base - da euro 250 a euro 2.000, quando la rìtardata
registrazione/certificazione non abbia inciso sulla liquidazione periodica e, quindi, sull'assolvimento del
tributo. Conseguentemente sono apportati ì corrispondenti adeguamenti ai riferimenti contenuti nel
successivo comma 4. Al comma 6 dell'articolo 6, che disciplina il caso di indebita. detrazione
dell'imposta sul valore aggiunto, in coerenza con la generale rimodulazione delle sanzioni relative all'IVA
è stata prevista la riduzione della sanzione, precedentemente corrispondente alla detrazione indebitamente
operata, al 90 % dell'imposta detratta. Nel comma 8, relativo all‘obbligo dì regolarizzazione della fattura
da parte de! cessionario o del committente la misura minima della sanzione viene portata ad euro 250. I
commi da 9·bis a 9·bis3 riformulano, innovando la, la disciplina sanzionatoria del reverse charge.
Attraverso l'introduzione di tali disposizioni, che introducono una disciplina articolata e improntata a
271
criteri di proporzionalità tra la misura della sanzione e la gravità della violazione, si dà accoglimento
all'osservazione di cui alla lettera v) contenuta nel parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze e tesoro del Senato della Repubblica. In particolare, il comma 9·bis - il cui ambito di
applicazione, prima limitato alle sole Ipotesi di cui agli articoli 17 e 74, commi settimo e ottavo, del
D.P.R. n. 633 del 1972, viene esteso anche alle altre forme di inversione contabile contemplate dalla
disciplina IV A (agricoltura e operazioni intracomunitarie - distingue: l'ipotesi in cui il cedente/prestatore
emette correttamente fattura senza applicazione dell' imposta ma il cessionario/committente Don pone in
essere gli adempimenti connessi all'inversione contabile. In tal caso, se la fattura ricevuta non è stata
totalmente occultata, ma risulta, comunque, dalla contabilità ai fini delle imposte dirette, si applica una
sanzione in misura fissa, compresa tra euro 500 e euro 20.000. Viceversa, qualora manchi l'annotazione
nelle scritture di cui agli articoli 13 e seguenti del D.P.R. n, 600 del 1973, la sanzione è applicata in
misura proporzionale (dal 5 al 10%) ed è commisurata all’imponibile, con un minimo di 1.000 euro. -
l'ipotesi in cui il cedente/prestatore non emette la fattura entro quattro mesi dall'operazione e il
cessionario/committente non provvede a regolarizzare, entro trenta giorni, l'omissione. Anche in tal caso
si applicano la sanzione proporzionale (dal 5 al 20%), commisurata all'imponibile, con un minimo di
1.000 curo, la sanzione per indebita detrazione e quella per infedele dichiarazione. Il comma 9 bis detta
le eccezioni alla regola generale fissata nel precedente comma 9-bis. Viene, infatti, prevista l'ipotesi di
irregolare assolvimento dell'imposta, con applicazione di una sanzione in misura fissa (da 250 a 10.000
euro) per l'ipotesi di operazioni in cui, in linea generale, l'imposta è stata applicata ordinariamente e
versata dal cedente/prestato re in luogo dell'applicazione del reverse charge. La disposizione precisa che
la sanzione si applica al cessionario/committente - che è il vero debitore dell'imposta - con solidarietà del
cedente/prestatore. E comunque fatto salvo il diritto alla detrazione ed è evitato l'obbligo di
regolarizzazione dell'operazione in capo al cessionario/committente. Viene, inoltre, prevista una sanzione
più grave in capo al cessionario/committente quando l'applicazione dell'imposta in regime ordinario in
luogo del reverse charge è determinata da intenti fraudolenti. In tal caso la sanzione applicabile è quella
base (dal 90 al 180 per cento). Il comma 9-bis2 prende l'applicazione di una sanzione in misura fissa (da
250 a 10.000) in capo al cedente/prestatore, salvaguardando il diritto alla detrazione del cessionario, ma
senza obbligo di regolarizzazione dell'operazione, per le ipotesi In cui l'imposta è stata erroneamente
assolta dal cessionario/committente con il meccanismo dell'Inversione contabile In luogo
dell'assolvimento ordinario, per operazioni riconducibili alle ipotesi di reverse charge ma per le quali non
ricorrevano tutte le condizioni per la sua applicazione. Anche in tale ipotesi, è prevista la solidarietà del
cessionario/committente con il cedente/prestatore (vero debitore dell'imposta). Viene, infine prevista una
sanzione più grave in capo al cedente/prestatore - per i casi in cui l'applicazione dell'imposta in reverse
charge in luogo del regime ordinario è determinata da intenti fraudolenti. In tal caso la sanzione si applica
nella misura base dal 90 al 180 per cento. Infine, nel comma 9 bis viene disciplinata l'ipotesi di errata
applicazione del reverse charge ad operazioni esenti, non imponibili o non soggette ad imposta. In tale
evenienza nella contabilità IVA devono essere eliminati sia il debito che il credito erroneamente
registrati, con effetti neutrali. È salvaguardato il diritto al recupero dell'Imposta eventualmente non
detratta (per indetraibilità soggettiva od oggettiva) attraverso la nota di variazione o la richiesta di
rimborso ai sensi dell'art. 21 del decreto legislativo 546 del 1992. La medesima procedura si applica
anche per le operazioni Inesistenti, con effetti sostanzialmente neutri, salvo in questo caso l'applicazione
della sanzione dal 5 al 10% dell'imponibile. Con riguardo alla condizione di cui alla lettera c), punti I, Il,
e III, del parere delle Commissioni riunite II Giustizia e VI Finanze e tesoro del Senato della Repubblica
si rappresenta quanto segue. Punto I Si osserva, ili via preliminare, che l'articolo 6 è stato oggetto di
diversi interventi, tra i quali la riduzione della sanzione proporzionale di cui al comma 1 (dal
cento/duecento per cento al novanta/centoottanta per cento), e la previsione di una sanzione in misura
fissa in caso di mancanza di danno per l'erario, mentre attualmente la violazione è colpita a prescindere,
anche se la stessa non si è riverberata sulla corretta liquidazione del tributo. Inoltre, la proposta di
prevedere l'applicazione delle sanzioni in caso di violazione degli obblighi documentali Iva solo in caso
di accertamenti notificati prima della presentazione 21 della dichiarazione relativa all'anno in cui è stata
commessa la violazione, non tiene conto della natura del tributo e della necessità di garantire un presidio
sanzionatorio agli adempimenti formali ad esso relativi (certificazione dei corrispettivi, registrazione,
liquidazione del tributo). fondamentali per il corretto funzionamento dello stesso. Ove la stessa fosse
accolta, una volta presentata la dichiarazione IVA annuale, le violazioni prodromiche non sarebbero più
contestabili, ma sarebbero difatti assorbite dalla contestazione dell'infedele dichiarazione che ne
consegue, e ciò comporterebbe il venir meno di un deterrente alla violazione. Va, peraltro, evidenziato
che, in presenza di violazioni relative agli obblighi prodromici di documentazione e registrazione e di
272
violazioni per infedele dichiarazione, trova ordinariamente applicazione l'art. 12 del decreto legislativo n.
472 del 1997 che disciplina il concorso di violazioni. La condizione di cui al punto I non si ritiene,
pertanto, accoglibile. Punto Il Occorre rammentare che secondo giurisprudenza costante della Corte di
Giustizia, in mancanza di armonizzazione della normativa dell'Unione nel settore delle sanzioni
applicabili in caso di inosservanza delle condizioni previste da un regime istituito da tale normativa, gli
Stati Membri restano competenti a scegliere le sanzioni che sembrano loro appropriate, ma sono tenuti ad
esercitare la loro competenza nel rispetto del diritto dell'Unione e dei suoi principi generali e., di
conseguenza, nel rispetto del principio di proporzionalità l. La Corte di Giustizia rinvia al giudice
nazionale il compito di verificare se importo della sanzione non eccede quanto necessario per conseguire
gli obiettivi consistenti nell'esatta riscossione dell'imposta ed evitare evasione. Tutto ciò premesso, si
osserva che, come già precisato nelle osservazioni alla lettera d), le modifiche apportate dall'articolo 15
dello schema di decreto legislativo n, 183 al decreto legislativo n. 471 del 1997 rispondono alle sopra
citate esigenze di carattere generale evidenziate dalla Corte di Giustizia. Punto III La richiesta delle
Commissioni di un intervento sulle sanzioni applicabili per violazione in tema di reverse charge trova
accoglimento nelle modifiche inserite all'articolo 15, comma 1, lett. I), del presente decreto, nonché
all'art. 31 anche in accoglimento dell'osservazione di cui alla lettera v) del citato parere del parere delle
Commissioni riunite Giustizia e Finanze e tesoro del Senato della Repubblica Comma 1, lett. g) Il
comma l, lett. g), modifica l'articolo 7 del D.Lgs. n. 471 del J997 che concerne le specifiche violazioni
relative alle esportazioni. In particolare, nella nuova formulazione della disposizione risulta attenuata la
sanzione prevista per il fornitore dell'esportatore abituale di cui al comma 5 - che da proporzionale viene
stabilita in misura fissa da un minimo ad un massimo (da euro 250 a euro 2.000), al fine di armonizzarla
con le modifiche introdotte dal D.Lg. n. 175 del 2014. Dallo gennaio 2015, infatti, il fornitore non è più
tenuto li comunicare le lettere d'intento ricevute dell'esportatore abituale, dovendo verificare 22 l'avvenuta
trasmissione delle stesse all'Agenzia delle Entrate, prima di effettuare la relativa operazione. Non si è
ritenuto accoglibile l'osservazione di cui alla letto z) del parere delle Commissioni riunite II Giustizia e VI
Finanze e tesoro del Senato della Repubblica in quanto si tratta, comunque, della violazione di un
adempimento in capo al fornitore. Pertanto, si ritiene che la previsione di una sanzione in misura fissa, in
luogo della precedente sanzione proporzionale, come già prevista dal decreto in commento, sia
proporzionata alla tipologia di violazione. Peraltro, si osserva che la sanzione torna applicabile solo
nell'ipotesi in cui il fornitore non abbia verificato il corretto invio da parte dell'esportatore abituale della
dichiarazione d'intento e che quest'ultimo abbia effettivamente omesso l'adempimento. In tal caso alla
omessa verifica consegue una violazione sostanziale - emissione di una fattura senza addebito dimposta -
che resta sanzionata in capo all’emittente con una sanzione in misura fissa. Comma I, lett. h) B comma l,
letto h), modifica ed aggiorna l'articolo 8 del D.Lgs. n. 47l del 1997 che disciplina le violazioni di
carattere formale relative al contenuto e alla documentazione delle dichiarazioni. In particolare: - vengono
disciplinate unitariamente le sanzioni per le imposte dirette e l' IRAP; - viene aggiornato il riferimento al
soggetto attualmente preposto all'approvazione dei modelli dichiarativi (Direttore dell' Agenzia e non più
il Ministero delle Finanze); • viene eliminato il riferimento all'obbligo di allegare ì documenti alla
dichiarazione; - viene aggiornato il riferimento agli elementi relativi alla dichiarazione dei sostituti
d'imposta, ora contenuto all'articolo 4 del D.P.R. n. 322 del 1998. Inoltre, il nuovo comma 3-quinquies
dell'articolo 8 individua, nel contesto delle disposizioni volte a punire le eventuali omissioni o
incompletezze dei dati della dichiarazione, una sanzione fissa applicabile nei casi in cui il contribuente
non abbia provveduto a effettuare le segnalazioni richieste da: l'articolo 113, comma 6, del decreto del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (in relazione alle partecipazioni acquisite per il
recupero di crediti bancari); l'articolo 124, comma 5-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 22
dicembre 1966, n. 917 in ordine alla costituzione del consolidato nazionale; l'articolo 132, comma 5, del
decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 9 I7 relativo al consolidato mondiale;
l'articolo 30, comma 4 quater, della legge 30 dicembre 1994, n. 724 per le società di comodo; l'articolo I,
comma 8 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con la legge 22 dicembre 2011, Il. 214, in
tema di aiuto per la crescita economica. Le ipotesi menzionate, infatti, sono oggetto di modifica da parte
dello schema dì decreto delegato in materia di interpello, nel cui contesto la presentazione dell'istanza di
interpello. fino ad oggi obbligatoria è stata resa facoltativa ed è stata sostituita, in omaggio all'esigenza di
monitoraggio da parte dell'amministrazione sulle predette situazioni dalla introduzione di un obbligo di
segnalazione. In accoglimento della osservazione del parere delle Commissioni riunite II Giustizia e VI
Finanze e tesoro del Senato della Repubblica il comma 3- ter è rinumerato in 3-quinqules, atteso che il
decreto delegato recante misure per la crescita e l'internazionalizzazione delle imprese in corso di
pubblicazione sulla G.U. ha inserito nell'articolo III argomento i commi 3·ter e 3-quater. Comma 1, lett. i)
273
il comma l, lett. i) modifica l'articolo 9 del D.Lgs. n. 471 del 1997, relativo alle violazioni degli obblighi
concernenti la contabilità in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto, prevedendo
l'applicazione di ununica sanzione per entrambi i settori impositivi e per le diverse infrazioni
configurabili. In particolare: al comma 4 dell'articolo 9, la disposizione è stata aggiornata nelle parti in cui
rinviava a istituti ormai abrogati (semplificazioni per i contribuenti minori, per le imprese ed i lavoratori
autonomi di minori dimensioni e per i contribuenti cosiddetti minimi;) al comma 5 dell'articolo 9, la
disciplina sanzionatoria della sottoscrizione della dichiarazione delle società e degli enti soggetti
all'imposta sul reddito delle società sottoposti al controllo contabile ai sensi del codice civile o di leggi
speciali, è stata aggiornata con i vigenti riferimenti normativi, contenuti nell'articolo l del decreto del
Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322. Comma l, lett. l) Il comma l, lett. I) modifica l'articolo
10 del D.Lgs. n. 471 del 1997, relativo alle violazioni da parte degli operatori finanziari degli obblighi
scaturenti da richieste operate nell'esercizio dei poteri inerenti all'accertamento delle imposte dirette o
dell'IVA nonché le violazioni degli obblighi di comunicazione all'Archivio dei rapporti finanziari. Salva
la conversione dei valori in euro, la disposizione non è stata oggel1o di modifica sostanziale. Comma 1,
lett. m). Il comma 1, lett. m) modifica l'articolo 11 del D. Lgs. n. 471 del 1997, contenente norme
sanzionatorie volte a colpire le residue fattispecie di infrazioni in materia di imposte dirette e di imposta
sul valore aggiunto. In accoglimento della osservazione di cui alla lett. aa) del parere delle Commissioni
riunite II Giustizia e VI Finanze e tesoro del Senato della Repubblica e dell'osservazione punto n. l del
parere reso dalle Commissioni riunite II Giustizia e VI Finanze della Camera dei Deputati, è stato
soppresso il comma 7-bis di nuova introduzione, che prevedeva l'applicazione di una sanzione espressa,
per la mancata o inesatta indicazione del soggetto beneficiario delle somme prelevate nell'ambito dei
rapporti e delle operazioni di cui all'articolo 32, primo comma n. 2 del decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. Conseguentemente è stata altresì soppresso l'intervento di
modifica dell'art. 32, comma 1, n. Z) del D.P.R. 600/1973, contenuto nell'originario art. 31, comma 3, del
decreto. AI comma 7-bis di nuova introduzione viene introdotta una nuova disciplina in materia di tardiva
presentazione delle garanzie richieste nell'ambito delle compensazioni dell'Iva dì gruppo sull'ammontare
delle eccedenze di credito risultanti dalla dichiarazione annuale dell'ente o società controllante ovvero
delle società controllate, compensate in tutto o in parte con somme che avrebbero dovuto essere versate
dalle altre società controllate o dall'ente o società controllante, di cui all'articolo articolo 73, terzo comma,
del D.P.R. 26 ot1obre !972, n. 633. Viene. in particolare, previsto che se la garanzia è presentata entro il
termine di novanta giorni dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione annuale, la
violazione ha natura formale ed è applicata la sanzione amministrativa da euro 1.000 a euro 4.000. Per le
garanzie presentate con ritardo superiore trova applicazione la l'articolo 13, comma 6 del d.lgs. n. 471 del
1997. Infine, al comma 7-ter di nuova introduzione si prevede la sanzione per la mancata presentazione
dell'interpello nei casi in cui questo sia oggetto di un obbligo, ai sensi del comma 2 dell'articolo Il dello
Statuto dei diritti del contribuente, come modificato da parte del decreto legislativo in tema di interpello.
Come noto, infatti, in presenza di nonne tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi,
limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta, o altre posizioni soggettive del soggetto passivo
altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, il contribuente - ave intenda disapplicarle - deve attivare
l'interpello al fine di fornire la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non
possono verificarsi. Questa forma di interpello, a differenza delle altre ed in ragione della natura e delle
caratteristiche delle norme che ne costituiscono oggetto, non rappresenta una mera facoltà ma un obbligo
per il contribuente che voglia disapplicare la disposizione. A garanzia della effettività di detto obbligo, il
legislatore ha introdotto una sanzione in misura fissa - di importo pari a quella prevista dal nuovo comma
3-quinquies dell'articolo 8 - che, tuttavia.. viene applicata in misura doppia qualora • oltre al disvalore
costituito dalla mancata disclosure del contribuente - venga disconosciuta la legittimità della
disapplicazione a cui il contribuente ha provveduto autonomamente. Comma 1, lett. n) li comma l, lett. n)
modifica l'articolo 12 del D.Lgs. n. 471 del 1997 che disciplina le sanzioni accessorie in materia di
imposte dirette e IVA. convertendo in euro i valori ivi indicati in relazione ai quali viene irrogata la
sanzione accessoria. Comma l, lett. o) Il comma l, lett. o) sostituisce l'articolo 13 del D.Lgs. n. 471 del
1997, relativo alle violazioni degli obblighi di versamento dei tributi, modificandone altresì la rubrica in
Ritardati od omessi versamenti diretti e altre violazioni in materia di compensazione. In un ottica di
maggiore proporzionalità della sanzione, il legislatore è intervenuto, in primo luogo, sul quantum della
sanzione, prevedendo un meccanismo di maggiore riduzione sanzionatoria per i versamenti effettuati con
lieve ritardo. In particolare, per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a novanta giorni, la
sanzione del trenta per cento è ridotta alla metà. Pertanto, salva l'applicazione del ravvedimento operoso
di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, D. 472, per i versamenti effettuati con un
274
ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione base su cui commisurare la riduzione - pari ad un
quindicesimo per ciascun giorno di ritardo - è quella ridotta del 15%. L'articolo l3 è stato, inoltre,
riformulato inserendo una disciplina specifica per l'ipotesi di utilizzo di una eccedenza o di un credito
d'imposta esistenti in misura superiore a quella spettante. In tal caso è espressamente prevista
l'applicazione della sanzione pari al 30 per cento del credito utilizzato, salva l'applicazione di disposizioni
speciali. Analogamente a quanto già rappresentato con riferimento all'articolo 5 in relazione alla richiesta
di rimborso Iva dell'eccedenza detraibile risultante dalla dichiarazione in assenza dei presupposti, anche
nelle ipotesi in cui non si proceda al recupero del credito utilizzato, rimane fermo il recupero degli
interessi dalla data di utilizzazione del credito a quella in cui il contribuente provveda a versare le
sanzioni dovute. Nella disposizione è stata, inoltre, inserita la disciplina dell'utilizzo in compensazione di
un credito inesistente - prima contenuta nel D. L. 185 del 2008, che la medesima disposizione definisce
come il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui
inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli automatizzati di cui agli articoli 36 bis, 36-ter del
D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 54·bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Devono, pertanto, escludersi
dall'ambito applicativo della disposizione tutte quelle ipotesi in cui l'inesistenza del credito emerga
direttamente dai controlli operati dall'Amministrazione nonché quelle ipotesi dì utilizzazione di crediti in
violazione di regole di carattere procedurale non prescritte a titolo costitutivo del credito stesso. In caso di
utilizzo in compensazione di un credito inesistente, è applicata esclusivamente la sanzione dal 100 al 200
per cento della misura del credito. E venuta meno l'aggravante per l'utilizzo in compensazione del credito
inesistente di importo superiore a euro 50.000, nella previgente disciplina sanzionata in misura pari al 200
per cento della misura del credito compensato. Infine, il novellato articolo 13 introduce la disciplina
sanzionatoria della garanzia IVA di gruppo presentata oltre 90 giorni dal termine di presentazione della
dichiarazione, prevedendo la sanzione del 30 per cento dell'ammontare delle eccedenze di credito
risultanti dalla dichiarazione annuale dell'ente o società controllante ovvero delle società controllate,
compensate in tutto o in parte con somme che avrebbero dovuto essere versate dalle altre società
controllate o dall'ente o società controllante, di cui all'articolo articolo 73, terzo comma, del D.P.R. n. 633
del 1972. Prima dell'intervento normativo, attraverso cui è stata introdotta una sanzione ad hoc per la
fattispecie, la mancata presentazione della garanzia prescritta entro il termine era sanzionata, in
applicazione delle regole sanzionatorie generali, con la sanzione prevista per l'omesso versamento. Non si
è ritenuto dì aderire alla osservazione di cui albi lett. cc) del parere reso dalle Commissioni riunite del Senato della Repubblica per i motivi di seguito esposti. Con riferimento alla definizione di credito
inesistente, si osserva che la qualificazione dello stesso come quello mancante del presupposto costitutivo
consente, tra le altre, di tenere conto della molteplicità dei crediti agevolativi presenti in ambito fiscale
(che, pur non originando da un'obbligazione tributaria sono utilizzati in ambito fiscale per il versamento
delle imposte) e delle molteplici configurazioni di tali crediti operati dalle leggi istitutive. Tale
definizione, in particolare, evita che possa essere irrogata al contribuente una sanzione particolarmente
grave nel caso in cui sussistano i requisiti sostanziali previsti dalla norma Istitutiva del credito, ma non
siano stati posti in essere adempimenti formali relativi alla esposizione o utilizzazione del credito (3 meno
che tali adempimenti non siano considerati costitutivi dalle stesse norme di riferimento). Inoltre, il
riferimento operato al riscontro dell'esistenza del credito da utilÌZ7.are in compensazione mediante
procedure automatizzate rappresenta condizione ulteriore a quella dell'esistenza sostanziale del credito, ed
è volta ad evitare che si applichino le sanzioni più gravi quando il credito, pur sostanzialmente inesistente,
può essere facilmente intercettato mediante controlli automatizzati, nel presupposto che la condotta del
contribuente 51 connota per scarsa insidiosità. Il comma l, lettera p) modifica l'articolo 14 del D.Lgs. n.
471 del 1997, che prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa pari al 20 per cento
dell'ammontare non trattenuto nei confronti dei soggetti che violano l'obbligo di esecuzione, in tutto o in
parte, delle ritenute alla fonte, La disposizione elimina, rispetto alla previgente formulazione, il
riferimento all'applicazione delle disposizioni dell'articolo 13 per il caso di omesso versamento. In virtù
dell'intervento normativo il contribuente non potrà essere sanzionato per omesso versamento in caso dì
accertamento di ritenute non dichiarate e non operate (accoglimento osservazione, lettera q) del parere
delle Commissioni riunite Giustizia e Finanze e tesoro del Senato della Repubblica). Comma l, lett.
q) Il comma I, lett. q) modifica l'articolo 15 che prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa nei
casi in cui i documenti utilizzati per i versamenti diretti non contengono gli elementi necessari per
l'identificazione del soggetto che li esegue e per l'imputazione della somma versata. In particolare, si
riconduce, nel corpo del D.Lgs. n, 471 del 1997, la sanzione per l'omessa presentazione
attualmente prevista dall'articolo 19, comma 4, del D.Lgs. n. 241 del 1997 che viene conseguentemente,
abrogato nel Capo IV, Al Capo II vengono introdotte, con l'art. 16, modifiche al D.Lgs. n. 472 del 1997,
275
recante la disciplina generale delle sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie. Comma
l, lett. a) 11 comma l, lett. a). dell'articolo 16 modifica l'art. 2, comma 4, del D.Lgs. n. 472 del 1997 che
prevede un meccanismo di adeguamento triennale delle misure delle sanzioni eliminando, al comma 4, il
riferimento al Ministro del Tesoro ed aggiornando il riferimento al Ministro dell'Economia e delle
finanze. Il comma, l, lett. b), abroga l'art. 5, comma 2, del D,Lgs. n. 472 del 1997,
relativo alla disciplina della responsabilità dell'autore materiale della violazione, Il contenuto del detto
comma - per ragioni di ordine sistematico - viene trasfuso nel successivo articolo 11, che regolamenta la
responsabilità per le violazioni commesse nell'interesse di società, associazioni o enti aventi o meno
personalità giuridica. Comma I, lett. c) Il comma I, letto c) modifica l'art. 7 del D.Lgs. n, 472 del 1997,
relativo ai criteri di determinazione della sanzione. In primo luogo, al comma 3, dell'articolo 7, è
eliminata la discrezionalità nell'applicazione della recidiva (specifica infra triennale). Si prevede, infatti,
che la sanzione debba essere aumentata fino alla metà nei confronti di chi, nei tre anni precedenti, sia
incorso in altra violazione della stessa indole, Tale automatismo non opera, tuttavia, quando
l'applicazione della recidiva determinerebbe la manifesta sproporzione fra l'entità del tributo e la sanzione
(fattispecie disciplinata dal comma 4, dì cui il comma 3 fa salvi gli effetti). Inoltre, tra le violazioni che
risultano non rilevanti ai fini della recidiva sono aggiunte, oltre a quelle definite ai sensi degli articoli 13,
16 e 17 o in dipendenza di adesione all'accertamento, anche quelle definite a seguito di mediazione e
conciliazione tributaria. Peraltro, al comma 4 dell'articolo 7, viene eliminata la natura eccezionale della
circostanza attenuante in base alla quale la sanzione può essere ridotta fino alla metà del minimo se
ricorrono circostanze che rendano manifesta la sproporzione fra l'entità del tributo e la sanzione. In altri
termini, con la nuova dizione legislativa, l'attenuante assume carattere generale e non più eccezionale. In
parziale accoglimento dell' osservazione di cui alla lettera s) del parere delle Commissioni riunite
Giustizia e Finanze e tesoro del Senato della Repubblica è stata prevista una norma generale di
chiusura all'interno dell'articolo 7 del D.Lgs. n. 472 del 1997 (recante i criteri di determinazione della
sanzione), che preveda, per tutti i casi non espressamente disciplinati dalle singole disposizioni di
settore, che nel caso di presentazione di dichiarazioni e denunce con un ritardo non superiore a 30 giorni
dal termine ordinario di scadenza, la sanzione prevista per l'omissione è ridotta alla metà. Comma I, lett.
d) n comma l, letto d). modifica l'art,1 del D.Lgs. n, 472 del 1997, relativo alla disciplina dei
responsabili della sanzione amministrativa, 28 Per mere esigenze di coordinamento con disposizioni
inerenti la responsabilità in materia di sanzioni tributarie, sì è ritenuto opportuno modificare il predetto
articolo Il integrandolo con le previsioni di cui all'articolo 5, comma 2, del medesimo decreto legislativo.
Comma l,lett. e) Il comma l, lett. e), modifica l'art. 12, del D.Lgs. n. 472 del 1997 concernente il
concorso di violazioni e continuazione. In particolare, si modifica il comma 8, estendendo la previsione
secondo cui le disposizioni sulla determinazione di una sanzione unica in caso di progressione si
applicano separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo d'imposta anche nell'ipotesi di
mediazione e conciliazione giudiziale. La disposizione, ante modifica, prevedeva, infatti, l'applicazione
della richiamata disciplina alle sole ipotesi di accertamento con adesione. La conciliazione giudiziale,
invece, era disciplinata al secondo periodo, in cui si disponeva che la sanzione conseguente [ ...] alla
conciliazione giudiziale [...] non può stabilirsi in progressione con violazioni non indicate nell'atto di
contestazione o di irrogazione delle sanzioni". L'applicazione della disciplina contemplata nel citato
comma 8 comportava, a determinate condizioni, limiti massimi sostanzialmente favorevoli per il
contribuente che concludeva la conciliazione giudiziale che avrebbe potuto ottenere, a parità d'imposta
definita, una maggiore riduzione della sanzione rispetto a quella conseguita in sede di accertamento con
adesione, per effetto del diverso meccanismo del cumulo giuridico applicabile ai due istituti. Con la
previsione che le disposizioni sulla determinazione di una sanzione unica in caso di progressione si
applicano separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo d'imposta anche nell'ipotesi di
mediazione (per le controversie di valore non superiore a 20.000 euro) e conciliazione giudiziale si
superano, quindi, quindi i possibili effetti distorsivi, che potrebbero indurre il contribuente a concludere
con esito negativo il procedimento di accertamento con adesione, allo scopo dì definire successivamente
il medesimo atto in conciliazione. Comma 1, lett. f) Il comma l, letto f), interviene sull art. 13 del D. Lgs.
n. 472 del 1997, recante l'istituto del ravvedimento operoso. In particolare, si modifica la lettera a-bis),
prevedendo che la riduzione sanzionatoria ivi disciplinata trovi applicazione se la regolarizzazione delle
omissioni e degli errori, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene
entro novanta giorni dalla data dell' omissione o dell'errore, ovvero se la regolarizzazione delle omissioni
e degli errori commessi in sede di dichiarativa avviene entro novanta giorni dal termine per la
presentazione della dichiarazione in cui l'omissione o l'errore è stato commesso. Si modifica, altresì, il
comma l-bis del medesimo articolo 13, prevedendo espressamente che anche la lettera b) - quater
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(riduzione ad un quinto del minimo della sanzione) si applichi ai soli tributi amministrati dall' Agenzia
delle entrate. Comma 1, lett. g) 29 Il comma l, lett. g), modifica l'art. 14 del D. Lgs. n. 472 del 1997 che
disciplina la materia della responsabilità dipendente da cessione di azienda o di un ramo di azienda. In
particolare: si introduce, al comma 5-bis, dell’ articolo 14, una causa di disapplicazione della norma
quando la cessione avviene nell'ambito di una procedura concorsuale. di un accordo di ristrutturazione dei
debiti, di un piano attestato o di un procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento odi
liquidazione del patrimonio; si estende, al comma 5-ter, dell'articolo 14, l'applicazione della disciplina
dettata dalla norma, in quanto compatibile, anche con riferimento alla fattispecie dì conferimento di
azienda. In recepimento dell'osservazione di cui alla lettera d) del parere delle Commissioni riunite
Giustizia e Finanze e tesoro del Senato della Repubblica è stata esteso l'ambito di applicazione della
disposizione in commento anche a tutte le ipotesi di trasferimento di azienda. Comma l, lett. h) li comma l,
letto h), modifica l'art. 23 del D. Lgs. n. 472 del 1997. che disciplina l'istituto della sospensione dei
rimborsi e la compensazione. Al comma l. dell'articolo 23, sono state introdotte ulteriori ipotesi di
sospensione del pagamento, quali la consegna del processo verbale di constatazione o il provvedimento
con il quale vengono accertati maggiori tributi ancorché non definitivi. Per effetto della novella, la
sospensione opera nei limiti di tutti gli importi dovuti in base all' atto o alla decisione della commissione
tributaria ovvero dalla decisione di altro organo. Non si ritiene accoglibile la condizione di cui alla lettera
g) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze del Senato della Repubblica volta
all'eliminazione delle disposizioni non pertinenti, come ad esempio gli art. 16, comma I, lett. h) c 26 dello
schema di decreto per i motivi di seguito esposti. La modifica proposta nell'articolo 16, comma l, lettera
h), dello schema di decreto legislativo, interviene sulla disciplina della sospensione dei rimborsi,
contenuta nel comma I dell'articolo 23 del decreto legislativo n. 472 del 1997), al fine di prevedere la
sospensione dei rimborsi, oltre che nell'ipotesi in cui sia stato notificato un atto di contestazione o di
irrogazione della sanzione (condizione già prevista, anche per gli atti non definitivi, dalla norma in
vigore), anche in presenza di ogni altro provvedimento con il quale siano accertati maggiori tributi,
ancorché non definitivo. Tale modifica è rivolta a includere anche le ipotesi di consegna di un processo
verbale di constatazione o di accertamento non definitivo. Per effetto della novella, inoltre, la sospensione
opera nei limiti dì tutti gli importi dovuti in base all'atto. La disposizione, pur avendo natura più
propriamente procedurale, appare idonea a risolvere alcune problematiche operative legate all'erogazione
dei rimborsi in presenza di provvedimenti di irrogazione di sanzioni e, dunque, in linea con le finalità
della disposizione dell'articolo 23 del D. Lgs. n. 472 del 1997 e, più in generale, con le finalità della legge
delega. Analogamente, con riferimento all'articolo 26 dello schema di decreto legislativo, si osserva che
la disposizione, introducendo una tempistica entro la quale i cancellieri devono procedere alla richiesta di
registrazione, produce effetti sul trattamento sanzionatorio a questi riferibili, ponendosi, cosi, in linea con
gli obiettivi della delega. 30 Con il Capo III vengono introdotte modifiche a specifiche disposizioni
sanzionatorie non contenute nei D.Lgs. nn. 471 e 472 del 1997. Articolo 17 (Sanzione applicabile in caso
di cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite dei contratti di locazione e di affitto di beni immobili) Il
comma l dispone la modifica dell'articolo 17, del D.P.R. 26 aprile 1986, n, 131, prevedendo
espressamente che entro trenta giorni deve essere presentata all'ufficio presso cui è stato registrato il
contratto di locazione la comunicazione relativa alle cessioni, alle risoluzioni e alle proroghe anche tacite
dello stesso. Inoltre viene previsto che chi non esegue, in tutto o in parte, il versamento relativo alle
cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite dei contratti di cui al comma l della medesima disposizione, è
sanzionato ai sensi dell'articolo 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471. Contestualmente viene soppresso
il comma 2, dell' articolo 17, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131. Il comma 2 modifica l'articolo 3, comma
3, del D.lgs. 14 marzo 2011, n. 23. prevedendo che in caso di mancata presentazione della comunicazione
relativa alla risoluzione del contratto di locazione per il quale è stata esercitata l0opzione per il regime
della cedolare secca, entro 30 giorni dal verificarsi dell'evento, si applica la sanzione in misura fissa pari
ad euro 67, ridotta a euro 35 Se presentata con ritardo non superiore a 30 giorni. Articolo 18 (Modifiche
in materia di sanzioni ai fini dell'imposta di registro) L'articolo l introduce, nell'ambito dell’articolo 69,
comma I del DPR n.131, una riduzione pari al cinquanta per cento della misura minima e
massima della sanzione prevista per omessa registrazione qualora la richiesta di registrazione sia
effettuata con ritardo non superiore a trenta giorni, stabilendo comunque che l'importo minimo della
sanzione ridotta sia pari ad euro 200. Con la medesima disposizione sono ridotte al cinquanta per cento le
misure minima e massima della sanzione prevista dall'articolo 72 del DPR n. 131 del 1986 per
l'occultazione di corrispettivo. Articolo 19 (Associazioni sportive dilettantistiche) L'articolo 19 modifica
l'art. 25, comma 5, della legge n. 133 del 1999 recante disposizioni tributarie in materia di associazioni
sportive dilettantistiche, In particolare, si abroga la sanzione impropria della decadenza da[le relative
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agevolazioni in caso di inosservanza della disciplina sulla tracciabilità dei pagamenti e dei versamenti
dettata per [o svolgimento di efficaci controlli da parte dell' Amministrazione finanziaria. Articolo 20
(Modifica dell'atto di recupero) L'art. 20 modifica l; art. 1, comma 421, della legge 311 del 2004,
concernente la disciplina dell'atto di recupero motivato per la riscossione di crediti indebitamente
utilizzati. In particolare, si prevede la utilizzabilità di tale strumento anche per la riscossione delle relative
sanzioni ed interessi. Articolo 21 (Violazioni in materia di certificazione unica) L'art 21 modifica l'art, 4,
comma 6-quinquies del D.P.R. n. 322 del 1998, recante la disciplina sanzionatoria della certificazione
unica. In particolare, nel secondo periodo della disposizione viene inserito un tetto massimo, pari ad euro
50.000, per ciascun sostituto di imposta, quale limite per l'irrogazione della sanzione di euro 100, prevista
per ogni certificazione omessa, tardiva o errata (sanzione, peraltro, non cumulabile per espressa
previsione normativa), Viene, inoltre, previsto che se la certificazione è correttamente trasmessa entro
sessanta giorni dal termine previsto nel primo periodo, la sanzione è ridotta ad un terzo con un massimo
di euro 20,000. Articolo 22 (Violazioni degli obblighi di comunicazione degli enti e delle casse aventi
esclusivamente fine assistenziale) L'art, 22 mitiga la disciplina sanzionatoria prevista per gli enti e le
casse aventi esclusivamente fine assistenziale, tenuti a comunicare in via telematica all' Anagrafe
tributaria gli elenchi dei soggetti ai quali sono state rimborsate spese sanitarie per effetto dei contributi
versati di cui all'art, 51, comma 2, lett. a), del TUIR. In particolare, per tali soggetti, l'art, 78, comma 26,
della legge n, 4 \3 del 1991 prevede che, in caso di omessa, tardiva o errata trasmissione dei dati, si
applica la sanzione di euro 100 per ogni comunicazione, senza possibilità di cumulo. Per effetto delle
modifiche si inserisce un tetto massimo di euro 50.000 per soggetto terzo e viene previsto che se la
comunicazione è correttamente trasmessa entro sessanta giorni dalla scadenza, la sanzione è ridotta ad un
terzo, con un massimo di euro 20,000, Articolo 23 (Violazioni degli obblighi di comunicazione al Sistema
tessera sanitaria) L'art, 23 modifica l'art, 3, del D. Lgs. n. 175 del 2014 introducendo, al comma 5-bis, una
specifica disciplina sanzionatoria per i soggetti tenuti a inviare al Sistema tessera sanitaria i dati relativi
alle prestazioni erogate nel 2015, ad esclusione di quelle già previste nel comma 2, ai tini della loro messa
a disposizione dell' Agenzia delle entrate. Si tratta, in particolare di aziende sanitarie locali, aziende
ospedaliere, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, policlinici universitari, farmacie, pubbliche e
private, presidi dì specialistica ambulatoriale. strutture per l'erogazione delle prestazioni di assistenza
protesica e di assistenza integrativa, gli altri presidi e strutture accreditati per l'erogazione dei servizi
sanitari e gli iscritti all'Albo dei medici chirurghi e degli odontoiatri, Per tali soggetti si prevede che, in
caso di omessa, tardiva o errata trasmissione dei dati di cui ai commi 3 e 4 dell'art, 3, del D.Lgs. n. 175
del 2014, si applica la sanzione di euro 100 per ogni comunicazione, in deroga a quanto previsto dall'art.
12, del D.Lgs. n. 472 del 1997, con un massimo di euro 50.000. Nei casi di errata comunicazione dei dati
la sanzione non si applica se la trasmissione dei dati corretti è effettuata entro i cinque giorni successivi
alla scadenza, ovvero, in caso dì segnalazione da parte dell' Agenzia delle Entrate, entro i cinque
successivi alla segnalazione stessa, Se la comunicazione è correttamente trasmessa entro sessanta giorni
dalla scadenza prevista, la sanzione è ridotta ad un terzo con un massimo dì euro 20.000. Articolo 24
(Riduzione sanzionatoria in caso dì rettifiche del CAF o del professionista) Con la disposizione viene
modificato l'articolo 39, del D. Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, recante la disciplina del visto ovvero
dell'asseverazione infedele, al fine di coordinare tale disposizione con le nuove misure di riduzione
sanzionatoria introdotte nell'istituto del ravvedimento operoso dalla legge di stabilità 2015, di cui
all'articolo l, comma 637, della legge 23 dicembre 2014, n, 190, In particolare, l'articolo 39 dispone che
se entro il 10 novembre dell'anno in cui la violazione è stata commessa il CAF il professionista
trasmette una dichiarazione rettificativa del contribuente ovvero, se il contribuente non intende presentare
la nuova dichiarazione, trasmette una comunicazione dei dati relativi alla rettifica il cui contenuto è
definito con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate, la somma dovuta è pari all'importo
della sola sanzione. A tale fine l'articolo 39 prevedeva espressamente la possibilità di applicare il
ravvedimento operoso, nella e nella misura prevista dall'articolo 13, comma I, lettera b), del decreto
legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. Per effetto delle successive modifiche apportate all'istituto del
ravvedimento e, in particolare, con l'introduzione della lettera a) bis, si è reso necessario un
coordinamento della disposizione, al fine di consentire, anche per tale fattispecie, la nuova e più
vantaggiosa riduzione sanzionatoria. Articolo 25 (Procedimento di computo in diminuzione delle perdite
in accertamento) Le disposizioni disciplinano le modalità di riconoscimento, nell'ambito dei procedimenti
di accertamento e dì adesione, di eventuali perdite da computare in diminuzione dal maggior reddito
imponibile accertato. L'intervento normativo ha la finalità, da una parte, di fornire certezza agli uffici e ai
contribuenti in merito all’ utilizzabilità delle perdite in accertamento mediante l'introduzione di uno
specifico iter procedurale e, dall'altra, di garantire il rispetto della capacità contributiva. Le modalità di
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scomputo delle perdite si fondano, con precipue peculiarità, sui principi sottesi alla disciplina del
consolidato nazionale di cui all'articolo 40-bis, del D.P.R. 29 settembre 1973, n, 600 prevista per i
soggetti aderenti alla tassazione di gruppo e che resta vigente nei confronti dì questi ultimi. In particolare,
viene previsto che l'ufficio computi in diminuzione, dal maggiore imponibile accertato, le perdite di
periodo, ovvero le perdite del periodo d'imposta oggetto di accertamento fino a concorrenza del loro
importo. Per quanto riguarda le perdite pregresse, ovvero le perdite maturate in periodi d'imposta
antecedenti a quello oggetto di accertamento, la disposizione prevede che le. stesse siano computate in
diminuzione su richiesta del contribuente. Lo scomputo riguarda le perdite che erano utilizzabili alla data
di chiusura del periodo d'imposta oggetto di accertamento, non maturate successivamente allo stesso
periodo d'imposta e che, al momento di presentazione dell'istanza per lo scomputo in sede di
accertamento non siano state già utilizzate. A tal fine il contribuente deve presentare un'apposita istanza
all'ufficio competente all'emissione dell'avviso di accertamento entro il termine di proposizione del
ricorso. 33 La presentazione dell'istanza comporta la sospensione dell'atto per un periodo di sessanta
giorni. L'ufficio, in tale arco temporale, procede al ricalcolo dell'eventuale maggiore imposta dovuta,
degli interessi e delle sanzioni correlate, e comunica l'esito al contribuente. Il computo in diminuzione
delle perdite implica, pertanto, la correlata rideterminazione delle sanzioni per infedele dichiarazione. le
quali sono commisurate (ai sensi dell'art. l del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471) alla maggiore
imposta che eventualmente residua dopo la rideterminazione dei redditi nell'anno oggetto di
accertamento. Anche nell'ambito dei procedimenti di adesione, di cui al decreto legislativo 19 giugno
1997, n. 218, fermo restando il computo in diminuzione delle perdite del periodo d'imposta oggetto di
adesione, il contribuente ha facoltà di chiedere che siano computate in diminuzione dai maggiori
imponibili le perdite pregresse, non utilizzate, fino a concorrenza del loro importo. AI ti ne di garantire
che le perdite pregresse richieste e scomputate non restino nella disponibilità del contribuente, la norma
dispone che, a seguito del computo in diminuzione di dette perdite in accertamento o in adesione.
L’Ufficio provvede a ridurre l'importo delle perdite riportabili nell'ultima dichiarazione dei redditi
presentata. Analogamente in conseguenza dello scomputo delle perdite relative al periodo di imposta
oggetto di accertamento o di adesione, l'amministrazione finanziaria provvede a ridurre l'importo delle
perdite riportabili nelle dichiarazioni dei redditi successive a quella oggetto di rettifica e, qualora emerga
un maggiore imponibile, procede alla rettifica ai sensi dei commi l e 2 dell'articolo 42 del D.P.R. 29
settembre 1973, n. 600. 1 contenuti e le modalità dì presentazione dell'istanza di computo in diminuzione
delle perdite pregresse, nonché le conseguenti attività dell'ufficio competente, sono stabilite con
provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate, da emanare entro novanta giorni dalla data di
entrata in vigore delle disposizioni in commento. Le disposizioni entrano in vigore il 10 gennaio 2016,
con riferimento ai periodi dì imposta per i quali, sino alla predetta data, sono ancora pendenti ì termini per
l'accertamento. Non si è ritenuto di aderire all'osservazione di cui alla lettera e) del parere reso dalle
Commissioni riunite Giustizia e Finanze del Senato della Repubblica per i motivi di seguito esposti.
Si osserva preliminarmente che tale sistema di scomputo delle perdite è già disciplinato nell'ambito del
procedimento di accertamento e di adesione nei confronti dei soggetti aderenti al consolidato nazionale.
L'articolo 35 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, infatti, a decorrere dal I gennaio 2011, ha
introdotto uno specifico procedimento accertativo del consolidato c, con esso, il regime dell'utilizzo delle
perdite, introducendo l'articolo 40.his del DP.R. 29 settembre 1973, n. 600 e L. 39, articolo 9 del decreto
legislativo 19 giugno 1997, n. 218.In tale ambito, solo la consolidante è nella facoltà di scegliere se e
quali perdite utilizzare in sede accertativa, mediante la presentazione di apposita istanza. L'articolo
decreto in commento, come esplicitato nella relazione illustrativa, si fonda, con precipue peculiarità, sui
principi relativi al computo in diminuzione delle perdite contenuti nella disciplina del consolidato
nazionale. La scelta operata dal legislatore tiene anche in considerazione l'opportunità di dettare regole
uniformi per l'utilizzo delle perdite pregresse con riferimento ai soggetti aderenti al consolidato e ai
soggetti che non vi partecipano. Inoltre, si ritiene che riconoscere la facoltà al contribuente di chiedere il
computo in diminuzione delle perdite pregresse non utilizzate dal maggiori imponibili accertati, non sia in
contraddizione con le regole desumibili dal sistema, che impediscono al contribuente di utilizzare le
perdite in ambito dichiarativo. Qualora, di contro, in ambito accertativo si prevedessero regole di
scomputo automatico, e quindi obbligatorio, per le perdite pregresse, si introdurrebbero criteri di priorità
nell'utilizzo delle stesse che non appaiono voluti dal legislatore. Ad ulteriore argomentazione, appare
opportuno evidenziare che lo scomputo automatico previsto dal legislatore solo per le perdite di periodo,
ha lo scopo di ripristinare il risultato di periodo che si sarebbe ottenuto se il contribuente avesse dichiarato
correttamente il proprio reddito (finalità che non è rinvenibile nel caso di utilizzo delle perdite pregresse
al periodo l'imposta oggetto di rettifica) e che giustifica lo scomputo prioritario rispetto alle perdite
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pregresse, il cui utilizzo, invece, deve essere lasciato alla piena facoltà del contribuente. Tale facoltà deve
riferirsi altresì alla tipologia di perdite da utilizzare, in base alla loro natura e ai limiti di cui agli articoli 8
e 84 del TU.. La disposizione, infatti, prevede che, “ai fini del presente comma, per perdite pregresse
devono intendersi quelle che erano ufficializzabili alla data dì chiusura del periodo d'imposta oggetto di
accertamento ai sensi dell'articolo 8 e dell'articolo 39; articolo 84 del TUIR. Infine, si evidenzia che, anche tale
aspetto sarà oggetto del Provvedimento del Direttore dell' Agenzia delle entrate previsto dal medesimo
decreto, ove saranno stabiliti i contenuti e le modalità per la presentazione dell'istanza di computo delle
perdite e le conseguenti attività dell'ufficio competente. Articolo 26 (Ulteriori modifiche in materia dì
imposta di registro) Con la disposizione di cui all' articolo 26, che prevede l'introduzione di un comma l-bis, dopo il comma l, dell' articolo 13, del DPR 26 aprile 1986, n. 131, si amplia il termine per la richiesta
di registrazione dei decreti di trasferimento e degli atti ricevuti dai cancellieri, portandolo a 60 giorni da
quello in cui il provvedimento è stato emanato. Articolo 27 (Modifiche in materia di imposte ipotecaria e
catastale) Il comma l dell'articolo 27 modifica l'articolo 6, comma 2, del D. Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347,
ampliando il termine concesso ai cancellieri per richiedere la trascrizione, portandolo a 120 giorni dalla
data dell'atto o del provvedimento ovvero della sua pubblicazione, se questa è prescritta. Il comma 2 dello
stesso articolo 27 modifica i commi l e 2 dell'articolo 9, del D. Lgs. n. 347 del 1990. AI comma I,
dell'articolo 9, è prevista una riduzione del cinquanta per cento della misura minima e massima della
sanzione stabilita per l'omessa richiesta di trascrizione o delle annotazioni obbligatorie, qualora la
richiesta di trascrizione o le annotazioni obbligatorie siano effettuate entro trenta giorni dalla data
dell'atto o del provvedimento ovvero dalla sua pubblicazione. Ai comma 2, dell'articolo 9 del D.Lgs. n. 347 del 1990, oltre alla conversione in euro delle previsioni edittali già contemplate, è stata introdotta
una riduzione del cinquanta per cento della misura minima e massima della sanzione prevista per
l'omissione delle trascrizioni o annotazioni soggette ad imposta fissa, o non soggette ad imposta, o da
eseguirsi a debito, ovvero per le quali l'imposta è stata già pagata entro il termine stabilito, qualora le
richieste siano effettuate con ritardo non superiore a trenta giorni. Articolo 28 (Modifiche in materia di
imposta sulle successioni e donazioni) Con l'articolo 28 sono apportale modifiche all'articolo 50 del
decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, operando, preliminarmente, la conversione in euro delle
previsioni edittali già contemplate per l'omissione della dichiarazione di successione. Allo stesso modo, è
prevista una riduzione al cinquanta per cento delle misura minima e massima della trattamento
sanzionatorio per omessa presentazione della dichiarazione, qualora la stessa sia presentata con ritardo
non superiore a trenta giorni. Per tale ultima ipotesi, sono stabilite misure minime e massime pari ad euro
150 e 500, qualora non sia dovuta l'imposta di successione. Articolo 29 (Modifiche in materia di imposta
di bollo) Con l'articolo 29 sono apportate modifiche agli articoli 24 e 25 del DPR 26 ottobre 1972, n. 642.
All'articolo 24, comma l, del citato DPR n. 642 del 1972 sono convertite in curo le previsioni edittali già
previste per l’inosservanza degli obblighi stabiliti all'articolo 19 del medesimo decreto. All'articolo 25,
comma 3, del citato DPR n. 642 del 1972 è introdotta una riduzione al cinquanta per cento delle misure
minime c massime del trattamento sanzionatorio per omessa dichiarazione di conguaglio di cui all'articolo
15 del medesimo DPR, qualora la stessa dichiarazione sia presentata con un ritardo non superiore a trenta
giorni. Articolo 30 (Modifiche in materia di imposta sugli intrattenimenti) Con l'articolo 30 sono
apportate delle modifiche agli articoli 32 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre
1972, n. 640, in materia di sanzioni sull'imposta sugli intrattenimenti, prevedendo, tra l'altro, la riduzione
delle misure previste in coerenza con la riduzione operata dal precedente articolo 15, comma l, lettera f)
n. 1. Al comma t dell'articolo 32 viene introdotta un attenuante laddove la violazione non incide sulla
corretta liquidazione del tributo. AI comma 2 è introdotta una riduzione al cinquanta per cento della
misura minima e massima della sanzione qualora le dichiarazioni siano presentate con un ritardo non
superiore a trenta giorni. Il comma 4 dell' articolo 33 del citato decreto del Presidente della Repubblica n.
640 del 1972 viene abrogato al fine dì prevedere la non sanzionabilità dei destinatari del titolo di accesso
o del documento di certificazione dei corrispettivi, così come accade per gli scontrini fiscali ordinari. Non
si è ritenuto di aderire alle osservazioni di cui alle lettere t) e u) del parere delle Commissioni riunite
Giustizia tesoro del Senato della Repubblica in quanto il sistema sanzionatorio in materia di dogane e
accise è ampio e una sua revisione organica potrà essere più adeguatamente valutata in sede di eventuale
adozione di un decreto legislativo correttivo e integrativo ai sensi dell'art. 1, comma 8 della legge n. 23
del 2014. Articolo 31 (modifiche in materia di fatture inesistenti). Il nuovo articolo 31, in coordinamento
con le modifiche operate alla disciplina sanzionatoria del reverse charge (art. 15, comma l, lett.i),
modifica il testo dell'articolo 21, settimo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 al fine di rendere chiaro che
la relativa prescrizione non riguarda le ipotesi di operazioni soggette a reverse charge. Il Titolo III
contiene disposizioni sulla decorrenza degli effetti, sulle abrogazioni e sulle disposizioni finanziarie del del
presente decreto. In particolare, l'articolo 32 prevede che le disposizioni dì cui al Titolo II del presente
decreto si applicano a partire dal 10 gennaio 2017; in accoglimento della condizione di cui alla lett. m) del
parere reso dalle Commissioni riunite II (Giustizia) e V1 (Finanze) della Camera dei Deputati, della
condizione di cui al parere della V Commissione Bilancio della Camera dei Deputati e dalla condizione di
cui alla lett. a) del parere reso dalle Commissioni riunite l" Giustizia e 6" Finanze e tesoro del Senato
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Conclusioni
Dopo avere affrontato la problematica della imposizione fiscale dal punto
di vista del contribuente ed avere tratto a completamento e chiarificazione
di quanto affermato i principali provvedimenti adottati dal Legislatore in
merito al rapporto tra contribuente ed Amministrazione finanziaria, ciò che
a mio parere può essere considerato come un qualcosa di “sicuro” dal punto
di vista della analisi condotta nel presente lavoro, è che il contribuente non
può essere semplicemente il destinatario “passivo” dei provvedimenti
irrogati dall’ Amministrazione finanziaria che procede all’accertamento e
alla riscossione del tributo; ma ha il diritto, ad esso contribuente
riconosciuto dalle norme inserite nei provvedimenti citati, di partecipare
attivamente alla fase dell’accertamento, così da potersi configurare un
rapporto tra Fisco e contribuente non più caratterizzato dalla regola della
subordinazione degli interessi del privato ai poteri autoritativi
dell’Amministrazione fiscale, ma come partecipazione attiva e paritetica da
parte sia del privato contribuente che dell’ Amministrazione procedente.
Tutti i risultati dell’accertamento, cui su tali basi si perviene nell’ambito
della fase procedimentale, dovranno poi essere inseriti ad opera
dell’Amministrazione, in quel “processo tributario” che costituisce la fase
centrale ai fini della definizione del rapporto fiscale. Ovviamente la
partecipazione al suddetto procedimento deve essere considerata come una
facoltà più che come un diritto del contribuente, il quale può riservarsi di
partecipare attivamente al processo instaurato dinanzi al giudice e quindi
risolvere in sede di contenzioso la vertenza a suo carico. Ma può anche,
nella fase procedimentale come in quella processuale, pervenire ad un
accordo facilitante con la P.A. finanziaria, ossia ad una transazione per il
cui tramite, sempre il contribuente si riserva di pagare volontariamente
quanto dovuto, beneficiando di una riduzione della imposta a suo carico.
Ciò detto, mi pare di aver descritto in modo abbastanza esauriente tutto ciò
che concerne il rapporto di imposta, non solo a livello nazionale ma anche
a livello sovranazionale, con riguardo innanzitutto alla normativa
comunitaria, la quale è da sempre rivolta a favorire una “armonizzazione”
del procedimento e del processo tributario, la cui disciplina tende a
raggiungere un difficile punto di equilibrio tra le rispettive normative
adottate in ciascun Stato membro, peraltro considerando le difficoltà che
tale processo di armonizzazione comporta. A tal proposito un’ esempio di
sistema tributario simile a quello italiano, quest’ultimo considerato in ottica
comparativa, è quello disciplinato dall’ordinamento spagnolo, di cui in
questo lavoro si sono descritte le caratteristiche salienti. In via definitiva mi
permetterei di rinviare il lettore alle pagine precedenti per tutto ciò che in
questa breve conclusione non trova posto, in parte per la enormità del
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lavoro svolto in sede di redazione, che non consente facili operazioni di
sintesi; in parte perché riassumere il lavoro svolto in sede di osservazioni
conclusive, non solo richiederebbe uno sforzo notevole e sarebbe peraltro
proibitivo, ma anche se si vuole, abbastanza superfluo. Infine mi riprometto
di apportare al presente scritto tutte le modifiche necessarie a migliorare la
qualità dell’elaborato, non solo quelle modifiche indicate come necessarie
da parte del Relatore in sede di correzione ma anche quelle che
probabilmente vengano in rilievo in sede di discussione del presente lavoro.